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Il viaggio dei nostri emigrati
Quando vengono a mancare le condizioni necessarie al pieno compimento dei desideri dell'uomo, questo è spinto a viaggiare per cercare un luogo, diverso da quello di origine, 'dove aver miglior fortuna'. Questa affermazione può essere chiarita attraverso la spiegazione del fenomeno migratorio delle nostre famiglie.
L'emigrazione è un evento sociale che spinge una parte di popolazione a spostarsi dal proprio luogo originario e può essere legato a cause ambientali, economiche e sociali, spesso tra loro intrecciate. Nonostante le motivazioni possono essere molteplici, la separazione dalla terra d'origine è sempre sentita come una frattura nella vita personale. Infatti, riuscite ad immaginare che cosa significhi dire addio alla propria famiglia, alla propria casa ed agli amici? Iniziare un viaggio verso un Paese straniero, senza conoscere la lingua e con pochissimi soldi? Chi sarebbe disposto a fare una cosa del genere? Perché mai qualcuno dovrebbe fare qualcosa di così drastico?
Quella che segue non è una storia scelta a caso giusto perché tratta il tema del viaggio nel suo significato concreto e realistico (di spostamento nello spazio e nel tempo) ma una storia vera che deve essere raccontata in continuazione perché le generazioni future non dimentichino. È la storia dell'emigrazione delle nostre famiglie.perché iniziarono questo viaggioe, soprattutto, dove questo le condusse.
In questo contesto il viaggio
è considerato quasi totalmente nel suo aspetto negativo in quanto non è
metafora di desiderio di conoscenza e di ricerca bensì di necessità. Il primo elemento che ci
fa percepire la sua negatività, è che gli emigranti italiani che lasciavano
l'Italia fra la fine dell'Ottocento e l'inizio del Novecento, facevano il
viaggio in condizioni terribili, ammassati nelle cabine di terza classe dei
transatlantici che partivano dai maggiori porti italiani. Anche se in questo
periodo tale fenomeno stava assumendo dimensioni considerevoli, la maggior
parte delle nostre famiglie non partì quasi mai col progetto di stabilirsi
definitivamente in un Paese straniero. Questo è testimoniato da un'espressione
coniata appositamente per gli italiani: "Uccelli di passaggio" in quanto il
loro intento era partire come lavoratori migranti. Infatti, nonostante la
maggior parte degli emigrati italiani fosse formata da agricoltori, questi non
aspirano ad esserlo in altro Paese poiché questo implicava una permanenza che
non era nei loro piani. Al contrario, questi, si diressero verso le città dove
c'era richiesta di lavoratori e dove le paghe erano relativamente alte.
Infatti, piuttosto che una sistemazione permanente, cercavano in città la
possibilità di lavorare per un salario (relativamente) alto, così da
risparmiare abbastanza da poter tornare in Italia a condurre una vita migliore.
Da ciò si può capire che il loro viaggio non fu mai da intendere come un
ripudio dell'Italia bensì come una difesa dello stile di vita italiano, in quanto
i soldi spediti a casa aiutavano al mantenimento della struttura tradizionale.
I dati concernenti i movimenti migratori degli italiani all'estero, prima del
1860, sono quasi inesistenti. Dopo questa data il nostro Paese comincia a
valutare il fenomeno dell'emigrazione della popolazione italiana all'estero,
sia riguardo alle dimensioni che di anno in anno stava assumendo, ma anche per
censire, in qualche modo, il grande esodo di manodopera cui l'Italia assisteva
impotente, e per valutare il flusso di denaro, che i lavoratori italiani
all'estero mandavano ai loro congiunti rimasti in Italia. In poche parole, se
per un verso, questa situazione era vantaggiosa per l'Italia, dall'altro
contribuiva ad impoverire le risorse umane e professionali di cui l'Italia aveva
bisogno. In questo periodo, infatti, il flusso migratorio cominciava a mostrare
già i lineamenti di un fenomeno di massa, anche se ancora appare come un evento
disorganizzato e sporadico. Dal
Per una maggiore comprensione dell'incremento dell'emigrazione transoceanica credo sia utile mettere in relazione questi dati, sia con le mutate condizioni del mercato del lavoro nei paesi americani, sia con la diversa partecipazione delle varie regioni d'Italia all'espatrio. Gli emigrati dall'Italia meridionale, prevalentemente addetti all'agricoltura e braccianti, costretti all'espatrio dalla povertà dei loro Paesi erano disposti ad accettare qualsiasi lavoro e anche a stabilirsi definitivamente all'estero, nelle terre d'oltremare; al contrario, l'emigrazione dall'Italia settentrionale, più altamente qualificata e, in genere temporanea, era per lo più assorbita da Paesi europei. Questo
carattere temporaneo, che già era dominante nell'emigrazione continentale e che cominciava ad estendersi a parte dell'emigrazione transoceanica, si ripercuote beneficamente sull'economia italiana, sia perché gli emigrati tornano, in genere con accresciute capacità di lavoro e d'iniziativa e muniti di capitali accumulati all'estero, sia perché, contando di rientrare in patria, molti emigranti vi lasciavano le loro famiglie e a loro provvedevano durante l'espatrio con l'invio di rimesse che contribuirono attivamente al saldo della bilancia dei pagamenti dell'Italia con l'estero. Fatto certamente lodevole, anche considerate le difficili condizioni di vita dell'Italia meridionale in quei tempi. Per secoli, tutta la penisola italiana fu divisa in stati feudali, e spesso le potenze straniere avevano il controllo sopra uno o molti di questi stati. In una tale situazione caotica, il sistema feudale regolava quello economico. In particolare, il sistema feudale permetteva che la proprietà terriera, tradizionalmente ereditaria, determinasse il potere politico e lo status sociale d'ogni individuo. In questo modo, le classi povere non ebbero alcuna possibilità di migliorare la propria condizione e, senza dubbio, il popolo del Sud dovette sopportare un maggior numero di difficoltà rispetto a quello del nord. Fu proprio la presa di coscienza di quest'arretratezza che spinse le nostre famiglie ad intraprendere quel faticoso viaggio, parzialmente illusorio, che le catapultò in un luogo che le trattava da persone inferiori. Così molte di esse giunsero in America, a centinaia su centinaia di migliaia, fino a quando non furono più di quattro milioni. Affrontarono la povertà, la discriminazione e l'isolamento dovuti al fatto di essere in una terra straniera che gli fece scoprire che non solo le strade non erano lastricate d'oro, ma che erano proprio loro quelli che dovevano lastricare quelle strade. Erano considerati sporchi e stupidi, perfino "di colore". Nonostante tutto impararono ad adattarsi, ad andare d'accordo col resto della popolazione , e a nascondere la loro nazionalità straniera; ma, non smisero mai di essere orgogliosi di ciò che erano e del luogo da dove venivano. La struttura dominante della società tentava di umiliarli, ma loro continuarono a testa alta. Impararono una seconda lingua, trovarono un lavoro, si riunirono in associazioni e comprarono case loro. Dunque, impararono a farcela nonostante il pregiudizio. Si sostennero a vicenda e fecero addirittura in modo di conservare il nostro stile di vita in Italia mandando a casa grandi quantità di denaro. Nel Paese "ospitante", gli Italiani si mobilitarono per preservare quella che da sempre è la nostra cultura. Nei quartieri Italiani fiorirono molti negozi ed attività gestite da italiani. Gli italiani si abituarono a comprare da altri italiani. Mantennero il loro denaro entro la comunità e prosperarono. Nelle maggiori città furono pubblicati giornali Italo-Americani e si formarono società di fratellanza e di aiuto agli immigranti. In questo modo riuscirono a portare in terra straniera oltre alla forte concezione italiana del lavoro anche balli, musica, e cibo trasformando quel faticoso viaggio in un fautore della nostra cultura.
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