Il
dopoguerra in Italia e l'avvento del fascismo
Parola chiave: Squadrismo
I problemi del dopoguerra
Crisi economica e mobilitazione sociale; fragilità delle strutture politiche;
crisi della classe dirigente liberale.
Cattolici, socialisti e fascisti
1919: nuova formazione politica, il Partito popolare italiano (Ppi), Don Luigi
Sturzo. Strettamente legato alla Chiesa e alle sue strutture organizzative, la
cui nascita era stata possibile per opporre un argine alla minaccia socialista.
Crescita impetuosa del Partito socialista, con una schiacciante prevalenza
della corrente di sinistra, chiamata massimalista, (su quella riformista) e che
aveva il suo leader nel direttore dell'«Avanti!», Giacinto Menotti Serrati, ma
che in realtà aveva ben poco in comune coi bolscevichi russi.
In polemica con questa impostazione si formarono nel Psi gruppi di estrema
sinistra, che si battevano per un più coerente impegno rivoluzionario e per una
più stretta adesione all'esempio dei comunisti russi. Fra questi gruppi
emergevano quello napoletano di Bordiga e quellodi Torino di Gramsci e dei suoi
amici (togliatti, Terracini, Tasca), che agivano a contatto coi nuclei operai
più avanzati e combattivi d'Italia, ed erano affascinati dall'esperienza dei
soviet.
Prospettando una soluzione «alla russa», i socialisti si preclusero ogni
possibilità di collaborazione con le forze democratico-borghesi, spaventate
dalla minaccia della dittatura proletaria. Fornirono argomenti
all'oltrazionismo nazionalista dei numerosi gruppi che si formarono
nell'immediato dopoguerra con lo scopo di difendere i «valori della vittoria».
Fra questi movimenti faceva spicco quello fondato a Milano, il 23 marzo 1919,
da Benito Mussolini, col nome di «Fasci di combattimento», che si fece subito
notare per il suo stile politico aggressivo e violento. Lo scontro con un
corteo socialista conclusosi con l'incendio della sede dell'«Avanti!» era il
segno di un clima di intolleranzadstinato solo ad aggravarsi.
La «vittoria mutilata» e l'impresa fiumana
L'Italia era uscita dalla guerra nettamente rafforzata. La delegazione italiana
alla conferenzadi Versailles, capeggiata dal presidente del Consiglio Orlando e
dal ministro degli Esteri Sonnino, chiesero l'annessione di Fiume sulla base
del principio di nazionalità, ma incontrarono l'opposizione degli alleati. Per
protesta Orlando e Sonnino abbandonarono Versailles ma un mese dopo dovettero
ritornare senza aver ottenuto alcun risultato. Fine del governo Orlando, salì
Nitti.
Si parlò di «vittoria mutilata»: un'espressione coniata da Gabriele D'Annunzio.
Impresa fiumana. Alcuni reparti militari, comandati da D'Annunzio, occuparono
la città di Fiume per quindici mesi e si trasformò in un'inedita esperienza
politica. Furono sperimentati per la prima volta formule e rituali collettivi
(adunate coreografiche, dialoghi fra il capo e la folla) che sarebbero stati
ripresi e applicati su ben più larga scala dai movimenti autoritari degli anni
'20 e '30.
Le agitazioni sociali e le elezioni del '19
1919-20: Inflazione e moti contro il caro-viveri; scioperi; agitazioni agrarie.
Le elezioni si tennero col metodo della rappresentanza proporzionale. L'esito
fu disastroso per la vecchia classe dirigente liberal-democratica, che perse la
maggioranza assoluta. I socialisti si affermarono come il primo partito,
seguiti dai popolari. Dal momento che il Psi rifiutava ogni collaborazione coi
gruppi «borghesi», l'unica maggioranza possibile era quella basata sull'accordo
fra popolari e liberal-democratici. Su questa precaria coalizione si fondarono
gli ultimi governi dell'era liberale.
Giolitti, l'occupazione delle fabbriche e la nascita del Pci
1920: Giovanni Giolitti, ormai ottantenne,fu chiamato a costituire il nuovo
governo:
In politica estera, col Trattato di Rapallo (negoziato diretto con la
Jugoslavia), l'Italia conservò Trieste, Gorizia e tutta l'Istria. La Jugoslavia
ebbe la Dalmazia, salvo la città di Zara che fu assegnata all'Italia. Fiume fu
dichiarata città libera (sarebbe diventata italiana solo nel 1924). Molte
furono invece le difficoltà incontrate da Giolitti nella politica interna, il
cui disegno consisteva nel ripetere l'esperimento già tentato con qualche
successo ai primi del secolo. In realtà, quell'esperienza non era più
ripetibile: i liberali infatti non avevano più la solida maggioranza
dell'anteguerra.
I conflitti sociali ebbero il loro episodio più drammatico con l'agitazione dei
metalmeccanici culminata nell'occupazione delle fabbriche. Lo scontro vedeva da
un lato gli industriali del settore metalmeccanico, dall'altro una categoria
operaia compatta e combattiva, organizzata dalpiù forte dei sindacati aderenti
alla Cgl (la Fiom, Federazione italiana operai metallurgici). L'esito fu
favorito dall'iniziativamediatrice di Giolitti, che si era attenuto a una linea
di rigorosa neutralità e riuscì a far accettare agli industriali un accordo che
accoglieva nella sostanza le richieste economiche della Fiom. Sul piano
sindacale, gli operai uscivano vincitori dallo scontro.
I contrasti nel movimento operaio: I dirigenti riformisti della Cgl erano
accusati di aver svenduto la rivoluzione in cambio di un accordo sindacale.
Queste polemiche si intrecciarono con le fratture provocate dal II Congresso
del Cominterin in quanto Serrati e i massimalisti si rifiutarono di sottostare
alle dure condizioni.
1921: al congresso del partito i riformisti non furono espulsi e fu invece la
minoranza di sinistra ad abbandonare il Psi per fondare il Partito comunista
d'Italia. Il nuovo partito nasceva così con una base piuttosto ristretta e con
un programma rigorosamente leninista. Dall'altra, il Psi rimase prigioniero di
una maggioranza massimalista sempre ferma nel rifiutare ogni ipotesi di
collaborazione con le forze borghesi.
Il fascismo agrario e le elezioni del '21
Tra la fine del '20 e l'inizio del '21, il fascismo puntò sulla lotta spietata contro
il movimento socialista, in particolare contro le organizzazioni contadine
della Valle Padana. Mussolini decise di cavalcare l'onda di riflusso
antisocialista seguita al biennio rosso che i parte va ricollegata alla
particolare situazione della campagne venete dove si sviluppò improvvisamente
il fascismo agrario: che erano poi le zone in cui più forte era la presenza
delle leghe rosse, che mirava all'obiettivo finale della socializzazione.
L'atto di nascita del fascismo agrario viene comunemente individuato nei «fatti
di Palazzo d'Accursio», a Bologna. Per un tragico errore, i socialisti
incaricati di difendere il palazzo comunale spararono sulla folla, composta in
gran parte dai loro stessi sostenitori, provocando una decina di morti. Da ciò
i fascisti trassero pretesto per scatenare una serie di ritorsioni
antisocialiste in tutta la provincia. I proprietari terrieri scoprirono nei
Fasci lo strumento capace di abbattere il potere delle leghe e cominciarono a
sovvenzionarli generosamente. Nel giro di pochi mesi, il fenomeno dello
squadrismo dilagò in tutte le province padane, estendendosi anche nelle zone
mezzadrili della Toscana e dell'Umbria. Immune dal contagio fascista rimase per
il momento solo il mezzogiorno, con l'eccezione della Puglia. Gli obiettivi
dello squadrismo: municipi, camere del lavoro, le sedi delle leghe, le case del
popolo e le persone stesse dei dirigenti e dei semplici militanti socialisti,
sottoposti a ripetute violenze e spesso costretti a lasciare il paese, con la
conseguenza che centinaia di leghe vennero sciolte.
1921-22: il movimento operaio si trovò a combattere una lotta impari contro un
nemico che godeva di un notevole margine di impunità. Quasi mai la forza
pubblica si oppose con efficacia alle azioni squadristiche. Giolitti infatti
pensava di servirsi del movimento fascista per ridurre a più miti pretese i
socialisti e di poterli in seguito assorbire «costituzionalizzandoli» nella
maggioranza liberale.
Ma le elezioni del'21 delusero proprio coloro che le avevano volute, e avvantaggiarono
notevolmente i fascisti, capeggiati da Mussolini, deciso a giocare il ruolo di
nuovo arbitro della politica nazionale.
L'agonia dello Stato liberale
1921: dimissioni di Giolitti, gli succedette Bonomi. Firma di un patto di
pacificazione tra socialisti e fascisti, che consisteva in un generico impegno
per la rinuncia alla violenza da ambo le parti. La strategia di Mussolini non
era condivisa però dai fasci intransigenti., che si riconoscevano nello
squadrismo agrario e nei suoi capi locali, i ras, giungendo a mettere in
discussione la leadership di Mussolini il quale reagì sconfessando il patto di
pacificazione e con la trasformazione del movimento fascista in un vero e
proprio partito: nasceva così il Partito nazionale fascista (Pnf)
1922: Da Bonomi a Facta. L'agonia dello stato liberale entrò nella sua fase
culminante. La scarsa autorità politica del nuovo governo finì col dare
ulteriore spazio alla dilagante violenza squadrista.
Disastrosa nei suoi effetti si rivelò la decisione di proclamare uno sciopero
generale legalitario in difesa delle libertà costituzionali. I fascisti colsero
il pretesto per lanciare una nuova e più violenta offensiva contro il movimento
operaio.
Ai primi di ottobre del '22 -poche settimane prima che il fascismo conquistasse
il potere- in un congresso tenuto a Roma, i riformisti guidati da Turati
abbandonavano il Psi per fondare il nuovo Partito socialista unitario (Psu).
La marcia su Roma
Problema della conquista dello Stato. Mussolini giocò su due tavoli. Da un lato
intrecciò trattative con tutti i più esponenti liberali in fista di una
partecipazione fascista a un nuovo governo; dall'altro lasciò che l'apparato
militare del fascismo si preparasse apertamente alla presa del potere mediante
un colpo di Stato.
Cominciò così a prender corpo il progetto di una marcia su Roma. Lo stesso
Mussolini credeva poco nelle possibilità di un successo militare. In effetti
nel generale disfacimento dei poteri statali fu l'attegggiamento del rea
risultare decisivo, in parte perchè voleva evitare una guerra civile, Vittorio
Emanuele III rifiutò di firmare il decreto perla proclamazione dello stato
d'assedio che era stato preparato in tutta fretta dal governo già
dimissionario. Il rifiuto del re aprì alle camice nere la strada di Roma e al
loro capo la via del potere. Mussolini chiese e ottenne di essere chiamato lui
stesso a presiedere il governo. Fu ricevuto dal re e la sera stessa il nuovo
gabinetto era già pronto. Ne facevano parte oltre a cinque fascisti, esponenti
di tutti i gruppi che avevano partecipato ai precedenti governi: liberali
giolittiani, liberali di destra, democratici e popolari.
Pochi capirono che il sistema liberale aveva ricevuto un colpo mortale e che il
cambio di governo sarebbe presto diventato un cambio di regime.
Verso lo Stato autoritario
1922: fu istituito il Gran consiglio del fascismo, che aveva il compito di
indicare le linee generali della politica fascista e di servire da raccordo tra
partito e governo; la Milizia volontaria per la sicurezza nazionale, che nelle
intenzioni di Mussolini doveva anche disciplinare lo squadrismo e limitare il
potere dei ras., che non bastò invece a far cessare le violenze illegali contro
gli oppositori, alle quali ora si sommava la repressione «legale» condotta
dalla magistratura e dagli organi di polizia. Le vittime principali furono i
comunisti. Il sindacato non fascista si ridusse a sopravvivere solo nei
metalmeccanici della Fiom.
La politica liberista: La compressione salariale mirò soprattutto a restituire
libertà d'azione e margini di profitto all'iniziativa privata. Furono
alleggerite le tasse gravanti sulle imprese, fu abolito il monopolio statale
sulle assicurzioni sulla vita, fu privatizzato ill servizio telefonico. Si
cercò infine di contenere la spesa pubblica con un energico sfoltimento del
pubblico impiego.
Il bilancio dello Stato tornò in pareggio, questo grazie sopratutto all'opera
degli ultimi ministeri liberali.
Il sostegno della Chiesa: Pio XI. Per molti cattolici il fascismo aveva il
merito di aver allontanato il pericolo di una rivoluzione socialista e di aver
restaurato il principio di autorità.
La riforma scolastica del filosofo G. Gentile prevedeva oltre all'insegnamento
della religione nelle scuole elementari, l'introduzione di un esame di Stato al
termine di ogni ciclo di studi. La prima vittima dell'avvicinamento fra Chiesa
e fascismo fu il Partito popolare.
1923: Mussolini impose le dimissioni dei partiti popolari. Don Sturzo, sotto le
pressioni del Vaticano, lasciò la segreteria del Ppi. Liberatosi del più forte
e del più scomodo fra i suoi alleati di governo, varò la nuova legge
maggioritaria, che avvantaggiava vistosamente la lista che avesse ottenuto la
maggioranza relativa. (con almeno il 25%dei voti) assegnandole i due terzi dei
seggi disponibili. Alcuni cattolici accettarono di candidarsi assieme ai
fascisti nelle liste nazionali. I due partiti socialisti si presentrono
ciascuno con leproprie liste, il che significava condannarsi a sicura
sconfitta. Il successo fu massiccio soprattutto nel mezzogiorno e nelle isole,
con l'adesione dei notabili moderati e delle loro clientele. Questo confermava
come ormai il fascismo avesse sostituito la classe dirigente liberal-moderata
nella guida del blocco conservatore.
Il delitto Matteotti e l'Aventino
Un evento tragico e inatteso intervenne a mutare bruscamente lo scenario. Il 10
giugno 1924, il deputato Giacomo Matteotti, segretario del Psu, fu rapito a
Roma e ucciso a pugnalate. Il suo cadavere fu abbandonato in una macchina a
pochi km dalla capitale. Dieci giorni prima aveva pronunciato alla Camera una
durissima requisitoria contro il fascismo, denunciandone le violenze e
contestando la validità dei risultati elettorali. La debolezza delle
opposizioni: l'unica iniziativa concreta presa dai gruppi d'opposizione fu
quella di astenersi dai lavori parlamentari e di riunirsi separatamente finchè
non fosse stata ripristinata la legalità democratica. La «secessione
dell'Aventino» aveva un indubbio significato ideale ma era di per sè priva di
qualsiasi efficacia pratica (si sperava in un intervento della corona o in uno
sfaldamento della maggioranza fascista). Il re non intervenne. Nel giro di
pochi mesi l'ondata antifascista rifluì e Mussolini decise di contrattaccare.
1925: in un discorso alla Camera, il capo del governo ruppe ogni cautela
legalitaria, dichiarò chiusa la «questione morale» e minacciò apertamente di
usare la forza contro le opposizioni. Anzichè provocarela fine dell'avventura
fascista, la crisi Matteottiaveva determinato la disfatta dei partiti democratici
e accelerato il passaggio da un governo autoritario a una vera e propria
dittatura.
La dittatura a viso aperto
A un «Manifesto degli intellettuali del fascismo» diffuso per iniziativa di
Gentile (divenuto ormai il filosofo ufficiale del fascismo), gli antifascisti
risposero con un «contromanifesto» redatto da Benedetto Croce, che rivendicava
i diritti di libertà ereditati dalla tradizione risorgimentale. Ma ormai il
fascismo aveva raggiunto il pieno potere. Molti esponenti antifascisti furono
costretti a prendere la via dell'esilio. Gli organi di stampa dei partiti
antifascisti furono messi nell'impossibilità di funzionare e i grandi
quotidiani furono «fascistizzati» mediante pressioni sui proprietari.
Confindustria s'impegnava a riconoscere la rappresentanza dei lavoratori ai
soli sindacati fascisti. Furono formulate nuove leggi destinate a stravolgere
definitivamente i connotati dello Stato liberale. La prima importante legge
costituzionale del regime fu quella del dicembre '25 che rafforzava i poteri de
capo del governo sia rispetto agli altri ministri, sia rispetto al Parlamento.
Solo i sindacati «legalmente riconosciuti» avevano il diritto di stipulare
contratti collettivi. 1926: Una vera e propria raffica di provvedimenti
repressivi cancellò le ultime tracce di vita democratica. Fu reintrodotta la
pena di morte per i colpevoli di «reati contro la sicurezza dello Stato».
1928: fu varata la legge elettorale che introduceva il sistema della lista
unica e lasciava agli elettori solo la scelta di approvarla o di respingerla in
blocco. Il Gran consiglio diventò un organo dello Stato.
Un regime che si differenziava dagli antichi sistemi assolutistici perchè non
si accontentava di reprimere e controllare le masse, ma pretendeva di
inquadrarle in proprie organizzazioni.