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Islamismo (dall'arabo Islam, sottomissione [a Dio]).
Con il termine I. si intende anzitutto la religione fondata da Maometto all'inizio del sec. VII e, con accezione più ampia, la storia dei popoli convertiti alla fede di Maometto e le espressioni culturali connesse con la religione islamica.
▪
Nascita e diffusione dell'islamismo. ► MAOMETTO Alla nascita di
Maometto ( Muhammad), verso il 570 d. C., varie religioni erano
professate in Arabia: a sud e nord si trovavano cristiani, a Yathrib (Medina) e
Khaibar si era stabilito un forte numero di ebrei, mentre il resto del paese
seguiva culti locali, che si possono definire globalmente come una sorta di
politeismo primitivo. Questa religione aveva uno dei suoi centri alla Mecca,
dove erano venerate parecchie divinità (la principale era Hubal, a cui
veniva attribuito talora l'epiteto di allah , dio per antonomasia);
la città era occupata dalla tribù dei banu Quraiš (o coreisciti) i
quali, secondo la posteriore tradizione musulmana, facevano risalire le proprie
origini direttamente al biblico Ismaele (Isma'īl ), figlio di
Abramo e della schiava egizia Agar (Hağar ). I coreisciti avevano
in custodia il santuario più venerato della città e di tutta l'Arabia, la
Ka'ba. La Mecca con il suo santuario era inoltre meta di un pellegrinaggio
annuale, che interessava tutte le diverse tribù abitanti la penisola, e durante
il quale cessavano le frequenti ostilità che le contrapponevano, affinché i
fedeli potessero con sicurezza adempiere alle loro pratiche di devozione:
notevoli residui di queste ultime si conservano nelle forme islamiche dell’ hağğ.
Quando nacque Maometto la società meccana cominciava a risentire delle
contraddizioni causate dalla sua struttura commerciale che provocava estremi di
ricchezze e povertà, barriere sociali e di classe, schiavitù. La critica di
Maometto verso questo mondo sfociò nel sentimento religioso. L'opposizione dei
suoi concittadini, che temevano gli influssi negativi della nuova predicazione
sui propri interessi economici (quali il diffuso timore che il monoteismo
predicato dal Profeta danneggiasse l'assetto economico dei loro santuari)
spinse Maometto a trasferirsi a Medina, città dilaniata da un prolungato
conflitto tra tribù rivali, i cui capi speravano in una funzione positiva
dell'intervento mediatore di una personalità estranea. A Medina la religione
predicata da Maometto assunse nuove forme e il movimento islamico si costituì
in una comunità organizzata su criteri politici sotto un singolo capo. Da
allora in poi l'azione pratica di Maometto si incentrò sul consolidamento
interno del gruppo dei suoi fedeli. Dopo la conquista (630) della Mecca,
ottenuta con le armi e la diplomazia, il Profeta cessò ogni azione militare,
dedicando il resto della sua vita (morì nel 632) al rafforzamento della
comunità islamica (umma ), in modo che questa fosse in grado di
svilupparsi anche dopo di lui.
► I SUCCESSORI DEL PROFETA Maometto non lasciò
discendenza maschile; alla sua morte quindi si presentò il problema della
successione. Abū Bakr, uno dei seguaci di Maometto oltre che suo suocero,
sostenuto dalla tribù coreiscita, riuscì ad imporre la sua candidatura come
califfo (ossia vicario). Egli dovette anzitutto reprimere le rivolte interne,
specialmente a Medina dove risorgevano le vecchie rivalità sopite da Maometto;
malgrado ciò nel medesimo tempo riuscì a concretizzare quella spedizione in
Siria, a cui già il Profeta aveva pensato, tanto da vedere prima della sua
morte, avvenuta a due anni dall'elezione (634), tutta la penisola araba
sottomessa al dominio califfale. Gli successe ‘Omar (634-644), il califfo
conquistatore: egli aggiunse ai suoi domini l'impero sasanide di Persia,
conquistò Gerusalemme e tutta la Siria contro Bisanzio, sottopose al suo
dominio l'Egitto e la Cirenaica. ‘Omar cadde pugnalato nella moschea di Medina
nel 644, lasciando il califfato a ‘Othman, il cui governo fu caratterizzato più
che altro dalle contese intestine in mezzo alle quali egli, vecchio e debole,
non seppe prendere partito, morendo assassinato nel 656. Sotto di lui si ebbe
però la prosecuzione dell'espansione islamica in Nordafrica, e al suo volere
risale la redazione finale del Corano. Alla morte di ‘Othman il califfato passò
nelle mani del genero di Maometto ‘Alī ibn Abī Talib (656-661) il
quale, ritenuto da molti l'erede designato, aveva un numeroso seguito (šī‘a
) all'interno dell'ormai strutturata organizzazione religioso-statale
islamica. La successione di ‘Alī non fu però accettata da larghi settori
del mondo islamico, che si raccolsero intorno ad un parente del califfo ucciso,
Mu‘awiya governatore di Siria. La guerra tra ‘Alī e Mu‘awiya conobbe
varie fasi, finché dopo soli 5 anni di governo anche ‘Alī morì
assassinato. Si radicalizzò una violenta scissione: sorta su di un problema
preminentemente politico, quello del criterio di successione al ruolo califfale
(che i seguaci di ‘Alī intendevano riservare ai membri della famiglia del
profeta e ai loro discendenti), questa frattura del mondo islamico tra sciiti
(il partito dei seguaci di ‘Alī) e sunniti doveva poi colorarsi di motivi
più strettamente religiosi. Con la morte di ‘Alī si chiuse il ciclo iniziale
della vita interna dell'Islam, noto come epoca dei Rashīdūn o
[Califfi] ben guidati. Si inaugurò invece con Mu‘awiya la dinastia degli
Omayyadi, sotto la quale l'impero musulmano unitario raggiunse la sua massima
estensione. La storia del califfato arabo è connessa con le lotte tra i vari
partiti che intendevano ciascuno a proprio modo la successione all'eredità
religioso-politica del Profeta. Infatti sotto Yazīd (680-683), successo a
Mu‘awiya nel 680, avvenne il massacro di Husain, secondo figlio di
‘Alī, e dei suoi pochi seguaci a Kerbala, massacro che suscitò
ovunque deprecazione ed orrore, e che segnò una svolta decisiva nel processo di
radicalizzazione delle tendenze sciite. Sotto Walīd (705-715) si registrò
la conquista della Spagna, dove per alcuni secoli si ebbero una vita e una
cultura musulmane molto vivaci, con centro a Córdoba. Dopo ‘Omar (717-720) il
califfato omayyade decadde per cessare definitivamente nel 750 dopo ca. 90 anni
di esistenza. La suprema autorità islamica passò a questo punto nelle mani di
uno dei discendenti di ‘Abbas, zio del Profeta, il quale diede vita alla
dinastia degli ‘Abbasidi, che posero la loro capitale a Baghdad, dove
essi rimasero fino al 1258, quando anche le ultime vestigia — ormai puramente
formali — furono cancellate dalle invasioni di Gengis Khan. Allo sterminio
degli Omayyadi scampò però ‘Abd ar-Rahman, che diede vita in Spagna ad un
califfato autonomo da quello di Baghdad, sancendo così la prima frattura
nell'unità della compagine statale islamica. Gli ‘Abbasidi, il cui governo
fu caratterizzato da uno sforzo di centralizzazione e di controllo sotto la
guida di un unico capo, ebbero califfi di grande abilità e splendore,
specialmente al- Mansūr (754-775), Harūn al-Rashīd
(786-909) e al- Ma'mūn (813-833). Sotto di loro però il califfato si andò
sempre più diversificando da quello omayyade, abbandonando innanzitutto il
carattere puramente arabo, mentre aumentavano gli apporti da altre culture,
prima fra le quali quella persiana. Andavano inoltre crescendo nelle varie regioni
dell'immenso impero, a partire da quelle periferiche, istanze autonomistiche
che sfociarono presto nella formazione di compagini statali rette da dinastie
formalmente sottomesse al potere califfale, ma di fatto indipendenti. Il
califfato ‘abbaside, indebolito dalle lotte interne e dalle rivalità delle
dinastie ormai a vario livello indipendenti che gli contendevano l'autorità e
gli strappavano a brani a brani il dominio, cessò — come detto — a causa
dell'invasione mongola di Hülagü, nipote di Gengis Khan, che uccise
l'ultimo califfo, al-Musta'sim (1242-1258). Da ultimi gli Ottomani (1281-1924)
cercarono di restaurare questa carica proclamandosi califfi; con la loro
scomparsa tuttavia si ebbe infine il definitivo tramonto della istituzione. Da
questa rapida esposizione si rileva quindi che l’Islam si estese alla
Siria, alla Persia, alle steppe centroasiatiche, all’Egitto, a tutta la costa
settentrionale dell’Africa, da dove penetrò all’interno, alla Spagna, all’Asia
occidentale, all’Europa, alla Cina, all’India.
▪ Dottrina e precetti.
La
dottrina islamica si fonda principalmente sulla rivelazione di Dio (Allah)
a Maometto espressa principalmente nel Corano , che è considerato
non semplice scrittura ispirata ma vera manifestazione della divinità, o suo
attributo, visibilmente concretizzato in una forma modellata secondo un
archetipo celeste ('Umm al-Kitab, Madre del Libro) e nei «Detti», o
Hadīth, attribuiti al Profeta e raccolti nella Sunna o Tradizione.
Cardine del pensiero religioso di Maometto è il concetto di un Dio unico, che
non tollera uguale vicino a sé, giusto, di tremenda maestà, retributore delle
azioni degli uomini, che gradisce la quotidiana preghiera e l'offerta di opere
buone e vuole la fratellanza di tutti gli uomini, i quali devono essere convertiti,
se necessario, anche con la forza (e a iğtihad, propriamente
sforzo, è connesso il termine tecnico Ğihad, designante la cosiddetta
«guerra santa» islamica), a meno che non appartengano ad una delle religioni
rivelate (cristianesimo, giudaismo e, secondo alcune interpretazioni,
mazdeismo). Allahnella predicazione di Maometto ha i medesimi
attribuiti che ha presso gli ebrei e i cristiani. Egli comunica con gli uomini
non direttamente, ma solo per mezzo di inviati che possono essere investiti di
missioni speciali (come Maometto stesso, che è detto rasūl ,
inviato, messo) o semplicemente «profeti» (nabī ). Tra Dio e l'Uomo
ci sono gli angeli, tra cui Gabriele, il rivelatore del Corano, contrapposti ai
diavoli capeggiati da arabo, «Iblī s» (probabile corruzione del
greco diàbolos ); in posizione intermedia tra angeli e demoni stanno i
Ğinn o genii. Il dogma dell'unicità di Dio, con la conseguente esclusione
di altri dogmi cristiani come la Trinità e l'Incarnazione, tacciate di
politeismo (Cor V, 76-77), costituisce il perno di tutta la dottrina
islamica e la sua eccezionale novità nel panorama religioso dell'Arabia del
sec. VII d. C. In nome di esso Maometto s'oppose al politeismo tribale arabo,
mentre la semplicità del contenuto della sua predicazione fu certo uno dei
motivi centrali della diffusione incredibilmente rapida dell'Islam. Le
prescrizioni fondamentali (arkan al-Islam o arkan ad-dīn
, pilastri della fede), necessarie e sufficienti affinché il fedele assolva
ai suoi doveri e si conquisti la vita eterna, sono cinque.
La professione di fede nel monoteismo e nella profezia detta
šahada : essa, che costituisce un atto legale, consiste nel
pronunciare di fronte a testimoni la formula, in lingua araba, la ilaha
il-Allah wa-Muhammad ar-Rasūl Allah (non c'è dio se non Dio,
e Maometto è il suo nviato). Tale formula fa entrare a tutti gli effetti chi la
pronuncia nella comunità musulmana.
2) La preghiera (salat ) di cui il Corano proclama ad ogni passo la
necessità e offre spesso l'esempio. Si deve fare cinque volte nella giornata.
Tale obbligo incombe su ogni musulmano, il quale, prima di compierlo, deve
porsi in stato di purezza rituale tramite abluzioni.
3) Il digiuno (saum ), istituito da Maometto sul modello di quello
ebraico (sŌm ), consiste nell'astenersi, durante il mese di
Ramadan, dal mangiare, bere, fumare, avere rapporti sessuali, dall'alba
fino al tramonto compiuto.
4) La decima (zakat ): il precetto dell'elemosina è uno di quelli
sui quali Maometto ha più insistito, con nobili parole. Essa è duplice: la zakat
(purificazione) che risponde più o meno al nostro concetto di decima e la sadaqa
o elemosina volontaria che da principio si confuse con l'altra.
5) Il pellegrinaggio (o hağğ ): ogni musulmano che ne
abbia la possibilità è tenuto a fare almeno una volta in vita sua il
pellegrinaggio alla Mecca, ma all'osservanza di questa prescrizione, resa più
ardua dalla grande espansione territoriale dell'Islam, si può supplire o
inviando altri o con elemosine. La cosiddetta «guerra santa» (ğihad
), infine, è un dovere non personale, ma collettivo, prescritto in vari
passi del Corano e da alcuni avvicinato ai cinque arkan di cui
sopra.
▪ Calendario. L'era musulmana si
inizia con l'Égira (hīğra ), anniversario del giorno in cui
avvenne l'emigrazione di Maometto dalla Mecca a Medina, il 16-VII-622. L'anno
musulmano è lunare, per complessivi 354 giorni con mesi di 29 e 30 giorni: in
tal modo esso risulta più corto di ca. 11 giorni rispetto a quello solare. Ne
deriva che tutte le feste musulmane sono mobili rispetto al susseguirsi delle
stagioni, sulla base di un ciclo di ca. 33 anni. I giorni della settimana sono
contraddistinti non da nomi astrali, ma-secondo un uso già biblico-da un numero
progressivo. Il settimo giorno (venerdì) ha luogo l'adunanza religiosa nella
moschea principale. Le festività cominciano tutte di notte perché per i
musulmani, come per gli ebrei, il giorno comincia al calar del sole. Le feste
principali sono: la piccola festa (al-‘īd as-saqīr ), detta
anche ‘īd al-fitr (festa della notte del digiuno); la solennità dei
sacrifici (‘īd al-adha ), che si celebra durante il pellegrinaggio
alla Mecca (chi non partecipa al pellegrinaggio compie il rito in casa propria,
in unione di spirito con i pellegrini); il 12 rabī‘ , giorno della
nascita del Profeta (mawlid an-nabī ); il 27 rağab, per
celebrare il mi‘rağ, l'ascensione di Maometto al Cielo in sella alla
cavalcatura angelica buraq ; la notte di metà sha’ban (sha'b-e
barat ) durante la quale Dio ridetermina i destini degli uomini. In
ambiente sciita è anche particolarmente festeggiato il 1o Muharram in cui è ricordato il
martirio di Husain.
▪ Culto. Di per sé ogni luogo legalmente puro è adatto alla preghiera rituale: tuttavia l'Islam ha saputo dar vita ad una tradizione architettonica originale che servisse come luogo speciale del culto. Questa creazione è la moschea (, e dall'arabo masğid, luogo in cui ci si prostra), ambiente cultuale derivato dalla disposizione della casa araba. La moschea, che non ammette altra decorazione all'infuori degli arabeschi (motivi vegetali e grafici con esclusione della figura umana o animale), contiene all'interno essenzialmente il mihrab o nicchia, che indica la qibla, ossia la direzione della Mecca verso la quale il fedele deve rivolgersi a pregare. Non manca mai il minareto, altissima torre sulla quale sale il muezzin per invitare i fedeli alla preghiera. Nell'Islam non esiste sacerdozio, in quanto i riti sono celebrati individualmente senza la mediazione di ministri del culto: vi è soltanto l' imam (guida), o presidente della funzione religiosa collettiva del venerdì. Ciò che risponderebbe di più al concetto di clero nell'Islam sarebbe il corpo dei dottori in legge, o ulama , e in particolare la categoria dei muftī ciascuno dei quali ha il potere, nei limiti del territorio di sua competenza, di emettere pareri (fatwa , o fetva ) su quesiti di condotta a lui sottoposti dai fedeli. Errato è considerare come equivalente al papa cattolico il califfo, il quale non aveva autorità per regolare e determinare la credenza e la pratica islamica, ma solo il compito di far rispettare e osservare entrambe La suprema autorità religiosa nell'impero ottomano era costituita dallo Sheikh al-Islam di Costantinopoli, a cui facevano capo tutti i muftī dell'impero. Nello sciismo invece, data l'importanza attribuita da questa tendenza all'iğtihīda (lo sforzo personale del singolo nell'interpretare la legge divina), si è formata una struttura religiosa più complessa, comprendente vari gradi, dai semplici mulla agli hoğğat al-Islam (testimoni dell'Islam), agli ayatollah (segni di Dio), fino ai cinque massimi marğa'al-taqlī d (fonti d'imitazione).
Il giorno sacro di ogni settimana è il venerdì: in questo
giorno il califfo si recava alla moschea e recitava la preghiera rituale, i
fedeli assistevano alla lettura di un sermone (khutba ) fatto da un
dottore (khatib ) che parlava da una specie di pulpito (minbar).
▪ Escatologia. Nel Corano (II, 262)
si fa cenno alla resurrezione finale (qiyam ) raffigurata con
termini che ricordano la visione del profeta Ezechiele. Subito dopo la morte,
il defunto sarà interrogato nella sua tomba dagli angeli Munkir e Nakīr (Cor
L, 16) assisi uno alla sua destra e l'altro alla sua sinistra. Quando
passerà l'ultima ora del mondo, Dio giudicherà gli uomini mediante una grande
bilancia che farà giusto peso delle loro azioni: se l'esito è favorevole, il
buon musulmano potrà passare sul ponte di Sirat, sottile come un capello,
teso sull'abisso, ed entrerà in paradiso (il Ğannat), concepito come
un luogo di delizie per i sensi e per lo spirito; se si tratta di un infedele o
di un cattivo musulmano, precipiterà dall'alto del ponte nell'abisso
dell'inferno (o Ğahannam).
▪ Correnti moderniste. Restano da segnalare alcune correnti d'opinione moderniste che hanno percorso in quest'ultimo secolo il mondo musulmano. Nate essenzialmente da una polemica con la civiltà occidentale, possono essere sintetizzate come tentativi di dare significati moderni alle parole dette da Dio. Le principali correnti di questo pensiero sono la scuola egiziana e quella indiana, alle quali va affiancata la turca, che finisce per sboccare in un vero e proprio laicismo. La figura più rappresentativa della scuola indiana fu Sayyid Ahmad Khan di Delhi (1817 - 1898) che tentò di colmare l'abisso tra Oriente e Occidente proclamando la non opposizione dell'Islam alla civiltà occidentale. Il modernismo egiziano nasce invece dalle teorie predicate da Ğamal ad-dīn al-Afghanī (1839 - 1897) : filosofo, scrittore e giornalista, fu fondatore del movimento panislamico che cercò di unire tutti i popoli musulmani sotto la sovranità spirituale del califfo ottomano. Fra i suoi discepoli spicca la figura di Muhammad ‘Abduh (1849 - 1905) che non portò grosse innovazioni alla struttura tradizionale della fede, ma fu un incitatore della ricerca del pensiero moderno, convinto che questo non potesse che confermare la verità dell'Islam. Il più acuto tra i modernisti musulmani deve però essere considerato il poeta e pensatore indiano Muhammad Iqbal.
▪ Sette. L'originaria unità
del mondo islamico subì assai presto una grave lacerazione con la formazione
della Šī‘a (fazione), il «partito» dei seguaci del califfo
‘Alī; lo sciismo si frazionò in una miriade di tendenze diverse, sostenute
da sette che conobbero diversissima fortuna e diffusione. Accanto ai movimenti
che genericamente appartengono al grande raggruppamento sciita, nacquero poi
altre sette considerate eretiche dall'ortodossia sunnita; alcune di queste
diedero vita a vere e proprie religioni a sé stanti. Esamineremo qui di seguito
solo alcune delle più note sette dell'I. non sunnita.
► LO SCIISMO La Šī'a ,
come detto, si formò nel corso della contesa per il califfato tra ‘Alī e
Mu‘awiya alla metà del sec. VII: i sostenitori di ‘Alī affermavano
che il capo della comunità musulmana doveva appartenere alla famiglia di
Maometto e che tale carica doveva venire attribuita per designazione e non per
elezione. Ben presto lo sciismo si divise in tre tendenze fondamentali — una
moderata (gli zaiditi), una mediana (la cui comunità più numerosa fu quella dei
duodecimani) ed una estremista, articolata in una miriade di movimenti — sorte
principalmente dalle diverse interpretazioni circa due punti qualificanti della
dottrina sciita: la dottrina dell'imam, il capo della comunità islamica
cui gli sciiti attribuiscono una particolare sacralità e quella del Mahdī,
personaggio messianico che, interrottasi la successione dei legittimi
imam, verrà per ristabilire la vera religione e salvare il mondo. Lo
sciismo ha conosciuto una enorme diffusione: il nucleo più consistente è oggi
quello dei duodecimani (così detti perché affermano essere 12 gli imam legittimi),
o imamiti, la cui religione è religione di stato in Iran dal sec. XVI;
consistenti gruppi sciiti si trovano in Afghanistan, India, Medio Oriente
(Iran, Iraq, Siria, Libano) e Arabia meridionale. Gli isma‘īliti (o batiniti
, in quanto ponevano l'accento sul senso interno, batin , dei
testi sacri islamici) costituiscono una importante ramificazione dello sciismo
estremista. Essi si richiamano ad Isma‘īl ibn Ğafar, pronipote
di Husain, figlio di ‘Alī, e fissano a 7 il numero degli imam legittimi;
il loro I. è intriso di un esoterismo di origine gnostica. Filiazione
dell'ismailismo è il movimento dei carmati sorto in Siria intorno all'865,
violentemente avverso al califfato Abbaside contro cui fomentò varie rivolte.
La loro dottrina, anch'essa assimilabile a una forma di gnosticismo islamico,
si colorò di contenuti accentuatamente comunistici: essi raggiunsero la massima
fortuna nel sec. XI, al termine del quale vennero poi dispersi. Dall'ambito del
ismailismo carmata sorse la dinastia Fatimita, che governò sull'Africa
nordorientale e su parte del Medio Oriente nei secc. IX-XII. Ismailita fu anche
la celebre setta degli assassini , nata alla fine del sec. XI da una
scissione dei Fatimiti. Dallo stesso eterogeneo mondo ismailita si formò la
setta dei drusi (inizio sec. XI), ancora oggi stanziata nella regione del
Libano ed Antilibano, la cui complessa dottrina, che accoglie elementi
religiosi e filosofici eterogenei (tra cui, p. es., la credenza nella trasmigrazione
delle anime), si pone per molti aspetti fuori dal mondo musulmano. Tra le sette
sciite estremiste, ancora oggi presenti con piccole comunità, citiamo gli ahl-i
haqq iraniani; gli yazidi della Mesopotamia, adoratori del «Satana redento», il
cui legittimismo non va ad ‘Alī ma agli Omayyadi; i nusayri o
alawiti della Siria la cui dottrina mescola l'islamismo sciita con elementi
pagani, cristiani ecc., e che venerano la triade Maometto-‘Alī-Salman (un
compagno del Profeta).
► I KHARIGITI La setta kharigita
sorse nel 657 ad opera di alcuni partigiani di ‘Alī che rifiutarono di
accettare il tentativo di patteggiamento con il rivale fatto da ‘Alī
stesso. Si caratterizza come espressione di gruppi rimasti legati all'I.
rigorista e «democratico» praticato dalle tribù beduine.
► I WAHHaBITI La setta
wahhabita, sorta agli inizi del sec. XVIII in Arabia per opera di Muhammad
ibn ‘Abd al-Wahhab, la cui dottrina fu adottata dalla dinastia dei
Sa‘ūd, emiri del Neged (l'odierna famiglia reale dell'Arabia Saudita), si
distingue per il suo rigorismo hanbalita, caratterizzato fra l'altro da un
atteggiamento inflessibilmente anti-mistico ed anti-modernista.
► IL BABISMO E IL
BAHa‘ISMO
Nell'ambito dell'I. iraniano nel sec. XIX si ebbe un particolare fervore
mistico, che sboccò nella nascita di due sette la cui dottrina si allontanò
molto dallo sciismo, sia duodecimano che estremista. Il babismo sorse ad opera
di ‘Alī Muhammad, che affermò di essere il Bab , ovvero la
«Porta» per la conoscenza dell'ultimo imam scomparso, quindi lo
stesso imam tornato e l'iniziatore di un nuovo ciclo profetico,
essendosi quello precedente concluso con Maometto. Più radicale ancora le
novità del baha'ismo, movimento sorto dal babismo, che si pone apertamente
fuori dall'I.
▪ Mistica e confraternite.
Nella
religione islamica è presente fin dai primi tempi una corrente mistica,
designata genericamente con il nome di sufismo: essa si è manifestata in una
grande eterogeneità di forme, le più radicali delle quali si pongono fuori
dall'ortodossia. Il sufismo è stato praticato fondamentalmente in tre modi:
come semplice ascesi (zuhd ), come misticismo individuale (il vero e
proprio tasawwūf ) e come misticismo collettivo, tramite la
formazione di confraternite (tarīqa ). Le principali confraternite
espresse dal misticismo islamico nacquero in gran parte nei secc. XII e XIII,
ma se ne formano continuamente di nuove. Ciascuna ha i suoi istituti, le vesti,
i distintivi, il fondatore che considera come santo e la cui genealogia,
apocrifa, è fatta risalire a uno dei califfi ortodossi e per essi a Maometto.
Le più note confraternite sono quelle dei qadirīya (sec. XI),
dei rifaiya , dei naqšbandīya , dei mawlawīya ,
dei bektashīyya (sec. XIII) di spirito militare, la cui potenza
declinò con quella dei giannizzeri, degli ’ï'sawīya (sec. XVI), dei
sanūsiyya (sec. XIX).
▪ Diritto. Secondo l'I. la
šari‘a (legge positiva) disciplina tutta l'attività umana in quanto si esplica
nel mondo esterno, prescindendo da quella fede e da quelle credenze di cui, nel
foro interno, è giudice solo Dio. I trattati impropriamente chiamati di
«diritto musulmano» (fiqh ) si aprono con una prima parte detta ‘ibadat
(servizio, atti del culto), includente cioè la regolamentazione degli atti
fisici che mettono l'uomo in rapporto con Dio, per poi continuare con le mu'amalat
, regolamenti riguardanti i rapporti degli uomini con gli altri uomini. La
legge islamica considera solo capitoli susseguentisi di uno stesso tipo di
agire, non atti situati su piani organicamente differenti, le modalità della
preghiera e la quantificazione dell’eredità per il proprio figlio. Per il
musulmano la legge non è se non la diretta e personale volontà di Dio, espressa
in chiare lettere al Profeta. Si chiama «diritto di Dio» tutto quanto trascenda
il privato interesse. Le fonti (usūl ) della legge sono per i
giuristi islamici quattro, e cioè: il Corano, la Tradizione (sunna ), il
Consensus omnium (iğma‘) e l'Analogia (qiyas ). Il
Corano dal punto di vista legale contiene moltissimo materiale di ogni genere,
da regole di buona creanza a disposizioni su cibi interdetti e permessi, dalla
legge del taglione a disposizioni su come trattare le proprie mogli. La
Tradizione è l'insieme (non codificato in un solo libro) dei Hadīth ,
detti (o fatti) attribuiti al Profeta, considerato, secondo espliciti passi
coranici (Cor. XXXIII, 21) come modello da seguire nella condotta
(«condotta» è il senso più preciso della parola sunna ). I musulmani
sunniti ritengono particolarmente autentiche (sahīh ) due grandi
raccolte di tradizioni, opera di al-Bukharī (morto nell'870) e di
Muslim ibn al-Hağğağ (morto nell'875), pur attribuendo
grande valore ad altre raccolte. Il consenso (iğma‘ ) va
inteso come consenso dei dotti. Particolare valore come fonte di legge ha il
consenso dei compagni (ashab ) del Profeta e, man mano, quello
delle due generazioni seguenti. In seguito il consenso valido è quello degli
esperti di diritto che lavorano direttamente sulle fonti (muğtahid ),
benché tale lavoro diretto (iğtihad, letteralmente «sforzo, ricerca»)
sia considerato ormai chiuso fin dal sec. X e sia ora raccomandata in ambienti
ortodossi l'imitazione (taqlīd ) del materiale già ampiamente
codificato in trattati. L'analogia (qiyas ) non va scambiata per
un'indiscriminata applicazione del criterio personale razionale del giurista,
ma è solo un ragionamento analogico basato su un ristretto numero di casi già
risolti o risolvibili con l'ausilio delle tre fonti precedenti. Nell'ambito
dell'ortodossia sunnita esistono ora quattro scuole (madhab ,
impropriamente tradotto «riti») giuridiche (altre sono scomparse con il tempo)
e cioè la anafita, la malikita, la sciafeita e la hanbalita. Fondatore della
prima fu l'oriundo persiano Abū Hanīfa (morto nel 767) di Kūfah
nell'Iraq: essa è relativamente più «liberale» delle altre e più disposta
all'uso del qiyas. Il caposcuola dei malikiti è Malik ben Anas
(morto nel 795), autore della più antica raccolta di hadīth , un
altro esponente è Aš-Šafi‘ī (morto nell'820) che, in quanto più tardo
e avendo quindi a disposizione già un ricco materiale precedente, è forse il
più preciso codificatore della scienza del fiqh . La scuola hanbalita,
fondata dall'ultratradizionalista Ibn Hanbal (morto nell'855) o, più
precisamente, da suoi discepoli, è la più rigorosamente tradizionalista: essa
restringe al minimo l'uso dell'analogia razionale. L'ortodossia ammette il
passaggio del musulmano da una scuola giuridica a un'altra e le differenze sono
relativamente secondarie. Chiuso l'iğtihad verso il sec. X,
attualmente il diritto islamico è codificato nei trattati di fiqh , ma
siccome non tutti possono ricavare da tali trattati con sufficiente cognizione
di causa le decisioni necessarie per la loro vita religioso-giuridica,
specialmente in casi nuovi e complicati, si usa chiedere una fatwa o
parere giuridico a un faqīh (esperto di diritto) specialmente
addetto a questo compito e noto come muftī («datore di fatwa
»). Fin da tempo antico i governi musulmani istituirono muftī ufficiali
nelle varie regioni Il muftī non innova nulla, ma semplicemente spiega o
rende applicabili a casi speciali le prescrizioni dei trattati di fiqh .
Per il fiqh esistono cinque categorie legali: ogni atto cioè non è
semplicemente o lecito o proibito, ma può essere doveroso (fard ), la
cui esecuzione è premiata e la cui omissione è punita; raccomandabile (mustahabb
), la cui omissione non è punita ma la cui esecuzione è premiata; permesso
(mubah ), per la cui esecuzione od omissione non è previsto premio
né pena; riprovevole (makrūh ), cioè non punibile ma religiosamente
non commendevole; proibito (haram ), punibile cioè a termini di
legge. Fra gli atti della prima categoria si distingue fra obbligatori per
tutti personalmente (fard al-'ain ), come, p. es., le cinque preghiere
canoniche (salat ), e obbligatori per la comunità in generale (fard
al-kifaya ) quando, come, p. es., nel caso della guerra santa, basta,
per assicurare l'adempimento dell'obbligo, che solo un numero sufficiente di
musulmani lo eseguano. Un atto legale può inoltre essere valido (sahīh )
o nullo (batil ) prescindendo dal suo grado di liceità: così, p.
es., se uno compie la preghiera dopo l'abluzione con acqua rubata, l'atto è
valido, benché proibito e punibile. Nello schizzo sommario che segue,
tratteremo, trascurando i cinque «pilastri» (arkan) dell'Islam, che fanno
parte con i precetti sulla purità rituale (tahara ) delle già
citate'ibadat (culto), della parte più precisamente giuridica,
nel senso occidentale, dei trattati islamici di fiqh , pur non essendo
possibile nemmeno in questo caso, data la peculiare impostazione del diritto
islamico, fare troppo precise distinzioni fra religione, vita pubblica e
privata. Pressoché in nessun paese del mondo islamico la šari‘a è oggi
integralmente in vigore ed esistono differenze anche molto forti
nell’applicazione dei precetti giuridici nei diversi paesi, in molti dei quali
di ha una notevole combinazione tra i principi giuridici tradizionali e quelli
del moderno diritto europeo. In linea di massima si può dire che la šari‘a è
osservata con maggiore scrupolo nei paesi nei quali è seguito l’I. sciita e in
quelli dell’area arabica.
► LO STATO MUSULMANO È nettamente
teocratico, ma per il fatto stesso dell'assenza di sacerdoti professionali si
potrebbe chiamare, in teoria, una teocrazia democratica. Capo della comunità
islamica, che è nel contempo chiesa e stato, è l'imam ,
«praepositus», più noto in ambiente sunnita come halīfa («vicario»
del Profeta) o, con corruzione europea, «califfo». Eleggibile al califfato (si
tratta di elezione fatta con sistemi patriarcali, in cui il diritto di scelta
spetta alle persone dotte, onorabili, che offrano garanzie sufficienti di
equità, ecc.) è ogni musulmano maschio della tribù dei coreisciti (a cui
appartenne il Profeta), libero, giuridicamente capace, fisicamente adatto,
moralmente degno, colto, energico, prudente. Il patto di accettazione del nuovo
sovrano si chiama bai'a . Con essa il califfo resta obbligato a vegliare
sugli interessi spirituali e materiali dell'Islam, adempiendo, difendendo
e facendo adempiere la legge canonica, difendendo le frontiere, mantenendo in
ordine lo stato, giudicando secondo giustizia, ripartendo con equità le cariche
e facendo la guerra santa agli infedeli. In teoria il califfo non ha alcun
potere legislativo, perché la legge è stata già fatta e fissata da Dio. Egli
non fa che custodirne l'integrità e farla applicare. Il califfato autentico è
cessato nel 1258 con l'assassinio da parte dei mongoli dell'ultimo califfo
abbaside di Baghdad: il califfato ottomano (secc. XVI-XX) fu una finzione
legale senza vero valore giuridico (un turco non può essere califfo secondo la
legge).
► GUERRA SANTA E
BOTTINO
Secondo la legge canonica il mondo è diviso in due zone: dar
al-Islam , «casa dell'Islam», sottoposta all'impero del califfo,
e dar al-harb , «casa della guerra», cioè tutti i paesi non
musulmani. La guerra santa (ğihad), letteralmente «sforzo», è un fard
al-kifaya per la comunità musulmana. Essa diventa obbligo personale
solo in caso di aggressione. È raccomandata teoricamente almeno una campagna
l'anno contro gli infedeli. L'attacco deve essere preceduto da un chiaro invito
a convertirsi. In questo campo vanno distinti i veri e propri kuffar (plurale
di kafir) cioè «politeisti», per i quali la scelta è solo fra l'Islam
e la spada, e gli ahl al-kitab (la «gente del libro», cioè ebrei,
cristiani e forse zoroastriani) per i quali la scelta è fra la conversione
all'Islam, la spada e la sottomissione all'Islam come «protetti»
(dimmī): solo dopo un esplicito rifiuto del nemico a convertirsi o a
sottomettersi si deve procedere all'attacco. La guerra non fatta secondo queste
modalità (p. es., per puro scopo di bottino o politico) è considerata dai
giuristi alla pari dell'omicidio. La legge proibisce inoltre in guerra
l'uccisione di donne, fanciulli, monaci, vecchi e in genere, uomini inermi, e
inoltre la distruzione di beni immobili di ogni specie.
► I dimmī La legge canonica
non è territoriale, fondandosi sulla professione di fede religiosa. Il concetto
di «nazione» vi è sconosciuto: i dimmī , cioè la «gente del libro»
vivente sotto un capo musulmano, rappresentano, anche se della stessa etnia e
lingua e viventi nello stesso territorio dei musulmani, una categoria distinta,
e legalmente inferiore, di popolazione, sottoposta a un diritto speciale. La
protezione è un patto bilaterale che dà diritto al dimmī di
risiedere in territorio musulmano, gli garantisce ampia libertà di culto, la
protezione della sua persona e dei suoi beni e la difesa contro i nemici
esterni. In cambio egli deve pagare un'imposta di capitazione (ğiziyya )
che grava solo sugli uomini liberi e abili e un tributo (harağ )
sulle terre possedute. In caso che un musulmano sposi una donna della «gente
del libro» è obbligato a lasciarla libera nella pratica della sua religione. Le
cause civili e penali fra dimmī sono considerate di competenza
della loro comunità religiosa, i cui giudici possono, secondo le proprie leggi
e prescindendo completamente dal ricorso a tribunali musulmani, condannare alla
pena capitale. Ai dimmī è proibito far parte dell'esercito, sposare
donne musulmane, tenere schiavi musulmani, far da testimoni in giudizi fra
musulmani, ecc. Inoltre i dimmī tradizionalmente usavano portare
uno speciale distintivo della loro condizione: una pezza colorata o una cintura
(zunnar ).
► PERSONALITà E
CAPACITà GIURIDICA. LA SCHIAVITù Stato naturale dell'uomo è considerata la libertà. La
piena capacità giuridica appartiene nell'Islam al maschio libero, pubere,
sano di corpo e di mente e di buona condotta secondo la morale islamica. La
donna, rispetto alla sua situazione nell'Arabia pagana preislamica, fece con
l'Islam notevoli progressi ed è quasi equiparata all'uomo (Cor. II,
228): ma non può, p. es., fungere da giudice o fare da testimone in certi
processi gravi. In altri casi la testimonianza di due donne vale come quella di
un uomo e, anche nell'eredità, la parte della donna è metà di quella dell'uomo.
La schiavitù nasce dall'esser fatti prigionieri in guerra, o l'esser nati da
madre schiava (salvo il caso in cui il figlio sia del padrone della schiava,
nel qual caso è libero). Non è ammesso per nessuna ragione che un musulmano
passi dallo stato di libertà a quello di schiavitù. Lo schiavo, secondo la
legge islamica, ha molti più diritti di quelli degli schiavi che esistettero in
paesi cristiani fino al sec. XIX avanzato: egli gode di piena libertà
religiosa, può sposarsi legittimamente, ed è permesso il matrimonio fra liberi e
schiavi salvo quello della schiava con il proprio padrone, il quale può sempre
coabitare con lei, se non sposata. Lo schiavo può possedere un suo peculio e
schiavi propri che non sono gli schiavi del padrone; può ricevere legati o
rifiutarli anche contro la volontà del padrone. Questi è obbligato a trattarlo
con umanità, a fornirgli il necessario per vivere e a curarlo nelle sue
malattie e nella vecchiaia. In caso contrario il padrone può essere punito dal
giudice e lo schiavo liberato. La liberazione degli schiavi è considerata dal
Corano e dalla tradizione una delle opere più meritorie possibili. Con l'atto
di emancipazione (che si opera con certe modalità previste dalla legge) si crea
fra il liberto e il patrono (detti ambedue maula ) un legame
equiparato a quello di parentela, con effetti giuridici simili
► ESTINZIONE DELLA
PERSONALITà. APOSTASIA DALL'ISLaM L'estinzione della personalità giuridica si ha con la
morte, con un'assenza prolungata o con l'apostasia dall'Islam. Dato il
concetto religioso teocratico della legge islamica, l'apostasia cosciente
dall'Islam equivale alla morte civile della persona (il matrimonio
dell'apostata è automaticamente sciolto, nullo è il suo testamento, i suoi beni
passano al fisco, ecc.) seguita, se essa non si ravvede dopo un brevissimo
periodo di pii ammonimenti, dalla morte anche fisica, che tutte le scuole
unanimi decretano all'apostata (salvo, nella anafita, alla donna apostata,
condannata alla prigione finché non cambi opinione).
► IL MATRIMONIO Il Corano ammette, pur
con qualche restrizione (Cor. IV, 3 e 129), la poligamia, fissando però
a 4 (quindi limitandolo, rispetto alle usanze del paganesimo preislamico) il
numero massimo delle moglie legittime. Il matrimonio è un contratto giuridico
semplicissimo fra lo sposo e il walī , o rappresentante legale
della sposa, della quale però è per legge obbligatorio il consenso al
matrimonio. In teoria non v'è alcun bisogno di rappresentanti della legge per
concludere un matrimonio: bastano lo sposo (o il suo walī , se
minorenne), il walī della sposa e due testimoni. In pratica però il
contratto avviene davanti a un giudice (qadī ) o persona da
lui delegata. Nel contratto lo sposo si impegna a versare alla sposa una dote (mahr
). La legge non conosce in teoria un limite d'età per la conclusione del
contratto matrimoniale. Fra i vari impedimenti c'è anche la parentela di latte
fra gli sposi. La legge ammette il matrimonio di un musulmano con donne della
«gente del libro», ma non viceversa. Il divorzio è semplicissimo e assume piuttosto
la forma di ripudio da parte dell'uomo (talaq ), benché esista
anche la possibilità del hul'(riscatto della moglie dal marito pagando
una certa somma concordata). Raro è lo scioglimento del matrimonio per fash ,
dichiarazione di nullità legale da parte del giudice.
► PRECETTI PENALI Le pene si dividono
in categorie secondo gli atti a cui si riferiscono. Atti illeciti contro la
vita e l'integrità corporale dànno diritto alla vittima o al suo rappresentante
di eseguire anche personalmente sull'aggressore la legge del taglione (qisas
) con l'alternativa di poter esigere da lui la diyya o «prezzo del
sangue». Per non fare che un esempio delle numerose e minuziose prescrizioni,
diremo che il «prezzo del sangue» di un maschio adulto è di 100 cammelli, per
una donna 50, per un cristiano o un ebreo un terzo. Atti la cui sanzione è
tassativamente ed esplicitamente prevista nel Corano, e per i quali in generale
(dato che si tratta di un ordine preciso e personale di Dio) la pena deve
applicarsi anche in caso di perdono della parte lesa o di rifiuto a procedere
da parte della medesima, sono l'apostasia, l'adulterio, la calunnia, il furto,
il banditismo, la ribellione e l'ubriachezza. Abbiamo visto già che
l'apostasia, in caso di ostinazione, implica la pena di morte. L'adulterio (zinah
), se il reo (o la rea: uomo e donna sono in questo caso del tutto
equiparati) è un muhsan (adulto sposato e pienamente capace), implica la
pena di morte per lapidazione (di cui non si parla affatto nel Corano attuale
ma che la tradizione unanime vuole prevista da un versetto andato perduto); in
caso che non sia muhsan si applica una fustigazione di 100 colpi. Se
l'accusato (o accusata) non confessa, necessitano 4 testimoni che concordino
nei particolari. La calunnia (più specificamente accusa di adulterio di una
persona onesta senza fondamento) è punita da 80 colpi di frusta. Il furto è
punito con l'amputazione della mano destra, poi, in caso di recidiva, prima
della mano sinistra e poi del piede destro. Per la quarta volta si dà una pena
ad arbitrio del giudice e la prigione a vita. Per i ladroni da strada e i
briganti il Corano (V, 33) stabilisce che siano uccisi o crocefissi o che
vengano loro tagliate alternativamente le mani e i piedi o che vengano
esiliati. Il bere vino o sostanze inebrianti è punito con la fustigazione: da
40 a 80 colpi in caso di un libero, la metà se si tratta di uno schiavo (gli
schiavi ricevono in generale dal diritto islamico pene più miti che i liberi).
In mancanza di confessione si richiedono due testimoni per la prova. La durezza
di queste pene è molto limitata sia dalla grande difficoltà in certi casi di
avere la prova evidente, sia da alcune facilitazioni che la legge consente al
colpevole (il giudice consiglia l'imputato di non confessare, ecc.) per evitargli
tali durissime conseguenze del suo misfatto.
► PROCEDURA GIUDIZIARIA È molto agile e pratica, e contrasta con la pesantezza e primitività del diritto penale. Il giudice (qadī ) è nominato dal principe e deve essere un musulmano, pienamente capace, di condotta irreprensibile e di notevole scienza giuridica: la nomina implica la delimitazione del territorio di sua competenza e l'accettazione della carica da parte del giudice davanti a due testimoni. Il giudice, giudicando secondo una legge direttamente divina, non è mandatario del principe. Accanto al giudice, e nominati da lui, ci sono in genere un na’ib (sostituto), dei giurisperiti con cui si consiglia, un muzakkī , perito che giudica dell'idoneità legale dei testimoni e ne riferisce al giudice in segreto, e i periti sulla divisione dell'eredità (qassam ). Le prove sono per lo più orali. Nel diritto islamico manca ogni «appello»: il giudice è unico e la sua sentenza è definitiva e inappellabile. In qualche caso, però, lo stesso giudice o il suo successore possono ritornare su quanto hanno sentenziato: il giudice si prende anche cura dell'esecuzione della sentenza.
▪ Distribuzione e
statistiche. La
religione islamica è praticata dalla quasi totalità della popolazione, o da
significative percentuali, nella maggior parte dei paesi africani, nell'Asia
occidentale, centro-meridionale e sudorientale, in alcuni paesi dell'Europa
meridionale, in sparuti lembi dell'Oceania (isole Figi): il numero complessivo
dei musulmani nel mondo superava agli inizi degli anni'90 il miliardo.
ARTE. È al 622, ossia al
passaggio di Maometto da Mecca a Medina, che si fa risalire l’inizio dell’era e
quindi anche dell’arte islamica. Dapprima venne assimilata la lezione delle due
grandi civiltà antecedenti (quella tardo-antica bizantina in Occidente e quella
persiana-sasanide in Oriente), in seguito venne elaborato un più specifico
linguaggio artistico. L'enorme importanza rivestita dal Corano nel mondo
islamico, accanto ad una spinta iconoclasta di derivazione forse cristiana e
anche ebraica, si traduce in un uso decorativo della scrittura che è
caratteristica peculiare dell'arte musulmana. La decorazione si basa infatti
principalmente, oltre che sulla parola, su forme floreali astratte (note come
arabeschi) e sulla geometria.
▪ Architettura e
urbanistica. ► I PRIMI DUE SECOLI L'edificio più tipico
dell'architettura islamica è la moschea che si trasformò nel corso della
conquista delle regioni limitrofe. Così, p. es., le chiese siriane erano
orientate ad est, mentre la Mecca, rispetto alla Siria, si trova a sud, per cui
le basiliche sarebbero state utilizzate ortogonalmente alle navate. Questa
circostanza è menzionata a giustificazione di uno sviluppo orizzontale della
sala di preghiera con navate parallele al muro qibli , preferito
rispetto all'impianto basilicale cristiano.
Del primo periodo islamico ricordiamo le moschee di Kufah (638) e di ‘Amr a
Fustat (Cairo, 641-642). Il più celebre edificio del periodo omayyade
(661-750) è senza dubbio la Qubbat as-Sakhra (Cupola della roccia o moschea di
Omar, 687-691), a Gerusalemme. A pianta ottagonale il monumento, che riecheggia
i classici martiria cristiani e la chiesa del Santo Sepolcro, sorge
sopra la roccia ritenuta quella del sacrificio di Abramo, la medesima da cui
ebbe inizio il viaggio celeste (mirağ) di Maometto. All'interno due
ambulacri attorno alla roccia rendono possibile il tawaf , cioè la
circoambulazione rituale (che si svolge anche attorno alla Ka'ba meccana),
mentre la decorazione epigrafica e floreale è in mosaico e utilizza gli stilemi
propri delle due grandi culture precedenti, bizantina e sasanide. Numerosi sono
stati nei secoli gli interventi e i restauri: il più importante fu quello
voluto dal sultano turco Solimano il Magnifico che nel 1552 fece ricoprire l'esterno
di mattonelle di maiolica. Ancora il mosaico è protagonista della decorazione
della grande moschea di Damasco (706-15) che sorge nell'area della basilica di
San Giovanni, a sua volta riutilizzante un tempio di Giove. I mosaici di
Damasco con architetture e paesaggi floreali, sono di grande rilievo artistico
e costituiscono il precoce apice di questa forma d'arte.
Dopo una prima fase siriana, l'asse politico e artistico-architettonico si
spostò con la dinastia abbaside (750-1250) a Oriente, nei territori
mesopotamici, e ancora più a levante in Persia. Il califfo al-Man ar volle
costruire una nuova città, che sorse nei pressi dell'attuale Baghdad
(762-67) ed ebbe una pianta a settore circolare. Due ampie mura circondavano i
quartieri e all'interno sorgevano soltanto la moschea e il contiguo palazzo
califfale. Pochi anni dopo i successori del califfo fondarono Samarra (836-883)
e Ja'fariya, nell'860 (nota la moschea di Abu Dulaf). La città era immensa e fu
costruita in pochi anni; la grande moschea congregazionale (847) aveva una
grande corte, porticati su tre lati e la sala di preghiera a copertura
ipostila. Il minareto è di forma elicoidale, alto 54 m. La grande rapidità di
costruzione e le dimensioni delle opere favorirono l'uso dello stucco e del
legno quali materiali decorativi, preferiti alla pietra e al mosaico.
Contemporaneo alla fase di spostamento del centro politico da Damasco a
Baghdad sarà il consolidamento dell'espansione del potere islamico verso
occidente. Sono pietre miliari architettoniche la moschea di Sidi Okba a
Kairouan (Tunisia; fondazione omayyade ma ripetutamente riedificata nell'836,
nell'862 e nell'875), con una grande corte e portici su tre lati. La sala di
preghiera è ipostila con navate perpendicolari al muro qibli e la navata
centrale e quella che precede il mihrab stesso più larghe e sopraelevate.
La moschea di Ibn Aulun al Cairo (876-879) non è dissimile per pianta da quella
di Kairouan: molto interessanti sono il minareto (elicoidale nella parte
terminale) e le decorazioni lignee e in stucco degli archi, che ricordano
l'arte di Samarra. Fra i più formidabili monumenti islamici d'Iberia è la
moschea di Córdoba (edificata nell'833, completata fra 987 e 988) con la selva
di colonne (ca. 850) e il sistema di arcature, a ferro di cavallo, doppie e
incrociate, che paiono derivare dall'architettura idraulica romana, forse con
mediazione visigotica. Particolare è il mihrab , solitamente una
nicchia, che qui diviene quasi un ambiente separato con una copertura in
splendido mosaico realizzato da artisti damasceni.
Accanto all'architettura religiosa se ne è sviluppata subito un'altra, civile,
che ha il suo fulcro nelle strutture fortificate erette tutte nel deserto
siro-palestinese (ad eccezione del palazzo di Ukhaydir del 755 che si trova
nell'odierno Iraq). Fra i siti più celebri ricordiamo quelli di Qusayr'Amra
(712-715), di Qasr al-Hayr (729), Khirbat al-Mafjar (744) e M'shatta (metà sec.
VIII). La vivace decorazione di questi complessi ornati con pitture murali,
stucchi, pietre scolpite, mosaici pavimentali, offre un repertorio assai ricco
di forme e motivi che saranno ripresi ed elaborati in tutta la storia dell'arte
islamica.
► URBANISTICA E
ASSETTO DEL TERRITORIO
Sia che le città fossero costruite ex-novo , sia che venissero trasformate,
per le esigenze politiche, culturali e commerciali musulmane è importante che
la moschea congregazionale con l'annesso palazzo governativo siano in posizione
centrale e circondati da ampi mercati come avviene a Damasco, Il Cairo, Aleppo,
Baghdad. Edifici importanti sono anche i bagni, ripresi dalla tradizione
romano-bizantina (celebre quello di Bursa) e via via trasformati. Istituzione
tipicamente cittadina è la madrasa o scuola coranica: quella del sultano Hassan
al Cairo (1356-63) è un imponente e severo edificio che ha anche ispirato
moderne architetture occidentali. In relazione all’importanza del
pellegrinaggio nella religione islamica non è difficile comprendere la grande
cura posta nella costruzione della rete viaria, con i caravanserragli, i ponti
e le altre strutture necessarie. Importanti sono anche i lavori di idraulica,
quali gli acquedotti o i bacini idrici (fra i più notevoli quelli aghlabidi nei
pressi di Kairouan, dell'862) o il Nilometro posto sull'isola di Rodha,
risalente all'861-862.
► DOPO GLI OMAYYADI Dell'epoca fatimide
(969-1171) ricordiamo al Cairo le moschee di al-Azhar (970-972), di
al-Hakim (990-1003) e soprattutto al-Akhmar (1125) con il portale e la
facciata decorati, oltre gli archi che denunciano un'influenza siro-iranica.
Della medesima epoca sono anche le mura del Cairo con le grandiose porte di
Bab al-Futuh, Bab al-Nasr e Bab az-Zuwaila. In epoca ayyubide
(1171-1250) e mamelucca (1252-1517) si assiste al Cairo ad un notevole sviluppo
architettonico: citeremo il complesso di Kalaoūn (dal 1284), la madrasa
di Sultan Hassan (1356-63), il mausoleo-madrasa di Kaiyt Bay (1463-69).
Dopo l’invasione ottomana (1517-1805) continueranno (sia in Egitto sia in
Siria) la costruzione di opere secondo la tradizione locale per poi introdurre
nella loro architettura lo stile sovranazionale imposto da Sinan. In Siria sono
assai significativi gli edifici fortificati costruiti per osteggiare l'avanzata
crociata; notevolissima è la struttura urbanistica di Aleppo e della sua
cittadella (1209-12), capolavoro dell'architettura militare. Le madrasa (molte
ne restano a Damasco) sono di derivazione persiana con i loro quattro īwan
. Nel Maghreb e in Spagna si sviluppò uno stile architettonico particolare,
con grande uso dell'arco a ferro di cavallo. Monumenti degni di rilievo sono in
Marocco la moschea grande di Tlemcen (1136), la Kutubiyya a Marrakech (1150) e
la moschea di Hassan a Rabat (1195).
In Spagna il monumento più celebrato e meritatamente famoso è l'Alhambra a
Granada (1369), complesso di palazzi con padiglioni, cortili, giochi d'acqua e
una straordinaria decorazione di stucchi, legni, marmi e mattonelle. Le
strutture sono prive di cupole, ma si basano su colonne, trabeazioni e
cassettoni lignei; da segnalare pure la moschea congregazionale di Siviglia
(1172-76). Notevole è stata anche l'influenza islamica in Sicilia,
riscontrabile nella Cuba (1180), nella Zisa (1154-66; 1166-89), nel soffitto
ligneo a muqarnas (stalattiti) dipinte della cappella Palatina a Palermo
(sec. XII), o nel celebre duomo di Monreale (1174) e nei Bagni di Cefalù (sec.
XI).
Una provincia assai interessante dal punto di vista dell'architettura è inoltre
quella yemenita dove, oltre alle moschee di San‘a e di Zafar, sono ben
conservate anche le strutture di centri urbani (a Sa‘dah, ma anche nella stessa
San‘a e in altre località); notevoli sono le alte case dipinte di bianco,
grattacieli in mattone crudo, con decorazioni in stucco e grate lignee di
notevole originalità.
▪ Arti decorative. Gli artisti
musulmani hanno avuto diversi stili di scrittura, tutti molto ornamentali;
quello cufico (dalla località di Kufah) dei Corani dei secc. VIII e IX si
osserva nella scuola maghrebina fiorita a Kairouan nei primi secoli dopo la
conquista. L'illustrazione miniata del manoscritto, pur raggiungendo le vette
più alte nell'arte iranica, darà buoni frutti anche nei territori propriamente
arabi. Testi naturalistici come il Libro degli animali , versione araba
del Fysiologos greco, di medicina come la Materia Medica di Dioscoride o
il Libro degli Antidoti dello Pseudo-Galeno; volumi di storia quali al-Athar
al-baqiya ani'l-qurūm al-khaliya (Monumenti superstiti dei secoli
andati) di al-Bīrūnī, sono illustrati con semplicità e dovizia
di particolari.
L'incisione, l'intaglio e la scultura in legno (mai a tutto tondo) sono state
praticate fin dagli inizi del periodo islamico: basti citare le trabeazioni
della moschea al-Aqsa di Gerusalemme, i legni di Samarra e i capolavori di
età fatimita più libera nelle figurazioni naturalistiche. La grande tradizione
tecnica continuerà in Egitto anche con gli Ayyubidi e si affermerà una
lavorazione mista di legni di varia natura, avorio o osso e madreperla.
L'avorio, sarà ben lavorato in Egitto e in Spagna ove nei secc. X e XI si
svilupperà una scuola di intaglio straordinaria (scrigno della regina Bianca di
Navarra, 1004-05, Museo della cattedrale Pamplona). A influenza «arabo-moresca»
sono da ricondurre anche gli olifanti o corni da caccia e i cofanetti prodotti
nei secc. XI e XII in Italia meridionale.
Altro materiale prezioso fu il cristallo di rocca, la cui lavorazione ebbe
grande impulso presso la corte fatimita. I più grandi capolavori di quest'arte
si trovano in Europa (Londra, Parigi, Vienna, Leningrado, Venezia, Firenze). Il
vetro non fu meno valutato. Per rimanere all'epoca fatimita i vetrai
sperimentarono tecniche particolari quale la decorazione a lustro o con colori
assai simili agli smalti. Il periodo d'oro sono i secc. XII-XIV; i centri più
importanti sono in Siria e si ricordano per la loro insuperata abilit† gli
artigiani di Aleppo e Damasco.
Di non minor considerazione è degna l'arte fittile. La sottile ceramica di
Samarra, opaca con decorazioni in blu cobalto e verde ramina, denuncia i
contatti col mondo cinese. Ma sarà la decorazione a lustro metallico il
prodotto più tipico dell'arte ceramica islamica; se la sua origine fu egiziana,
essa si diffuse ovunque; a Fustat vicino al Cairo e poi a Raqqah in Siria
e a Ray e Kashan in Persia e ad Occidente, in Spagna, a Valencia, Malaga e Manises.
Musulmana è anche la diffusione dell'uso della mattonella per decorare interni
ed esterni di edifici.
L'arte del metallo fu ugualmente praticata nel mondo islamico: la scuola di
Mossul (Iraq settentrionale) fiorita nel sec. XIII, era specializzata nella
lavorazione di oggetti in bronzo od ottone finemente cesellati e incrostati in
oro e argento. In alcuni casi l'artista ha firmato l'opera: Muhammad Ibn
al-Zaiyn è l'autore del celebre bacile noto come «battistero di San Luigi»,
oggi al Louvre. Di buon livello erano anche le opere eseguite al Cairo e a
Damasco (porta dell'ospedale di Nur al-Din, 1154), che era giustamente
conosciuta per i suoi insuperati acciai. Non va infine dimenticata la notevole
produzione fatimita (Egitto e Spagna) che ha eseguito quei pochi oggetti a
tutto tondo che possiamo considerare quali sculture; si veda, p. es., il grande
(150 cm) grifone del camposanto di Pisa.
I tessuti sono stati la merce più scambiata nel Medioevo e per tutto il Rinascimento;
accanto ai centri d'Asia centrale e Asia orientale che tramite la Via della
seta inondavano i mercati europei giù ai tempi di Roma, esistono centri
mediterranei responsabili di una corrente affatto diversa. In Egitto la
comunità cristiana copta per secoli ha rappresentato l'avanguardia tecnica e
decorativa nella produzione di tessili. Con la conquista araba poco o niente
cambia sulle prime; si istituiscono manifatture tessili dar al-Tiraz , e
il termine tiraz sta anche a designare una fascia iscritta posta in una
veste da cerimonia. L'Egitto e la Siria erano famosi per la produzione di lino
il primo, e di sete l'altra. Una manifattura di tiraz fu istituita anche
a Palermo ed è notevole prodotto siciliano il manto eseguito per Ruggero II
(1133-34, oggi a Vienna). L'influenza esercitata dall'arte fatimita in Sicilia
ha varcato i confini dell'isola, tant'è che importanti contatti, tecnici e
decorativi, si ebbero con i setaioli lucchesi. Sebbene l'arte dell'annodatura
dei tappeti si sia esercitata soprattctto in Persia, Turchia, Caucaso, Asia
centrale e India, non mancano esempi di produzione in area mediterranea
meridionale e occidentale. In Egitto e nel Maghreb si producevano, nei secc. XV
e XVI, tappeti in lana (noti come mamelucchi) che ebbe larga fortuna in
Venezia e in Europa ove erano conosciuti col nome di caiarini. Ben
documentata è anche la situazione della Spagna, nei secc. XV e XVI, con tappeti
con stemmi nobiliari.
Imam (arabo Imam; ««capo, guida»»). Indicante dapprima, nel mondo islamico, colui che presiede un'assemblea o dirige la preghiera collettiva, divenne poi titolo degli antichi teologi musulmani e dei fondatori dei quattro riti ortodossi, nonché sinonimo di califfo. È termine usuale per indicare chi accudisce a mansioni religiose d'ordine inferiore o giuridico( Islamismo). Nell'islamismo sciita, l'I. è il capo supremo della comunità.
Corano. È il Libro sacro dei musulmani, codice religioso, fonte
principale del diritto e opera letteraria. Contiene le rivelazioni che Maometto
ricevette in tempi diversi in lingua araba da Dio per mezzo dell'arcangelo
Gabriele. L'originale del libro, che secondo l'ortodossia è «increato», si
troverebbe in cielo in una tavola «ben custodita». Il vocabolo arabo qu'ran
significa «leggere» o meglio «recitare ad alta voce», e in particolare nel
suo significato liturgico indica la recitazione dei testi sacri, e infine anche
la raccolta dei testi stessi. Per i credenti il C. è la parola di Dio. Il
fedele tra le sue preghiere recita sempre qualche parte di esso, e nella
liturgia sono determinate le regole di pronuncia e di modulazione per la
recitazione. Il C. non è un libro organico e ordinato. Maometto non era un
letterato, ma aveva quella calda eloquenza, fatta di grandi idee e di forti
passioni, che va al cuore e trascina le folle. Egli ebbe le sue rivelazioni in
parte alla Mecca e in parte a Medina e ne comunicò il contenuto ai suoi fedeli.
Il suo racconto fu raramente dettato da lui a degli scrivani, più spesso fu
tramandato a memoria, e solo dopo la morte del Profeta se ne fecero redazioni complete,
senza tenere più conto, e non sarebbe stato possibile, della successione
cronologica delle rivelazioni che Maometto aveva avute. Cosicché il C., nella
sua redazione definitiva, è formato da capitoli o sure radunate in
ordine decrescente di lunghezza, con l'eccezione della prima (detta Fatiha
o Aprente). Le redazioni iniziali furono parecchie e spesso anche
discordanti tra di loro; la più famosa è dovuta a Zayd ibn Thabit che la
presentò al califfo Abū Bakr (m. 634/13 dell'egira). Lo stesso Zayd ebbe
poi incarico dal califfo 'Othman (m. 644/23 dell'egira) di stendere la
redazione definitiva, che costituì il testo ufficiale diffuso in tutto il mondo
musulmano, e non più modificato. I manoscritti più antichi, in caratteri
cufici, non risalgono oltre il sec. VIII.
Il contenuto è molto vario: la rivelazione della nuova fede e l'ordine a
Maometto di predicarla; la missione divina a lui affidata; l'unità e
l'onnipotenza di Dio; le minacce contro i nemici del Profeta; la descrizione
delle pene e soprattutto delle gioie della vita futura; storie di patriarchi e
di personaggi biblici; racconti di castighi terribili con cui furono colpiti
gli infedeli del passato; norme giuridiche e prescrizioni di culto che tutti i
fedeli devono osservare, ecc. ( Islamismo). Fonti dell'ispirazione
religiosa di Maometto, che ebbero larga influenza sulla composizione del C.,
furono tanto l'ebraismo quanto il cristianesimo orientale e gnostico, oltre,
naturalmente, alle credenze religiose vive nella penisola araba del sec. VII.
Dal sec. VIII (II dell'egira) ebbe grande sviluppo l'opera degli esegeti, che
diedero ampissimi e numerosi commenti (detti in arabo tafsir )
contenenti anche tradizioni orali che si facevano risalire a Maometto o ai suoi
primi seguaci; aggiunte necessarie e utili per rispondere a nuove esigenze che
si presentavano nel corso dello sviluppo dell'Islam, sia per motivi
religiosi e sia per cause sociali.
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