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Problemi sociali, Brigantaggio e Questione meridionale




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Problemi sociali, Brigantaggio e Questione meridionale



Le speranze di riscatto dei contadini meridionali, suscitate inizialmente dalla spedizione dei Mille, andarono completamente deluse, ed essi furono spinti ad alimentare le file del brigantaggio

L'agricoltura del Mezzogiorno, era molto arretrata, e le popolazioni erano vissute fino al in una sorta di isolamento cul­turale ed economico che aveva però un suo arcaico equilibrio; con la creazione di un mercato nazionale che si andò delineando già nel l'economia del Sud subì un trauma, provocato sia dall'a­bolizione delle protezioni doganali borboniche, che permise l'afflusso di beni di consumo prodotti dall'industria capitalistica euro­pea, sia dall'inasprimento delle imposte, che divennero per i conta­dini un carico insopportabile. Anche le piccole attività manifattu­riere della famiglia contadina del Mezzogiorno vengono rapida­mente liquidate dalla concorrenza di manufatti di origine indu­striale; la stessa cosa, del resto, accade anche nel Nord, dove però la mano d'opera rurale viene riassorbita dalla nascente industria.

Tra le molteplici ragioni di disagio e scontentezza dei contadini del Sud incisero pesantemente l'imposta sul macinato, che gra­vava in modo drammatico sull'economia familiare. L'imposta sul macinato, pagata dai proprietari dei mulini, gravava sul prezzo della farina ed era un'imposta indiretta (che quindi gravava sui consumi, non sui redditi), era pertanto iniqua poiché colpiva più duramente i ceti meno abbienti.

Specialmente dopo la guerra del '66 le condizioni e­conomico-finaziarie del Paese si erano aggravate: il deficit superava il 60%del bilancio complessivo dello stato italiano, mentre il fisco non riusciva ad applicare un equo sistema di esazione delle imposte, che diventavano sempre più numerose e ingiuste in quanto colpivano proprio coloro che avevano minori risorse. L'Italia poteva vantare i salari più bassi o quasi d'Europa, congiuntamente a una percentuale fra le più ele­vate di tributi indiretti sui generi alimentari, ed i riformatori con­cordavano tutti sul fatto che le imposte ricadevano in una misura sproporzionata sui consumi, piuttosto che sul reddito o sulla pro­prietà. Persino alcuni conservatori dovettero confessare che, a quanto pareva, meno una persona possedeva più era chiamata a pagare, e Sonnino ammise alla Camera che l'esattore delle imposte ed il poliziotto erano l'unico contatto che i contadini abbrutiti ave­vano con lo Stato, laddove i ricchi erano facilmente in grado di corrompere funzionari delle imposte, che vivevano nella miseria, e di avvantaggiarsi inoltre del sistema del tutto inefficiente di con­trolli in materia di esazione dei tributi.

Nonostante l'opposizione della Sinistra, la Destra, anziché applicare sulla proprietà terriera un'equa tassazione, alla quale la borghesia era contraria, preferì, su suggerimento di Quintino Sella, imporre la già citata tassa sul macinato, che colpiva soprattutto i ceti più poveri.

Inol­tre, per risanare il bilancio statale, furono venduti i beni terrieri demaniali confiscati agli ordini religiosi; secondo le promesse e le intenzioni dei politici, queste terre, divise in piccoli lotti, dovevano essere vendute ai contadini poveri, ma in realtà lo stato, bisognoso di danaro, non potendo differire a lungo la riscossione dei pagamenti rateali, preferì vendere a chi poteva versare subito il danaro, e quindi le terre demaniali finirono con l'essere acquistate dai già ricchi proprietari terrieri, che in tal modo aumentarono il loro potere economico e politico.

Contro questa situazione la rivolta contadina esplose violenta tra il e il e si concretò in una sorta di guerriglia condotta da bande di «briganti», che peral­tro non può essere ridotta a fatto puramente criminale: il brigan­taggio fu infatti una specie di lotta, confusa, anarcoide e spesso ef­ferata, contro i «galantuomini liberali» che avevano monopolizzato il potere. Il grave fenomeno, alimentato da un'infinita miseria e dalla sfiducia nel nuovo stato, coinvolse contadini, galeotti fuggiti dal carcere, ex soldati borbonici sbandati; anche molti di coloro che rimasero estranei alla rivolta seguirono con simpatia questa vi­cenda di miserabili diseredati, impegnati in una lotta impari con­tro i proprietari terrieri, alleati con la borghesia del Nord.

II brigantaggio trovò un aiuto potente nell'appoggio dei Bor­boni, rifugiatisi a Roma, sotto la protezione pontificia dopo la di­sfatta del l'ex re Francesco II fornì sistematicamente danaro e uomini, nel tentativo di trasformare le bande di briganti in un vero esercito legittimista, che avrebbe potuto riportarlo sul trono di Napoli, grazie anche alla collaborazione indiretta di parte della popolazione, ancora non del tutto convinta della irreversibi­lità del processo unitario.

Dal canto suo il governo italiano, benché un'inchiesta parlamentare avesse chiarito le origini socio-economiche del brigantaggio, considerò il bri­gantaggio solo come una minaccia all'unità del paese, di cui erano responsabili i Borboni e il papa, e di conse­guenza lo affrontò esclusivamente con mezzi militari, impegnando nella repressione quasi la metà dell'esercito uomini), 7000 carabinieri e migliaia di guardie nazionali. Si sviluppò e si pro­trasse così una guerriglia atroce che conobbe episodi di effera­tezza da una parte e dall'altra e che si concluse con 7000 caduti in combattimento, 2000 fucilazioni e 20 000 condanne ai lavori for­zati o al confino.

La cosiddetta "Questione Meridionale" tuttavia, sarà oggetto di analisi  solo dopo il 1870, quando studiosi come Sonnino ne coglieranno l'essenza nello stato di disperazione delle masse rurali, esposte all'arbitrio dei proprietari terrieri.



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