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LA RIVOLUZIONE FRANCESE
Un protagonista degli avvenimenti dell'epoca, A. Barnave, rilevava nell'Introduzione alla Rivoluzione francese, redatta nel 1792, che quella francese non era che il «momento culminante» di una più vasta rivoluzione europea, alle cui origini stavano le aspirazioni della borghesia ad accedere al potere politico, fino allora esclusivo monopolio della nobiltà terriera. In seguito Marx sostenne analogamente che una delle cause di fondo della Rivoluzione doveva individuarsi nella generale crisi delle strutture politiche ed economiche della società europea della fine del XVIII sec., crisi in parte dovuta all'indebolimento del regime feudale in seguito all'accesso di una porzione sempre crescente della borghesia e della classe contadina alla proprietà terriera, ma soprattutto alle trasformazioni indotte dalla rivoluzione industriale e alla conseguente ascesa economica e politica del ceto borghese. Oltre a queste caratteristiche, del resto comuni agli altri paesi dell'Europa, la Francia presentava una situazione politico-amministrativa che la poneva, come rilevò uno dei più autorevoli storici francesi contemporanei, G. Lefebvre, in «una posizione intermedia tra l'Inghilterra costituzionale e il continente dispotico». L'apparato statale francese, non più rinnovato dopo la morte di re Luigi XIV, aveva consentito il diffondersi di un disordine amministrativo e giuridico che permetteva l'anacronistica sopravvivenza di particolarismi locali (i pesi e le misure variavano da regione a regione; norme di diritto romano, consuetudinario, nobiliare, canonico e statale si sovrapponevano e si intersecavano caoticamente). A ciò s'aggiunga un confuso sistema fiscale che aveva visto moltiplicarsi dogane, balzelli, pedaggi e norme tributarie, ecc., ostacolando così i sia pur timidi sforzi della monarchia di consolidare e concludere il processo d'unificazione economica e amministrativa del paese avviato da Luigi XIV. Non meno grave era poi a questo proposito l'ostacolo posto dalla difesa a oltranza, da parte d'ogni ceto, delle proprie prerogative e privilegi contro l'autorità del sovrano. Ad alimentare le istanze della borghesia aveva contribuito la concomitanza di due fattori: da un lato, la grande diffusione data alle idee illuministe dei philosophes e alle conquiste democratiche della guerra d'Indipendenza americana (cui non pochi aristocratici e borghesi di Francia avevano dato il loro attivo contributo), dall'altro, il marasma in cui versava l'economia francese proprio all'inizio della rivoluzione industriale.
'rivoluzione aristocratica' e la convocazione degli Stati Generali (1787-1789)
Le contraddizioni della società francese si coagularono attorno al problema del deficit dello Stato, accumulato nel corso del secolo dalle eccessive spese della corte, dalle guerre (tra cui quella d'Indipendenza americana), da un'irresponsabile politica finanziaria e, da ultimo, dalla sfavorevole congiuntura economica. Nel 1788, il primo e ultimo bilancio dell'Ancien régime registrava 629 milioni di spese contro 503 milioni d'entrate, con un disavanzo del 20%; disavanzo ancor più grave, ove si tenga conto che il servizio del debito pubblico assorbiva di fatto il 50% delle entrate. Unica soluzione alla crisi finanziaria sarebbe stata l'estensione del carico fiscale agli ordini fino allora esenti, nobiltà e clero. Tale soluzione fu prospettata fin dal febbraio del 1787 all'Assemblea dei notabili dal controllore delle finanze Calonne (che in seguito all'opposizione incontrata fu costretto a dimettersi) e riproposta dal suo successore Loménie de Brienne. Ma, sia l'Assemblea dei notabili sia il parlamento di Parigi dichiararono che il solo organo competente a decidere sulla questione erano gli Stati Generali, non più convocati dal 1614. Negli ultimi mesi del 1787 iniziò una sorta di braccio di ferro tra la nobiltà di spada e di toga e la Corona, contrasto che prese il nome di rivoluzione aristocratica. Degli editti emanati dal re il parlamento approvò la riforma giudiziaria, ma cassò regolarmente quelli fiscali sino a quando, l'8 agosto 1788, Loménie de Brienne annunciò la decisione di convocare gli Stati Generali per il 1s maggio 1789 e il 24 agosto si dimise.
La carica di controllore delle finanze fu ricoperta dal Necker, che il sovrano richiamò al potere in seguito all'aggravarsi della crisi: alla totale assenza di denaro nelle casse dello Stato, infatti, si era aggiunta una crescente tensione sociale dovuta alla carestia che aveva colpito l'agricoltura francese nel 1788. Necker riprese quindi la sua lotta contro i ceti privilegiati cercando di ottenere l'appoggio della borghesia. A tale scopo non si limitò a confermare la convocazione degli Stati Generali ma volle favorire il terzo stato per sottrarre l'assemblea al dominio dell'aristocrazia e del clero. Chiese perciò sia il raddoppio dei deputati del terzo stato, sia la clausola del voto per testa (pro capite), limitatamente alle questioni finanziarie. Il 27 dicembre il re acconsentì alla prima richiesta, ma non volle regolare le modalità di voto, creando così le premesse per una nuova grave crisi politica che scoppiò quando furono convocati gli Stati Generali. Il voto per stato, infatti, avrebbe assicurato all'aristocrazia e al clero, dotati peraltro di diritto di veto, il controllo di ogni decisione assembleare, mentre il voto per testa avrebbe spostato l'ago della bilancia verso il terzo stato accanto al quale (numericamente superiore agli altri due uniti) si era inoltre schierata una piccola parte dei rappresentanti della nobiltà e del clero. Le elezioni si svolsero in un clima di generale fermento, che vide il terzo stato assumere verso il potere nobiliare e le strutture dello Stato posizioni sempre più radicali: ne furono testimonianza i molti opuscoli pubblicati in quei mesi (particolarmente noto quello di Sieyès, Che cos'è il terzo stato?), i cahiers de doléance nei quali le assemblee locali esprimevano i principali motivi di insoddisfazione dei vari ceti (anche se spesso per mancanza di istruzione e di preparazione politica i contadini non poterono far sentire la loro voce), e infine il proliferare di circoli politici, o club, sul modello americano. Il 5 maggio 1789 i rappresentanti dei tre ordini si riunirono in seduta comune nella reggia di Versailles: dei 1139 deputati eletti, 270 rappresentavano la nobiltà, 291 il clero e 578 il terzo stato. Sin dall'inizio si ripresentò il problema se le sedute dei tre stati dovessero essere tenute separatamente e a ognuno fosse riservato un solo voto, oppure se le decisioni spettassero a un'unica assemblea nella quale ogni deputato disponesse di un voto. Nel primo caso il controllo degli Stati Generali sarebbe rimasto agli ordini privilegiati, nel secondo caso sarebbe passato al terzo stato. Contro nobiltà e clero, segretamente sostenuti dalla corte, il terzo stato combatté sino alla metà di giugno per ottenere il voto per testa; quindi, dopo esser riuscito ad attirare dalla sua una parte dei deputati del clero e aver dichiarato che la maggioranza in seno agli Stati Generali gli consentiva di considerarsi rappresentante anche della maggioranza della nazione, il 17 giugno 1789 assunse il nome di Assemblea nazionale. Contrario a quella decisione, il sovrano cercò di impedire le sedute dell'Assemblea. Ma i deputati, quando il 20 giugno trovarono chiusa per ordine del re la sala delle riunioni, si trasferirono su proposta di Guillotin nella sala della Pallacorda dove giurarono solennemente di non separarsi sino a quando non fosse stata data alla Francia una costituzione. Il deciso atteggiamento del terzo stato conquistò lentamente numerosi deputati del clero e piegò la resistenza del sovrano che fu costretto a ordinare ai rappresentanti dei ceti privilegiati di unirsi all'Assemblea nazionale. Questa, il 9 luglio, si proclamò Assemblea nazionale costituente . La reazione della corte (licenziamento del Necker, concentramento di forze militari attorno alla capitale e appello a reggimenti stranieri), irritata per aver dovuto subire la volontà dei deputati, provocò l'insurrezione del popolo parigino che il 14 luglio si impadronì della Bastiglia, simbolo dell'assolutismo. Luigi XVI fu costretto a richiamare Necker e a riconoscere la sovranità del popolo. Mentre a Parigi veniva creata una milizia cittadina volontaria, la Guardia nazionale, e gli elettori della capitale davano vita a un governo municipale rivoluzionario, nelle campagne si scatenava l'insurrezione contadina contro gli aristocratici (la «grande paura», luglio-agosto 1789). Sotto la spinta di questi eventi, nella notte del 4 agosto 1789 la Costituente decise di abolire in linea di principio l'intero regime feudale e di sopprimere il pagamento della decima; il 26 agosto, per dare una nuova veste giuridica ai rapporti tra potere e sudditi, l'Assemblea votò sul modello americano una Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino , che proclamava i princìpi della libertà personale, dell'uguaglianza di fronte alla legge, dell'inviolabilità della proprietà privata, dell'indipendenza della magistratura, ecc. Nonostante la violenza e l'estensione del movimento rivoluzionario, il re rifiutò di approvare i decreti di abolizione dei privilegi feudali e la Dichiarazione dei diritti portando all'esasperazione i malcontenti e provocando una nuova ventata insurrezionale: il 5-6 ottobre il popolo parigino marciò su Versailles e costrinse la corte e la Costituente a trasferirsi a Parigi: da allora il potere politico fu sottoposto al controllo popolare. Il mese successivo (2 novembre), allo scopo di trovare il denaro per risolvere il problema del debito pubblico, l'Assemblea votò la proposta del deputato Talleyrand, vescovo di Autun, di incamerare e mettere in vendita le proprietà fondiarie del clero. Nel frattempo, per affrontare i problemi più urgenti fu decisa (dicembre) l'emissione di titoli di credito, gli «assegnati», garantiti dall'alto valore dei beni ecclesiastici. Si procedette quindi a una generale riforma delle strutture amministrative (divisione del paese in 83 dipartimenti, 26 febbraio 1790), religiose (costituzionecivile del clero, 12 luglio 1790) e giudiziarie (24 agosto); per subordinare il potere religioso a quello civile il 20 novembre fu stabilito l'obbligo del giuramento civico per i membri del clero, atto che, comportando l'accettazione della costituzione civile del clero, operò una frattura nella Chiesa francese tra preti giurati o costituzionali e preti non giurati o refrattari; la condanna papale di tale provvedimento (10 marzo 1791) contribuì a renderlo ancora meno accetto e ad accrescere l'opposizione. Tuttavia tutte quelle trasformazioni, codificate nella costituzione del settembre 1791, furono approvate dal re e dalla parte più conservatrice della Costituente solo in seguito alla pressione del popolo parigino e furono nello stesso momento ben lontane dal ricevere l'adesione entusiastica delle frazioni più rivoluzionarie. Anche la maggioranza dell'Assemblea, fautrice di un regime monarchico costituzionale, era stata forzata alle riforme dal popolo parigino (una vasta massa di proletari e di piccoli borghesi, di bottegai e di maestri artigiani, che dal 1792 vennero denominati «sanculotti»), divenuto progressivamente uno dei principali protagonisti della Rivoluzione. Ciò nonostante la Costituente era riuscita a votare provvedimenti favorevoli alla borghesia abbiente, quali l'abolizione delle corporazioni (17 marzo 1791) e il divieto di associazione e di sciopero per gli operai. La maggioranza moderata - alta borghesia e aristocrazia liberale - i cui più noti esponenti furono Mirabeau, La Fayette e Bailly, esercitò anche una funzione mediatrice tra la Costituente e la corte e impedì al sovrano di prendere decisioni avventate e di dar corso ai progetti controrivoluzionari architettati in segreto con l'imperatore absburgico. Con la morte di Mirabeau (2 aprile 1791) cadde però l'ultima possibilità d'intesa del sovrano con la Costituente: in balia delle paure controrivoluzionarie della corte, Luigi XVI si lasciò convincere ad abbandonare, travestito, la Francia con tutta la famiglia, ma nella notte tra il 20 e il 21 giugno 1791 fu riconosciuto a Varennes e costretto a tornare a Parigi sotto la sorveglianza dei commissari della Costituente. In seguito a ciò il re fu sospeso dalle sue funzioni ma solo presso taluni strati della popolazione e tra gli esponenti più democratici della borghesia fu messo per allora in discussione l'istituto monarchico e si reclamò l'instaurazione della repubblica. I più convinti sostenitori delle istanze repubblicane erano i membri del club dei cordiglieri(tra cui Marat, Desmoulins e Danton); gli altri club invece restavano fedeli alla monarchia, al pari della maggioranza dell'Assemblea nella quale la borghesia benestante era decisa a difendere il nuovo regime costituzionale anche con la forza. E lo dimostrò più tardi quando, il 17 luglio 1791, inviò la Guardia nazionale per reprimere una dimostrazione repubblicana organizzata dai cordiglieri nel Campo di Marte, causando oltre cinquanta morti. Il grave fatto di sangue, che fu chiamato «strage del Campo di Marte», contribuì ad accendere ulteriormente gli animi e a conquistare alla causa repubblicana nuovi adepti, tra cui i membri del club dei giacobini che, sotto l'influenza di Robespierre, aveva assunto posizioni molto più rivoluzionarie e dal quale gli elementi più moderati si erano staccati per fondare il club dei foglianti. Nuove voci contro la monarchia si levarono inoltre dopo la «dichiarazione di Pillnitz*» (27 agosto 1791) con la quale, per esaudire le richieste dei nobili che avevano preso la via dell'esilio, Leopoldo II d'Absburgo e Federico Guglielmo II di Prussia invitavano gli Stati europei a intervenire contro la Francia. Intanto, con il voto del 4 settembre 1791, la Costituente aveva terminato i suoi lavori approvando la costituzione alla quale il re prestò poco dopo giuramento. La Francia era diventata una monarchia in cui il sovrano, che assumeva il titolo di «re dei Francesi», deteneva il potere esecutivo e il diritto di veto sospensivo, mentre il potere legislativo era affidato a un'assemblea elettiva. Questa, chiamata Assemblealegislativa, entrò in funzione il 1s ottobre successivo, sostituendo così la Costituente. Con il raggiungimento degli obiettivi della borghesia benestante, terminava la seconda fase della Rivoluzione.
legislativa
La nuova Assemblea, in base a una legge contro la corruzione parlamentare, fu costituita da deputati che non avevano fatto parte della Costituente. Anche se il ristretto suffragio basato sul censo aveva portato alla Legislativa soprattutto i nobili e l'alta e media borghesia, accanto a una destra conservatrice e moderata (in prevalenza foglianti) si affermò una «sinistra» composta da deputati più democratici, i girondini o brissottini e dalla minoranza rivoluzionaria dei cordiglieri e dei giacobini. Dopo un iniziale predominio dei foglianti, il potere passò ai girondini che, stretti tra le velleità reazionarie di una corte con la quale intrigavano per mantenere in vita la monarchia e le istanze rivoluzionarie della sinistra più radicale, pensarono di risolvere la confusa situazione politica e finanziaria coagulando tutte le forze della nazione in una guerra contro le monarchie assolute d'Europa. Nelle previsioni dei girondini il conflitto avrebbe, fra l'altro, eliminato i contrasti interni e rafforzato il prestigio della monarchia sia contro i sostenitori di un ritorno all'Ancien régime sia contro gli ultrarivoluzionari. Così il 20 aprile 1792 la Francia dichiarò la guerra a Francesco II d'Absburgo (succeduto nello stesso mese a Leopoldo II), cui si unì Federico Guglielmo II di Prussia. Ma le rosee previsioni si dimostrarono infondate e gli eserciti francesi subirono presto gravi sconfitte. Per far fronte alla situazione interna divenuta ancora più grave, l'Assemblea legislativa (che aveva già approvato nel novembre 1791 alcuni decreti contro i nobili emigrati e i preti refrattari) votò nel maggio-giugno 1792 tre decreti: la deportazione dei preti refrattari, lo scioglimento della guardia personale del re e la convocazione a Parigi di un esercito di volontari di 20.000 uomini. Ma Luigi XVI, rifiutando di ratificare i provvedimenti e richiamando al potere i foglianti, provocò la reazione violenta del popolo parigino che nella «giornata rivoluzionaria» del 20 giugno 1792 invase le Tuileries e costrinse il sovrano ad affidare nuovamente il governo ai girondini. L'11 luglio la Legislativa proclamò «la patria in pericolo» e lanciò un appello ai Francesi perché unissero le loro forze contro l'esercito austro-prussiano che stava invadendo il paese. La risposta del nemico fu il Manifesto del duca di Brunswick (25 luglio), emanato a Coblenza dal duca Carlo Guglielmo Ferdinando di Brunswick, che minacciò di distruggere Parigi e di provocare un «sovvertimento totale» se fosse stato arrecato anche «il minimo torto» alla famiglia reale. Questa nuova ingerenza straniera negli affari interni della Francia, considerata la prova evidente degli intrighi controrivoluzionari del re, scatenò una violenta reazione popolare ben presto diretta dai cordiglieri e dai giacobini: nella notte tra il 9 e il 10 agosto 1792 si insediò nel palazzo municipale di Parigi una Comune insurrezionale che da quel momento costituì di fatto il vero potere politico e amministrativo della Francia. Il 10 agosto, la seconda «giornata rivoluzionaria», la popolazione parigina prese d'assalto le Tuileries e l'Assemblea decretò la sospensione del re dai suoi compiti costituzionali; contemporaneamente fu annunciata l'elezione di una nuova assemblea in cui fossero unite tutte le forze rivoluzionarie, la Convenzione nazionale, e fu creato un comitato esecutivo provvisorio (composto in prevalenza da girondini ma anche dal cordigliere Danton). L'avanzata degli eserciti nemici, l'aggravarsi della crisi economica, l'infuocata campagna politica condotta da giacobini e cordiglieri, soprattutto da Marat, contro i nemici della Rivoluzione all'interno e all'estero, avevano creato un clima di sospetto, di paura e di tensione che portò, all'interno, alla carcerazione della famiglia reale (12-13 agosto), alla soppressione degli ultimi monasteri e degli ordini insegnanti e ospedalieri, alla creazione di un tribunale rivoluzionario e alle «stragi di settembre» (2-5 settembre); sul fronte militare la vittoria di Valmy, il 20 settembre 1792, vide le truppe francesi al comando del generale Dumouriez arrestare l'avanzata dell'esercito prussiano. Quello stesso giorno l'Assemblea legislativa fu sciolta e si insediò la Convenzione nazionale che il 21 settembre dichiarò decaduta la monarchia e il 22 proclamò la repubblica.
Con la Convenzione iniziò il declino dei girondini che, insieme con i giacobini dissidenti, si portarono alla «destra» dello schieramento politico e diedero battaglia alla «sinistra» più rivoluzionaria, la Montagna, composta dai cordiglieri e dall'ala democratica del club giacobino, divenuto con Robespierre, Danton e Marat il vero «organo direttivo» dell'opposizione. Al centro sedeva il gruppo della maggioranza, che, priva di una chiara posizione politica e ideologica, fu chiamata dagli avversari la «palude» (marais). Il potere era però ancora nelle mani dei girondini che, in seguito all'appoggio della borghesia moderata, avevano attirato dalla loro parte molti deputati della «palude» ottenendo così la maggioranza. Tuttavia la loro posizione era molto precaria perché il successo di cui godevano era legato non solo alla loro politica moderata ma soprattutto alle sorti di una guerra che essi stessi avevano scatenato e ora dovevano per forza vincere se non volevano assumersi la responsabilità della perdita delle conquiste rivoluzionarie ed esporre la Francia alle rappresaglie delle forze controrivoluzionarie (Corona, nobiltà, eserciti nemici). I girondini furono perciò costretti a concentrare tutte le energie del paese in un conflitto che, pur sostenuto da abbondanti giustificazioni teoriche rivoluzionarie, ripeteva le linee espansionistiche di Luigi XIV. Ma, mentre all'estero le armate francesi continuavano a mietere successi (occupazione dei territori sulla riva sinistra del Reno [ottobre], vittoria di Jemmapes [6 novembre] e occupazione del Belgio, annessione della Savoia [27 novembre 1792] e della contea di Nizza [31 gennaio 1793]), all'interno il governo girondino attuava una politica che doveva ben presto alienargli la maggioranza dell'opinione pubblica: in particolare rifiutò di intervenire nella situazione economica resa difficile dalla crisi inflazionistica, mostrandosi così incapace di affrontare la miseria e la fame crescenti nelle classi popolari, e si rifiutò di decidere, sino ai primi di dicembre, sulla sorte del re, anche dopo che il 20 novembre erano stati trovati alle Tuileries alcuni documenti (armadio di ferro) che provavano la sua segreta alleanza col nemico. Alla fine dovette cedere alle pressioni della Montagna che chiedeva la testa del sovrano; il 4 dicembre iniziò il processo contro Luigi XVI che fu condannato a morte e giustiziato il 21 gennaio 1793. In conseguenza di ciò e dell'espansionismo francese a est lungo la costa settentrionale del continente (decisione della Convenzione di invadere anche le Province Unite), le potenze europee formarono contro la Francia la prima coalizione (1s febbraio 1793). Fu la fine del dominio girondino: da quel momento la situazione precipitò sia all'estero, dove gli eserciti alleati ripresero il sopravvento sconfiggendo il 18 marzo a Neerwinden il generale Dumouriez, che il 5 aprile passò al nemico mentre le armate francesi erano scacciate dai territori occupati e la Francia veniva invasa da tutti i lati, sia all'interno, dove si scatenò un'ondata controrivoluzionaria che ebbe il suo epicentro nella Vandea (10 marzo, inizio della rivolta contadina). Fattasi interprete delle istanze popolari la Montagna prese il sopravvento: il 10 marzo fu istituito il tribunale rivoluzionario e il 6 aprile sorse il Comitato di salute pubblica (dominato sino a luglio da Danton) che decretò il corso forzoso degli assegnati (11 aprile) e stabilì un primo calmiere dei prezzi (legge del maximum dei prezzi dei grani e delle farine [4 maggio]). A risolvere la crisi, la più grave dall'inizio della Rivoluzione, fu ancora una volta il popolo di Parigi che, nella «giornata rivoluzionaria» del 2 giugno 1793, circondò assieme alla Guardia nazionale il palazzo della Convenzione costringendo l'Assemblea a decretare l'arresto di 29 deputati e di due ministri girondini. L'iniziativa politica passò quindi ai montagnardi che, il 24 giugno, fecero votare la costituzione dell'anno i la cui attuazione fu rimandata sino all'eliminazione dei nemici interni ed esterni della repubblica. Poco dopo fu rinnovato il Comitato di salute pubblica con l'allontanamento dei membri più «moderati» (tra cui anche Danton) e l'ingresso di uomini più decisi. Dominato dal più importante personaggio del club dei giacobini, Robespierre, affiancato da Saint-Just, e all'esterno da Marat (assassinato il 13 luglio), il Comitato instaurò un regime dittatoriale sottoponendo a un severo controllo ogni settore dell'amministrazione pubblica, compreso quello militare, e imponendo all'intero paese quella politica unitaria che poteva salvare la Francia e la Rivoluzione dalla catastrofe. Per stroncare la rivolta vandeana e le insurrezioni interne che scoppiavano ovunque a opera dei deputati girondini rifugiatisi in provincia e per affrontare gli eserciti invasori, il 23 agosto fu proclamata la leva in massa che, insieme con un grande sforzo produttivo, fornì a Carnot i mezzi per organizzare la difesa. Per scoraggiare i controrivoluzionari il 5 settembre la Convenzione decise di «mettere il Terrore all'ordine del giorno»; il 17 settembre fu emanata la legge contro i sospetti in base alla quale il tribunale rivoluzionario mandò alla ghigliottina non solo i nobili, i preti refrattari e tutti i nemici ufficiali della Rivoluzione, ma anche tutti coloro che non approvavano la politica del Comitato o non ubbidivano ai suoi ordini; Maria Antonietta fu giustiziata il 16 ottobre, tra il 24 e il 31 dello stesso mese furono mandati al patibolo i deputati girondini. Contemporaneamente la Convenzione attuò un intenso programma di riforme sociali: istruzione elementare obbligatoria e gratuita, abolizione della schiavitù nelle colonie, introduzione del sistema metrico decimale, fissazione del maximum generale dei prezzi applicato alle derrate di prima necessità e del maximum dei salari (29 settembre 1793), introduzione del calendario rivoluzionario (5 ottobre). Verso la fine dell'anno la dura politica del Terrore incominciò a dare i suoi frutti anche contro gli invasori, che furono lentamente ricacciati dal territorio francese. Questi primi successi provocarono nei primi mesi del 1794, anche tra i più accesi rivoluzionari, una reazione contro le drastiche misure del Comitato di salute pubblica. Ma Robespierre, convinto che tali richieste erano premature e rischiavano di compromettere i risultati raggiunti, colpì con inflessibile severità anche i precedenti alleati moderati e i suoi stessi collaboratori più rivoluzionari: Hébert e i suoi sostenitori, di cui Robespierre temeva le istanze più radicali, furono giustiziati tra il 14 e il 24 marzo 1794; gli «indulgenti» (Danton, Desmoulins) arrestati il 30 marzo salirono il patibolo il 5 aprile. Dal 26 febbraio al 3 marzo erano intanto stati emanati i «decreti di ventoso» (proposti da Saint-Just), confisca dei beni dei nemici della repubblica e distribuzione dei beni agli indigenti, ma mancò il tempo di attuarli. Infatti l'opposizione a Robespierre, fattasi sempre più forte all'interno della Convenzione, trovò forza di esprimersi solo quando, dopo aver preteso di imporre alla Francia il culto dell'Essere supremo, emanato coi «decreti di pratile» (8 giugno 1794) [che definivano nuove categorie di sospetti e prevedevano una sola pena, la morte; sopprimevano l'istruttoria e gli avvocati difensori; stabilivano che il tribunale poteva non ascoltare i testimoni e giudicare in base a semplici prove morali] e dopo la prima grande vittoria francese (Fleurus, 26 giugno 1794), Robespierre decise di perseguire i deputati che si erano lasciati corrompere o si erano macchiati di delitti contro la Rivoluzione e il popolo (26 luglio 1794). Il 27 luglio 1794 (9 termidoro dell'anno ii) i deputati che videro in pericolo la loro testa si coalizzarono e fecero arrestare i maggiori rappresentanti del Comitato (Robespierre, Saint-Just e circa venti dei loro sostenitori), che il giorno successivo salirono sul patibolo.
I termidoriani, successori o amici dei girondini, tornati al potere, vi rimasero dopo lo scioglimento della Convenzione (26 ottobre 1795) sotto il regime del Direttorio. L'abolizione della legge del maximum (24 dicembre 1794) e delle altre leggi sociali aveva prodotto una gravissima crisi economica, donde, nella primavera del 1795, un'insurrezione del popolo minuto delle città, prontamente repressa dalle truppe. Della reazione antimontagnarda e, in genere, antipopolare approfittarono i monarchici per scatenare il «Terrore bianco». I superstiti capi sanculotti e montagnardi si raggrupparono allora intorno a Babeuf e all'italiano Filippo Buonarroti, convinti ormai com'erano, anche in base alle esperienze socialisteggianti dell'anno ii, che solo in un regime comunista potessero risiedere la salvezza e il benessere delle masse popolari. Ma la cospirazione degli Eguali venne scoperta e Babeuf giustiziato (1797). Poiché però le truppe francesi avevano occupato il Belgio, l'Olanda, la riva sinistra del Reno e buona parte dell'Italia, i discepoli di Robespierre e di Buonarroti ritennero di poter organizzare in tali paesi un regime conforme alle loro idee, salvo ad applicarlo più tardi in Francia. La propaganda rivoluzionaria di marca giacobina, soffocata in Francia, si fece dunque virulenta nei paesi occupati, dove fu, in una certa misura, tollerata dal Direttorio e dal più prestigioso dei suoi generali, Napoleone Bonaparte, il quale, dopo aver disperso i monarchici che marciavano sulla Convenzione agonizzante il 13 vendemmiaio anno iv (5 ottobre 1795), era stato nominato comandante in capo dell'armata d'Italia (marzo 1796). Sul modello della Repubblica Batava creata nei Paesi Bassi nel 1795, Bonaparte organizzò in Italia una Repubblica Cisalpina e una Repubblica Ligure democratizzata (giugno 1797). Popolarissimo dopo aver costretto l'Austria a concludere l'armistizio di Leoben (18 aprile 1797), Napoleone Bonaparte fu l'uomo scelto dal Direttorio per realizzare mediante l'azione del generale Augereau, da lui inviato a Parigi, il colpo di Stato, del 18 fruttidoro anno v (4 settembre 1797) contro i monarchici e i moderati che preparavano una restaurazione borbonica. Questo successo e la stipulazione della pace con l'Austria a Campoformio (18 ottobre 1797) accrebbero la gloria di Bonaparte e, al tempo stesso, le diffidenze del Direttorio, che paventava un colpo di Stato da parte del generale. Questa la ragione per cui il Direttorio decise di non richiamare in Francia né lui né altri generali; questa, molto probabilmente, la ragione principale per cui Bonaparte fu inviato in Egitto (1798). Dopo la distruzione della flotta francese ad Abukir a opera di Nelson (1s agosto 1798), Bonaparte rimase prigioniero della sua stessa conquista. Il disastro di Abukir facilitò la formazione di una seconda coalizione antifrancese, che nella primavera del 1799 tentò di abbattere il Direttorio con un assalto esterno e una rivolta interna; ma le azioni si rivelarono mal coordinate e il pericolo poté essere scongiurato (ottobre 1799). Va osservato che i repubblicani, ormai in minoranza, si erano mantenuti al potere praticando colpi di Stato (22 floreale anno vi [11 maggio 1798] e 30 pratile anno vii [18 giugno 1799]) e che i contadini, paghi dell'abolizione della feudalità, erano pronti ad accettare qualsiasi regime che potesse riportare la pace senza compromettere le conquiste del 1789. Il 9 ottobre 1799 Bonaparte, più popolare che mai, sbarcò a Fréjus: egli appariva ormai come l'unico uomo in grado di imporre la pace ai nemici esterni e interni e di garantire al tempo stesso le conquiste della Rivoluzione neutralizzando, oltre ai monarchici, gli ex montagnardi e i sanculotti. La Francia, nella sua generalità, sperava insomma che Bonaparte «concludesse» la Rivoluzione. Si spiega così la relativa facilità con cui egli poté rovesciare il Direttorio col colpo di Stato del 18-19 brumaioanno viii (9-10 novembre 1799) e istituire, sotto il nome di Consolato, il proprio potere personale. Il 15 dicembre Bonaparte proclamò che la Rivoluzione era «finita»: in realtà, il Consolato e il primo Impero furono le ultime due tappe della Rivoluzione francese, fase, a sua volta, di quella rivoluzione «borghese» che continuò, per molto tempo, a turbare e innovare il mondo occidentale.
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