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La Rivoluzione Russa




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La Rivoluzione Russa


2.1 Russia: dal conflitto alla rivoluzione


Nel settembre 1915 e nell'aprile 1916 si tennero a Zimmerwald e Kienthal (Svizzera) due conferenze socialiste internazionali, partecipate da esponenti dei partiti socialisti sia di paesi neutrali alla guerra (svizzeri, olandesi e scandinavi) sia da quelli che avevano manifestato sin dal principio la loro contrarietà al conflitto. I lavori si conclusero con l'approvazione di una serie di documenti nei quali veniva rinnovata la condanna della guerra e si chiedeva una pace 'senza annessioni e senza indennità'.

Intanto, a causa del protrarsi del conflitto, i gruppi contrari alla guerra vedevano aumentare progressivamente iscritti. Ma all'interno di questi movimenti vi erano profonde spaccature tra la sinistra 'riformista' che proponeva una pace negoziata ed un ritorno alla democrazia, e i 'disfattisti rivoluzionari' che volevano approfittare della situazione per stravolgere i sistemi democratici. Tra questi ultimi ricordiamo gli 'spartachisti' tedeschi e i 'bolscevichi' russi costituitisi nel 1912 come partito autonomo dalla socialdemocrazia.

Leader dei bolscevichi russi era Lenin, il quale già durante la conferenza di Zimmerwald aveva sostenuto la tesi secondo la quale il movimento operaio avrebbe dovuto profittare della guerra per affrettare il crollo dei regimi capitalistici.

Le tesi leniniste trovarono il consenso da parte dei gruppi più radicali ed estremisti, ed ecco che si ripresentò la spaccatura tra riformisti e rivoluzionari.


Il 15 Marzo lo Zar abdicò a seguito di una serie di scioperi e manifestazioni contro il regime zarista. In seguito al crollo del regime zarista molti reparti rifiutarono di riconoscere l'autorità degli ufficiali e dei superiori ed elessero organi di autogestione. Da quel momento in avanti l'aiuto che la Russia diede al conflitto fu minimo e irrilevante per l'Intesa che si trovava, tra l'altro, a combattere anche contro gli americani.

Nella notte fra il 6 e 7 novembre (24-25 ottobre secondo il calendario russo) 1917 un'insurrezione guidata dai bolscevichi rovesciava il governo provvisorio. Il potere fu assunto da un 'governo rivoluzionario' presieduto da Lenin, che decise immediatamente di porre fine alla guerra, firmando una pace 'senza annessioni e senza indennità'. Ma le condizioni imposte alla Russia dalla Pace di Brest Litovsk furono durissime, in quanto la Russia perse circa un quarto dei propri territori europei. Nonostante ciò, Lenin dimostrò al mondo intero che la trasformazione della guerra in rivoluzione era attuabile, seppur ad un prezzo altissimo.



2.2 La Rivoluzione di Febbraio


Già prima dello scoppio del conflitto in molti pensavano che il governo zarista non avrebbe retto ancora a lungo. Ma nessuno si sarebbe mai immaginato che agli zar sarebbe seguito l'evento rivoluzionario della storia dopo la rivoluzione francese.

Nel Marzo 1917 (febbraio secondo il calendario russo) il governo zarista fu, come già detto, abbattuto da una rivolta di operai e soldati avvenuta a Pietroburgo. Il governo fu retto da un governo provvisorio di orientamento liberale presieduto dall'aristocratico Georgij L'vov. Obiettivo del governo era continuare la guerra a fianco dell'Intesa e promuovere l'occidentalizzazione del paese sul piano politico ed economico. D'accordo con questa linea erano i "cadetti", i "menscevichi" (che si ispiravano ai modelli delle socialdemocrazie europee) e i "socialisti rivoluzionari".

Questi ultimi erano divisi in correnti eterogenee tra loro (dai democratici agli anarchici), ma erano tutti convinti che prima della rivoluzione era inevitabile un passaggio "democratico". Per questo appoggiarono il governo L'vov e vi diedero il loro sostegno mettendo Kerenskij (democratico-radicale) come Ministro della Guerra.

L'unico gruppo politico che non entrò nel governo fu quello dei bolscevichi, poiché erano convinti che solo la classe operaia avrebbe potuto assumersi la guida del paese.

Al potere legale del governo si era affiancato, in questa fase, il potere "reale" dei soviet.



2.3 I Soviet


Soviet è il corrispettivo russo di consiglio. Non è altro che l'insieme degli organismi rivoluzionari che avrebbero dovuto costituire la struttura dello stato rivoluzionario.

Il 'Soviet' fu poi il grande mito del primo dopoguerra per tutta la sinistra rivoluzionaria, in quanto vedevano in esso l'unico strumento possibile di democrazia diretta.

Ma la fortuna dei soviet sarà destinata a durare poco: già negli anni '20 declinò, sia per il riflusso generale dell'ondata rivoluzionaria, che per le vicende stesse dell'Urss, dove i soviet persero qualsiasi potere per rimanere solo formalmente in vita.

Una ripresa poi delle tematiche consiliari avvenne nell'Europa dei moti sessantottini, moti che impostarono la loro lotta sul primato delle assemblee e sul rifiuto della 'democrazia delegata', sul modello rousseauviano.



2.4 Lenin e le "Tesi d'Aprile"


Lenin tornò in Russia nell'aprile del '17, dopo essere stato in Svizzera e aver partecipato alle diverse conferenze socialiste che lì si erano tenute. Il viaggio gli era stato pagato dalla Germania, in quanto i tedeschi, conoscendo l'idea di Lenin sul conflitto, pensavano di poter indebolire quanti invece in Russia erano favorevoli alla prosecuzione della guerra.

Non appena giunto a Pietroburgo, Lenin diffuse le 'Tesi d'Aprile', un documento di dieci punti nei quali esponeva la sua visione sul governo rivoluzionario e la sua idea secondo la quale era imminente il problema della presa del potere.

Proprio in questo punto Lenin si distaccava parecchio dalla teoria marxista, secondo la quale la rivoluzione proletaria sarebbe scoppiata prima nei paesi più sviluppati e dove il capitalismo era alla sua massima espansione; in Russia, invece, il capitalismo non era affatto sviluppato, anzi era considerata l''anello debole' del sistema.

Nonostante ciò, Lenin era convinto che, al contrario, in Russia, proprio per lo scarso sviluppo del capitalismo, sarebbe stato possibile mettere in crisi il sistema.

Obiettivo primario che si poneva Lenin era, in questa fase, raggiungere la maggioranza nei Soviet.

Il programma leninista potrebbe sembrare utopico ed estremistico, eppure riuscì ad attecchire nelle masse operaie e contadine, e dunque, consentì al partito bolscevico di allargare i propri consensi.

Per contro aumentarono le fratture con gli altri gruppi socialisti.



2.5 Da Kerenskij alla Rivoluzione d'Ottobre


Nell'agosto 1917 L'vov rassegnò le dimissioni. Le redini del governo vennero assunte da Karenskij. Ma Kerenskij non godeva di consensi tra gli esponenti del suo stesso partito, ed inoltre aveva contro anche il nuovo uomo forte: il comandante dell'esercito Kornilov.

Ai primi di settembre quest'ultimo lanciò un ultimatum al governo chiedendo il passaggio dei poteri alle autorità militari.

Kerenskij reagì chiamando in causa tutte le forze socialiste, compresi i bolscevichi. Si distribuirono armi alla popolazione e si incitarono alla rivolta le truppe di Kornilov. Il colpo di stato fu così stroncato sul nascere. Ma a rafforzarsi furono proprio i bolscevichi che ottennero la maggioranza nei soviet di Pietrogrado e Mosca. I tempi erano maturi, secondo Lenin, per lanciare la parola d'ordine 'tutto il potere ai soviet' e preparare l'insurrezione contro il governo provvisorio.

Il 23 ottobre 1917 i bolscevichi decisero di rovesciare con la forza il governo Kerenskij. La decisione fu presa durante una drammatica seduta del Comitato centrale del Partito, nella quale Lenin dovette superare forti opposizioni, fra le quali quelle di Gregorij Zinov'ev e Lev Kamenev.

Favorevole all'insurrezione era, invece, Lev Davidovic Bronstein, meglio conosciuto come Trotzkij, esponente di punta della sinistra menscevica e presidente del soviet di Pietrogrado dal settembre dello stesso anno.

Quest'ultimo fu la mente organizzativa della rivoluzione.

La mattina del 7 novembre (25 ottobre secondo il calendario russo) soldati rivoluzionari e guardie rosse (le milizie operaie) circondarono e isolarono il 'Palazzo d'Inverno' (già residenza degli zar e ora sede del governo provvisorio) e se ne impadronirono la sera stessa.

L'attacco al Palazzo d'Inverno doveva  avere, nella mente dei rivoluzionari, la stessa funzione della presa della Bastiglia nella Rivoluzione Francese: assurgere a simbolo della Rivoluzione Russa. Esso non fu, fortunatamente cruento: pochissime furono le vittime dei rari scontri che vi furono.

Nello stesso momento della presa del Palazzo, si riunì a Pietrogrado il Congresso panrusso dei Soviet, ovvero l'assemblea alla quale prendevano parte i delegati dai soviet di tutta la Russia. Il congresso, come primo atto, approvò due decreti firmati da Lenin. Il primo faceva appello alle popolazioni dei paesi belligeranti 'per una pace giusta e democratico [] senza annessioni e senza indennità'. Il secondo dichiarava l'abolizione immediata della proprietà privata senza alcun indennizzo.

Grazie a questo secondo provvedimento, il nuovo potere poteva garantirsi l'appoggio delle masse contadine.

Nel frattempo era stato costituito un governo rivoluzionario chiamato 'Consiglio dei commissari del popolo', interamente costituito da bolscevichi, e di cui Lenin era presidente.

Solo la sinistra dei socialrivoluzionari appoggiò il nuovo governo ed entrò a farne parte (successivamente) con tre suoi esponenti. Gli altri gruppi di sinistra protestarono contro l'atto di forza. Tuttavia non protestarono apertamente, ma preferirono puntare le loro carte sull'Assemblea Costituente, le cui elezioni erano state fissate per la fine di novembre.

Alle elezioni i bolscevichi ottennero una cocente delusione: ottennero solamente 175 seggi su 707 (meno di un quarto). Gli unici vincitori furono i socialrivoluzionari che riuscirono ad ottenere oltre 400 seggi ottenendo quindi la maggioranza assoluta. Ma i bolscevichi non avevano intenzione di mandare in fumo i loro progetti.

Così già la prima seduta della Costituente, che avvenne in gennaio, fu sciolta grazie all'intervento delle truppe militari bolsceviche su ordine del congresso dei soviet. Quest'atto di forza era coerente con la linea di Lenin, che non credeva nelle forme della 'democrazia borghese' e riconosceva al solo proletariato il diritto di guidare la rivoluzione attraverso i soviet (sua espressione diretta) e il partito. Certo è che, con quest'atto, i bolscevichi rompevano definitivamente con gli altri gruppi socialisti: hanno posto le premesse per la dittatura di partito.


Guerra civile e contrasti con le altre potenze


I bolscevichi avevano in mano un compito arduo: gestire il potere in un paese vasto, complesso e arretrato. Inoltre si trovavano da soli in questa missione.

Tuttavia i bolscevichi erano convinti di poter conquistare in tempi brevi l'appoggio delle masse popolari e così affermarono di voler procedere rapidamente alla costruzione di uno stato proletario ispirato all'esperienza della Comune di Parigi.

L'idea era contenuto in uno degli scritti più famosi di Lenin, 'Stato e Rivoluzione'. In questo saggio Lenin riprendeva la definizione marxiana di Stato come strumento di dominio di una classe sulle altre, e prevedeva che, scomparso questo dominio, lo Stato si sarebbe avviato verso una rapida estinzione. Inoltre teorizzava l'assenza di burocrazia nella società socialista, in quanto le masse popolari da sole si sarebbero autogovernate, e, dal punto di vista della guerra, chiedeva ai popoli europei di sollevarsi al fine di ottenere una pace 'senza annessioni e senza indennità'.

Ma quest'ultima fu un'ipotesi irrealizzata.

E la Russia si trovò, quindi, il 3 marzo 1918, a dover firmare la pace di Brest Litovsk con la Germania. Per imporla Lenin dovette superare le perplessità di alcuni suoi stessi compagni e l'opposizione dei socialrivoluzionari compresa la corrente di sinistra, i quali ritirarono i loro rappresentanti dal governo.

I bolscevichi rimanevano dunque isolati.

Dal punto di vista della politica internazionale, il trattato firmato con la Germania venne considerato un 'tradimento' dalle potenze dell'Intesa (Francia e Inghilterra) che cominciarono da quel momento ad appoggiare le forze anti-bolsceviche.

Nella primavera e nell'estate del 1918 sbarcarono in Russia truppe anglo-francesi nel Nord e sulle coste del Mar Nero, mentre statunitensi e giapponesi penetravano in Siberia. L'arrivo delle truppe straniere alimentò l'opposizione al governo (soprattutto quella monarchico-conservatrice detta 'bianca') e lo scoppio di guerre civili in diverse zone della Russia.

Frattanto il governo assumeva tratti sempre più autoritari. 

Nel 1917 il governo centrale istituì la 'Ceka', una polizia politica ed il 'Tribunale rivoluzionario centrale' col compito di processare chiunque disubbidisse al governo.

Nel giugno 1918 tutti i partiti d'opposizione vennero dichiarati fuori legge, fu reintrodotta la pena di morte abolita dopo la rivoluzione d'ottobre.

Intanto si andava ricostruendo l'esercito che prese il nome di 'Armata Rossa degli operai e delle contadine', compito che venne affidato a Trozkij. Con la creazione dell'esercito, i bolscevichi si assicurarono la sopravvivenza agli scontri con i nemici.

Nell'estate del '19 i 'bianchi' persero l'appoggio delle potenze occidentali; nella primavera del '20 le armate bianche furono sconfitte.

Ma sempre nel '20, quando cioè il governo aveva fronteggiato gli attacchi interni, i bolscevichi si trovarono a dover combattere un inatteso attacco sferrato dalla Polonia, che voleva riconquistare i confini che gli erano stati propri circa tre secoli prima. La reazione Russa fu rapida ed efficace: ai primi di Agosto l'Armata Rossa giunse fino alle porte di Varsavia. Tuttavia a fine mese una controffensiva polacca costrinse i russi ad una precipitosa ritirata.

La conclusione fu un armistizio (dicembre 1920) seguito dalla pace (marzo 1921). La Polonia venne in parte accontentata, annettendo ampie zone della Bielorussia e dell'Ucraina.

La guerra aveva comunque avuto il vantaggio di accrescere in Russia il senso di coesione nazionale e di riavvicinare al regime (identificato come una 'patria socialista') molti oppositori.


2.7 La "Terza Internazionale"


I bolscevichi avevano compiuto il 'miracolo' di far nascere il primo Stato socialista in un paese arretrato come era la Russia zarista. Tuttavia i dirigenti bolscevichi credevano ancora nell'importanza di una rivoluzione che investisse tutta l'Europa più progredita ed erano convinti che quella che stavano vivendo fosse soltanto una fase transitoria della futura società socialista.

All'inizio del 1919 Lenin decise di realizzare un nuovo progetto che aveva concepito da tempo: modificare l'Internazionale socialista in Internazionale Comunista con il compito di coordinare i partiti rivoluzionari di tutto il mondo.

La nuova Internazionale rappresentava una rottura definitiva con la socialdemocrazia; del resto già nel marzo 1918 i bolscevichi avevano assunto la nuova denominazione di 'Partito comunista (bolscevico) di Russia'.

La riunione costitutiva dell'Internazionale comunista ebbe luogo a Mosca ai primi di marzo del 1919 e venne chiamata da subito 'Terza Internazionale'. Vi parteciparono circa una cinquantina di delegati provenienti dalle province ex Russe. Nonostante la scarsa rappresentatività dell'assemblea, fu decisa la costituzione dell'Internazionale Comunista (o 'Comintern').

Nel primo anno di attività l'Internazionale non svolse alcuna attività di rilievo. La struttura e i compiti di essa vennero fissati nel II Congresso che si tenne sempre a Mosca nel luglio 1920, in coincidenza con le vittorie militari. Stavolta i partecipanti erano numerosi e venivano da 64 partiti comunisti sparsi nel mondo. Il problema centrale fu rappresentato dalle condizioni per essere ammessi a far parte dell'Internazionale. Fu Lenin stesso a fissarle in un documento di 21 punti. I punti prevedevano che gli aderenti al Comintern avrebbe dovuto ispirarsi al modello bolscevico, modificare la loro denominazione in Partito Comunista, difendere la Russia, rompere con i riformisti.

E' ovvio che queste condizioni non vennero accettate dai più. Nonostante questo l'obiettivo principale del II congresso (creare una rete dei Partiti Comunisti) fu raggiunto. Non riuscirono tuttavia a convogliare gli operai nei partiti comunisti che rimanevano minoritari rispetto ai socialisti.


2.8 Economia: comunismo di guerra e NEP


L'economia russa ai tempi della presa del palazzo d'inverno non era delle migliori.

Inoltre vi era una situazione finanziaria catastrofica: le banche furono nazionalizzate e i debiti con l'estero cancellati. Nonostante queste misure il governo non riusciva a riscuotere tasse ed era dunque costretto a stampare a ritmo incessante cartamoneta. I cittadini russi finirono così a pagare tramite il baratto, e il pagamento in natura divenne quasi l'unico mezzo per pagare.

Dall'estate del '18 il governo attuò quello che sarà poi chiamato 'comunismo di guerra' (è chiaro il riferimento al 'socialismo di guerra' tedesco)che prevedeva: la nazionalizzazione dell'industria, la soppressione del commercio privato (sostituito dal razionamento e dalla distribuzione pubblica di generi alimentari), un ulteriore sviluppo degli scambi in natura, l'invio di distaccamenti operai nelle campagne per la requisizione di viveri a favore dell'esercito e degli abitanti delle città. Quest'ultima disposizione non fu però accettata dalla popolazione rurale che, alla raccolta forzata delle derrate decretata dalle autorità, rispose con sollevazioni e con il rifiuto di coltivare la terra.

Il comunismo di guerra si rivelò comunque un fallimento.

Terminata la guerra civile, la grave crisi sociale ed economica in cui versava il paese indusse Lenin ad abbandonare il comunismo di guerra per adottare la Nep.

Adottata precipitosamente per volere di Lenin mentre le campagne insorgevano contro le requisizioni e Kronstadt era in rivolta, portò a un graduale ristabilimento dei rapporti di mercato, che permise al regime sovietico di guadagnare il consenso del mondo rurale e una rapida ripresa dell'economia, devastata dalle distruzioni della prima guerra mondiale e della guerra civile. Nel 1925 venne raggiunto, complessivamente, il livello di sviluppo prebellico. Nella seconda metà degli anni venti, la Nep favorì una crescente differenziazione sociale nelle campagne, mentre nelle città si formavano consistenti sacche di disoccupazione. Un freno alla modernizzazione del paese venne dalla crisi dell'industria pesante, che necessitava di ingenti investimenti di capitale e richiedeva un intervento diretto dello stato.

Fu abbandonata alla fine degli anni venti, quando, di fronte alla crisi degli ammassi cerealicoli provocata dall'errata politica dei prezzi del governo e alle difficoltà dell'industrializzazione, il gruppo dirigente staliniano impose la collettivizzazione dell'agricoltura.


2.9 Rivoluzione e società


Lo sforzo rivoluzionario intrapreso dai bolscevichi riguardò tutta la società.

In particolare si indirizzò verso due direzioni: l'educazione dei giovani e lotta contro la Chiesa Ortodossa.

Quest'ultima fu condotta con estrema durezza (confisca dei beni ecclesiastici, chiusura di chiese, arresti di ecclesiastici) e si può considerare riuscita.

La battaglia contro la religione e la morale tradizionale si estese anche alla famiglia e al rapporto tra i sessi.

Il governo rivoluzionario istituì il matrimonio civile e semplificò le pratiche per il divorzio.

Nel 1920 legalizzò l'aborto. Venne proclamata la parità fra i sessi e i figli illegittimi equiparati a quelli legittimi.

Tuttavia furono ben presto emarginate le posizioni di coloro che ritenevano che la rivoluzione avrebbe dovuto portare all'assoluta libertà sessuale e alla scomparsa della famiglia.

L'istruzione (altro settore 'toccato' dal governo rivoluzionario) vide il suo obbligo fino ad 11 anni.

La lotta contro l'analfabetismo si accompagnò a sostanziali innovazioni nei contenuti e nei metodi d'insegnamento.


Gli intellettuali ebbero, tuttavia, nei confronti della rivoluzione un atteggiamento ambiguo: alcuni ingrossarono le file dell'emigrazione politica, altri, soprattutto giovani, si gettarono con entusiasmo nell'esperienza rivoluzionaria.

Furono gli anni delle sperimentazioni letterarie: la poesia di Majakovskij ne è un esempio.



2.10 Da Lenin a Stalin: verso il totalitarismo

Nell'aprile del 1922 Josip Djugasvili (noto con il nome di Stalin), ex commissario alle Nazionalità, venne nominato segretario generale del partito. Nello stesso periodo Lenin cominciò a manifestare i sintomi della malattia che lo porterà fino alla morte avvenuta nel gennaio 1924 e che comunque gli avrebbe procurato diversi handicap prima dell'avvento di essa.

Lenin aveva fino ad allora controllato il partito e fatto in modo di evitare scontri tra il gruppo dirigente. Ma con Stalin alla segreteria le cose cambiarono parecchio: i dissensi interni si fecero sempre più aspri anche e soprattutto in vista della lotta per la successione.

Il primo problema che si presentò vide come protagonisti Stalin e Trotzkij. Il problema era legato alla centralizzazione e burocratizzazione del partito: se ciò fosse avvenuto, il leader vedeva rafforzare i propri poteri. Solo Trotzkij, tuttavia, si rivoltò contro la gestione del partito; gli altri dirigenti, invece, fecero blocco comune con Stalin.

Altro motivo di scontro era l'isolamento internazionale dell'unione sovietica, che si trovava dunque costretto a dedicare energie per la difesa e a sopportare da solo il peso dell'arretratezza. Secondo Trotzkij, dunque, l'unione sovietica doveva: aumentare il ritmo dell'industrializzazione; favorire l'espandersi del processo rivoluzionario nell'occidente europeo e nei paesi più sviluppati. Questa tesi di Trotzkij fu denominata 'rivoluzione permanente'. Contro di essa scese in campo lo stesso Stalin. Questi sosteneva che la vittoria del 'socialismo in un solo paese' era 'possibile e probabile' e che l'Unione Sovietica aveva le forze per fronteggiare i paesi occidentali.

La teoria del socialismo in un solo paese rompeva con la tradizione bolscevica, tuttavia si adattava alla situazione reale che non consentiva un'ondata rivoluzionaria nel resto d'Europa. Inoltre i paesi europei, conosciuta la tesi staliniana, si decisero a riconoscere lo stato sovietico (in quanto non rappresentava più una minaccia). Tutto ciò rafforzò ulteriormente la leadership di Stalin a svantaggio di Trotzkij che divenne a tutti gli effetti un emarginato.

Altro motivo di scontro e di annientamento degli oppositori si ebbe dal punto di vista economico. Nell'autunno del 1925 Zinov'ev e Kamenev avevano chiesto un'interruzione dell'esperimento della Nep (che aveva le sembianze di un sistema capitalistico), tesi già sostenuta da Trotzkij. Ma la tesi opposta, ovvero la prosecuzione della Nep, trovava l'appoggio di Stalin, oltre che di un altro dirigente comunista, Bucharin. Alla fine del 1925 Zinov'ev e Kamenev si riaccostarono a Trotzkij, cercando di far fronte comune.

Ma ormai i tempi erano cambiati. Stalin si avviò verso una dittatura personale che non aveva quasi nulla di diverso dagli altri totalitarismi del resto d'Europa. I leaders avversari vennero esiliati. I loro seguaci perseguitati e incarcerati. Trotzkij fu deportato in Asia e successivamente espulso dai confini dell'Urss.

Si chiudeva definitivamente una fase della rivoluzione russa e se ne priva un'altra, che portava la Russia verso il dominio assoluto di Stalin.


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