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Il Rapporto con la Matematica




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Il Rapporto con la Matematica


I Manoscritti Matematici [1881]

I Manoscritti matematici di Marx, pubblicati per la prima volta a Mosca in traduzione russa nel 1933, contengono i lavori Sul concetto di funzione derivata e Sul differenziale, scritti nel 1881, oltre a diversi abbozzi ed aggiunte, in cui Marx elabora la sua interpretazione del calcolo differenziale e illustra il metodo da lui scoperto. Anche se l'interesse di Marx per la matematica risale agli anni Quaranta, e la rilettura nel 1859 delle parti della Logica di Hegel destinate al calcolo differenziale stimolerà ulteriori ricerche, è soprattutto negli ultimi anni della sua vita che Marx si dedica sistematicamente alla matematica ed in particolare al calcolo differenziale.

Il lavoro di Marx è collocabile all'interno di un'indagine di matematica pura il cui obiettivo è giungere a fondare in modo "non mistico" il calcolo infinitesimale:


"La consolazione a cui si aggrappano alcuni matematici razionalizzanti, cioè che dy e dx sarebbero in realtà soltanto infinitamente piccoli e che il loro rapporto sarebbe solo tendente a 0/0, è una chimera" (p. 51).


Le derivate e i differenziali non sono entità metafisiche dotate di esistenza propria, quantità né finite né nulle, ma sono simboli di operazioni che Marx cerca di definire collocandosi, come aveva già notato Lucio Lombardo Radice, sulla linea di pensiero della definizione operativa che porta ad Einstein e Wiener.

A Marx interessa un'analisi operativa del passaggio da una funzione y = f(x) alla sua derivata. Per ottenere le derivate bisogna


"porre x1 = x, quindi in senso strettamente matematico x1 - x = 0, lasciando perdere le frottole di una approssimazione soltanto infinita" (p. 53);

non vi è insomma nulla di simbolico nella derivata.


I coefficienti differenziali simbolici (du/dx, dz/dx) - che vengono al mondo unici, una sorta di "figure d'ombra senza corpo" (p. 67), coefficienti differenziali simbolici senza differenziale reale - devono divenire oggetto e contenuto dell'operazione differenziale e non semplicemente risultato simbolico della stessa. Col metodo di Marx, prima di tutto i coefficienti differenziali simbolici e le variabili diventano elementi contenutistici della derivazione; in secondo luogo non devono essere trovate le espressioni simboliche per i coefficienti reali [f'(x)], ma il coefficiente differenziale reale corrispondente alla sua espressione simbolica; infine, le espressioni differenziali simboliche finiscono per svolgere il ruolo di simboli che indicano reali operazioni differenziali e non sono più il risultato simbolico delle operazioni differenziali eseguite con la reale funzione x.


Il volume presenta poi un progetto di storia del calcolo differenziale, contenuto in una successiva e più completa edizione sovietica del 1968, ed altri abbozzi ad esso collegati, risalenti agli anni Settanta e Ottanta, sui teoremi di Taylor e Mac Laurin.

Marx riassume la storia del calcolo differenziale in tre periodi, basati rispettivamente sul metodo mistico di Newton e Leibniz, sul metodo razionalistico di D'Alembert ed Eulero e su quello puramente algebrico di Lagrange.

Con Newton[6] e Leibniz[7] il differenziale dx viene posto tramite una definizione metafisica: le espressioni differenziali valgono come formule di operazioni per trovare un equivalente reale. Esse diventano cioè simboli di operazioni senza che emerga la loro origine algebrica. I differenziali di y vengono posti

"fin da principio per definizione come esistenze autonome, separate dalle grandezze variabili, da cui risultano, senza che siano fatti derivare attraverso un qualsiasi procedimento matematico" (p. 128).

Il differenziale "mistico" innanzitutto esiste e solo in seguito viene definito. Newton e Leibniz introducono inoltre quantità reali infinitamente piccole, incorrendo in tutta una serie di difficoltà sul piano di un calcolo rigorosamente matematico:


"le grandezze infinitamente piccole sono grandezze così come lo sono quelle infinitamente grandi (l'espressione infinitamente piccolo intende dire nient'altro che indeterminatamente piccolo); perciò dy, dx, ecc., figurano nel calcolo alla stessa maniera delle grandezze algebriche ordinarie, e nella equazione sopra considerata, (y + k) - y ovvero k = 2x dx + dx dx, dx dx ha lo stesso diritto di esistenza di 2x dx: ma la cosa più strana è il ragionamento attraverso cui esso viene violentemente soppresso, cioè appunto in base al fatto che viene utilizzata la relatività del concetto di infinitamente piccolo" (p. 132).


Marx nega dunque l'esistenza di quantità infinitamente piccole ma non nulle.

Con Newton e Leibniz si procede insomma con presupposti non dimostrati e con procedure che contrastano le leggi matematiche, come quando si ricorre a "giochi di prestigio" per far sparire errori di calcolo o si sopprimono violentemente i termini che sono d'ostacolo e che non appartengono realmente alla derivata, la quale viene invece determinata in maniera puramente sperimentale:


"Che questo risultato matematicamente corretto si basasse sul presupposto altrettanto matematicamente del tutto errato che x1 - x = Δx sarebbe, dal principio, x1 - x = dx, non si sapeva. Altrimenti si sarebbe ottenuto lo stesso risultato non mediante un gioco di prestigio ma attraverso una operazione algebrica di tipo assai semplice e restando nel campo matematico" (p. 144).


Col metodo di Newton e Leibniz si ottengono così risultati veri da premesse false.

D'Alembert approda invece al metodo razionalistico. Parte, come Newton e Leibniz, da x1 = x + dx, ma opera una correzione fondamentale: x1 = x + Δx, dove Δx, pur essendo una quantità indeterminata, costituisce comunque un incremento finito (eliminando così il problema dell'infinitamente piccolo). Inoltre, il differenziale non è il punto di partenza del calcolo, bensì quello d'arrivo e D'Alembert non è così costretto a sopprimere i termini delle equazioni, se non attraverso corrette operazioni matematiche.

Con Lagrange[9] si cerca di approdare ad una fondazione del calcolo differenziale su basi puramente algebriche. Mentre gli scopritori del calcolo ed i loro successori facevano dei simboli differenziali il punto di partenza del calcolo, Lagrange parte dalla derivazione algebrica delle funzioni reali e considera i simboli differenziali espressioni puramente simboliche delle funzioni derivate. Il grande merito di Lagrange è, secondo Marx, di aver introdotto il concetto di funzioni derivate e di aver fornito lo sviluppo puramente algebrico di tutte le funzioni possibili di (x + h) con potenze ascendenti intere positive. Marx però individua anche i limiti di questo lavoro: Lagrange non chiarisce il rapporto fra il teorema del binomio e quelli di Taylor e Mac Laurin, da cui egli stesso parte; inoltre, si libera sì di tutto ciò che gli sembra trascendenza metafisica, ma ciò "non evita che egli abbia costantemente bisogno, nell'impiego della sua teoria e riguardo alle curve, ecc., dell'una o dell'altra di queste idee metafisiche" (p. 170). Marx quindi non si arresta, nella sua concezione del calcolo differenziale, alle posizioni di Lagrange.


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