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LA PRIMA GUERRA MONDIALE APPUNTI
Dall'attentato di Sarajevo alla guerra europea
A Sarajevo, capitale della Bosnia, il 28 giugno 1914, uno studente bosniaco di nome Gavrilo Princip e appartenente ad un'organizzazione irredentista che aveva la sua base operativa in Serbia, uccise l'erede al trono d'Austria, l'arciduca Francesco Ferdinando, e sua moglie. Fu questa la causa occasionale dello scoppio della guerra; un conflitto che avrebbe segnato una svolta decisiva nella storia dell'Europa e del mondo, ridisegnando i confini e mutando i rapporti di forza fra gli Stati, trasformando la stessa società, aprendo infine una fase di guerre e rivolgimenti interni durata più di trenta anni. L'Austria inviò alla Serbia un ultimatum e la Russia assicurò il proprio sostegno a quest'ultima. La Serbia accettò solo in parte l'ultimatum per cui l'Austria le dichiarò guerra. Contemporaneamente la Germania intimò alla Russia di sospendere i preparativi bellici; l'ultimatum non fu accettato e la Germania le dichiarò guerra.La Francia legata alla Russia da un trattato di alleanza militare, mobilitò le proprie forze armate ed entrò in guerra il 1 agosto. La Germania rispose con un nuovo ultimatum e con la successiva dichiarazione di guerra alla Francia (3 agosto). La strategia dei generali tedeschi si basava sulla rapidità e sulla sorpresa, non ammetteva la possibilità di lasciare l'iniziativa in mano agli avversari. Presupposto essenziale per la riuscita del piano era la rapidità dell'attacco alla Francia. Passarono quindi dal Belgio nonostante la sua neutralità fosse garantita da un trattato internazionale sottoscritto anche dalla Germania. La violazione della neutralità belga ebbe anche un peso decisivo nel determinare l'intervento nel conflitto della Gran Bretagna, già preoccupata dall'eventualità di un successo tedesco; così l'Inghilterra dichiarava guerra alla Germania.
In quasi tutti gli Stati coinvolti nel conflitto le forze pacifiste trovarono scarso appoggio in un'opinione pubblica massicciamente mobilitata a sostegno della causa nazionale e pronta a riconoscere le buone ragioni del proprio paese.
I socialisti francesi, quando il loro leader Jean Jaurès fu ucciso in un attentato, rinunciarono ad ogni manifestazione di protesta, ed entrarono a far parte del governo. La stessa cosa fecero i laburisti inglesi. La Seconda Internazionale cessò così di esistere: fu la prima vittima della grande guerra.
L'Italia dalla neutralità all'intervento
L'Italia entrò nel conflitto mondiale nel maggio del 1915, quando la guerra era già iniziata da dieci mesi, schierandosi a fianco dell'Intesa contro l'Impero austro-ungarico fin allora suo alleato. A guerra appena scoppiata, il governo presieduto da Antonio Salandra aveva dichiarato la neutralità dell'Italia. Questa decisione, aveva trovato concordi in primo tempo tutte le principali forze politiche fino a quando cominciò ad essere affacciata da alcuni settori politici l'eventualità di una guerra contro l'Austria, che avrebbe consentito all'Italia di portare a compimento il processo risorgimentale, ma anche di aiutare la causa delle «nazionalità oppresse». Portavoce di questa linea interventista furono innanzitutto gruppi e partiti della sinistra democratica: i repubblicani, i radicali e i socialriformisti di Bissolati e le associazioni irredentiste (fra questi Cesare Battisti). Il presidente del Consiglio Antonio Salandra e Sidney Sonnino, ministro degli Esteri, temevano soprattutto che una mancata partecipazione al conflitto avrebbe gravemente compromesso 1a posizione internazionale dell'Italia. L'ala più consistente dello schieramento liberale, quella che faceva capo a Giolitti era però schierata su una linea neutralista. Giolitti, infatti, non riteneva il paese preparato ad affrontare la guerra; era inoltre convinto che l'Italia avrebbe potuto ottenere dagli imperi centrali, come compenso per la sua neutralità, buona parte dei territori rivendicati. Decisamente ostile all'intervento era il mondo cattolico italiano. Il nuovo papa Benedetto XV, assunse un atteggiamento pacifista. Il direttore dell'Avanti!,Benito Mussolini si schierò a favore dell'intervento. Erano in maggioranza interventisti, tra questi Luigi Enaudi, Gaetano Salvemini e soprattutto Gabriele D'Annunzio. Comunque ciò che decise l'esito dello scontro fra neutralisti e interventisti fu l'atteggiamento del re, del ministro degli Esteri e del capo di governo: cioè degli uomini cui spettava, a norma dello statuto del potere di decidere i destini del paese in materia di alleanze internazionali. Questi decisero di accettare le proposte dell'Intesa firmando, il 26 aprile 1915, il cosiddetto Patto di Londra, con Francia, Inghilterra e Russia. Le clausole principa1i prevedevano che l'Italia avrebbe ottenuto in caso di vittoria, il Trentino, il Sud Tirolo fino al confine «naturale» del Brennero, la Venezia Giulia e l'intera penisola istriana (con l'esclusione della città di Fiume), una parte della Dalmazia con numerose isole adriatiche.Quando Giolitti si pronunciò per la continuazione delle trattative con l'Austria, trecento deputati gli manifestarono solidarietà, inducendo Salandra a rassegnare le dimissioni, ma la volontà neutralista del Parlamento fu di fatto scavalcata: da un lato dalla decisione del re, che respinse le dimissioni di Salandra, mostrando così di approvarne l'operato; dall'altro dalle manifestazioni di piazza che in quei decisivi giorni di maggio (le «radiose giornate» ) si fecero sempre più imponenti e più minacciose. Il 20 maggio 1915, la Camera approvò, la concessione dei pieni poteri al governo, che la sera del 23 maggio dichiarava guerra all'Austria. Il 24 ebbero inizio le operazioni militari.
La grande strage (1915-16)
Al momento dell'entrata in guerra, era diffusa in Italia la convinzione che una rapida campagna militare sarebbe bastata per far volgere le sorti del conflitto a favore dell'Intesa. Ma queste previsioni fallirono.
Sul confine orientale le forze austro-ungariche si attestarono lungo il corso dell'Isonzo e sulle alture del Carso. Contro queste linee le truppe comandate dal generale Luigi Cadorna sferrarono, nel corso del 1915, quattro sanguinose offensive (le prime quattro «battaglie dell'Isonzo») senza riuscire a cogliere alcun successo. Una situazione analoga, si era creata sul fronte francese. In quell'anno gli unici successi furono ottenuti dagli austro-tedeschi: prima contro i russi, che furono costretti ad abbandonare buona parte della Polonia; poi contro la Serbia che fu invasa. All'inizio del 1916, i tedeschi sferrarono un attacco in forze contro la piazzaforte francese di Verdun. La battaglia, durata quattro mesi, si risolse in una spaventosa carneficina. Sul fronte italiano, nel giugno 1916, l'esercito austriaco tentò di penetrare dal Trentino e di spezzare in due lo schieramento nemico, Gli italiani furono colti di sorpresa dall'offensiva, che fu chiamata significativamènte Strafexpedition (ossia spedizione punitiva contro l'antico alleato ritenuto colpevole di tradimento), ma riuscirono faticosamente ad arrestarla (in questa occasione cadde prigioniero degli austriaci Cesare Battisti, che fu condannato a morte per alto tradimento). Il governo Salandra, fu sostituito da un ministero di coalizione nazionale presieduto da Paolo Boselli.Sul fronte orientale, i russi nel giugno del '16, lanciarono una violenta offensiva per recuperare i territori perduti l'anno prima. A seguito dei loro successi, la Romania intervenne a fianco dell'Intesa ma subì la stessa sorte della Serbia lasciando nelle mani dei nemici le sue considerevoli risorse agricole e minerarie (grano e petrolio). Gli imperi centrali subivano le conseguenze del ferreo blocco navale attuato dagli inglesi nel Mare del Nord.
La guerra nelle trincee
Dal punto di vista tecnico, la vera protagonista della guerra fu la trincea, ossia la più semplice e primitiva tra le fortificazioni difensive: un fossato scavato nel terreno per mettere i soldati al riparo dal fuoco nemico. Concepite all'inizio come rifugi provvisori, le trincee divennero, la sede permanente dei reparti di prima linea. Col passare del tempo le trincee furono allargate, dotate di ripari, protette da reticolati di filo spinato e da «nidi» di mitragliatrici, diventando sempre più difficilmente espugnabili. La vita nelle trincee, monotona e rischiosa al tempo stesso, logorava i combattenti nel morale e nel fisico. I soldati restavano in prima linea senza ricevere il cambio anche per intere settimane e vivevano in condizioni igieniche deplorevoli, senza potersi lavare né cambiare. Erano esposti al caldo, al freddo e alle intemperie, oltre che ai periodici bombardamenti dell'artiglieria avversaria. Gli assalti, che iniziavano di regola nelle prime ore del mattino, erano preceduti da un intenso tiro di artiglieria (<<fuoco di preparazione>>) che aveva come risultato principale quello di eliminare ogni effetto di sorpresa. Pochi mesi di guerra nelle trincee furono sufficienti a far svanire l'entusiasmo patriottico con cui molti combattenti avevano affrontato il conflitto. Gran parte dei soldati semplici non aveva idee precise sui motivi per cui si combatteva la guerra; la visione eroica e avventurosa della guerra restò prerogativa di alcune minoranze di combattenti per lo più organizzate in reparti speciali - come le «truppe d'assalto» (Sturmtruppen) tedesche o gli arditi italiani - impegnati solo in azioni particolarmente rischiose. La paura o l'avversione contro la guerra si traducevano in forme di autentico rifiuto. Le più diffuse erano quelle individuali, come la diserzione o la pratica dell'autolesionismo, consistente nell'infliggersi volontariamente ferite e mutilazioni per essere dispensati dal servizio al fronte. Frequenti erano anche casi di ribellione collettiva - «scioperi militari» o veri e propri ammutinamenti - che si verificarono un po' dappertutto e che crebbero in numero e intensità col prolungarsi del conflitto, raggiungendo l'apice nel corso del 1917.
La nuova tecnologia militare
Il primo conflitto mondiale si caratterizzò per l'applicazione intensiva e sistematica dei nuovi ritrovati della tecnologia alle esigenze della guerra. Artiglierie pesanti, fucili a ripetizione e mitragliatrici giocarono un ruolo decisivo nei combattimenti. Del tutto nuova e sconvolgente fu l'introduzione di nuovi mezzi d'offesa micidiali, come le armi chimiche, gas che venivano indirizzati verso le trincee nemiche provocando la morte per soffocamento di chi li respirava. La guerra sollecitò lo sviluppo di settori relativamente giovani, come quello automobilistico, o che stavano movendo i primi passi, come l'aeronautica e la radiofonia. Il perfezionamento delle telecomunicazioni, via radio o via filo, permise di coordinare i movimenti delle truppe su fronti vastissimi. L'impiego sempre più massiccio dei mezzi motorizzati consentì di far affluire rapidamente enormi masse di soldati dalle retrovie al fronte. Nel corso della guerra la produzione di aerei conobbe un enorme incremento.Si realizzarono mezzi sempre più veloci, ma non abbastanza affidabili da poter essere usati sistematicamente nelle battaglie. I primi mezzi corazzati, le autoblindo (ossia autocarri muniti di mitragliatrici), erano limitati nel loro impiego dal fatto di potersi muovere solo su strada. Il passo successivo consistette nel sostituire le ruote con i cingoli, che permettevano ai veicoli di attraversare qualsiasi terreno e di essere usati per attaccare e scavalcare le trincee nemiche. Sperimentati per la prima volta nel 1916 dagli inglesi, i carri armati furono impiegati in modo massiccio e con discreto successo. Fra le nuove macchine belliche, una sola influì in modo significativo sul corso della guerra: il sottomarino. Furono soprattutto i tedeschi a servirsene per attaccare le navi da guerra nemiche, e per affondare le navi mercantili. Nonostante il numero limitato dei mezzi disponibili, la guerra sottomarina si rivelò subito un'arma molto efficace. Essa però sollevava gravi problemi politici e morali e urtava in particolare gli interessi commerciali degli Stati Uniti. Infatti, quando nel l915 un sottomarino tedesco affondò il transatlantico inglese Lusitania, che trasportava anche cittadini americani, le proteste degli Stati Uniti furono così energiche da convincere i tedeschi a sospendere la guerra sottomarina indiscriminata.
La svolta del 1917
Nei primi mesi del 1917, uno sciopero generale degli operai di Pietrogrado (capitale russa dopo l'estate del '14) si trasformò in un'imponente manifestazione politica contro il regime zarista. Quando i soldati chiamati a ristabilire l'ordine rifiutarono di sparare sulla folla e fraternizzarono coi dimostranti, la sorte della monarchia fu segnata; lo zar abdicò il 15 marzo e pochi giorni dopo fu arrestato con l'intera famiglia reale. Circa un mese dopo, gli Stati Uniti decidevano di entrare in guerra contro la Germania che, aveva ripreso la guerra sottomarina indiscriminata.
Il crollo del regime zarista era stato infatti il preludio della disgregazione dell'esercito. Molti soldati-contadini abbandonarono il fronte e tornarono ai loro villaggi per partecipare alla spartizione delle terre dei signori. Da allora la Russia cessò di fornire qualsiasi contributo militare agli alleati. I tedeschi, penetrati in profondità nel territorio de11'ex Impero Zarista, trasferirono forti contingenti di truppe sul fronte occidentale. Per le potenze dell'Intesa, i mesi fra la primavera e l'autunno del '17 furono i più difficili dall'inizio del conflitto.
Alle difficoltà militari si aggiungevano quelle politico-psicologiche. Si intensificarono dappertutto le manifestazioni di insofferenza popolare contro la guerra, gli scioperi operai. Consapevole del pericolo di disgregazione cui era esposto l'Impero austro-ungarico, il nuovo imperatore Carlo I avviò negoziati segreti in vista di una pace separata. Ma le sue proposte furono respinte dall'Intesa. Il papa Benedetto XV, invitò i governi a por fine all'«inutile strage» e a prendere in considerazione l'ipotesi di una pace senza annessioni, ma non ebbe fortuna. Anche per l'Italia il 1917 fu l'anno più difficile della guerra; fra la popolazione civile si moltiplicavano i segni di malcontento per i disagi causati dall'aumento dei prezzi e dalla carenza di generi alimentari. Fu in questa situazione che i comandi austro-tedeschi decisero di approfittare della disponibilità di truppe provenienti dal fronte russo per infliggere un colpo decisivo all'Italia. Il 24 ottobre 1917, un'armata austriaca rinforzata da sette divisioni tedesche attaccò le linee italiane sull'alto Isonzo e le sfondò nei pressi del villaggio di Caporetto. Gli attaccanti avanzarono in profondità nel Friuli, mettendo in crisi lo schieramento avversario: buona parte delle truppe italiane, dovettero abbandonare precipitosamente le posizioni che tenevano dall'inizio della guerra. Prima di essere rimosso dal comando supremo, dove fu sostituito da Armando Diaz, il generale Cadorna gettò le colpe della disfatta ai suoi stessi soldati. Il senso di coesione patriottica aumentò. Intorno al nuovo governo di coalizione nazionale presieduto da Vittorio Emanuele Orlando, le forze politiche parvero trovare una maggiore concordia.
L'ultimo anno di guerra
Nel novembre 1917, i bolscevichi presero il potere in Russia. Il governo rivoluzionario presieduto da Lenin decise immediatamente di por fine alla guerra e dichiarò la sua disponibilità a una pace «senza annessioni e senza indennità», firmando subito dopo l'armistizio con gli imperi centrali. Per concludere la pace, la Russia dovette però accettare tutte le durissime condizioni imposte dai tedeschi, che comportavano la perdita di circa un quarto dei territori europei dell'Impero russo. Con la pace Lenin riuscì comunque a salvare il nuovo Stato socialista. Gli Stati dell'Intesa dovettero a loro volta accentuare il carattere ideologico della guerra, presentandola sempre più come una crociata della democrazia contro l'autoritarismo. Questa concezione della guerra trovò il suo interprete più autorevole nel presidente americano Woodrow Wilsor. Egli precisò le linee ispiratrici della sua politica in un programma di pace in quattordici punti. Oltre ad invocare l'abolizione della diplomazia segreta, il ripristino della libertà di navigazione, l'abbassamento delle barriere doganali, la riduzione degli armamenti, il presidente americano formulava alcune proposte concrete circa il nuovo assetto europeo: piena reintegrazione del Belgio, della Serbia e della Romania, evacuazione dei territori russi occupati dai tedeschi, restituzione alla Francia dell'Alsazia-Lorena, possibilità di «sviluppo autonomo» per i popoli soggetti all'Impero austro-ungarico e a quello turco, rettifica dei confini italiani secondo le linee indicate dalla nazionalità. Nell'ultimo punto si proponeva infine l'istituzione di un nuovo organismo internazionale, la Società delle nazioni, per assicurare il mutuo rispetto delle norme di convivenza fra i popoli.
Il programma rappresentava un'autentica rivoluzione rispetto ai principi base della diplomazia prebellica. Fu accolto come una sorta di «nuovo vangelo» capace di assicurare, una lunga èra di pace e di benessere. I governanti dell'Intesa non condividevano del tutto il programma wilsoniano, vincolati com'erano al raggiungimento dei rispettivi. obiettivi di guerra. Sul fronte francese lo stato maggiore tedesco tentò la sua ultima e disperata scommessa impegnando tutte le forze rese disponibili dalla firma della pace con la Russia. In giugno l'esercito di Hindenburg era di nuovo sulla Marna e Parigi era sotto il tiro dei nuovi cannoni tedeschi a lunga gittata. Gli austriaci tentarono di sferrare il colpo decisivo sul fronte italiano attaccando sul Piave, ma furono respinti. Alla fine di luglio le forze dell'Intesa, ormai superiori in uomini e mezzi, passarono al contrattacco.Nella grande battaglia di Amiens, i tedeschi i tedeschi subirono la prima grave sconfitta sul fronte occidentale. I generali tedeschi capirono di aver perso la guerra: la loro principale preoccupazione divenne quella di lasciare ai politici la responsabilità di un'armistizio. Il compito ingrato di aprire le trattative toccò a un nuovo governo di coalizione democratica formatosi ai primi di ottobre. Mentre la Germania cercava invano una soluzione di compromesso, i suoi alleati crollavano militarmente o si disgregavano dall'interno. La prima a cedere fu la Bulgaria. Un mese dopo era l'Impero turco a chiedere l'armistizio. Quando gli italiani lanciarono un' offensiva sul fronte del Piave, l'Impero era ormai in piena crisi. Sconfitti sul campo nella battaglia di Vittorio Veneto, gli austriaci il 3 novembre firmarono a Villa Giusti, l'armistizio con l'Italia.
Intanto in Germania, ai primi di novembre i marinai di Kiel,dov'era concentrato il grosso della flotta tedesca, si ammutinarono e diedero vita, assieme agli operai della città, a consigli rivoluzionari ispirati all'esempio russo. Il moto si propagò a Berlino e in Baviera. Un socialdemocratico, Friedrich Ebert, fu proclamato capo del governo, mentre il Kaiser era costretto a fuggire in Olanda, subito imitato dall'imperatore d'Austria Carlo I. La Germania perdeva così una guerra che più degli altri aveva contribuito a far scoppiare.
La perdeva per fame e per stanchezza, per esaurimento delle forze morali e materiali. Gli Stati dell'Intesa, vincitori grazie all'apporto, tardivo ma decisivo, di una potenza extraeuropea, uscivano dal conflitto scossi e provati per l'immane sforzo sostenuto. La guerra, si chiudeva non solo con un tragico bilancio di perdite umane (8 milioni e mezzo di morti), ma anche con un drastico ridimensionamento del peso politico del vecchio continente sulla scena internazionale
I trattati di pace e la nuova carta d'Europa
Un compito di eccezionale difficoltà era quello che attendeva gli statisti impegnati nella conferenza della pace, i cui lavori si aprirono il 18 gennaio 1919 nella reggia di Versailles presso Parigi e si protrassero per oltre un anno e mezzo. Si doveva ridisegnare la carta politica del vecchio continente, ora sconvolta dal crollo contemporaneo di ben quattro imperi (tedesco, austro-ungarico, russo e turco). Si doveva tenere conto di quei principi di democrazia e di giustizia internazionale a cui i governi dell'Intesa si erano esplicitamente richiamati nell'ultima fase del conflitto. Questi problemi si manifestarono fin dalle prime discussioni fra i capi di governo delle principali potenze vincitrici: l'americano Wilson, il francese Clemenceau, l'inglese Lloyd George e l'italiano Orlando. Il contrasto fra l'ideale di una pace democratka e l'obiettivo di una pace punitiva risultò evidente soprattutto quando furono discusse le condizioni da imporre alla Germania. Il trattato, che fu firmato a Versailles il 28 giugno 1919 fu una vera e propria imposizione (un Diktat), subita sotto la minaccia dell'occupazione militare e del blocco economico. Il trattato prevedeva, oltre alla restituzione dell'Alsazia-Lorena alla Francia, il passaggio alla ricostì
$uita Polonia di alcunè regiorn orientali abitate solo in parte da tedeschi: l'alta Slesia, la Posnania più una striscia della Pomerania (il cosiddetto corridoio polacco) che interrompeva la continuità territoriale fra Prussia occidentale e Prussia orientale per consentire alla Polonia di affacciarsi sul Baltico e di accedere al porto di Danzica. Questa città, abitata in prevalenza da tedeschi, veniva anch'essa tolta alla Germania e trasformata in «città libera». La fiermama perse anche le sue colonie, spartite tra Francia, Gran Bretagna e Giappone.
Ma la parte più pesante del Diktat era costituita dalle clausole economiche e militari. Indicata nel testo stesso del trattato come responsabile della guerra, la Germania dovette impegnarsi a rifondere ai vincitori, a titolo di riparazione, i danni subùi in conseguenza del conflitto (l'entità delle riparazioni sarebbe stata fissata solo in seguito). Fu inoltre costretta ad abolire il servizio di leva, a rinunciare alla marina da guerra, a ridurre la consistenza del proprio esercito entro il limite di 100.000 uomini e a lasciare «smilitarizzata» -priva cioè di reparti armati e di fortificazioni - l'intera valle del Reno, che sarebbe stata presidiata per quindici anni da truppe inglesi, francesi e belghe. Erano condizioni umilianti, tali da ferire profondamente la Germania nel suo orgoglio nazionale, oltre che nei suoi in
che, agli occhi dei francesi, l'unico mezzo per impedire alla Germania sempre lo Stato più popoloso, più industrializzato e potenzialmente pi continentale - di riprendere la posizione di grande potenza che naturali
{jn problema completamente diverso era costituito dal
La dissoluzione le nuove realtà nazionali emersà dalla dissoluzione dell'Ir
dell'impero asburgico nuova Repubblica di Austria si trovò ridotta entro un t
85.000 km2. Il trattato di pace stabiliva inoltre che l'in
ca sarebbe stata affidata alla tutela della costituenda Società delle nazio serviva a mascherare l'opposizione delle potenze vincitrici all'eventualit con la Germania. tjn trattamento severo toccò all' Ungheria che, costii nel novembre '18, t'erse non solo tutte le regioni slave fin allora dipei ma anche alcuni territori abitati in prevalenza da popolazioni magiare. I asburgico determinò la nasatta de Jlapuova?oloijia (formata anche dai
nenti agli imperi russo e tedesco), d4la~R~epubblica di Cecoslovacchia, e del Regno di Jugoslavia, che univa 4lla Serbia gli sloveni ei croa(i già soggetti alla monarchia austro-ungarica. Il nuovo assetto balcanico fu completato dall'ingrandimento della Romania e dal forte ridimensionamento dell'impero ottomano che si trasformò in Stato nazionale turco.
:~Quanto alla Russia, gli Sùti <incitori n6n solo non riconobbero la Repubblica socialista, ma cercarono in ogni modo di abbatterla aiutando i gruppi con-trorivoluzionari. Furono invece riconosciute e protette, proprio in funzione antisovietica, le_nuove repubbliche indipendenti che si erano formate nei territori baltici persi dalla Russia: la finlandia, i'Estonia, la~Lerton!Sa, e la Lituania.
L'Europa us&tù~d4la%onferenza di Parigi contava dunque ben otto nuovi Stati sorti dalle rovine dei vecchi imperi. A~essi si sarebbe aggiunto, nel 1921, lo Stù(o libero d'irlanda, cui la Oran Bretagna si risolse infine a concedere un regime di semi-indipendenza, anche se con l'esclusione del Nord protestante (Ulster). Il problema che a questo punto si poneva ai vincitori era quello di garantire la sopravvivenza del nuovo assetto territoriale, reso delicato dalla proliferazione degli Stati indipendenti e dalla scomparsa di alcuni fra i pilastri del vecchio equilibrio prebellico. Ad assicurare il rispetto dei trattati e la salvaguardia della pace
avrebbe dovuto provvedere la Società delle nazioni, la cui istituzione, già propqst a nei «qua tt Qrdflci. punti># di Wilson, fu ufficialmente accettata, sotto la pressione degli Stati Uniti, da_tutti i partecipanti aflà cùnferenza di Vétsaillès. Jl nuoyo organismo sovranaziQnalè (Privo di~ùn'éfficiente strutturi deèisionale e di un reale potere di dissuasione) prevedeva nel suo~statuto la rinuncia da parte degli Stati membri alla guerra come strumento di soluzione dei contrasti, il ricorso all'arbitrato, l'adozione di sanzioni economiche nei confronti degli Stati aggressori; ma nasceva minato in partenza da protòndè éontraddizioni, più grave di tutte l'esclusione iniliale dei PaQsi sconfitti ~della Russia. Il colpo più duro la_Società delle nazionj to riceyett.e~però proprio dagli Stati Uniti, cioè dal paese che avrebbe dovuto costituirne il principale pilastro. Il Senato degli Usa respinse infatti, nel marzo 1920, l'adesione al nuovo organismo. La Società delle nazioni, fin¾ così, con l'essere egemonizzata da Gran Bretagna e Francia e non fu in grado di prevenire nessuna delle crisi internazionali che costellarono gli anni fra le due guerre mondiali.
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