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Nel 1929 si interruppe bruscamente il ciclo positivo dell'economia internazionale ed una crisi gravissima si abbatté sulle economie dei Paesi industrializzati. Ad avviare questa seconda grande depressione, dopo quella del 1873/96, fu la crisi dell'economia americana, ormai divenuta il cuore del sistema economico mondiale, iniziata il 24 ottobre 1929, il cosiddetto «giovedì nero», con il crollo di Wall Street.
Come 50 anni prima, anche nel 1929 la crisi si presentò come gigantesca sovrapproduzione di merci che il mercato non era in grado di assorbire. Negli anni '20 si era verificato un enorme incremento della produzione dovuto alle innovazioni tecnologiche ed all'ulteriore intensificazione della divisione del lavoro che, sul finire di quel decennio, si scontrò con un mercato popolato di nuovi produttori estremamente concorrenziali. Tramontava così l'epoca in cui gli USA erano l'unico grande produttore attivo sul mercato mondiale, e l'economia americana si trasformò ben presto in una gigantesca macchina produttrice di eccedenze.
Dagli Stati Uniti la crisi dilagò in Europa, colpendo un sistema produttivo appena ripresosi dalla grave crisi del dopoguerra e che contava sugli aiuti americani per il consolidamento della propria ripresa economica. Le conseguenze non si fecero attendere: dal punto di vista economico si ebbe il crollo del sistema monetario internazionale fondato sull'oro, dal punto di vista politico tale crollo fece sì che le potenze accentuassero la propria spinta all'espansione, all'allargamento delle proprie aree di influenza a scapito delle altre nazioni; tale allargamento, una volta esauritasi la spinta coloniale di fine '800, venne inteso verso le cosiddette «aree piene», ossia verso i Paesi confinanti, con tutti i rischi di conflitti e di destabilizzazione dell'intero sistema di relazioni internazionali.
Questa via venne intrapresa soprattutto dalla Germania, seriamente colpita dalla crisi anche a causa degli ingenti debiti di guerra. In questo scenario si aprirono notevoli spazi per l'estremismo di destra ed in particolare per il Partito Nazional-Socialista guidato da Adolf Hitler che cavalcò il malcontento popolare dovuto alla disoccupazione ed al crollo dei salari per destabilizzare l'intero sistema politico.
Nel 1932, l'anno più duro della crisi, i nazisti, col 37,4% dei voti, ottennero un grande successo elettorale divenendo il partito di maggioranza relativa; il 30 gennaio 1933 il Presidente della Repubblica, il maresciallo Hindenburg, conferì ad Hitler la carica di Cancelliere di un governo di coalizione. Un atto terroristico oscuro, l'incendio del Reichstag, sede del Parlamento tedesco, fornì ai nazisti il pretesto per scatenare una sanguinosa repressione delle opposizioni. Alle elezioni del marzo 1933 i nazisti, instaurando un clima di autentico terrore, ottennero il 43,9% dei voti ed Hitler ebbe così il via libera per mettere in atto i suoi programmi dittatoriali.
L'ascesa al potere del partito nazista fu resa possibile dall'appoggio dichiarato della grande borghesia industriale e delle caste militari che si riconoscevano nell'ideologia del Partito Nazista. Questo era essenzialmente costituito dagli strati medio-bassi della struttura sociale, su cui maggiormente faceva presa l'ideologia nazista, col suo appello alle «radici», al mito ed all'eroismo, al culto per la potenza e la razza. Uno dei punti cardine della dottrina nazista era appunto la pretesa superiorità genetica ed intellettuale della razza ariana. Hitler proclamava quindi la necessità di assicurare al «VOLK» tedesco i territori che gli spettavano, mediante un vigoroso espansionismo ad oriente ed in Russia al fine di conquistare il «LEBENSRAUM» (=spazio vitale).
Il volto più cupo ed aggressivo del nazismo si manifestò senza indugi: il 30 giugno 1934, in quella che fu chiamata la «NOTTE dei LUNGHI COLTELLI», Hitler fece assassinare i dirigenti ed i
funzionari del partito comunista; successivamente, alla morte di Hindenburg (02 agosto 1934), assunse anche la carica di Capo dello Stato e delle Forze Armate: da quel momento diverrà il «Führer», ossia il capo carismatico.
Attraverso un vasto programma di opere pubbliche e l'incremento continuo della produzione bellica, Hitler riuscì a liberare la Germania dalla disoccupazione; per contro, centinaia di migliaia di cittadini vennero rinchiusi nei Lager ed una cifra esorbitante pagò con la vita l'opposizione alla dittatura. La persecuzione più feroce fu però subita dagli ebrei, secondo le idee nazista «razza inferiore». Prima di venire sterminati durante la seconda guerra mondiale, furono esclusi dai pubblici uffici (1933), poi privati dei diritti civili (1935), quindi obbligati a premettere al loro nome, sui passaporti e sulle carte d'identità, la lettera «J», iniziale di «Juden» (=Ebreo). La campagna antisemitica raggiunse il culmine del delirio nella «KRISTALLNACHT» (=notte dei cristalli), quando vennero distrutti negozi e magazzini, incendiate case e profanati cimiteri ebraici.
Sul fronte interno il Führer soppresse i sindacati e sciolse tutti i partiti (tranne quello nazista); vietò la libertà di stampa e di associazione; controllò e manipolò gli orientamenti dell'opinione pubblica; instaurò un ferreo regime poliziesco, affidando poteri straordinari alla polizia di partito, le famigerate SS (Schutz-Staffeln = reparti di difesa) comandate da Heinrich Himmler, e la polizia politica, la Gestapo, resasi tristemente nota per l'uso sistematico della tortura.
Si consolidava così il progetto di uno Stato totalitario capace di controllare e guidare tutte le manifestazioni della vita civile, prima fra tutte l'attività economica che venne, infatti, sottoposta ad un rigido controllo statale, funzionale agli interessi della grande borghesia imprenditoriale che era stata una delle forze promotrici della «rivoluzione» nazista.
In Italia invece, a partire dal 1930 si manifestarono con chiarezza le ripercussioni della crisi economica mondiale. Il fascismo accentuò così l'indirizzo dirigista già varato nel 1926, imponendo un rigido sistema economico centralizzato.
Indispensabile corollario di questa politica economica fu la ripresa delle ideologie imperialistiche, che spinse l'Italia nell'avventura coloniale contro l'Etiopia, con lo scopo di allargare le opportunità di mercato per le merci italiane in un'epoca di rigido protezionismo internazionale. Tra l'ottobre del 1935 ed il maggio del 1936 fu portata a termine la conquista dell'Etiopia; il comando fu affidato al maresciallo Rodolfo Graziani, che si distinse per la ferocia con cui furono condotte le operazioni militari. La guerra d'Etiopia svolse anche delle funzioni di politica interna per incanalare verso i miti imperiali il malcontento dei ceti popolari, esasperati dalla drastica contrazione dei consumi, e le prime incrinature del consenso dei ceti medi, anch'essi duramente colpiti dalla politica economica del regime.
In Spagna, nel 1936, si ebbe il segno premonitore dell'approssimarsi di un nuovo conflitto mondiale: era la guerra civile, che si configurò come primo atto di uno scontro sanguinoso tra fascismo e forze democratiche. Il generale Francisco Franco insorse contro il governo in varie regioni iberiche, dando inizio ad una guerra che si sarebbe trascinata per 3 anni. L'intervento di contingenti nazi-fascisti, oltre a portare alla vittoria le forze franchiste, poneva le basi per un'intesa sempre più stretta fra Mussolini ed Hitler. Era l'inizio di una lacerazione irrimediabile delle relazioni internazionali, travolte dall'espansionismo tedesco che nel 1938 annesse (ANCHLUSS) al Reich prima l'Austria e poi la Cecoslovacchia.
L'alleanza sempre più stretta fra Italia e Germania impedì a Mussolini di svolgere quel ruolo di mediatore tra la Germania e le potenze democratiche, che aveva contribuito a mantenere in equilibrio i rapporti tra gli Stati.
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