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IL DOPO-UNITÀ (POLITICA)
I primi governi italiani, succeduti a quelli di Cavour 'scomparso poche settimane prima della proclamazione del regno d'Italia', si trovarono di fronte ad una situazione economico-sociale difficile poiché l'Italia si presentava come paese essenzialmente agricolo e piuttosto arretrato economicamente e socialmente soprattutto nel Meridione. Era grave il problema politico di garantire un forte consenso sociale al nuovo stato creatosi. Il sistema elettorale vigente era fortemente censitario, in quanto consentiva il voto solo a meno del 2% della popolazione totale e il tasso di assenteismo alle elezioni raggiungeva circa la metà degli aventi diritto. La grande maggioranza che appoggiava il governo detto della Destra storica e che guidò il paese fino al 1856 era formata soprattutto dalla antica maggioranza cavouriana e dagli esponenti del liberalismo delle nuove provincie, soprattutto quelle meridionali. Nella destra figuravano due gruppi : uno tosco-emiliano-lombardo esprimeva gli interessi della borghesia intenzionata a investire la rendita agraria negli affari, nella banca e nella speculazione ; l'altro era costituito prevalentemente da piemontesi e rappresentava gli interessi del capitalismo agrario e dei primi nuclei industriali moderni. L'ideologia politica della Destra era fondata sugli insegnamenti di Cavour : l'unità nazionale doveva conseguirsi nell'ambito delle intese diplomatiche e per opera dell'esercito regio e la liberazione di Roma esigeva trattative con il Pontefice e con la Francia. I gruppi che in Parlamento sedevano all'opposizione e che costituivano la cosiddetta Sinistra storica o costituzionale erano anch'essi espressione dell'elettorato borghese. Essi avevano una diversa concezione politica del processo unitario. La Sinistra traeva la sua ispirazione dal messaggio mazziniano e il suo programma era liberale-progressista. I gruppi della Sinistra rilanciavano, seppur con accentuazione diversa, il motivo della guerra di popolo per liberare Roma e Venezia, criticavano la via diplomatica del Risorgimento e l'assetto accentrato dello Stato. Vi era tra essi una intransigenza anticlericale che rivelò una più aperta sensibilità per problemi delle classi popolari e la manifestarono chiedendo l'allargamento del suffragio, un più equo sistema fiscale e l'istruzione gratuita, laica, obbligatoria. Questi ultimi vedevano nel nuovo Stato unitario un grave pericolo per la Chiesa a causa dell'atteggiamento anticlericale della classe dirigente e della proclamazione di Roma capitale che aveva come prospettiva immediata l'abbattimento dello Stato della Chiesa. La situazione del nuovo Stato era inoltre resa più complessa dalla debolezza internazionale dell'Italia e della minacciante presenza nella penisola di una grande potenza come l'Impero austro-ungarico. Quindi nei 15 anni del suo governo la Destra sviluppò una politica piuttosto prudente e conservatrice, preoccupata più al mantenimento dell'unità che dello sviluppo economico e civile del Paese. In campo economico la Destra mirò soprattutto a portare in pareggio il bilancio dello Stato: un obiettivo che fu raggiunto attraverso l'imposizione di forti tasse che colpirono soprattutto i ceti più poveri (tassa sul macinato). Infine una questione fondamentale affrontata dai governi della Destra fu il completamento dell'unità territoriale, il quale si realizzò nel 1866 con la 3° guerra d'indipendenza e l'annessione del Veneto e nel 1870 con la conquista di Roma e del Lazio.
Nel 1862 sale al ministero Bettino Ricasoli, che avviò trattative con lo Stato Pontificio, nonostante Pio IX fosse lontano dall'accettare la proposta liberale di 'libera Chiesa in libero Stato'. A Ricasoli segue il ministero di Urbano Rattazzi. Durante il suo ministero vi fu il tentativo di risolvere la questione romana attraverso l'azione dei democratici, sotto la guida di Garibaldi. Rattazzi incoraggiò segretamente, d'accordo con il sovrano, le iniziative di Garibaldi, il quale si proponeva di ripetere l'operazione dei mille ma fu fermato da un ultimatum di Napoleone III. Il fallimento di questo tentativo garibaldino comportò la caduta del governo Rattazzi e coincise con l'espansione del fenomeno del brigantaggio. Nel 1864 successe il governo Farini Minghetti, che affrontò la questione romana, avviando trattative con la Francia e venne stipulata la convenzione di settembre, per la quale il governo italiano garantiva lo Stato Pontificio da qualsiasi attacco esterno e venne trasferita la capitale del regno da Torino a Firenze. Il trasferimento della capitale provocò una spaccatura all'interno della destra, nella quale nacque la Permanente, composta da parlamentari piemontesi, che da questo momento furono sempre all'opposizione. 1865: governo La Marmora e promulgazione di nuovi codici. Nel 1866 si presentò l'opportunità di risolvere la questione del Veneto. La Prussia con l'intento di allontanare l'Austria dalla Germania chiese l'alleanza dell'Italia. Risoltasi la guerra austro-prussiana a Sadowa con la sconfitta degli Asburgo l'Italia entrò in possesso del Veneto, nonostante le sconfitte di Custoza e Lissa. Nel 1867 torna al governo Urbano Rattazzi. Siccome la convenzione di settembre non accennava ad un'insurrezione nello Stato Pontificio, Rattazzi non ostacolò il nuovo arruolamento di volontari e di nuovo Garibaldi cercò di penetrarvi, appoggiandosi su un'insurrezione preparata dagli stessi patrioti romani ma venne sconfitto dal contingente francese presso Mentana. Nel 1870 con il governo Lanza, dopo la sconfitta di Napoleone a Sedan e il crollo del secondo impero francese, il governo italiano non si ritenne più legato ai patti stabiliti dalla convenzione e decise di mandare nel Lazio un corpo di bersaglieri, che, fallito un estremo tentativo di negoziato col papa, dopo aver aperto una breccia nella cinta muraria, entrò nella città presso Porta Pia. Dopo aver trasferito la capitale da Firenze a Roma, nel 1871 lo stato italiano approvò la legge delle Guarentigie, con la quale si stabiliva una dotazione annua per il Papa, l'extraterritorialità del Vaticano, del Laterano e della villa di Castel Gandolfo, la facoltà di tenere un corpo di guardie armate e il diritto di rappresentanza diplomatica. In questo modo si attuò il principio della libertà della Chiesa, la quale, nonostante si fosse liberata dal potere temporale, non attenuò l'intransigenza nei confronti del Regno d'Italia. Nel 1876 fu raggiunto il pareggio del bilancio economico dello Stato, deficitato dalle spese per le guerre, dai debiti del governo borbonico e degli altri Stati. Tale problema fu risolto con una tassazione indiretta (tassa sul sale e tassa sul macinato), che gravò soprattutto sulle classi meno abbienti. Il fenomeno del brigantaggio derivò quindi dalla insoddisfazione e dal malcontento per la tassazione e fu incoraggiato dallo Stato della Chiesa e dai Borboni. Le aree maggiormente coinvolte dal brigantaggio furono la Basilicata, Calabria e anche la Sicilia. I governi della destra non esitarono a mobilitare contro i banditi non solo la guardia nazionale e la polizia, ma anche l'esercito. Con la legge Pica del 1863 i processi di brigantaggio furono affidati ai tribunali militari e solo nel 1865 il brigantaggio come fenomeno di massa cessò senza però eliminare i fattori che l'avevano alimentato. Il Mezzogiorno: lo stato di crisi del sud risaliva a prima dell'unità d'Italia ed emerge quando la struttura socio-economica meridionale si confronta con quella del nord. Nel sud c'era un'aristocrazia con potere politico ed economico e una borghesia diversa da quella del nord. Mentre nel nord vengono poste le basi del capitalismo agrario, l'aristocrazia del sud si accontenta di una coltivazione estensiva con una produzione destinata non al commercio ma al sostentamento. Mentre nel nord la borghesia è di tipo imprenditoriale, la borghesia meridionale è costituita da medici, avvocati, che aspirano ad entrare tra l'aristocrazia. Nel sud c'è quindi una struttura quasi feudale, così i contadini lavorano solo per ottenere i mezzi per vivere e godono di alcuni diritti (legnatico, erbatico). Dopo l'unificazione le piccole industrie del sud non furono in grado di sostenere il confronto con quelle del nord, così come l'economia agricola meridionale risultò in contrasto con quella settentrionale, destinata al mercato anche internazionale. I governi della destra non si occuparono di avviare un processo di industrializzazione, perciò la situazione italiana rimase stazionaria. Questione amministrativa: fra decentramento e accentramento prevalse l'idea di uno Stato accentrato, sul modello di quello francese, per garantire l'ordine interno. Di conseguenza il sindaco veniva nominato dal ministro degli interni e in questi anni si parlò di piemontesizzazione del Regno d'Italia. Istruzione: per quanto riguarda l'istruzione la destra si limitò ad estendere all'Italia la legge Casati, varata nel regno di Sardegna nel 1859, che riguardava soprattutto le università e non alzò il livello d'istruzione. Inoltre la scuola non dipese più dallo Stato ma dalle amministrazioni locali. Chiesa: nel 1864 Pio IX pubblicò l'enciclica 'Quanta cura', con la quale denunciava la situazione italiana e condannava la società moderna, perché troppo razionale, che aveva come conseguenze il liberalismo, il capitalismo e soprattutto il socialismo. Vi fu una forte reazione degli Stati cattolici, che avevano una struttura liberale e la stessa Austria, dopo la pubblicazione del Sillabo denunciò il Concordato. Nel 1869-70 si tenne il Concilio Vaticano I, nel quale si proclamò il dogma dell'infallibilità del Papa, ma ciò suscitò la reazione degli Stati cattolici e il Papa rimase isolato, così fu possibile ai bersaglieri entrare nel '70 presso Porta Pia. Nel 1876 il governo Minghetti, alla proposta di nazionalizzazione del sistema ferroviario, venne messo in minoranza, così Minghetti, nonostante avesse pareggiato il bilancio dello Stato, fu costretto a rassegnare le dimissioni. Sinistra al Governo -Caduta la destra, salì al governo Agostino Depretis, che indicò subito i suoi punti fermi e obiettivi principali: ampliamento del diritto di voto, decentramento dell'amministrazione, riforma dell'amministrazione e esigenza di abolire la tassa sul macinato. La sinistra era composta da mazziniani, riformisti, ex-repubblicani e tutte le persone che, pur appartenendo alla stessa classe sociale della destra, erano favorevoli alle riforme. Il Parlamento era composto dalla sinistra di Depretis, un'estrema destra conservatrice e un'estrema sinistra, costituita da repubblicani. La prima riforma di Depretis fu la legge Coppino, che stabilì l'obbligatorietà fino alla terza elementare e che le spese per ogni scuola fossero a carico del Comune. Nel 1882 venne varata la riforma elettorale, che dava il diritto di voto ai cittadini maschi, che avessero 21 anni di età, che sapessero leggere e scrivere e che avessero un certo reddito. Questa riforma permise ad Andrea Costa, prima anarchico, poi socialista, di essere eletto. L'elezione di Andrea Costa intimorì soprattutto Depretis, il quale, preoccupato dall'allargamento del suffragio, favorì quel processo di convergenza fra le forze moderate e che prese il nome di trasformismo. Questa prassi parlamentare consisteva nell'assicurare al governo la maggioranza in Parlamento sia attraverso accordi con l'opposizione, che così perdeva di iniziativa, sia mediante favoritismi, corruzione, clientelismo. A differenza del Connubio tra Cavour e Rattazzi, che era in funzione di una politica progressista, l'alleanza di Depretis e Minghetti fu conservatrice e antiprogressista. I governi della Sinistra, contrariamente all'operato della Destra, favorirono il decollo dell'industria, sia perché emerse la povertà dell'agricoltura sia perché non c'erano capitali da investire nell'agricoltura e quindi fu necessario il finanziamento dello Stato. Inoltre il processo di industrializzazione fu possibile grazie alle coperte scientifiche e all'uso di energia idroelettrica. Il decollo dell'industria poteva avvenire solo proteggendo l'industria nazionale e doveva essere protetta dalla concorrenza straniera. Perciò fu abbandonata la politica del libero scambio e fu avviato il passaggio al protezionismo, che però danneggiò l'agricoltura meridionale, che aveva forti contatti con la Francia (esportazione agrumi). Con Depretis al Governo venne protetta soprattutto l'industria siderurgica e metallurgica e favorito lo sviluppo nell'area industriale compresa tra Torino, Genova e Milano. La politica estera di Depretis rappresentò l'avvicinamento dell'Italia alle principali potenze centrali europee e nel 1882 sottoscrisse la Triplice Alleanza con la Germania e l'Austria-Ungheria. La politica protezionistica suscitò inoltre l'iniziativa coloniale. Il punto di partenza fu costituito, nel 1882 dall'acquisto della baia di Assab sulle coste meridionali del Mar Rosso. Nel 1885 il Governo decise l'occupazione militare della città portuale di Massaua, ma gli Italiani dovettero scontrarsi contro l'unico Stato esistente in Africa: l'Impero Etiopico. Infine nel 1887 vi fu lo scontro militare di Dogali tra le truppe italiane e quelle abissine del regno di Etiopia, che si risolse in una grave sconfitta per l'Italia e comportò l'arresto momentaneo dell'espansione italiana in Africa e la caduta del Governo Depretis. A Depretis successe Francesco Crispi, uomo forte, gradito alla corte, già mazziniano e garibaldino, che si era convertito poi all'ideale monarchico. Egli riteneva che lo Stato dovesse controllare con autorità tutti i settori della vita pubblica, economica e civile, perciò la sua politica fu accentratrice e autoritaria. Nel 1891 Crispi lasciò il Governo e fu sostituito prima da Di Rudinì e poi da Giovanni Giolitti. Quest'ultimo dovette affrontare una serie di agitazioni, soprattutto in Sicilia, in cui le condizioni di vita erano andate peggiorando. Organizzati nei 'Fasci dei lavoratori', contadini e operai diedero vita nel 1893 a tumulti e invasioni di terre a cui si aggiunsero analoghi moti di protesta in Lunigiana. Di fronte a questi fatti Giolitti decise di non intervenire con la forza pubblica, sperando che proprietari terrieri e padroni delle miniere facessero concessioni a contadini e operai. Questa scelta fu però interpretata come una pericolosa debolezza da parte della opinione pubblica borghese e scatenò il risentimento dei padroni terrieri. Per questo motivo, approfittando dello scandalo della Banca di Roma, in cui sembrava coinvolto anche Giolitti, al Governo fu richiamato Crispi, che subito stroncò con violenza i moti usando l'intervento armato. In politica continua la linea del Depretis e così riconfermò la Triplice Alleanza del 1887 con l'aggiunta di due clausole. Inoltre cercò di risolvere la crisi aperta dopo l'eccidio di Dogali intervenendo nella lotta tra i vari ras in Etiopia; per tale appoggio si avviò il trattato di Uccialli, redatto in italiano dove si parlava di protettorato dell'Italia sull'Etiopia e nella lingua locale, dove si parlava solamente di amicizia. Proprio questa divergenza di interpretazione portò nel 1895 allo scontro militare tra gli Italiani e gli Etiopici. L'anno seguente vi fu la battaglia di Adua, in cui l'esercito italiano venne duramente sconfitto. Il disastro di Adua dimostrò ancora una volta come fosse difficile e rischioso per un paese debole come l'Italia l'avventura coloniale e costrinse Crispi alle dimissioni. Si aprì un periodo estremamente travagliato e conflittuale, che mise a rischio la stessa sopravvivenza dello Stato liberale risorgimentale. Gli anni più difficili furono quelli tra il 1898 e il 1900, cioè tra le proteste e dimostrazioni popolari a Milano e l'assassinio del re Umberto I. Dopo gli avvenimenti di Milano, la destra conservatrice tentò di promuovere in Parlamento una svolta istituzionale in senso autoritario; il liberale conservatore Sidney Sonnino avanzò la tesi che si dovesse rafforzare il potere del Re a svantaggio del potere del Parlamento, tornando all'interpretazione letterale dello Statuto. Lo scontro parlamentare tra Governo e opposizione divenne decisivo quando il primo ministro, il generale Luigi Pelloux, presentò una serie di provvedimenti limitativi delle libertà fondamentali (di stampa, associazione e di sciopero). L'opposizione di estrema sinistra, per impedirne l'approvazione, mise in atto l'ostruzionismo (una serie di tecniche e di espedienti per prolungare le discussioni in Parlamento), riuscendo così a bloccare per quasi un anno i progetti di Pelloux. Incapace di sostenere l'ostruzionismo e indebolito dalla forte opposizione dei gruppi liberali progressisti, Pelloux decise infine di sciogliere la Camera sperando in un risultato elettorale, che appoggiasse la sua politica. Però nelle elezioni del 1900 lo schieramento governativo perse parecchi seggi e il Presidente del Consiglio, pur potendo ancora contare su una esigua maggioranza, preferì a questo punto dimettersi, lasciando il suo incarico al senatore Giuseppe Saracco, che rimase al Governo fino al 1901. In quest'anno il Re decise di chiamare alla guida del Governo il leader della sinistra liberale Zanardelli, che affidò il ministero degli interni a Giovanni Giolitti. Il Governo Zanardelli-Giolitti (1901-1903) fu caratterizzato da importanti riforme sociali e dalla neutralità del Governo nel campo dei conflitti di lavoro. Quest'ultimo fatto favorì lo sviluppo delle organizzazioni sindacali, che a sua volta fu accompagnato da un brusco aumento degli scioperi (con la conseguenza di un notevole incremento dei salari operai e agricoli). Con Giovanni Giolitti si ebbe un periodo di progresso economico-industriale; con lui al governo lo Stato liberale si aprì alle istanze sociali e conobbe una fase di significativo progresso nell'economia e nello sviluppo civile e intellettuale, con l'analfabetismo che in breve scese dal 50 al 38 per cento. Il progetto di Giolitti era che nella società e nel Parlamento si realizzasse una larga collaborazione fra ceti operai e contadini, rappresentati dal partito socialista, e la borghesia imprenditoriale, facente capo alle forze liberali. Infatti l'età giolittiana fu caratterizzata per un verso da un forte impulso all'iniziativa privata e per l'altro dalla nazionalizzazione delle ferrovie, da leggi in difesa del lavoro e dall'introduzione del suffragio universale maschile. La politica di Giolitti mirò anche a ridurre il debito dello Stato; il bilancio dello Stato non solo conservò il pareggio, ma ebbe per molti anni un forte fondo attivo, così che la lira italiana acquistò sul mercato internazionale un forte prestigio. La legislazione in favore dei lavoratori fu sostanzialmente migliorata, con il riconoscimento di alcuni diritti di categoria e con l'imposizione di particolari obblighi alla classe padronale (invalidità, vecchiaia, riposo festivo.). Intanto nel 1906 si era costituita la Confederazione generale del lavoro e, quasi contemporaneamente, la Confederazione dell'industria, organi supremi dell'organizzazione operaia e industriale. Inoltre Giolitti riuscì a rendere partecipi alla vita sociale e politica le forze socialiste e cattoliche: i primi deputati cattolici erano entrati in parlamento nel 1904, dopo che Pio X aveva revocato la proibizione di partecipare alle elezioni politiche, espressa da Pio IX nel 1874. Tuttavia permanevano in tutto il paese molte correnti di opposizione, le quali soprattutto rimproveravano al ministro Giolitti di continuare il cosiddetto ' gioco trasformistico', addomesticando i deputati a lui contrari con concessioni e favoritismi, e di corrompere o intimorire gli elettori, specialmente nel sud affinché eleggessero amici e sostenitori a lui legati. Le principali correnti di opposizione erano la destra conservatrice, la frazione rivoluzionaria e integralista del partito socialista e il movimento nazionalista. In campo internazionale la Triplice Alleanza metteva l'Italia alla mercè degli Imperi centrali, per niente favorevoli né a rafforzamenti né a conquiste coloniali italiane, per le quali era indispensabile l'appoggio della Francia e della Gran Bretagna. A partire dal 1896 si cercò quindi un riavvicinamento a queste due nazioni, che avevano buoni motivi per temere le mire austro-tedesche e, pur mantenendo in vita la Triplice Intesa si giunse a vari accordi, che prevedevano la possibilità di un intervento italiano in Tripolitania e in Cirenaica. La questione irredentista e la questione coloniale ritornavano in primo piano proprio in quegli anni in cui Francia, Gran Bretagna e Germania occupavano buona parte dell'Africa e molte zone dell'Asia, l'Austria si era annessa la Bosnia-Erzegovina e la Russia mirava ai Balcani. Perciò nel 1911 Giolitti, per non rimanere accerchiato dalle altre potenze nel Mediterraneo, decise di conquistare la Libia, dopo essersi alleato con la Francia. Respinto dalla Turchia l'ultimatum italiano che chiedeva il consenso all'occupazione di Tripoli, le forze armate italiane attaccarono Tripoli e Bengasi, mentre il governo annunciava ufficialmente l'annessione della Libia al regno. Con la pace di Losanna, firmata dall'impero turco nel 1912, si riconobbe all'Italia il definitivo possesso della Libia. La conquista della Libia rappresentò una concessione alle correnti nazionalistiche e militaristiche ma inasprì l'opposizione di sinistra, rinvigorendo l'ala di sinistra più intransigente. La potenza politica e militare dell'Italia giolittiana poggiava soprattutto su una solida potenza economica: infatti l'agricoltura aveva quasi raddoppiato le sue produzioni in un decennio, grazie al miglioramento dei sistemi delle colture tradizionali e all'introduzione di nuovi metodi, l'industria era in ascesa, soprattutto grazie allo sfruttamento dell'energia idroelettrica e il commercio interno ed esterno era molto attivo. Lo sviluppo industriale, se non ridusse il divario con i paesi più ricchi, provocò però un aumento del reddito e un miglioramento del tenore di vita. Parallelamente cresceva il fenomeno dell'emigrazione, conseguenza di una sovrabbondanza della popolazione rispetto alle capacità produttive dell'agricoltura, che nel mezzogiorno restava arretrata. Nel 1913 si svolsero le prime elezioni a suffragio universale. Sapendo di non contare su nessuna delle frazioni socialiste, pacifiste e internazionaliste, irritate dalla guerra di Libia, e temendo una grossa affermazione delle sinistre, Giolitti cercò allora l'alleanza delle correnti cattoliche, che si erano bene organizzate a partire dagli ultimi due decenni del secolo precedente e avevano costituito tra i lavoratori le cosiddette 'leghe bianche'. L'intesa culminò col Patto Gentiloni grazie al quale i cattolici deputati ottennero un rilevante successo elettorale, sicché la loro presenza in Parlamento trasformò profondamente il carattere della maggioranza e pose definitivamente in crisi il sistema giolittiano. Giolitti, ritenendo opportuno di ritornare al governo in un momento più favorevole, diede le dimissioni e propose come suo successore il liberale conservatore Antonio Salamandra. I mutamenti in atto nel sistema politico italiano alla vigilia della grande guerra, ossia lo sviluppo del nazionalismo, l'accresciuto peso dei cattolici e la prevalenza dei rivoluzionari all'interno del partito socialista, segnavano la crisi progressiva della politica giolittiana, sempre meno in grado di controllare la trasformazione radicale e politica che si stava verificando. Un sintomo evidente del nuovo clima fu la cosiddetta settimana rossa del giugno del 1914 durante la quale la morte di tre dimostranti durante una manifestazione antimilitaristica ad Ancona provocò un'ondata di scioperi ed agitazioni in tutto il paese e la protesta guidata da anarchici, repubblicani e dai socialisti rivoluzionari, in particolare dall''Avanti!' di Mussolini, si tramutò in assalti a edifici pubblici, atti di sabotaggio e alcune catture di ufficiali dell'esercito. L'agitazione si esaurì in pochi giorni e gli echi della settimana rossa non si erano ancora spenti, quando lo scoppio del conflitto mondiale distolse l'opinione pubblica dai problemi interni e determinò nuovi schieramenti fra le forze politiche italiane oltre che a rendere irreversibile la crisi del giolittismo.
Prima guerra mondiale - Cause: le sue cause furono molteplici, legate soprattutto a forti tensioni latenti in Europa sia fra gli Stati che all'interno di essi. La Francia dopo il 1870 aspirava ad una rivincita nei confronti della Germania e voleva riconquistare l'Alsazia e la Lorena. La Germania da parte sua cercava alleanze con l'Austria e la Russia, che però non potevano trovarsi d'accordo. Infatti entrambe queste potenze, escluse dalla corsa alle colonie, rivolgevano le loro mire ai territori dell'Impero turco ormai in disfacimento: l'Austria puntava ad impadronirsi della penisola Balcanica, la Russia voleva uno sbocco sul Mediterraneo attraverso l'unificazione dei territori slavi. Per questi motivi la Germania scelse l'Austria come alleata, formando con essa il blocco degli imperi centrali, al quale nel 1882 si unì anche l'Italia con il Trattato della Triplice Alleanza. L'Italia fu spinta a questa alleanza in funzione anti-francese, ma essa si presentava precaria in quanto il nostro paese continuava a rivendicare i territori ancora sottomessi all'Impero Austriaco. Ad aumentare la tensione internazionale, la Germania, forte del suo prodigioso sviluppo industriale, premeva per affermare il ruolo di potenza mondiale anche in campo coloniale. Ciò la metteva in contrasto con la Francia e l'Inghilterra, padrone dei mercati dell'Asia, dell'Africa e dell'America. Di fronte alla minaccia tedesca, questi due Stati, messi da parte i loro contrasti, strinsero insieme alla Russia nel 1904 la Triplice Intesa. In tal modo la Germania si trovò accerchiata in Europa e senza possibilità d'accesso alle colonie. Inoltre il gruppo dirigente tedesco, formato da grandi industriali, dagli junkers e dallo stato maggiore dell'esercito, spingeva l'imperatore Guglielmo II verso la guerra, avviando un grande programma d'armamento (Weltpolitik). L'industria dell'acciaio e quella bellica ne ricavarono enormi profitti e l'economia tedesca si rafforzò ulteriormente. L'Austria pressata dalle spinte autonomistiche e nazionalistiche slave, italiane e cecoslovacche, vide nella guerra l'occasione per rinsaldare la sua compattezza territoriale e seguì la Germania nella corsa agli armamenti. Intanto nei paesi europei si acuivano i conflitti sociali e la propaganda bellica cercava di convincere le masse popolari che il loro nemico non era il capitalismo ma le potenze straniere e che i loro problemi sarebbero stati risolti da un conflitto vittorioso. Fatti: l'annessione della Bosnia e dell'Erzegovina da parte dell'Austria, che fu poco più di un atto formale, causò le manifestazioni dell'irredentismo serbo, per cui si moltiplicò l'attività delle organizzazioni nazionalistiche protette dal governo di Belgrado e dalla corte di Pietroburgo. Il 28 giugno 1914 a Sarajevo, capitale della Bosnia, vennero assassinati Francesco Ferdinando d'Asburgo, erede al trono d'Austria, e la sua moglie. Il 23 luglio l'Austria appoggiata dalla Germania lanciò un ultimatum alla Serbia per potere liquidare la Serbia e ristabilire il prestigio asburgico nei Balcani senza il ricorso ad un conflitto. La Russia che proteggeva la Serbia mobilitò il suo esercito provocando la reazione della Germania, alleata dell'Austria. Il 3 agosto la Germania dichiarò guerra alla Russia e alla Francia sua alleata. Il 5 giugno dopo che le truppe tedesche invasero il Belgio e il Lussemburgo dichiaratisi neutrali, anche la Gran Bretagna scese in campo contro gli imperi centrali. Seguì a breve distanza la dichiarazione di guerra alla Germania da parte del Giappone, il quale si limitò ad operare esclusivamente in Asia attaccando i possedimenti tedeschi nel Pacifico senza intervenire apertamente a fianco dell'Intesa. Neutralità dell'Italia: alla fine di agosto la guerra che l'Austria aveva ingenuamente pensato di contenere nell'ambito balcanico aveva già assunto una portata mondiale. In particolare la portata e l'andamento del conflitto influivano pesantemente sulla posizione internazionale italiana, già difficile negli ultimi tempi in quanto diversi motivi d'attrito minavano la Triplice Alleanza e allo stesso tempo impedivano una più sincera amicizia con l'Intesa anglo-franco-russa. Il 2 agosto l'Italia, pur legata alla Triplice, dichiarò la propria neutralità per essere stata tenuta all'oscuro delle decisioni di guerra prese a Vienna e a Berlino. Il paese si divise: da un lato gli interventisti, dall'altro i neutralisti. Tra i primi troviamo i nazionalisti, sostenitori della guerra e pronti a combattere a lato degli imperi centrali per strappare alla Francia Nizza, la Corsica e la Tunisia; i liberali conservatori desiderosi di un'affermazione economica e militare della nazione; i radicali repubblicani e gli irredentisti, mossi dagli antichi ideali risorgimentali e mazziniani; i socialisti riformisti e i sindacalisti rivoluzionari, auspicanti il trionfo della democrazia e della libertà. Neutraliste erano invece le grandi masse operaie e quelle contadine rappresentate dai socialisti e dai cattolici. Infatti papa Benedetto XV aveva condannato la guerra e assunto una posizione di stretta imparzialità nei riguardi delle potenze contendenti. Anch'essa su posizioni neutralistiche era la maggioranza parlamentare giolittiana, convinta che la neutralità, oltre a preservare il paese e le sue istituzioni da gravi rischi, avrebbe permesso ai nostri ceti imprenditoriali di realizzare grossi guadagni attraverso le forniture concesse ai due blocchi contrapposti. Questo contrasto di opinioni gettava discredito sul Parlamento accusato di cecità politica e inefficienza e impressionava negativamente la popolazione, già disorientata dal silenzio e dalla presunta inattività del Governo. Il governo, invece, ormai propenso all'intervento sotto la spinta del Re e nel timore che l'Italia non potesse far valere le sue ragioni al momento della pace, intensificava le trattative con le due parti e svanita la possibilità nei primi mesi del '15 di un accordo con gli imperi centrali il governo italiano alla fine firmò a Londra il 26 aprile un patto segreto con il gruppo dell'Intesa. Tale patto impegnò il governo italiano ad entrare in guerra contro l'Austria e la Germania entro un mese dalla conclusione dell'accordo. I termini del patto rimasti segreti fino al 1917 si presentavano vantaggiosi per l'Italia : assegnazione del Trentino, dell'Alto Adige, Trieste, Istria e Dalmazia settentrionale. Si giunse alla denunzia della Triplice che avviò l'allineamento dell'Italia con l'Intesa. A favore della guerra si susseguirono nel paese dimostrazioni di piazza degli Interventisti, spesso degenerate in aggressioni squadristiche. La tesi giolittiana del parecchio, che si sarebbe potuto ottenere dall'Austria in cambio della neutralità, aveva il torto di presentarsi all'opinione pubblica con gli aspetti del patteggiamento utilitaristico. Di fronte all'atteggiamento della maggioranza parlamentare ancora d'accordo con Giolitti sulla neutralità, il ministro Salandra si dimise, ma poiché nessuno nemmeno Giolitti osò accollarsi la responsabilità di sconfessare gli impegni assunti dal Governo e dal Re nel Patto di Londra, Vittorio Emanuele III respinse le dimissioni del Primo Ministro e tutto il Parlamento, ad eccezione dei socialisti, votò i pieni poteri al governo Salandra in caso di guerra.
L'invasione del Belgio dell'agosto 1914 avrebbe dovuto piegare la Francia ; in realtà l'esercito francese fu sconfitto in una serie di scontri ma poté sfuggire all'accerchiamento e con la battaglia della Marna arrestò gli invasori. Alla guerra di movimento succedé la guerra di posizione. Fu una guerra di logoramento che sarebbe stata vinta da chi fosse riuscito a resistere alle perdite di uomini e mezzi e a produrre le quantità necessarie di materiale bellico. Sul fronte orientale, i tedeschi inflissero due gravi sconfitte ai russi sul confine polacco, ma più a sud l'armate dello zar batterono gli austriaci, facendoli ritirare dalla Galizia, ed occuparono Leopoli. Quindi risultò assai vantaggioso per gli imperi centrali l'intervento della Turchia a loro fianco. Per resistere al blocco inglese, data l'inferiorità della loro flotta di superficie, i Tedeschi non esitarono alla guerra sottomarina indiscriminata. Furono protagonisti di continui e insidiosi attacchi; nel maggio 1915 l'affondamento di un transatlantico (il Lusitania) trasportante passeggeri inglesi e neutrali americani, sollevò lo sdegno dell'opinione mondiale, soprattutto statunitensi. L'esercito italiano comandato da Luigi Cadorna benché superiore di numero alle forze austriache si trovava in gravi condizioni di inferiorità per quanto riguarda l'armamento e la preparazione tecnica. Modesti progressi sul fronte dell'Isonzo poterono essere raggiunti soltanto dopo offensive estremamente sanguinose sulle terribili pietraie del Carso. Un tentativo alleato di forzare lo stretto dei Dardanelli per ristabilire un collegamento con la Russia fallì con perdite gravissime. Un'offensiva tedesca del generale Hindenburg sfondò il fronte russo ed invase l'intera Polonia. La Bulgaria per vendicarsi della sconfitta del '13, intervenne a fianco della Germania e dell'Austria. La Serbia, attaccata contemporaneamente da tre parti crollò e solo i resti del suo esercito raggiunsero le coste dell'Albania e grazie alle navi italiane riuscirono a portarsi in salvo Corfù. Il disaccordo fra il comandante austriaco e quello tedesco portò a due separate offensive: un'offensiva tedesca in Francia attorno a Verdun, contenuta dopo alcuni mesi di combattimento ; un'offensiva austriaca sugli altipiani in direzione di Vicenza che fallì ugualmente davanti alla resistenza degli italiani. In risposta il generale Cadorna scatenò una potente controffensiva che consentì agli Italiani la definitiva espugnazione del monte S.Michele, Sabotino e si concluse con la liberazione di Gorizia. In sede politica vi furono recriminazione e accuse contro il governo italiano. Attaccato da tutti i settori della Camera , Salandra dovette dimettersi. Al suo posto fu chiamato Boselli, un vecchio parlamentare al di sopra delle parti. L'Italia rafforzò inoltre la sua coesione con gli alleati dichiarando guerra alla Germania. Germania ed Austria in complesso conservavano la superiorità militare iniziale. D'altra parte era chiaro ormai che la guerra sarebbe stata decisa non tanto dalle armi quanto da un lungo logoramento, che rischiava di rivolgersi contro gli Imperi centrali. Si cominciò pertanto a favorire dei tentativi per giungere ad una pace di compromesso. Già nel settembre del 1915 si era tenuta a Zimmerwald per iniziativa del Partito Socialista italiano una conferenza internazionale alla quale parteciparono socialisti di tutta Europa. La conferenza si era conclusa con un manifesto in cui i socialisti e i proletari d'Europa si a lottare per far cessare la guerra per una pace "senza annessioni e senza indennità". Erano presenti anche i rappresentanti del Partito Socialdemocratico russo i quali, rappresentati da Lenin, si batterono perché la guerra imperialistica si trasformasse in ogni paese in guerra civile per la vittoria del socialismo. Tale tesi fu riproposta nella successiva conferenza internazionale dei socialisti, che si tenne a Kienthal nell'aprile 1916 dalla quale uscì l'appello alla lotta e all'abbattimento del potere borghese in tutti gli Stati in guerra. Sforzi di mediazione furono compiuti altresì dal presidente degli USA Wilson e dal pontefice Benedetto XV mosso, oltre che da ragioni umanitarie, dal timore che precipitasse il più antico impero cattolico d'Europa, quello d'Asburgo. Tuttavia questi tentativi fallirono e prevalse la convinzione di continuare la guerra. L'inasprimento della guerra sottomarina da parte del comando tedesco indusse gli USA a schierarsi contro gli Imperi centrali il 6 aprile 1917. Gli USA entrano in guerra anche per altri fattori :troppe forniture e prestiti erano stati elargiti ai paesi dell'Intesa e perciò industriali e finanzieri americani si trovarono ormai cointeressati alle sue sorti ;la convinzione che nel conflitto mondiale fossero in gioco i destini stessi della democrazia ;i vincoli tradizionali di ogni sorta fra americani inglesi. Gli USA perciò mettevano a disposizione dell'Intesa la gigantesca potenza industriale del loro paese, quantità illimitate di viveri e fortissimi contributi finanziari e di conseguenza rappresentò un duro colpo per gli Imperi Centrali.
Ripercussioni economico-sociali della guerra : La guerra mondiale produceva intanto enormi ripercussioni, sia nel campo economico, sia nel campo politico-sociale, all'interno di ogni paese in guerra. Ogni governo era costretto a porre sotto controllo l'intera vita economica del suo paese, avviare al fronte milioni di soldati, assicurare la mano d'opera necessaria alle industrie, all'agricoltura e ai trasporti navali. Ogni governo si assumeva su di sé compiti mai prospettati, se non nelle esposizioni teoriche socialiste :la vecchia struttura liberale dell'economia europea usciva frantumata dalla guerra. Le stesse libertà civili e politiche, comprese le libertà di stampa e di parola, subivano grandi diminuzioni o venivano sospese, per le esigenze della guerra e della sicurezza militare. Viceversa si manifestò l'esaltazione del nazionalismo più intemperante e della forza delle armi. Cresceva il peso della grande industria meccanica e siderurgica, accentuandone i legami con la politica. Da una parte, i grandi industriali potevano identificare la loro causa con quella dello Stato e della patria. Dall'altra, le masse operaie aumentavano di numero e di potenza, ben coscienti che i loro scioperi avevano ormai un peso politico maggiore che nel passato. Milioni di contadini erano strappati ai loro villaggi, gettati in guerra e costretti a farsi una coscienza politica, sia pure elementare. Si creavano così le premesse della rivoluzione sociale da una parte e di violente forme di reazione nazionalistiche dall'altra.
La Rivoluzione Russa :gravissima si fece la situazione interna della Russia: la guerra costava al paese sacrifici spaventosi, la fame incombeva, aggravata dal disordine e la corruzione dell'amministrazione imperiale. La fame causò infine degli scioperi nel marzo 1917 (febbraio secondo il calendario russo), che si trasformarono in una insurrezione. La Rivoluzione di febbraio costrinse lo zar Nicola II ad abdicare e portò all'avvento di un governo liberale, in attesa di una Assemblea Costituente. Tutti i partiti russi, dai liberali ai democratici ed i socialisti, eccetto i soli bolscevichi, volevano continuare a combattere con l'Intesa, considerando la guerra come una lotta per la democrazia contro il militarismo tedesco. I contadini credevano giunto il momento di appropriarsi delle terre ;i soldati disertavano o fraternizzavano con i tedeschi. Ovunque sorgevano i consigli o Sovjet degli operai, dei contadini e dei soldati, ossia governi popolari diretti, eliminando l'impalcatura dello Stato, che il popolo russo considerava come nemico, dopo secoli di oppressione. Il governo provvisorio, tuttavia, non corrispondere alle attese del popolo russo (mettere fine alla guerra e avviare la riforma agraria) e i contadini non intendevano attendere una riforma da effettuare attraverso i tempi lunghi e le formalità della burocrazia. La situazione si aggravò ulteriormente, mentre spuntavano bande di contro-rivoluzionari, capeggiate da ufficiali zaristi. La rivoluzione di febbraio fu perciò seguita a breve distanza dalla rivoluzione di Ottobre. Il governo rivoluzionario uscito dalla rivoluzione, dominato da Lenin e da Trotzski, si intitolò Consiglio dei commissari del popolo. I contadini furono autorizzati a spartirsi le terre mediante i sovjet di villaggio ;gli operai assunsero il controllo delle industrie, mediante i sovjet di fabbrica. Furono inoltre avviate trattative immediate di pace con la Germania e l'Austria. Si giunse così al Trattato di Brest-Litovsk (10 febbraio 1918), con il quale una immensa porzione dell'antico impero russo, dal Baltico all'Ucrania, cadeva nelle mani dei tedeschi. L'abbandono della guerra da parte della Russia rappresentò un duro colpo per l'Intesa e gli effetti delle rivoluzioni di febbraio e ottobre furono moti di rivolta operaia a Torino, ammutinamenti di truppe in Francia, scioperi a Berlino e in altre città tedesche nei primi mesi del 1918.infine, nell'autunno 1917, gli austro-tedeschi poterono trasferire dalla Russia ingenti forze sul fronte italiano e sfondarlo a Caporetto (24 ottobre 1917), dilagando nel Veneto. Si impose così una dolorosa ritirata, in cui l'Italia perse circa 400.000 uomini e dovette abbandonare alcune province all'invasione. La crisi fu però superata con uno slancio patriottico. Si rinsaldò il ministero di unione nazionale sotto la presidenza di Vittorio Emanuele Orlando ;il comando militare passò al generale Armando Diaz. Una nuova linea difensiva fu apprestata lungo il corso del Piave e sul Monte Grappa e riuscì contenere il nemico dopo furiosi combattimenti nel novembre 1917. Dopo il crollo della Russia ed il successo di Caporetto, Germania e Austria tentarono di giungere alla vittoria :nuove offensive germaniche sfondarono gli schieramenti inglesi e francesi. Il 24 ottobre 1918 il generale Diaz diede inizio ad una controffensiva che sfondò a Vittorio Veneto le linee avversarie, costringendo gli Austriaci a ritirarsi. Insieme alla ritirata dell'esercito si ebbe in Austria il cedimento del fronte interno, il distacco degli Ungheresi, dei Boemi, degli Slavi del Sud e la fuga dell'imperatore Carlo. In Germania Guglielmo II rifiutò di abdicare, ma l'ammutinamento della flotta a Kiel e la rivolta della popolazione a Berlino lo costrinsero a rifugiarsi in Olanda. L'11 novembre una delegazione tedesca firmava la capitolazione nell'armistizio di Rethondes che terminava definitivamente lo spaventoso conflitto. Il 18 gennaio 1919 si apriva a Parigi la conferenza per la pace nella quale i rappresentanti degli stati vincitori si apprestavano a dare all'Europa un nuovo assetto politico e territoriale. Questo compito era reso più difficile dalla presenza di differenti concezioni politiche tra i vincitori stessi. Da una parte, stavano i sostenitori di un punto di vista nazionalistico, che tenesse conto esclusivamente degli interessi di potenza degli stati vincitori. Dall'altra stavano i fautori di un punto di vista democratico, tenesse conto principalmente di quei fattori morali, che avevano fatto apparire la lotta contro Austria e Germania come la lotta contro l'autoritarismo reazionario e il militarismo, in nome del progresso democratico e della libertà dei popoli. In questo senso democratico era orientato decisamente il presidente Wilson, che già nel gennaio 1918 aveva enunciato i famosi 14 punti per la ricostruzione pacifica del mondo. Tra questi figuravano il principio che ciascun popolo dovesse essere lasciato libero di decidere del proprio destino, la soppressione delle barriere commerciali, la libertà dei mari, la abolizione della diplomazia segreta, la riduzione degli armamenti e la creazione di una Società delle Nazioni, garante della pacifica convivenza dei popoli. La Francia era rappresentata da Clemenceau, cui stava a cuore soprattutto di garantire al suo popolo la sicurezza da nuove aggressioni ; l'Inghilterra, rappresentata da Lloyd George, era preoccupata in primo luogo dei propri interessi marittimi, imperiali e coloniali ; l'Italia era rappresentata dal presidente del consiglio Vittorio Emanuele Orlando e dal ministro degli esteri Sonnino, cui più di ogni altra cosa premeva di esigere l'attuazione delle clausole del patto di Londra. Wilson ebbe però scarso appoggio dal suo stesso paese, in cui le sue concezioni trovavano forte opposizione, specie nei repubblicani, inclini ad una politica di isolazionismo, cioè disinteressarsi dell'Europa abbandonandola alla sua sorte. La scarsa duttilità del Sonnino, aggrappato alle clausole del patto di Londra, aggravò lo scontro fra le delegazioni. L'Italia si trovò così isolata ed in attrito sia con il presidente americano sia con gli anglo-francesi. Né migliorò le cose il fatto che la delegazione italiana dichiarasse per protesta di ritirarsi dalla conferenza della pace (aprile 1919). Tale gesto infatti restò del tutto sterile di risultati pratici. Trattato di Versailles: si procedette così alla firma del trattato di Versailles (16 giugno 1919) tra la Germania e le potenze dell'intesa. La Germania dovette restituire l'Alsazia e la Lorena alla Francia e dovette rinunciare ai territori polacchi dell'Est, i quali furono riuniti ad altri territori dell'Austria e della Russia per formare di nuovo una repubblica di Polonia. L'Italia, che si era assentata proprio allora dalla conferenza, restò esclusa dalla spartizione. Trattato di Saint-Germain : per il tale trattato nacquero, sulle rovine dell'impero asburgico tre nuovi Stati nazionali : Cecoslovacchia, Polonia e Iugoslavia ; mentre l'Albania fu riconosciuta indipendente. All'Italia furono ceduti il Trentino, l'Alto Adige fino al Brennero, Trieste e parte dell'Istria. Per il Trattato del Trianon, l'Ungheria, considerata anch'essa responsabile di aver scatenato la guerra, fu riconosciuta indipendente, ma gran parte del suo territorio f u attribuito a Cecoslovacchia, Iugoslavia e Romania. Per il Trattato di Neuilly, la Bulgaria fu costretta a cedere la Macedonia , a vantaggio della Grecia e della Iugoslavia. Infine con il Trattato di Sevres la Turchia fu ridotta entro i limiti dell'Anatolia, all'Italia restarono Rodi ed il Dodecanneso, gli Stretti caddero di fatto sotto il controllo britannico. La grande guerra segnò perciò la fine di 4 imperi :quello degli zar, quello degli Asburgo, quello degli Hohenzollern e quello degli Ottomani. Nell'entusiasmo della vittoria le democrazie occidentali non avvertirono che per l'Europa si apriva un periodo di inarrestabile declino, che l'asse della politica mondiale si stava spostando verso gli USA e verso il Pacifico dove si era fatto innanzi un nuovo astro di prima grandezza , il Giappone. Conseguenza della guerra e della rivoluzione iniziata in Russia nell'ottobre 1917 fu ,insieme al delinearsi di una prospettiva storica per la costruzione del socialismo, il prorompersi del movimento di liberazione dei popoli coloniali :Lenin aveva detto al congresso della Terza Internazionale nel luglio 1920 che la guerra imperialistica aveva aiutato la rivoluzione e aveva fatto entrare i popoli soggetti nella storia del mondo. Dalla conferenza della pace uscì il 28 aprile 1919 la Società delle Nazioni ,un grande organismo internazionale, a cui si volle affidare secondo le idee di Wilson il compito di regolare pacificamente le controversie internazionali. Le nazioni aderenti alla Società (dalla quale restarono esclusi oltre alla Russia sovietica, la Germania e, per volontà dell'isolazionismo americano, gli stessi USA) rinunciavano con questo all'uso della guerra nei propri rapporti reciproci, adottavano il principio di rapporti internazionali basati sulla giustizia e sull'onore, si impegnavano al rispetto dei trattati. Tuttavia la Società, essendo incapace di prendere decisioni efficaci, non riuscì a svolgere un'azione efficace, trasformandosi di fatto in uno strumento politico nelle mani della Francia e dell'Inghilterra e delle loro posizioni di potere e di privilegio. Essa si ridusse ad essere un semplice schermo della politica inglese. La democrazia pensata da Wilson era destinata a infrangersi contro la nuova realtà della guerre indette dagli Stati per prevenire il trionfo della rivoluzione sociale ed era destinata a rimanere subalterna alla politica estera pensata per mantenere il predominio dell'Occidente industrializzato sui popoli di colore e sulle nazioni del Terzo Mondo.
Economia europea del primo dopoguerra: Nel primo dopo guerra l'occidente europeo, stremato dallo sforzo economico e dalle distruzioni della grande guerra subì un processo di grave recessione e i vari stati abbandonarono il sistema del libero scambio , chiudendosi in una politica protezionistica. Ne approfittarono gli Stati Uniti e il Giappone, che presero il posto dei paesi europei nel controllo dei mercati. Con la pace di Versailles erano stati creati nuovi stati nazionali, detti stati cuscinetto perché non avevano alcuna possibilità di autonoma vita economica, tra cui la Polonia la Cecoslovacchia, Austria, Ungheria e Iugoslavia, con lo scopo di punire la Germania e di isolare la Russia sovietica. Questa frantumazione del continente europeo rese più difficile per l'Europa la ripresa della produzione economica e l'instaurazione di rapporti pacifici. Per far fronte all'aumento della disoccupazione, al problema del reinserimento dei reduci nel lavoro, all'ascesa dei prezzi, i governi dovettero mantenere le strutture centralizzate createsi in guerra. Si consolidava in tal modo la tendenza dello stato a intervenire in materie che, prima della guerra, erano gestite dalla libera iniziativa dei cittadini. Tra i principali problemi che incombevano sulle nazioni europee c'erano tra tutti quelli finanziari. Per sanare i bilanci si dovette aumentare il prelievo fiscale, si fece ricorso a pubbliche sottoscrizioni e non si poté fare a meno di stampare carta moneta senza tenere conto delle riserve auree. Trasformazioni sociali: In quegli anni il volto dell'Europa continuava a trasformarsi, infatti le necessità della produzione industriale avevano sottratto le donne alla segregazione domestica e le avevano introdotte nelle fabbriche inoltre si erano modificate la struttura della famiglia patriarcale, le abitudini e la mentalità delle generazioni giovani. Si diffondeva inoltre un sentimento di ostilità nei confronti della politica e dei partiti tradizionali, considerati responsabili dei sacrifici della guerra. Tramontarono anche i principali valori della borghesia: la fede nella coesistenza pacifica degli stati e il progresso. Si innescarono cosi meccanismi culturali di massa, che esasperando i temi dell'irrazionalismo e del decadentismo, unirono al culto della violenza la condanna della democrazia. Avanzata del socialismo: Il crescere della coscienza dei diritti degli operai portò tra il 1919 e il '20 a un'ondata di lotte operaie, sorrette dall'avanzata dei partiti socialisti che determinarono il "biennio rosso". Ispirandosi a modello comunista e a quello sovietico, il movimento degli operai andava oltre la sfera delle rivendicazioni salariali e mirava al controllo e alla gestione delle fabbriche, fino alla conquista rivoluzionaria dello stato. In Inghilterra e Francia le rivendicazioni operaie furono contenute e si consolidò in quei paesi il modello della democrazia parlamentare. Al contrario in Italia il biennio rosso si colorò fortemente di nero.
Sviluppo del fascismo in Italia
Premesse del fascismo: In Italia si svilupparono nell'imminente dopoguerra sentimenti contrastanti. Infatti mentre molti uomini concepirono un odio convinto nei confronti della guerra e dei gruppi dirigenti, altri, invece, trassero dall'idea di aver affrontato con coraggio il combattimento un sentimento di superiorità, ed inclinarono verso una concezione violenta, gerarchica e autoritaria dello stato. In un'Europa prostrata dalle conseguenze della guerra e dalla crisi economica, dapprima in Italia e poi in Germania, nacquero come risposta alle frustrazioni nazionali i movimenti che divennero fascista e nazista. Essi si opponevano al parlamentarismo, alla democrazia liberale, al comunismo, ed auspicavano ad uno stato forte, capace di condurre una politica di espansione e potenza. La guerra, oltre ad accrescere l'influenza delle caste militari, aveva concentrato i poteri nell'esecutivo a discapito del parlamento. Questo processo di accentramento aumentò la distanza che separava le classi subalterne dai gruppi dirigenti. In particolare la popolazione del mezzogiorno restava ancora, 50 anni dopo l'unità, estranea non solo alle istituzioni ma anche all'attività dei partiti e dei sindacati. Mentre Giolitti aveva avviato il processo di avvicinamento della società allo stato, con il suffragio universale maschile del 1913, l'ascesa nel dopoguerra della destra autoritaria e antidemocratica, fece regredire tale processo. Fascismo: Mussolini, dopo aver condotto sull'Avanti! una campagna neutralista, passò al Popolo d'Italia ed ad una concezione interventista. Per questo fu espulso dal partito socialista e fondò il "Fascio autonomo di azione rivoluzionaria". Nel 1919 fondò i "Fasci di combattimento", che divennero nel 1921 il "Partito Nazionale Fascista", di cui entrarono a far parte anarchico-sindacalisti, massoni, futuristi, rappresentanti delle forze armate, della banca e della stampa conservatrice. I fascisti si proclamarono nella riunione in piazza San Sepolcro avversari della borghesia e del socialismo, repubblicani e anticlericali. Accanto al fascismo urbano, cioè quello dei Fasci di combattimento, si costituì un fascismo rurale, più rozzo e violento, sovvenzionato e diretto dai grandi latifondisti della bassa padana, con lo scopo di contrastare le leghe di contadini e braccianti. Delusioni del dopoguerra: I nazionalisti, alimentati dalle speranze del patto di Londra del 1915, speravano di ottenere alla fine della guerra oltre Trento, Trieste , l'Istria, e parte della Dalmazia, anche la Dalmazia meridionale, l'intera Albania e Fiume. Però Wilson non mostrò alcuna simpatia nei confronti del nazionalismo italiano e proclamò Fiume città libera e assegnò alla Iugoslavia gran parte dell'Istria. La nostra delegazione guidata da Vittorio Emanuele Orlando e Sidney Sonnino, abbandonò per protesta il tavolo delle trattative. Infine per il trattato di Saint-Germain del '19 vennero attribuiti all'Italia solo il Trentino (fino Brennero), Trieste e parte dell'Istria. Perciò due giorni dopo la fine del trattato, gruppi di militari Italiani, ribellatisi ai comandi, iniziarono la loro marcia su Fiume e si impadronirono della città sotto la guida di D'Annunzio. Però nel 1920 Giolitti stipulò con la Iugoslavia il trattato di Rapallo secondo il quale venne riconosciuto all'Italia il possesso di Trieste, di Gorizia, di quasi tutta l'Istria e di alcune isole adriatiche. Fiume fu dichiarata città libera e D'Annunzio dovette abbandonare la "Repubblica del Carnaro". Vittorio Emanuele, accusato dalla destra nazionalista di aver ottenuto poco dalla pace dovette dimettersi (nel '19) in favore di Francesco Nitti. Egli, per le pressioni di socialisti e popolari sostituì il sistema uninominale con quello proporzionale, cioè si sarebbero votati i partiti e non individui isolati. Le elezioni si tennero il 16 novembre e risultò vittorioso il partito socialista, mentre i fascisti furono sconfitti. Nel '20 Nitti si dimise in favore di Giolitti (5° e ultimo ministero). I suoi meriti principali furono il trattato di Rapallo e la risoluzione dei conflitti tra operai e industriali con la neutralità dello stato. Lo squadrismo fascista: Mussolini, per venire in aiuto degli agrari della valle Padana, che mal sopportavano l'influenza delle leghe rosse sui contadini, diede la prima forma organizzativa allo squadrismo, affiancato spesso da forze di polizia e reparti dell'esercito. Mussolini, convinto che senza l'appoggio della classe conservatrice , della monarchia, dell'esercito e del Vaticano dovette attribuire al proprio partito un programma in cui i temi della conservazione e dell'antisocialismo si fondessero con quelli nazionali e patriottici. A Giolitti seguì Bonomi e poi Facta, che non si impegnò nel fermare il dilagare dello squadrismo che anzi si organizzò in forme quasi legali sotto il nome di milizia nazionale. Le sinistre reagirono alle violenze degli squadristi con uno sciopero nazionale, ma i fascisti diedero l'assalto alla sede dell'Avanti! e distrussero le macchine tipografiche. Il governo Facta rimase inerte e i fascisti ne approfittarono per rovesciarlo. Fascismo al potere: i fascisti attaccarono Roma (marcia su Roma 1922), ma Facta dichiarò o stato d'assedio e lo sottopose al Re. Vittorio Emanuele III però rifiutò di firmarlo e offrì allo stesso Mussolini l'incarico di formare il governo. Ebbe così inizio il governo Mussolini che durò fino al '43. Nei primissimi anni del suo governo M. volle garantirsi oltre il favore dei ceti imprenditoriali anche l'appoggio dei cattolici. Per far ciò promulgò nel 1923 una serie di decreti tra cui l'insegnamento religioso nella scuola elementare ed il riconoscimento delle scuole secondarie cattoliche. Nel 1924 venne approvata la legge Acerbo, cioè una legge maggioritaria che aveva lo scopo di assicurare il successo ai fascisti nelle elezioni che seguirono il fascismo ottenne una schiacciante vittoria, ma Giacomo Matteotti, leader dei socialisti, chiese alla camera di non convalidare le elezioni in quanto frutto di violenze e di brogli. Però fu ucciso per questo il 10 Giugno '24. L'assassinio scosse il paese e i fascisti si videro perduti. Nel 1925 in un discorso alla Camera M. proclamò di assumersi la piena responsabilità di quanto era avvenuto e venne sospeso il parlamento a tempo indeterminato. Fu inoltre soppressa la libertà di stampa, dichiarati fuori legge i partiti e ripresero le persecuzioni nei confronti degli antifascisti ( Gobetti e Amendola furono picchiati a morte e Gramsci condannato a 20 anni di carcere). Ebbe così inizio l'emigrazione dei maggiori rappresentanti dell'antifascismo: Sturzo, Togliatti, Salvemini, e Gobetti si rifugiarono in Francia. Furono accresciuti i poteri del governo, soprattutto quelli del presidente del consiglio che si fece chiamare capo del governo. Fu istituito il tribunale speciale per la difesa dello stato nel '26 e la milizia nazionale fu trasformata nel 23 in un corpo regolare dello stato agli ordini di M., chiamata "Milizia volontaria per la sicurezza nazionale". Lo stato da liberale divenne totalitario. Cultura e fascismo: Non tutta la cultura italiana avversò il fascismo e tra quelli che lo sostennero con la giustificazione del bisogno di un ordine sociale, assunse grande peso Giovanni Gentile, al quale venne affidata dal Duce nel 23 la riforma della scuola. Le reazioni al fascismo si manifestarono soprattutto intorno ai giornali "Non mollare!", "Rivoluzione liberale" e "Quarto stato" e la figura preminente dell'antifascismo fu Benedetto Croce. Riforme Fasciste: I primi obiettivi del governo fascista furono la "battaglia del grano", che aveva lo scopo di assicurare al paese il fabbisogno di grano, le opere di bonifica (più importante: Paludi pontine) e i grandi lavori pubblici che avevano lo scopo di conferire all'Italia un volto imperiale. Nel '27 fu emanata la Carta del lavoro che stabilì l'organizzazione dello stato, diviso in corporazioni, ciascuna delle quali raccoglieva datori di lavoro e manodopera di una stessa categoria produttiva. Alla testa del nuovo sistema corporativo fu posto nel 1930 il Consiglio nazionale delle corporazioni che finì per soppiantare il parlamento nel '39 (Camera delle corporazioni). M., convinto che "il numero è potenza", favorì l'aumento demografico. pose inoltre particolare attenzione all'educazione fascista della gioventù, creando l'Opera Nazionale Balilla trasformata poi nella Gioventù italiana del Littorio. Patti Lateranensi: Il riavvicinamento dello stato alla chiesa avvenne nel '29 con la stipulazione dei Patti Lateranensi, costituiti da un Trattato e da un Concordato, col 1° si restituiva alla Santa sede il potere temporale sulla città del Vaticano e una ingente somma di denaro, mentre il Papa riconosceva il regno d'Italia con Roma capitale. Col 2° vennero regolati i rapporti in materia religiosa e civile tra l'Italia e la Chiesa secondo la prassi medioevale in contrasto con il separatismo Cavouriano. Antifascismo: il movimento antifascista diede vita in Francia alla "Concentrazione antifascista" ed al movimento "Giustizia e libertà" ad opera dei fratelli Rosselli, assassinati in Francia nel '37. In Italia l'antifascismo si manifestò nelle organizzazioni clandestine dei partiti comunista e socialista e nella protesta morale degli uomini di cultura, in particolare Benedetto Croce. questi nella rivista "La critica" giudicò il fascismo considerandolo soltanto come una parentesi negativa aperta nella storia italiana e che gli italiani avrebbero vinto sulla strada del liberalismo e della democrazia. Invece Gramsci, Dorso e Salvemini ravvisarono le ragioni del fascismo non soltanto nelle vicende del dopoguerra, ma anche nel modo in cui si era realizzata l'unità, non ad opera del popolo ma di una elitè borghese. Per Gobetti il fascismo è sintesi delle malattie storiche del popolo italiano: retorica, demagogia, trasformismo. Salvatorelli ricondusse il Fascismo ad un momento della lotta di classe della piccola borghesia e individuò le due anime del fascismo: quella reazionaria antipopolare e quella rivoluzionaria. Gramsci nella "Tesi del 3° congresso del partito comunista d'Italia" considera il fascismo come "l'organizzazione unitaria della parte più decisamente reazionaria della borghesia industriale ed agraria" e la sua vittoria va intesa come la conseguenza della crisi del proletariato italiano.
DOPOGUERRA IN GERMANIA: Intorno alla metà degli anni 20 le grandi potenze industriali vincitrici dopo il conflitto (Francia, Inghilterra e USA) ricostituirono i loro equilibri sulle posizioni che furono dette della "stabilizzazione capitalistica". Il crollo finanziario di Wall Street del 29 fu seguito dalla caduta dei prezzi delle materie prime, vennero meno le speranze di un'economia mondiale fondata sul libero scambio e gli stati dovettero chiudersi nelle barriere doganali. Proprio negli anni della crisi si rafforzò in Italia il fascismo e avanzò in Germania il nazismo riuscendo anch'esso a conquistare il potere.
In Francia governarono coalizioni di centro destra ostili al comunismo e all'Urss. In politica estera contro la incombente rivincita tedesca strinsero attorno a Parigi gli stati che formarono la Piccola Intesa : Iugo.,Cecos., Rom.,Pol. In Inghilterra si assistette al declino dei liberali che furono sostituiti dai laburisti che rafforzarono la propria influenza sulla società con l'appoggio dei sindacati. Conflitto per l'indipendenza irlandese. Per gli USA gli anni 20 : prosperità, tecnologia avanzata, forte produzione e alto reddito nazionale. Tra il 1919 e 1920 ondata di repressione contro il comunismo. In Europa la guerra, la crisi economica e i totalitarismi di Russia e Italia sconvolsero i principi della società. In Germania fine del 2° Reich nel 1918 : il governo fu assunto da un Consiglio di commissari del popolo e nelle città e nelle fabbriche si formarono i Consigli di operai e di soldati. Venne proclamata la Repubblica mentre l'agitazione rivoluzionaria si diffondeva nel paese. Un ruolo importante era svolto dal Partito socialdemocratico contrastato da gruppi radicali : gli indipendenti del Partito socialdem. e i rivoluzionari della Lega di Spartaco ->Partito comunista tedesco (Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht). I socialdem. aspiravano ad una democratizzazione della vita politica e Assemblea Costituente mentre gli indip. e lega di Spartaco volevano i Consigli operai alla base della nuova democrazia. 1919 i comunisti tentano una sollevazione armata per compiere una rivoluzione di tipo sovietico, ma vengono repressi sanguinosamente. 1919 :elezioni per la Costituente :si costituì un governo di coalizione con socialdem. più cattolici e liberaldem. I lavori della Costituente si tennero a Weimar e la Costituzione promulgata nell'agosto 1919 proponeva un modello avanzato di democrazia parlamentare : un Parlamento eletto a suffragio universale e un'altra assemblea, organo di rappresentanza regionale. Prova della debolezza della Rep. Di Weimar fu il Putsch tentato nel 1920 : i golpisti si impadronirono di Dublino e costrinsero il governo a riparare a Dresda ma il colpo di stato fu neutralizzato dal compatto sciopero generale delle associazioni operaie. Nei primi mesi del 1920 i comunisti, insorgendo nei centri industriali della Ruhr, creavano effimeri governi provvisori e in Baviera si organizzavano le prime formazioni del Partito nazionalsocialista dei lavoratori tedeschi guidato da A.Hitler il quale strumento per la lotta contro il parlamentarismo, il comunismo e l'ebraismo, doveva preparare la nazione germanica a un futuro nel quale la razza ariana avrebbe potuto disporre di mezzi e delle possibilità di tutto il mondo. Elezioni nel giugno 1920 : sconfitta dei socialdem. e la politica di Weimar venne gestita dai cattolici e dai moderati. La ripresa economica tedesca rimaneva paralizzata dalle clausole del trattato di Versailles, che imponevano alla Germania il pagamento dei danni di guerra in misura del tutto sproporzionata alle sue possibilità. Nel 1923 quando la Germania chiese il rinvio del pagamento, l'esercito francese occupò militarmente la zona mineraria della Ruhr : il rancore contro la spietatezza dei vincitori e il desiderio di rivincita divenne il sentimento più diffuso tra i tedeschi. In questa situazione crebbe rapidamente il partito nazionalsoc. Nel suo libro Main Kampf, scritto in carcere nel 1924 dopo un fallito tentativo di rovesciare il governo noto con il nome di Putsch di Monaco, Hitler formulò un nuovo programma politico, che si proponeva di realizzare il riscatto della Germania partendo dalla teoria razzista della superiorità della razza ariana. 1925 Accordi di Locarno in cui la Germania riconobbe l'intangibilità delle frontiere occidentali che erano state fissate a Versailles e nel 1926 la Repubblica tedesca entrò a far parte della Società delle Nazioni. L'anno 1924 segnò il momento del riassetto economico, cui seguì , nel 1928, alla vigilia della crisi, un nuovo balzo in avanti grazie a Gustav Stresemann presidente della Repubblica dopo il Putsch del '23. Nel '25 elezioni per la presidenza della Rep. :Paul Ludwig von Hindenburg. 1929-1932 effetti della crisi :molte industrie fallirono, la produzione calò del 58%, i disoccupati + di 6 milioni =>successo della propaganda nazista (rinascita dello Stato, esigenza di ritornare allo spirito del germanesimo, Stato fondato sul mito della razza ariana e obbedienza assoluta al capo carismatico =Fuhrer). Hitler presentava ai Tedeschi il Partito nazionalsoc. come l'unico strumento per eliminare il regime parlamentare, che H. giudicava corrotto e imbelle, e spazzare via la minaccia comunista che predicava l'odio di classe e divideva il popolo. Dopo la crisi del'29 la popolazione cominciò a proclamare un vero ordine politico e vide nel Partito di H. l'unico in grado di risolvere finalmente i problemi economico-sociali irrisolti. In breve tempo il partito di H. realizzò una fortissima crescita elettorale fino a quando nel 1933 Hindenburg affidò a Hitler l'incarico di capo del Governo. Subito H. fece sciogliere il Parlamento e indire nuove elezioni. Durante la campagna elettorale, i nazisti fecero incendiare il palazzo del Parlamento facendo cadere la colpa sui comunisti. Fu il pretesto per una serie di leggi eccezionali, che abolirono le libertà civili e infine attribuirono i pieni poteri a H. il quale , divenuto Fuhrer della Germania, proclamò nel 1934 l'avvento del III° Reich. Giunto al potere, era anzitutto necessario escludere dal contesto della nazione non solo gli oppositori e i dissenzienti, ma anche tutti i "diversi". Ciò significò lo scioglimento dei partiti e dei sindacati che furono dichiarati illegali e furono sostituiti con il Partito nazionalsocialista e con il "fronte tedesco del lavoro" organizzato secondo il modello fascista delle Corporazioni. Dovettero essere esclusi tutti i cittadini di origine straniera e soprattutto gli Ebrei, razza negativa responsabile della morale da servi che regna nel mondo". Contro i 500.000 Ebrei tedeschi si rivolsero nel 1935 le Leggi di Norimberga che tolsero loro la parità dei diritti civili ;una parte di loro riuscì ad abbandonare la Germania in tempo, gli altri sarebbero stati ben presto avviati nei campi di concentramento, dove fra il 1938 e il 1945 furono sterminati in massa. Si procedette anche all'eliminazione fisica degli infermi di mente, degli zingari e degli omosessuali .inoltre il nazismo condannò anche tutta l'arte moderna e fu contrapposta l'architettura nazionalsocialista ideata dallo stesso Hitler e realizzata nei giganteschi edifici pubblici del Terzo Reich. Da parte del proletariato non vi fu una resistenza di massa :ciò si dovette soprattutto alla ripresa economica che dette sicurezza e lavoro ai ceti operai. Nazismo e Fascismo : Mussolini e il regime fascista furono certamente per Hitler un modello dal quale egli trasse molte utili lezioni. Indubbiamente i punti di somiglianza tra i due regimi totalitari eravano assai numerosi :l'anticomunismo, il militarismo, il nazionalismo, l'esaltazione della forza e della guerra, l'uso della violenza, la propaganda e l'irreggimentazione dei giovani. Le stesse circostanze, in cui i due partiti si erano impadroniti del potere, presentavano alcune analogie : le delusioni del dopoguerra (in Italia la vittoria "mutilata", in Germania la sconfitta), le divisioni degli altri partiti e la loro incapacità di opporsi fermamente alla minaccia fascista e nazista, il terrore della borghesia, la complicità della polizia e della magistratura, l'appoggio economico del grande capitale. Molte però erano anche le differenze : anzitutto la politica razziale, che era fondamentale nel programma e nel pensiero di Hitler e che Mussolini introdusse solo molto tardi per imitazione del N. (essa comunque non attecchì mai nel nostro Paese). Mussolini inoltre non riuscì mai a governare l'Italia nel modo così rigido e totale con cui Hitler governò la Germania. Il potere di Mussolini infatti fu sempre limitato da due forze - la Chiesa e il re - con cui egli dovette spesso fare i conti.
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