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L' italia dell' '800




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L' ITALIA DELL'


Il congresso di Vienna (1815) e il nuovo assetto dell'Italia. Il congresso di Vienna, con l'atto del 9-VI-1815, diede all'I. una nuova sistemazione politica. La penisola fu divisa in dieci stati: il Lombardo-veneto, sotto l'Austria; il regno di Sardegna (Piemonte, Sardegna, Nizza, Savoia e Liguria), sotto Vittorio Emanuele I (1802-21); il ducato di Modena e Reggio, dato a Francesco IV di Austria-Este; il ducato di Massa e Carrara, affidato a Maria Beatrice d'Este; il ducato di Parma e Piacenza, assegnato alla moglie di Napoleone Maria Luisa d'Austria; il ducato di Lucca a Maria Luisa di Borbone; il granducato di Toscana (con lo Stato dei presidi e il principato di Piombino) a Ferdinando III di Lorena; la repubblica di San Marino; lo Stato della chiesa, sotto Pio VII; il regno di Napoli e di Sicilia, sotto Ferdinando IV di Borbone. Il Trentino, il sud-Tirolo e la Venezia Giulia entrarono a far parte dell'impero asburgico.
L'Austria venne a rappresentare il garante della Restaurazione in Italia. Solo in Piemonte Vittorio Emanuele I e una parte dei ceti dirigenti avevano vivo il senso d'indipendenza rispetto all'Austria e mantenevano l'aspirazione all'annessione della Lombardia. La Santa Alleanza tra Russia, Austria e Prussia (1815) legittimò l'intervento austriaco contro eventuali tentativi di cambiamento, mentre la restaurazione dell'antico ordine di cose fu condotta in I., forse più che in qualsiasi altro paese d'Europa, all'insegna della chiusura e della reazione. Nella quasi totalità degli stati venne liquidata buona parte dell'eredità napoleonica e furono restaurati istituti e legislazioni precedenti. Non era comunque possibile cancellare del tutto gli sviluppi economici, sociali e giuridici del passato regime. Lo stato con il governo più aperto fu la Toscana, che mantenne una certa autonomia nei confronti dell'Austria. Alcuni ministri illuminati, come V. Fossombroni in Toscana, il cardinale E. Consalvi nello stato pontificio, A. Neipperg a Parma e Luigi de'Medici a Napoli, impostarono il loro governo secondo i criteri di centralizzazione amministrativa del governo francese. In Lombardia e a Venezia l'Austria abolì tutte le istituzioni napoleoniche e subordinò le regioni all'amministrazione fortemente centralizzata di Vienna. Una trasformazione istituzionale si ebbe nel regno di Napoli: con il decreto dell'8-XII-1816 Ferdinando pose fine all'autonomia della Sicilia, riunita a Napoli, soppresse la costituzione siciliana e assunse il titolo di Ferdinando I, re delle Due Sicilie.

I PATRIOTI LIBERALI E LE SOCIETà SEGRETE Il frazionamento del paese, la politica vincolistica degli stati restaurati, l'alleanza tra i troni e l'altare e l'appesantirsi della egemonia austriaca fecero emergere presso i gruppi di patrioti il problema dell'indipendenza nazionale, che cominciò ad assumere un contenuto antiasburgico. Il programma di indipendenza e di unificazione fu sin dall'inizio trainato dai nuclei di borghesia commerciale e manifatturiera rafforzatisi nel periodo napoleonico, ma ancora esclusi dal potere politico. Il romanticismo, che a partire dalla Restaurazione costituì la temperie culturale comune a tutti i paesi europei, si intrecciò in Italia con il problema dell'unità nazionale e rivalutò in tal senso alcuni periodi della storia d'Italia. La capacità dei patrioti di divenire un polo di aggregazione fu però limitata non solo dalla scarsità dele loro forze e dalla loro presenza limitata ad alcune regioni del paese, ma anche dalla compattezza e dalla solidità del blocco sociale che sosteneva le monarchie, protette dalla tutela politico-militare dell'Austria.
Pochi di numero e strettamente sorvegliati, i patrioti liberali italiani si organizzarono in società segrete, la cui origine comune fu probabilmente la massoneria; principale fra queste società fu la Carboneria; vanno pure ricordati gli adelfi, i federati, i guelfi. Le idee patriottiche furono divulgate anche dalle pagine di riviste come «Il Conciliatore», pubblicato per un anno (1818-19) a Milano, o la fiorentina «Antologia »(1821-33) di Vieusseux; la letteratura espresse l'aspirazione al risorgimento nazionale, con Manzoni, Leopardi, Berchet, d'Azeglio, Niccolini, Grossi, Guerrazzi ecc. Contro le società segrete liberali sorsero formazioni reazionarie, delle quali, tuttavia, non si hanno notizie sicure: fra esse i clericali sanfedisti e, nel regno di Napoli, i calderari, protetti dal principe di Canosa.

I MOTI NAZIONALI (1820-46) Il moto patriottico italiano era in questo periodo strettamente legato con i movimenti liberali esteri. Gli eventi europei ebbero quindi forti ripercussioni in Italia. Nel 1820 la rivoluzione spagnola suscitò l'insurrezione dei carbonari napoletani, che il 7 luglio costrinsero Ferdinando I a concedere la costituzione spagnola del 1812. Il moto fallì per l'intervento dell'esercito austriaco, che disperse quello napoletano guidato da G. Pepe presso Rieti (7-III-1821). La reazione fu gravissima; sotto il nuovo re, Francesco I (1825-30), venne poi duramente repressa un'insurrezione nel Cilento (1828). Anche in Piemonte il moto insurrezionale partì dall'esercito. Il 10-III-1821 un gruppo di ufficiali carbonari proclamò nella cittadella di Alessandria la costituzione di Spagna; lo stesso avvenne a Torino il 12 marzo. Vittorio Emanuele I abdicò in favore del fratello Carlo Felice (1821-31), assente. Il reggente Carlo Alberto accordò la costituzione di Spagna, salvo ratifica del re, ma, sconfessato da Carlo Felice, abbandonò il governo e le truppe austriache sconfissero i costituzionalisti a Novara (8 aprile). La reazione in Piemonte fu più temperata che a Napoli; si ebbero comunque due esecuzioni capitali e vari profughi, tra cui S. Santarosa. I moti del 1821 furono, in sostanza, pronunciamenti militari senza partecipazione popolare né delle classi medie. La rivoluzione parigina del luglio 1830 ebbe in I. effetti importanti, perché i liberali italiani sperarono in un appoggio francese contro l'Austria. I moti scoppiarono in I. centrale, a Bologna e nel ducato di Modena (capo, quivi, C. Menotti). Nel febbraio 1831 insorsero i ducati, le Legazioni, le Marche e l'Umbria; le tre ultime regioni si costituirono in Province unite italiane. Ma l'intervento austriaco, al quale non si oppose, contraddicendo dichiarazioni precedenti, il governo francese, fece cadere in marzo i governi insurrezionali; a Modena Menotti fu impiccato. Il susseguirsi delle agitazioni in Romagna portò a una nuova occupazione austriaca e, per contrappeso, a quella francese di Ancona (1832), durate entrambe fino al 1838. I moti del 1831 segnarono il fallimento definitivo della Carboneria. Sorse allora una nuova organizzazione politica segreta, la Giovine Italia, fondata nel 1831 a Marsiglia da Giuseppe Mazzini, che, a differenza della Carboneria, era organizzata secondo un programma e una direzione precisi. Essa si proponeva l'unità d'I. sotto un governo popolare repubblicano. Nel regno di Sardegna i mazziniani, che si erano moltiplicati nell'esercito, subirono nel 1833 una severissima repressione con 12 esecuzioni capitali; un tentativo di insurrezione in Savoia fallì (febbraio 1834). In Lombardia vi fu un grande processo (1833-35) contro i mazziniani, concluso però senza esecuzioni capitali. Il nuovo imperatore Ferdinando I (1835-48) elargì un'amnistia e cinse a Milano (1838) la corona ferrea, senza tuttavia riuscire ad avvicinarsi durevolmente alla popolazione. Tentativi di insurrezione promossi da mazziniani si ebbero a Bologna (1843) e a Rimini (1845). Lo sbarco dei fratelli Bandiera in Calabria fallì; gli insorti, fatti prigionieri, vennero fucilati (1844).

LE RIFORME E IL 1848 Negli anni quaranta, dopo il fallimento dei moti ispirati al mazzinianianesimo, si affermò, soprattutto per opera di alcuni intellettuali, l'idea di una strada alternativa per l'unificazione italiana, con una trasformazione graduale condotta dagli stessi sovrani. Interpreti di questa tendenza moderata e riformista furono V. Gioberti, che nel Primato morale e civile degli italiani (1843) auspicò una confederazione di stati con a capo il papa, C. Balbo con le Speranze d'Italia (1843) e d' Azeglio con l'opuscolo Degli ultimi casi di Romagna (1846). I moderati, in gran parte piemontesi, rivolsero le loro aspettative a Carlo Alberto, il quale dopo il 1840 dette qualche segnale favorevole alla causa nazionale. Ma le maggiori speranze furono suscitate dal nuovo papa Pio IX (1848-78), che concesse subito una larga amnistia (16-VII-1846) e adottò misure riformistiche. Leopoldo II e Carlo Alberto seguirono il pontefice sulla via delle riforme. Al principio del 1848, dopo l'insurrezione della Sicilia, Ferdinando II promulgò la costituzione (10 febbraio), seguito dal Piemonte (8 febbraio-4 marzo), dalla Toscana (11-17 febbraio) e dal pontefice (14 marzo). Queste costituzioni italiane erano modellate su quella francese del 1830. La notizia dell'insurrezione di Vienna (13-14 marzo) suscitò a Milano il moto delle Cinque giornate (18-22 marzo); anche Venezia insorse. Carlo Alberto il 23 marzo decise la guerra all'Austria ( Indipendenza, guerre di). L'esercito piemontese, tuttavia, battuto a Custoza (23-25 luglio), dovette capitolare (5 agosto). L'armistizio firmato dal generale Salasco (9 agosto) permise all'Austria di rioccupare Milano e di assediare Venezia.
Sconfitto Carlo Alberto, il controllo del movimento di indipendenza nazionale passò ai democratici. A Roma il ministro Pellegrino Rossi venne ucciso da un democratico (15 novembre); il pontefice fuggì (24 novembre) e fu eletta un'assemblea costituente che proclamò la repubblica (11-II-1849). In Toscana nell'ottobre 1848 si formò un governo democratico e il granduca abbandonò lo stato (febbraio 1849). Carlo Alberto, spinto dal parlamento e dall'opinione pubblica, decise di riprendere la guerra, ma a Novara (23 marzo) l'esercito piemontese fu completamente disfatto dal generale Radetzky. Carlo Alberto abdicò a favore del figlio Vittorio Emanuele II, che stipulò con l'Austria l'armistizio di Vignale. La nuova sconfitta dei piemontesi portò alla caduta dei governi democratici. In Toscana il granduca rientrò con le truppe austriache, che intervennero anche nello Stato pontificio, mentre una spedizione francese investiva Roma. Qui il governo era stato assunto da un triumvirato con a capo Mazzini; la difesa militare fu condotta da Giuseppe Garibaldi, ma il 4 luglio i francesi si impadronirono della città. Poco prima (aprile-maggio) anche la Sicilia aveva cessato la sua resistenza a re Ferdinando. Ultima a cadere, dopo le «dieci giornate» di Brescia (23 marzo-1o aprile), fu Venezia, che sotto la direzione di D. Manin resistette fino al 23 agosto. Frattanto il Piemonte aveva concluso con l'Austria la pace di Milano (6 agosto), ratificata dal parlamento, dopo alcune resistenze, il 9-I-1850.

LA FORMAZIONE DELL'UNITA' ITALIANA (1849-70) La causa dell'unità italiana sembrava perduta, ma in realtà essa era diventata oggetto di una coscienza nazionale ed era stata fatta propria dal maggiore stato della penisola, mentre le condizioni europee stavano mutando, con la dissoluzione della Santa alleanza e con la nascita del secondo impero napoleonico. Le premesse per una rapida conclusione del Risorgimento italiano. erano così poste. Pio IX rientrò il 12-IV-1850 a Roma, occupata dai francesi, mentre la Romagna era occupata dagli austriaci. A Napoli Ferdinando II abolì di fatto la costituzione. Nel Lombardo-Veneto la tensione patriottica fu tenuta viva dai mazziniani. I membri di un gruppo scoperto a Mantova furono condannati alla pena capitale (i «martiri di Belfiore»,1852-53), mentre a Milano fallì un tentativo rivoluzionario (6-II-1853) e stessa sorte ebbe la spedizione a Sapri di Carlo Pisacane (1857).
Unico governo italiano, il Piemonte mantenne lo statuto e introdusse riforme politiche ed economiche. Capi del governo furono d'Azeglio, poi Cavour, presidente del consiglio dal 1852 al 1859. Per valorizzare la posizione internazionale del Piemonte il re e Cavour vollero l'intervento nella guerra di Crimea (1855). Cavour potè così partecipare al congresso di Parigi (1856), dove pose la questione italiana. I patrioti si rivolsero quindi sempre più verso il Piemonte; la «Società nazionale» fondata da Manin (1857) divenne il loro riferimento. Fattore politico decisivo per l'unità italiana fu l'accordo tra Napoleone III e Cavour nel convegno di Plombières (1858) con cui si strinse l'alleanza franco-sarda per la seconda guerra di indipendenza, iniziata il 26-IV-1859. Dopo le sconfitte di Magenta, Solferino e San Martino, l'imperatore Francesco Giuseppe concluse con Napoleone III i preliminari di Villafranca (11 luglio), cedendogli la Lombardia, ceduta ancora al Piemonte. Nel frattempo nell'I. centrale erano caduti i sovrani di Toscana, di Modena e Parma e la dominazione pontificia in Romagna. I governi provvisori chiesero l'annessione al Piemonte e l'anno seguente si tennero i plebisciti nei quali fu votata quasi all'unanimità l'unione alla monarchia costituzionale di Vittorio Emanuele II (11-12 marzo 1860). Il Piemonte cedette alla Francia Savoia e Nizza, sempre attraverso un plebiscito (15 e 22 marzo).
I passi decisivi verso l'unità furono la spedizione dei Mille, al comando di Garibaldi, e l'occupazione delle Marche e dell'Umbria. Garibaldi, partì da Quarto (GE) il 6-V-1860, sbarcò l'11 a Marsala e il 20 luglio aveva liberato l'isola; passato lo stretto, il 7 settembre entrò a Napoli. Il governo di Torino decise allora l'intervento dell'esercito regio nel Mezzogiorno attraverso le Marche e l'Umbria. Il generale Cialdini battè i pontifici a Castelfidardo (18 settembre), e furono occupate Perugia e Ancona. Subito dopo Vittorio Emanuele entrò nel Napoletano, ove Garibaldi nella battaglia del Volturno (1o ottobre) aveva respinto un attacco borbonico. I plebisciti sancirono l'annessione di Napoli e Sicilia (21 ottobre), Marche e Umbria (4 e 5 novembre. Il 18 febbraio si riunì a Torino il nuovo parlamento, con i rappresentanti delle province annesse, che votò la proclamazione del Regno d'Italia e il nuovo titolo del re Vittorio Emanuele (17 marzo). Il 27 marzo, su proposta di Cavour, il parlamento acclamò Roma capitale d'Italia, ma le trattative intavolate dallo stesso Cavour per un accordo con Roma non ebbero esito favorevole; poco dopo (6 giugno) lo statista morì. I suoi successori (Ricasoli, Rattazzi, Minghetti, Lanza) dovettero affrontare i problemi dell'ordinamento del nuovo stato e del completamento dell'unità nazionale. Il regno fu organizzato con un'amministrazione accentrata e uniforme. Fu represso con difficoltà nel Mezzogiorno il fenomeno (in sostanza una vasta rivolta sociale alimentata dall'ideologia legittimista e clericale) del brigantaggio. Il riconoscimento del Regno d'I. da parte delle potenze europee permise di riaprire il credito estero e di migliorare il bilancio statale.
Per la liberazione di Venezia e di Roma ( Questione romana), il governo si trovò stretto fra le difficoltà internazionali e le impazienze del partito d'azione. Nel 1862 furono arrestati al confine del Trentino nuclei di volontari; seguì un'audace iniziativa di Garibaldi, arrestato dalle truppe regie all'Aspromonte (29 agosto). Nel 1864 fu stabilito il trasferimento della capitale da Torino a Firenze, effettuato nel giugno del 1865. La liberazione del Veneto avvenne in seguito alla guerra italo-prussiana contro l'Austria ( Indipendenza, guerre di), nonostante le sconfitte dell'esercito italiano a Custoza (24-VI-1866) e della flotta a Lissa (20 luglio). L'Austria, completamente sconfitta dalla Prussia a Sadowa (3 luglio), cedette il Veneto, che fu consegnato all'I. tramite Napoleone III, senza però il Trentino e la Venezia Giulia. Perdurava intanto il conflitto con il pontefice. Garibaldi nel 1867 organizzò una spedizione di volontari su Roma, ma fu sconfitto da un esercito franco-pontificio a Mentana (3 novembre). Scoppiata la guerra franco-prussiana (luglio 1870), e caduto il governo imperiale, il 20-IX-1870 le truppe italiane poterono entrare in Roma, non più protetta dai francesi, per la breccia di Porta Pia. Il 2 ottobre un plebiscito sanzionò l'unione di Roma all'Italia. La situazione del pontefice venne regolata dall'I. con la legge delle guarentigie (1871). Nel luglio 1871 la capitale fu trasferita a Roma.

L'Italia dal 1870 al 1922. Compiuta l'unità nazionale, la Destra storica guidò il paese fino al 1876, quando, dopo la caduta del ministero Minghetti, il nuovo governo fu formato da A. Depretis, che inaugurò l'età della Sinistra storica e del cosiddetto trasformismo, attuando importanti riforme. In politica estera l'I. strinse con l'Austria e la Germania la Triplice alleanza (20-V-1882). Fu intrapresa una politica coloniale in Africa (Eritrea, Etiopia e Somalia), avviata da Depretis e continuata da F. Crispi, presidente del consiglio dal 1887, e conclusa, in seguito alla guerra con Menelik, negus d'Etiopia, con la disastrosa sconfitta di Adua (1896), che obbligò Crispi alle dimissioni. In politica interna, mentre emergevano nuove forze politiche (partito socialista; Socialismo), sotto il governo di A. Starabba di Rudinì l'I. visse la cosiddetta crisi di fine secolo, legata ai tumulti popolari causati dall'aumento del prezzo del pane (1898), a cui il governo rispose con una dura repressione e con il fallito tentativo di limitare il ruolo del parlamento. Caduto di Rudinì, il secolo si chiuse con l'assassinio di Umberto I (1900), succeduto a Vittorio Emanuele II nel 1878. In una fase di intenso sviluppo economico, sotto il ministero Zanardelli-Giolitti (1901-03) e sotto i successivi presieduti da G. Giolitti dal 1903 al 1914, salvo brevi interruzioni, la politica interna, conobbe una svolta in senso liberale-democratico.


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