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La lotta per le investiture
Alla morte di Enrico III, suo figlio Enrico IV aveva solo 6 anni e fu affidato alla reggenza di sua madre. Di questa situazione approfittarono i riformatori che elessero un papa di loro fiducia: Niccolò II. Questi, nell'aprile del 1059, convocò un concilio che rappresenta una tappa fondamentale nella storia della riforma, in quanto stabilì in modo univoco le modalità per l'elezione del pontefice: il papa sarebbe stato eletto non più dal popolo, né più con le intromissioni della nobiltà romana e dell'Imperatore (Privilegio Ottoniano) ma solo dal clero.
Gli obiettivi del partito della riforma risultarono anche più chiari quando Ildebrando di Soana, divenne papa col nome di Gregorio VII: questi dichiarò che nessun laico ha il diritto di conferire cariche religiose, spezzando così una lunga tradizione e mettendo in pericolo la struttura della gerarchia feudale, della quale i vescovi-conti, nominati dalle autorità laiche, erano diventati parte integrante. Nel Dictatus Papae egli fissò i principi che riteneva irrinunciabili, sovvertendo i principi del Privilegio ottoniano:
- Solo il pontefice è autorità universale
- Egli solo può deporre o stabilire vescovi
- La scomunica papale priva di legittimità anche il potere dell'imperatore oltre a quello delle autorità politiche inferiori.
- Il papa può deporre l'imperatore, sciogliendo i sudditi dai vincoli di fedeltà nei suoi confronti.
La rottura con Enrico IV fu inevitabile: iniziò così la lotta per le investiture, poiché il sovrano continuò a nominare vescovi in Germania e persino in Italia. Il papa rispose con la scomunica, che fu per il re un colpo durissimo (vedi la legittimazione del potere nella lezione precedente) perché rischiava di vedere minata la propria autorità e i principi tedeschi minacciavano di deporlo. Egli fece pertanto atto di sottomissione al Papa, si recò come penitente al Castello di Canossa dove il Pontefice era ospite della marchesa Matilde di Toscana, e implorò l'assoluzione per tre giorni, aggirandosi scalzo intorno al castello.
Ottenuta la revoca della scomunica tornò in Germania per pacificare la situazione e consolidare nuovamente la propria autorità. Quindi riaprì le ostilità con il suo avversario romano: fece eleggere un antipapa e scese a Roma dove, assediato il pontefice, si fece nominare imperatore dall'antipapa. Giunse in difesa di Gregorio VII Roberto il Guiscardo (vedi i Normanni). Tuttavia i normanni saccheggiarono Roma, attirando così l'ostilità della popolazione contro il papa stesso.
La lotta continuò anche dopo la morte di Gregorio, in quanto Enrico IV incontrò l'opposizione dei successori del pontefice, intenzionati a portare avanti la riforma.
Il prestigio della chiesa risultò però ulteriormente rinforzato, mentre regnava ancora Enrico IV, il papa Urbano II non solo proseguì la politica riformistica, ma si fece anche banditore della prima crociata per la liberazione dei luoghi sacri in Palestina.
Solo nel 1122 si giunse ad una soluzione di compromesso, con il concordato di Worms, tra il papa Callisto II e l'imperatore Enrico V.
Tale concordato stabiliva che la consacrazione religiosa restava di esclusiva conseguenza della Chiesa, l'investitura feudale invece spettava al principe.
Con tale soluzione la figura dell'Imperatore subiva una desacralizzazione.
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