La riforma
protestante è importante perché nella storia medievale e moderna, ci si occupa
di un'Italia e di un'Europa occidentale caratterizzati da scismi e
controversie, ma alla fin fine uniti in un'unica interpretazione del
Cristianesimo, che è quella della Chiesa di Roma. Quindi, una storia cattolica
con i papi che lottano contro gli imperatori, con la cattività Avignonese, ma
il riferimento è sempre la dottrina cattolica che non coincide con la dottrina
cattolica attuale ma è riconducibile ad essa. Invece, quella parte dell'Europa
in cui si è formata la civiltà conosciuta non aveva nessun legame con una
tradizione culturale che ha come epicentro la Roma dei Papi che è cattolica. La
novità del 1517 è che la parte settentrionale dell'Europa rompe con Roma e
percorre una strada, un cristianesimo diverso da quello del papa di Roma.
Inoltre, mentre il mondo cattolico, l'Europa sud-occidentale, rimane
sostanzialmente unito sotto l'autorità del pontefice, i cosiddetti protestanti,
cioè coloro che contestano l'autorità del papa, si dividono in confessioni che
non sono tra loro necessariamente coerenti o che si alleano in funzione
anti-cattolica.
Il concetto
laico di libertà individuale si affermerà in quello protestante, perché venendo
meno un'autorità religiosa centrale è abbastanza ovvio che sia le comunità sia
i singoli individui tenderanno ad affermare un diritto fondamentale
all'autonomia, alla scelta della propria confessione religiosa che ovviamente
il mondo cattolico tende a negare. Quindi si avrà il permanere di strutture
autoritarie nel mondo cattolico, l'indebolirsi delle strutture politiche e
della religione nel mondo protestante. Inoltre, in un mondo in cui permane
l'autorità del sacerdote che legge e interpreta il testo sacro per i fedeli,
l'esigenza di una conoscenza diretta del testo sacro è minore. Dunque, i paesi
protestanti si alfabetizzeranno prima di quelli cattolici.
La chiesa di
Roma è stata sempre attraversata da fenomeni di contestazione e di riforma che
davano a volte luogo a movimenti religiosi, a volte a vere e proprie eresie,
ovvero ribellioni contro il pontefice. Ma fino a quando la chiesa ha caratteri
universalistici, anche i movimenti ereticali e i fenomeni scismatici vengono
prima o poi riassorbiti. A volte durano anche decine di anni, ma alla fine la
chiesa riesce sempre a inglobarli nuovamente. Poi, però, la chiesa cessa di
essere una istituzione universale con l'avvento delle monarchie nazionali e il
declino del papato e dell'impero, cioè un po' alla volta l'autorità del papa di
Roma si restringe fino a coincidere con l'autorità di un sovrano religioso
sullo stato della chiesa, sul patrimonio di San Pietro. Poi, esercita una forte
influenza sugli altri regni, però alla fin fine lo stato della chiesa partecipa
al gioco della pace e della guerra, delle alleanze e dei mutamenti di equilibri
insieme alle altre città. Il fondo viene toccato quando, nell'applicazione
della legge dell'equilibrio, il papa cerca di sottrarsi all'autorità di Carlo
V. Quindi, l'autorità del pontefice cessa già nel '400 di essere una autorità
universale e diviene sempre più una autorità territoriale con l'effetto di
essere molto forte lì dove sentite in qualche modo condivisa, molto debole e
molto discussa dove questi due fattori non combaciano. La chiave per comprendere
la differenza tra l'eresia precedente e quella protestante è nel modo in cui la
chiesa otteneva, percepiva i suoi tributi. Originariamente, non c'era alcuna
differenza tra la fiscalità e la contribuzione benefica. Con la nascita dello
stato nazionale, la fiscalità assume in misura crescente una valenza laica e
statale e la chiesa si affida alle contribuzioni e ai lasciti benefici. Ciò
riduce la possibilità di accrescere il patrimonio di San Pietro attraverso una
serie di prelievi che siano al tempo stesso consensuali e coattivi. Dunque,
prima non c'è differenza tra le tasse e le contribuzioni volontarie. Poi,
invece si creano le differenze: le tasse riguardano lo stato. Dunque la chiesa
si affida alla contribuzione volontaria. Ma, se è volontaria, in qualche modo
va giustificata con un qualche interesse per il contribuente. L'interesse, nel
caso dello stato, è legato alla giustizia, alle opere pubbliche o altri
elementi; nel caso della chiesa, è legato alla vita spirituale. Quindi, il
credente ha bisogno di un qualcosa in cambio per questa contribuzione e riceve
l'accesso alla vita eterna con una geniale trovata, il purgatorio. Il
purgatorio, nella chiesa delle origini, non esisteva, ma è solo la
rielaborazione di una idea della graduazione nella remissione dei peccati e
viene attestato con il giubileo di Bonifacio VIII. Il tempo di permanenza in
questo luogo deriva da quanto ci si è pentiti dei propri peccati e di quanto si
ha pregato. Per accelerare i tempi si può, inoltre, richiedere alla chiesa attraverso
un lascito in compenso per ricordare il morto durante le celebrazioni. Questa
pratica diventa assolutamente forte perché viene monetizzata perché bisogna
compensare le minori entrare e fare fronte alle grandi spese che derivano dalla
laicizzazione della chiesa e dalla preoccupazione di opporre l'immagine di un
cattolicesimo forte e trionfante nei confronti dell'Islam che i Turchi hanno
portato a conquistare Costantinopoli. Un esempio è la Fabbrica di San Pietro.
Questa fu completamente finanziata con le indulgenze. La pratica delle
indulgenze è il pagamento per avere una preghiera che abbrevi la permanenza in
Purgatorio. Un'altra maniera per ottenere questo risultato era la visione o
l'acquisizione di oggetti sacri, le preziose reliquie dei Santi. Queste due
pratiche, agli occhi dell'intellettuale non appaiono un esempio di spiritualità
elevata. Quindi, non mancano le critiche nei confronti di questi comportamenti.
Il punto è che le critiche astratte non rompono i rapporti di governo della
società se non quando risultano non più convenienti per la società medesima. A
Roma, la fabbrica di San Pietro genera lavoro, attività produttiva, ricchezza.
Quindi, non ci sono motivi per opporsi a ciò. Roma e l'Italia però accettano le
pratiche perché sono coerenti agli interessi della gente. Al di fuori di queste
zone, però ovviamente, cresce il malcontento nei confronti di questi modi di
agire. Quindi, la critica alle pratiche diventa più forte perché l'economia non
trae alcun vantaggio da questi oneri. La grande critica arriva nel 1517 con il
monaco agostiniano Martin Lutero che affigge al portale maggiore al portale
maggiore della cattedrale a Guthenberg le famose tesi, dichiarano
esplicitamente la sua contestazione nei confronti della chiesa di Roma. In
sintesi, il principio fondamentale enunciato da Lutero è: non è scritto da
nessuna parte nei testi sacri che la salvazione del singolo individuo debba
passare attraverso l'unità di mediazione costituito dalla chiesa o dalla figura
del sacerdote; il rapporto tra l'uomo è dio è un rapporto non mediato, ma
immediato, e a giustificazione di questa interpretazione, nessun uomo è in
grado di conoscere la volontà di dio; dunque nessun uomo può dire a un altro
uomo se si salverà o no. Posto questo principio, l'unico rapporto ammissibile
tra l'uomo e il dio è la fede: l'uomo deve credere e affidarsi a dio il cui
giudizio è assolutamente imperscrutabile. Chiunque dica potere per conto di
dio, attribuire ad ogni uomo la conferma o la remissione dei peccati,
ovviamente mente. Questo significa prendere l'autorità della chiesa e abolirla.
Ovviamente Lutero non accettava le indulgenze, voleva moralizzare la chiesa e
tantissimi cattolici erano d'accordo. Però, la sua critica alle indulgenze è
globale, va oltre, perché contestando le indulgenze, contesta il diritto della
chiesa di rispondere all'uomo dicendogli se ha fatto bene o ha fatto male.
Lutero ricorda che il sacramento della confessione veniva dai primi cristiani
praticato in forma collettiva, cioè non consisteva dire al prete dire quali
sono i peccati commessi, ma consisteva nel dichiarare i propri peccati a dio
sperano che tenesse conto del pentimento del peccatore. Dunque Lutero inizia a
demolire i sacramenti della chiesa soffermandosi sulla pratica dell'eucarestia
che è la ripetizione simbolica dell'ultima cena, degli atti del Cristo. Se il
prete può operare in questo senso, in quella situazione il sacerdote è un
vicario del Cristo, lo sostituisce temporaneamente. Però, se questa iterazione
non è legittima perché è la ripetizione simbolica di un atto che va compreso,
allora l'unità di mediazione viene meno. Lo scontro nasce dunque per ragioni
fondamentalmente economiche dalle quali derivano una serie di conseguenze di
natura ideologica. Dunque abolendo l'unità di mediazione, l'uomo rimane solo di
fronte a dio. Se il dio non fa sentire la sua voce se non attraverso il testo
sacro, allora l'uomo se vuole comunicare può solo leggere la sua parola con un
contatto diretto e per ciò che in qualche modo la bibbia non gli dice, la deve
ricercare la risposta all'interno. Dunque, il dialogo religioso si sposta
all'interno della coscienza del fedele. La pratica non è più esteriore, ma
diventa interiore.