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Decolonizzazione, terzo mondo, sottosviluppo




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Decolonizzazione, terzo mondo, sottosviluppo


Lo smantellamento del sistema coloniale e l'accesso all'indipendenza dei popoli afroasiatici sono tra i fenomeni più importanti di questo secolo. Il processo di decolonizzazione ricevette la spinta decisiva del secondo conflitto mondiale. Un altro fattore di importanza decisiva fu la pressione congiunta degli Stati Uniti e dei Sovietici per scalzare gli Europei dall'Asia e dall'Africa e quindi per accelerare le liquidazione del vecchio ordine mondiale fondato sull'eurocentrismo. Per volontà americana gli alleati avevano proclamato con la Carta Atlantica del '41 il 'diritto di tutti i popoli a scegliere la forma di governo da cui intendono essere retti'. Il principio di autodeterminazione si impose e l'Europa non poteva sottrarvisi. La Gran Bretagna procedette ad una graduale abdicazione al proprio dominio, preparando i popoli all'indipendenza e cercando di trasformare l'Impero coloniale in una comunità di Nazioni liberamente associate nel Commonwealth. LA Francia invece oppose resistenza armata ai movimenti indipendentisti. Sul piano delle istituzioni politiche, la democrazia parlamentare di tipo europeo si affermò solo in pochi Paesi: il peso della tradizione era diverso e soprattutto l'Europa aveva mostrato ai popoli assoggettati il suo volto autoritario, non quello liberale; difficile quindi che, raggiunta l'indipendenza, questi Paesi volessero mantenere 'ricordi' di chi li aveva assoggettati. Il risultato fu perciò la prevalenza di regimi di stampo autoritario, di sistemi a partito unico e di dittature militari.

Il continente asiatico fu il primo a raggiungere l'indipendenza. Il motivo di ciò sta nel carattere relativamente più avanzato dell'organizzazione politica e della struttura sociale del continente rispetto all'Africa. Fra le potenze coloniali fu l'Inghilterra la prima a comprendere la necessità di ridimensionare la sua posizione imperiale, opponendo una resistenza elastica: rinunciò ad Iraq e Transgiordania, quindi all'Egitto, pur restando però, in quest'ultimo caso, 'controllore' del Canale di Suez. Il processo di decolonizzazione più drammatico fu senza dubbio quello dell'India, la più importante sul piano economico-strategico delle colonie britanniche. Già nel '19 le truppe inglesi repressero con la forza una manifestazione popolare indipendentista. L'anno seguente vide l'affermarsi dell'uomo simbolo dell'indipendenza del Paese, Gandhi, teoretico della lotta basata sulla resistenza passiva, sulla non violenza e sul rifiuto di qualsiasi collaborazione con i dominatori. Già nel '21 i risultati si vedevano: il popolo indiano otteneva spazio politico con l'elezione di propri organismi rappresentativi e si spianava la lenta strada verso l'indipendenza. Nel '41, in piene guerra mondiale, Nehru, collaboratore di Gandhi ottenne per l'India lo status di dominion, che equivaleva all'indipendenza. A guerra finita l'Inghilterra aprì i negoziati per concedere l'indipendenza definitiva, ma mentre Gandhi si batté per uno Stato unitario, i musulmani reclamarono la separazione degli induisti. Gli Inglesi, nel '47 concessero l'indipendenza all'Unione indiana a maggioranza indù, ed al Pakistan musulmano, creato alle due estremità orizzontali dell'India. La parte orientale prenderà poi il nome di Bangladesh nel '71 dopo la scissione dal Pakistan.

Pesante fu altresì l'indipendenza del Vietnam dai Francesi, parte del territorio sorto dalla dissoluzione dell'impero francese in Indocina. Nel Vietnam i comunisti, sotto la guida di Ho Chi Minh proclamarono nel 1945 la Repubblica democratica del Vietnam, ma i Francesi non la riconobbero e ne rioccuparono la parte meridionale con le armi. Nel 1946 iniziò una lunga guerra fra i Transalpini e le forza indipendentiste del Vietminh. La guerra si concluse solo nel 1954 con gli Accordi di Ginevra che stabilirono il ritiro dei Francesi e la divisione del Vietnam in due Stati: a nord uno comunista, a sud uno filoccidentale.

Anche in Africa il processo di indipendenza non fu indolore, soprattutto nella zona del Maghreb (Marocco, Algeria e Tunisia), anch'essa sotto dominazione francese. I Francesi concessero 'subito' l'indipendenza a Marocco e Tunisia in quanto essi avrebbero mantenuto in futuro una posizione filoccidentale.

Più drammatica fu la lotta per la liberazione in Algeria, dove la presenza di oltre un milione di Francesi rendeva rigida la posizione del Governo di Parigi e della stessa opinione pubblica riguardo l'indipendenza. Dopo il successo della rivoluzione nasseriana in Egitto, il movimento nazionalista algerino si radicalizzò e si affermò il Fronte di liberazione nazionale (FLN) guidato da Ben Bella. Comincia così lo scontro che avrebbe portato in crisi la situazione politica della stessa Francia. Lo scontro culminò nel '57 con la battaglia di Algeri che durò nove mesi e vide l'intera città araba stringersi attorno ai combattenti del FLN. I Francesi riuscirono a piegare l'insurrezione con la repressione. Nel 1958, i coloni crearono, con l'appoggio dell'esercito, un Comitato di salute pubblica che aveva tutto l'aspetto di preludere ad un colpo di Stato militare in Francia e che portò alla fine della Quarta Repubblica e al ritorno sulla scena politica transalpina di De Gaulle, il quale capì che ormai l'Algeria era perduta. Stabilì così i contatti con l'FLN, stroncò un tentato colpo di Stato militare ad Algeri e reagì alla campagna terroristica in Francia. Nel 1962 il Governo francese ed il governo rivoluzionario, espressione politica del FLN, si accordarono su un progetto di indipendenza del Paese da sottoporre a referendum.


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