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La bomba atomica - olocausto nucleare




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La bomba Atomica


OLOCAUSTO   NUCLEARE


Il 26 luglio 1945 - undici giorni prima dello scoppio - le forze alleate riunite a Potsdam inviano al Giappone un'intimazione di resa che non lascia spazio ad alcuna trattativa. La capitolazione dovrà essere totale, con la perdita di tutte le conquiste territoriali a partire da quella della Manciuria avvenuta nel 1931. Per rendere più digeribile l'amaro boccone, ai sudditi dell'impero del Sol Levante viene concessa la possibilità di scegliere la futura forma di governo e di rientrare in futuro nel circuito dell'economia mondiale. Si tratta di prendere o lasciare, 'the alternative for Japan is prompt and utter destruction', l'alternativa per il Giappone è la distruzione immediata e totale.

E così avvenne. Alle 8 e un quarto di quel 6 agosto di 52 anni fa il B-29 Enola Gay sgancia sulla città giapponese di Hiroshima la prima bomba atomica della storia mai utilizzata in operazioni di guerra. I tecnici statunitensi hanno preparato tutto nei minimi particolari: l'esplosione dell'ordigno si deve innescare a poche centinaia di metri di altezza. Se avvenisse a terra perderebbe potere distruttivo, scavando un gigantesco cratere, mentre uno scoppio a una quota troppo alta causerebbe una dispersione radioattiva: si vuole che gli effetti devastanti di Little Boy (questo il nomignolo dato dai militari al loro gingillo) siano massimi.

Anche l'obiettivo è stato accuratamente selezionato. Hiroshima è una cavia, è come un immenso animale da laboratorio sul quale sperimentare una medicina per debellare la guerra in corso. La città presenta delle caratteristiche appetibili sotto il profilo militare: è un importante deposito di armi, all'interno della cintura urbana comprende diverse installazioni industriali e, non meno importante, le colline immediatamente alle sue spalle possono concentrare e amplificare gli effetti della deflagrazione. Ma anche la scienza vuole capire la potenzialità del nuovo ordigno. E per valutarne appieno gli effetti gli Americani hanno deciso di preservare Hiroshima dai quei bombardamenti convenzionali a base di spezzoni incendiari che negli ultimi mesi hanno invece martoriato Tokyo, Yokohama e Osaka. Nel viaggio di avvicinamento all'obiettivo i dodici uomini dell'equipaggio hanno scherzato sulla bomba che portano nella pancia del loro aereo. Sono a conoscenza del fatto che non si tratterà di un bombardamento convenzionale. Sanno che sganceranno un ordigno dalla potenza fuori dal comune, ma solo il comandante Paul Tibbets sa che quella è la bomba atomica. Informerà i suoi uomini, successimente, solo mentre giungono in vista di Hiroshima.

HIROSHIMA E NAGASAKI NELL'APOCALISSE

La decisione di colpire il Giappone: Hiroshima


Il Con la scoperta dell'impossibilità per la Germania di costruirsi una bomba atomica e con la disfatta delle armate di Hitler, venne a cadere la giustificazione ideologica che aveva sorretto il lavoro degli scienziati partecipanti al progetto Manhattan e alcuni di essi cominciarono a pensare che non avesse più senso proseguire nell'impresa.
Anche stavolta fu Szilard ad assumere l'iniziativa, stendendo un promemoria per il presidente Roosevelt, sottoscritto da altri scienziati, nel quale si sosteneva che sarebbe stato assolutamente ingiustificato lanciare le prime bombe atomiche sul Giappone.12 aprile però Roosevelt moriva e il nuovo presidente Harry Truman formò un comitato per prendere l'importante decisione circa l'impiego della nuova arma. Al comitato viene affiancata una sottocommissione consultiva formata dai quattro maggiori responsabili scientifici del progetto Manhattan: Oppenheimer, Fermi, Compton e Lawrence. Il primo giugno 1945 il comitato approvava una serie di suggerimenti al presidente Truman. In essi si raccomandava di lanciare al più presto la bomba atomica sul Giappone, senza alcun particolare preavviso circa la natura dell'arma, colpendo un obiettivo costituito da installazioni militari circondate da abitazioni o da altri edifici particolarmente danneggiabili.

Quando la notizia trapelò il gruppo di Szilard stese un proprio documento, il rapporto Frank, sulle conseguenze politiche e sociali dell'energia atomica, che si concludeva con un invito a usare la bomba solo a scopo dimostrativo, per intimorire il Giappone, in una località deserta. Il rapporto Frank fu respinto dal comitato governativo, in cui prevalse la convinzione che la bomba atomica avrebbe indotto il Giappone alla resa incondizionata ed evitato così una sua invasione che sarebbe certo costata decine di migliaia di morti.

Furono accelerate tutte le attività del progetto atomico. Erano ormai pronti i primi chilogrammi dei due diversi esplosivi atomici, il plutonio e l'uranio 235 e fu possibile costruire due tipi di bombe trasportabili in aereo. Solo la bomba al plutonio richiedeva una verifica sperimentale. L'esperimento fu compiuto ad Alamogordo, nel Nuovo Messico, il 15 luglio 1945 e i dati numerici permisero di calcolare che la bomba atomica aveva avuto una potenza esplosiva equivalente a ventimila tonnellate di tritolo. Durante la conferenza di Potsdam, Truman inviò al Giappone un ultimatum, senza però fare alcuna allusione alla nuova arma. Sotto la pressione dei militari il Giappone respinse la dichiarazione di Potsdam il 28 luglio. Il 6 agosto la prima bomba a uranio 235 veniva sganciata. Hiroshima era una città di circa 350.000 abitanti, uno dei maggiori centri giapponesi di produzione bellica.
La bomba distrusse qualsiasi cosa nel raggio di due chilometri, circa il 98% dei palazzi della città furono distrutti o gravemente danneggiati, oltre 70.000 persone furono uccise e molte altre morirono poi per effetto delle radiazioni.

Di fronte alle titubanze del governo giapponese ad accettare la resa incondizionata, il 9 agosto venne sganciata su Nagasaki una bomba al plutonio, la gemella di quella sperimentata ad Alamogorodo. La città fu distrutta per il 47 % e i morti furono 75.000. Il Giappone si affrettò ad accettare la resa.
Se molti scienziati erano contrari all'uso della prima bomba, quella di Nagasaki generò sgomento e ira. Di fronte a un nemico ormai piegato che aveva già sperimentato sulla propria carne il terribile morso dell'atomica, quella bomba appariva del tutto inutile. Con la seconda bomba si affrettava il termine del conflitto, impedendo che anche l'Unione Sovietica entrasse in guerra con il Giappone e pretendesse poi di rivendicare i meriti della propria partecipazione alla vittoria. Per molti quella di Nagasaki non fu l'ultima azione militare della seconda mondiale, ma la prima grande operazione della guerra fredda.

In quella limpida mattina d'estate la sirena dell'allarme antiaereo non entrò in funzione: l'esperienza insegnava infatti che gli aerei isolati erano quasi sempre dei ricognitori. Ma quell'unico B-29 dalla figura snella e argentea alle ore 8, 15 minuti e 17 secondi si alleggerì del suo carico di poco più di 4000 chili. E dopo altri 45 secondi ' una luce fortissima riempì l'aeroplano. La prima onda d'urto ci colpì - ricorda Tibbets -. Eravamo a diciotto chilometri e mezzo in linea d'aria dall'esplosione atomica, ma tutto l'aereo scricchiolò e cigolò per il colpo Ci girammo a guardare Hiroshima. La città era nascosta da quella nuvola orribile, ribollente, a forma di fungo, terribile e incredibilmente alta'.Una bambina che all'epoca aveva cinque anni ricordò: 'Proprio mentre guardavo su in cielo, ci fu un lampo di luce bianca, e in quella luce il verde delle foglie prese il colore delle foglie secche'.L'immensa esplosione colse buona parte dei 350 000 abitanti in strada, mentre si stavano recando al lavoro. Fu questione di un attimo, il tempo di percepire l'immenso lampo luminoso. Nella zona dell'ipocentro la temperatura balzò in meno di un decimo di secondo a 3000-5000 °C.

Ogni forma di vita nel raggio di ottocento metri svanì in seguito all'evaporazione dovuta al tremendo calore. Tutte le abitazioni vennero rase al suolo e una tempesta di fuoco spazzò il perimetro urbano fino a 3-4 chilometri dal luogo dello scoppio, provocando nella popolazione terribili ustioni. Gli effetti delle emissioni di neutroni e di raggi gamma, che si manifestano con la perdita delle difese immunitarie e con alterazioni a livello genetico, si faranno sentire sia immediatamente sia negli anni futuri. Le persone più esposte alle radiazioni moriranno per emorragie e infezioni. Nei mesi e negli anni successivi aumenteranno i casi di leucemia e il 23 % dei nati dopo lo scoppio sarà affetto da malformazioni congenite. In quel solo giorno le vittime furono più di 100 000. E saliranno a 140 000 alla fine dell'anno. A cinque anni dallo scoppio le vittime ricollegabili all'esplosione saranno ben 200 000.

Tre giorni dopo, il 9 agosto 1945, una bomba al plutonio più potente di quella di Hiroshima ricrea la stessa terribile scena su Nagasaki. Qui moriranno 70 000 persone ma nel corso dei cinque anni successivi il bilancio arriverà a         140 000 vittime complessive.

Hiroshima: Un ricordo indelebile

Da tutto il mondo migliaia di persone vengono regolarmente a commemorare questo sinistro avvenimento. Chiaramente, il Giappone vuole che il mondo ricordi la lezione del suo terribile passato.

Superstiti narrano la loro storia

Le strazianti storie di quelli che sopravvissero alle bombe riempiono interi volumi. Benché la maggioranza dei superstiti siano ora di mezza età, hanno ancora vivi ricordi di "quel giorno". Eccone la storia com'è stata narrata:

Nobuyo Fukushima, che ricorda bene la sua esperienza durante il bombardamento di Hiroshima, narra: "Stavo pulendo le scale nella mia casa quando all'improvviso un lampo abbagliante e una terribile esplosione mi fecero perdere conoscenza. Quando ripresi i sensi, potei udire mia madre che gridava chiedendo aiuto. La casa era sottosopra. Pensai che c'era stato un terremoto. Quando uscimmo di casa e andammo sulla sponda del fiume, vidi molti bambini e i loro genitori con gli abiti bruciati, a brandelli e fusi sulla loro pelle. Non riuscivo a capire perché erano così gravemente ustionati.

"Quando arrivammo all'ospedale, era pieno di gente. Molti avevano la testa e il viso coperti di sangue, mentre altri avevano la carne ustionata che pendeva a strisce. I capelli di alcuni, bruciacchiati dal calore, stavano ritti. Altri, con frammenti di legno e vetro conficcati nel corpo, gemevano profondamente. Il loro viso era così gonfio che era difficile distinguere l'uno dall'altro. Sembrava che tutti supplicassero per avere acqua. Ma quando l'acqua arrivava molti non respiravano più. Anche mia madre morì tre mesi dopo per gli effetti della bomba.

"La città era divenuta un grande campo distrutto dal fuoco, solo con qualche occasionale muro di cemento diroccato ancora in piedi fra le ceneri. Di notte, c'erano fuochi sulla riva del fiume dove erano cremati i morti. Ricordo vivamente le fiamme rosse dei fuochi e il terribile odore dei cadaveri bruciati, come pesce oleoso che venisse arrostito sulle braci. Quando ci penso ancora rabbrividisco e provo una fitta al cuore".

Tomiji Hironaka era uno dei soldati inviato a Hiroshima immediatamente dopo il bombardamento per portare fuori della locale prigione gli eventuali sopravvissuti. Benché fosse nell'esercito da molti anni, ciò che vide a Hiroshima gli fece capire l'orrore della guerra.

"La strada era piena di autocarri carichi di feriti. Quelli che potevano ancora camminare barcollavano lungo il marciapiede. Molti erano quasi nudi, eccetto dove pezzi di abiti bruciati si erano attaccati alla loro pelle. Mucchi di cadaveri, coperti di bolle rosse, erano in ogni luogo. Le sponde del fiume erano affollate di persone che cercavano di lenire il dolore delle loro ustioni. Fra loro vidi una madre, coperta di ustioni rosse, che teneva il suo bambino, pure gravemente ustionato, cercando pietosamente di allattarlo. Ricordo bene la violenta emozione che allora provai. 'Odio la guerra! Odio la guerra!' Ma io avevo partecipato all'eccidio, e pensai: 'Che specie di coscienza ho?' Mi resi vivamente conto della mia colpa per lo spargimento di sangue".

Munehide Yanagi, allora un ragazzo quattordicenne, sopravvisse miracolosamente al bombardamento di Nagasaki. Era solo a 980 metri da dove esplose la bomba. "Facevo parte di un reparto di studenti mobilitati per la costruzione di rifugi antiaerei", egli spiega. "Mentre lavoravamo, udii il rumore di un grosso aeroplano simile a un forte boato. Proprio mentre mi chiedevo se era un aereo americano, udii il grido: 'Tekki!' ['Aereo nemico!'] Gettammo le cose che stavamo trasportando e corremmo con tutte le nostre forze verso il rifugio.

"Nell'istante in cui raggiunsi la barriera di cemento di fronte al rifugio antiaereo, ci fu un enorme bagliore di luce bianco-blu e una tremenda esplosione che mi gettò privo di sensi in fondo al rifugio. Quindi fui svegliato dalle agonizzanti grida: 'Aigo! Aigo!' [espressione coreana che denota profonda emozione]. Le grida venivano da qualcuno dal viso annerito dal fumo e così gravemente ustionato che era difficile dire se era un maschio o una femmina.

"Di fuori era un inferno. Uno dei miei compagni di scuola era gravemente ustionato. Aveva gli abiti a brandelli, e la pelle gli veniva via. Una ragazza che aveva lavorato con me era crollata sulla strada, aveva perso la parte inferiore delle gambe e supplicava che le dessero acqua. Io non sapevo dove trovarla, ma l'incoraggiai come meglio potei.

"Il fuoco devastò la città. Vidi pali del telefono bruciati crollare nelle vie, un treno che bruciava sui binari e un cavallo preso dalle convulsioni per il calore. Il fuoco violento mi costrinse ad avanzare a guado nel fiume. Sentivo caldo ed ero spaventato. In qualche modo giunsi a casa". Più tardi, Munehide cominciò a sanguinare dalle gengive e a soffrire di diarrea. Anche ora ha l'epatite cronica. Ma si considera fortunato in paragone con molti che vide quel giorno.

IL PROGETTO

Al tragico epilogo si giunse dopo anni di ricerche e di studi internazionali sulla fissione nucleare. Il neutrone, una piccola particella capace di scindere ciò che fino ad allora era stato ritenuto indivisibile, cioè l'atomo, era stato scoperto fin dai primi anni Trenta. L'energia che si poteva liberare attraverso il bombardamento e la scissione dell'atomo era potenzialmente grandissima. Tuttavia, in quell'epoca ancora nessuno, neanche i più affermati studiosi, era ben consapevole di ciò che stava venendo alla luce. Lo stesso Rutherford, uno dei primi scienziati atomici, era erroneamente convinto che l'uomo non sarebbe mai riuscito ad utilizzare l'energia racchiusa nell'atomo.

Ma nuove schiere di giovani studiosi si stavano cimentando anima e corpo nella ricerca atomica. Leo Szilard, fisico teorico di origini ungheresi e allievo di Einstein all'università di Berlino, fu il primo a intuire che la liberazione di energia dall'atomo era solo questione di tempo. E che la scoperta avrebbe potuto creare non pochi problemi all'umanità: come sarebbe stata utilizzata questa potenza, ancora difficile da quantificare, ma certo grandissima? Gli uomini politici e i militari che ne avrebbero fatto? Non sarebbe stato opportuno rendere pubbliche le ricerche sull'energia atomica per evitare che qualcuno se ne impossessasse usandole a danno di altri? I tempi non erano ancora maturi. Oltretutto la scienza sperimentale vedeva come fumo negli occhi qualsiasi tentativo di limitare le ricerche facendo appello a questioni di ordine morale. L'assoluta libertà nella ricerca scientifica era considerata una grande conquista dell'età moderna. Così in Europa, da Gottinga a Roma, da Cambridge a Copenaghen era tutto un fiorire di ricerche.

FERMI 'SPACCA' L'ATOMO DELL'URANIO

Tra gli apprendisti stregoni nella scienza dell'infinitamente piccolo c'era anche Enrico Fermi, enfant prodige della fisica italiana. Venticinquenne, nel 1926 aveva ottenuto la cattedra di fisica teorica all'Università di Roma e a partire dal 1934 aveva iniziato gli esperimenti di bombardamento con i neutroni per indurre la radioattività negli elementi. Con lui lavorava a stretto contatto di gomito un team composto da Edoardo Amaldi, Emilio Segrè, Oscar D'Agostino e Bruno Pontecorvo. Nell'istituto di fisica di via Panisperna, Fermi e il suo gruppo furono i primi a scindere l'atomo dell'uranio, l'elemento che sarebbe entrato come ingrediente base nella bomba atomica. L'avvento del nazismo segnò una accelerazione negli studi. L'antisemitismo e il militarismo della dittatura hitleriana misero infatti subito in subbuglio la comunità scientifica.

E i migliori ingegni, tra i quali molti di origine ebraica, abbandonarono i posti che occupavano nelle università tedesche per raggiungere la Francia, l'Inghilterra e gli Stati Uniti. Appariva loro sempre più evidente che i progetti tedeschi per l'uranio, cui avevano fino ad poco prima lavorato, se messi a disposizione di Hitler avrebbero potuto rivelarsi un pericolo mortale per l'umanità intera. A partire dal 1939 - il Terzo Reich aveva già occupato l'Austria e la Cecoslovacchia e si apprestava a inghiottire in un solo boccone la Polonia - nel mondo scientifico occidentale si scatenò la psicosi della bomba atomica hitleriana. E la corsa alla bomba prese ufficialmente il via.

I fisici rifugiatisi negli Stati Uniti, con Szilard e Fermi in testa, decisero di autocensurarsi per impedire che i frutti delle loro ricerche sulle reazioni nucleari cadessero in mano agli scienziati di Hitler. Ma fecero anche di più. Prima ancora che il Dipartimento di Stato americano avesse messo a fuoco il problema, Szilard e il suo maestro Albert Einstein nell'ottobre del 1939 si fecero promotori presso la Casa Bianca di una lettera con la quale chiedevano al governo di impedire la vendita alla Germania dell'uranio (dai giacimenti in Congo Belga) e di appoggiare in modo massiccio gli studi sull'energia nucleare.

I NAZISTI NON CAPIRONO

In realtà, le potenzialità della Germania di creare ordigni dalla scissione nucleare non venne presa in considerazione: i vertici militari nazisti non avevano compreso l'uso dell'energia atomica a fini bellici - al massimo ipotizzarono l'uso dell'energia nucleare a fini propulsivi (altri storici pensano che Hitler avrebbe sbagliato nella scelta delle priorità, sottovalutando la terrificante potenza dell'arma atomica) - e, cosa ben più importante, gli scienziati tedeschi che continuarono da allora e per tutto il periodo della guerra gli studi in questo settore boicottarono volontariamente le loro stesse ricerche per impedire all'industria bellica di capire il nesso tra scissione dell'atomo e bomba atomica. L'ostruzionismo degli scienziati tedeschi fu forse una delle migliori prove della 'resistenza' interna al nazismo. Ma pochi allora lo sapevano.

Il progetto americano, dopo l'avallo di Roosevelt e Churchill, prese il via nel 1942 con il nome di Progetto Manhattan. Nella cittadella-laboratorio di Los Alamos, nel New Mexico, scienziati e militari si misero al lavoro febbrilmente per giungere al più presto alla costruzione di una bomba atomica. Un grande contributo lo diede ancora Fermi. A Chicago nel dicembre 1942 riuscì ad ottenere una reazione a catena controllata nella sua pila all'uranio. Ormai la bomba era inevitabile. L'unico mistero era rappresentato dalla potenza che un simile ordigno avrebbe potuto sprigionare. Una forza pari a 600 tonnellate di esplosivo era l'ipotesi più accreditata. Altri, ma sembrava esagerassero, parlarono di potenze superiori alle 2000 tonnellate. Non restava che provare

Finalmente, la prima esplosione nucleare sperimentale, avvenuta nel deserto del New Mexico nel luglio 1945, risolse il dubbio. La potenza distruttiva era ancora più impressionante del previsto, pari a circa 18000 tonnellate di TNT (18 kiloton)! Era nato l'ordigno finale, quello che poteva segnare definitivamente non solo la fine del conflitto in corso ma anche quella della civiltà. I dubbi degli scienziati di Los Alamos non erano però solo di ordine tecnico. Investivano anche le coscienze. Nel 1944 il fisico danese Niels Bohr aveva preparato un memorandum per il presidente degli Stati Uniti per metterlo in guardia sulla inevitabile rincorsa nucleare che si sarebbe scatenata tra le
potenze alla fine del conflitto se non si fossero predisposti dei piani di distensione.

'ATTENTI ALLA COMPETIZIONE..'

Scrisse Bohr a Roosevelt che 'la terrificante prospettiva di una competizione futura fra nazioni intorno a un'arma così formidabile potrà essere evitata solo attraverso un accordo universale basato su una vera fiducia'. Una fiducia reciproca che USA e URSS non avevano alcuna intenzione di concedere. Altri scrupoli sorsero con la resa della Germania nazista. Gli scienziati avevano promosso gli studi per la costruzione della bomba in funzione antihitleriana, ma ora che il principale nemico era sconfitto a che serviva continuare? La guerra nel teatro del Pacifico era ormai agli sgoccioli. Con la marina e l'aviazione al collasso, solo l'esercito garantiva all'impero del Sol Levante il controllo del territorio nazionale e della Manciuria. I vertici militari USA erano convinti che per la metà del 1946, con un serrato blocco navale ed un eventuale sbarco sul suo territorio metropolitano, il Giappone sarebbe stato sconfitto.

L'ipotesi di farla scoppiare in un luogo deserto, al cospetto di osservatori internazionali, per dimostrare al Giappone la terribile arma di cui gli alleati erano dotati, fu scartata. Così pure quella di comunicare in anticipo alle autorità nemiche il nome della città che sarebbe stata bombardata per consentire un suo sgombero. A fare indirettamente pressioni per il suo uso era l'opinione pubblica statunitense che, esasperata da quattro anni di guerra (nel giugno 1945 per conquistare Okinawa caddero 13 000 marines e 100 000 giapponesi), chiedeva una vittoria immediata e definitiva.

Anche le considerazioni politiche sugli assetti mondiali immediati e futuri ebbero il loro peso. La guerra nel Pacifico doveva essere una completa vittoria americana e bisognava evitare che Stalin si ritagliasse anche lì un fetta di gloria attaccando in extremis le truppe giapponesi in Cina. La determinazione nell'uso della bomba era poi un chiaro messaggio all'URSS su quale dovesse essere la potenza dominante del secondo dopoguerra. Necessità tattiche e prospettive strategiche convinsero Truman alla decisione finale.

LA PACE ARMATA

Dopo Hiroshima e Nagasaki le reazioni degli scienziati che per anni avevano lavorato alacremente al progetto Manhattan furono contrastanti. Avevano costruito la bomba atomica per paura che ci riuscisse prima la Germania, per porre fine a un conflitto che insanguinava il mondo intero da sei anni, ma anche per quel profondo desiderio di conoscenza caratteristico della razza umana e ancor più forte negli uomini di scienza.

Tutti loro erano legati in modo indissolubile all'ordigno che avevano scoperto e perfezionato. Come scienziati avevano voluto scoprire i segreti del mondo fisico, le possibilità di manipolarlo e di controllarlo. E ora che ci erano riusciti qualcosa non funzionava. La realtà che stava dietro l'angolo era venuta alla luce: la bomba atomica poteva essere il primo passo verso la distruzione completa dell'umanità. Hiroshima stava poco a poco prendendo piede nella mentalità collettiva come la manifestazione dell'onnipotenza dell'uomo: un onnipotenza negativa, alla quale si erano sacrificati i migliori ingegni e le migliori facoltà umane. Leo Szilard, il fisico che forse per primo aveva intuito la portata militare e politica della scoperta del neutrone, disse, poche ore dopo il bombardamento di Hiroshima, che l'uso 'delle bombe atomiche contro il Giappone è una delle più grandi bestialità della storia', perché così si sarebbe dato il via a una sfrenata corsa agli armamenti atomici. Lui che nell'estate del 1939 si era recato da Einstein per chiedergli di convincere il governo statunitense a costruire una bomba atomica in funzione antinazista, era infine diventato uno degli uomini più preveggenti sul nuovo corso della storia che di lì a poco sarebbe scaturito.

L'idea che d'ora in poi fosse necessario attuare un ripensamento in chiave politica nell'uso del deterrente atomico iniziò rapidamente a prendere piede un po' tra tutti gli scienziati responsabili del progetto Manhattan. In modi più o meno evidenti, e talvolta anche in circostanze ufficiali, Oppenheimer, direttore del laboratorio di Los Alamos, Fermi e altri loro colleghi si espressero a favore di una politica di accordi internazionali in grado di evitare guerre future. Si parlò ripetutamente, come aveva già fatto a suo tempo Bohr, di incoraggiare il libero scambio della scienza e degli scienziati, di ispezioni reciproche tra USA e URSS.

VERSO L'EQUILIBRIO DEL TERRORE

Nelle università americane, a pochi mesi dalla fine della guerra, si organizzarono convegni scientifici sul controllo dell'energia atomica. In uno di questi, tenuto a Chicago nel settembre del 1945 al cospetto di autorevoli studiosi ed economisti, vennero sviscerate un gran numero di ipotesi futuribili. Tra catastrofisti e irriducibili sostenitori dell'armamento atomico, furono anche formulate delle previsioni a dir poco sorprendenti per la loro precisione: 'Non ci sarà nessuna guerra preventiva - disse un relatore che mise d'accordo tutti gli scienziati - e non ci sarà un accordo internazionale che comporti delle ispezioni. L'America avrà il possesso esclusivo per un certo numero di anni e la bomba eserciterà una certa influenza sottile; sarà presente ad ogni incontro diplomatico nella coscienza dei partecipanti ed eserciterà il suo effetto. Poi, presto o tardi, anche la Russia avrà la bomba e allora si instaurerà un nuovo equilibrio'. L'equilibrio della deterrenza e della minaccia nucleare'.

Cosa che puntualmente si verificò nel settembre del 1949, quando il presidente americano Truman annunciò al mondo intero l'esplosione della prima bomba atomica russa. La corsa a due iniziò così. Gli scrupoli di coscienza degli scienziati del progetto Manhatthan non riuscirono a deviare di un solo passo gli eventi. Anzi, la strategia nucleare e lo sviluppo della sua tecnologia bellica diverranno la vera e unica ossessione delle due superpotenze. Nei primi anni Cinquanta la bomba all'idrogeno, o termonucleare, sostituirà la vetusta bomba atomica. La potenza degli ordigni aumenterà a dismisura (fino a 3000 volte quella di Hiroshima) e si realizzeranno vettori (missili) sempre più precisi e capaci di portare distruzione su tutto il territorio della potenza avversaria.

Una lezione per tutti

L'esperienza dei bombardamenti atomici ha veramente lasciato una profonda cicatrice nella mente e nella coscienza di molti. Anche coloro che hanno visto gli effetti verificatisi dopo il bombardamento sono rimasti profondamente impressionati dall'orrore e dalla potenza distruttiva della guerra. Il caso di Claude Eatherly, un pilota che partecipò al lancio della bomba atomica su Hiroshima, in Giappone, illustra vivamente le orribili ripercussioni della guerra. Claude fu congedato dal servizio militare nel 1947 dopo che le perizie psichiatriche avevano indicato una "grave forma di neurosi e complesso di colpa". In seguito fece la spola da un ospedale psichiatrico all'altro. "Si svegliava tutte le notti", osservò suo fratello la scorsa estate al funerale di Claude. "Diceva che gli bruciava il cervello. Diceva di poter sentire quelle persone bruciare".





E'adesso?? quante sono e chi ce l'ha?



Sul pianeta
Sono 31.535 ancora le bombe atomiche sparse nel mondo e tale numero è da ritenersi sicuramente sottostimato in quanto considera solo gli stati che hanno ammesso ufficialmente di possedere armi nucleari, cioè Usa (10.500 bombe), Russia (20.000), Gran Bretagna (185), Francia (450), Cina (400). Mancano i dati relativi a Israele, India e Pakistan. In Europa sono dislocate nelle varie basi americane circa 150 bombe atomiche (45 in Germania, 30 in Gran Bretagna e Italia, 15 in Turchia, 10 Belgio, Olanda e Grecia).

In Italia
Le 30 atomiche italiane, tutte del tipo B61, 200 volte più potenti rispetto a quelle di Hiroshima e Nagasaki, sono divise tra le basi di Aviano (circa 20 bombe) e Ghedi Torre. Le armi nucleari americane collocate in Europa si distinguono in due categorie: le armi direttamente destinate all'uso delle forze armate e le armi destinate alle forze alleate, le quali verrebbero usate, in caso di necessità, sui propri sistemi di lancio. Impropriamente si fa riferimento a questa distinzione definendo la prima categoria di armi nucleari come armi a chiave singola e la seconda categoria come armi a doppia chiave, dove una chiave (la bomba o la testata) è posseduta dalle forze americane e la seconda chiave, il sistema di lancio, è posseduto dalle forze del paese ospitante. Questa nominazione è impropria perché è evidente che le armi a doppia chiave possono rapidamente trasformarsi in armi a chiave singola, cambiando il sistema di lancio.

Negli Stati Uniti
Quasi il 40 per cento delle testate nucleari sono nei sottomarini della flotta nucleare americana. Di questi, in media la metà sono in giro per il mondo, due o tre per oceano, con la stessa media dei tempi della guerra fredda. Nonostante l'accordo Start 2 preveda il dimezzamento della flotta di sottomarini americani armati con missili balistici Trident, il Pentagono nel 1999 ha acquistato più di 400 missili, spendendo 27 miliardi di dollari.
























BIBLIOGRAFIA


Documenti presi dal libro di testo: Le storie e la storia

Foto prese da Internet

Enciclopedia multimediale (Encarta)

Documenti presi da Internet



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