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IL COSMOPOLITISMO ILLUMINISTA
La Pace Perpetua di Kant
L'opera Per la pace perpetua (Zum ewigen Frieden) fu stesa da Immanuel Kant nel 1795, sull'onda dell'entusiasmo per la Rivoluzione Francese (di cui il filosofo tedesco fu grande sostenitore) ma soprattutto per la Pace di Basilea, firmata nell'aprile dello stesso anno: con questo trattato la Francia repubblicana si riconciliò con l'Olanda, la Spagna e soprattutto la Prussia (patria di Kant), ponendo fine alle ostilità e riconoscendosi reciprocamente. In virtù di questo spirito di riavvicinamento fra le grandi potenze europee continentali stese questo progetto giuridico (e non etico, come si potrebbe pensare), basandosi sul contrattualismo che ha già partorito un documento importantissimo come la Costituzione degli Stati Uniti d'America del 1787, che prevedeva la convergenza degli uomini nella creazione dello Stato: un'organizzazione che permette di regolare i rapporti tra gli uomini in maniera stabile, sicura, come punto di passaggio obbligato perché gli uomini possano esprimere il meglio di loro stessi e in particolare la loro attitudine al bene morale.
Il principio fondamentale su cui Kant fonda il suo concetto di Stato è, dunque, il pessimismo antopologico: come Hobbes stesso affermava, l'uomo è spontaneamente portato al male. Lo Stato è strumento che ferma le iniquità e slancia la cultura, frena l'egoismo ed esalta la civiltà, cancella ogni tipo di violenza reciproca, portando dunque alla realizzazione dei fini morali.
Identificando dunque lo Stato come patto fra gli individui, che in nome della convivenza civile diventano cittadini, Kant sostiene che si possa elevare lo stesso discorso fra i vari Stati in un'ottica federativa, sovrastatale, e quindi globale: come gli individui si sono accordati fra di loro e hanno raggiunto la pace attraverso lo Stato, così gli Stati, quali «individui in grande», dovranno accordarsi fra loro in una federazione per raggiungere la pace.
Il sentimento di rivalsa degli Stati non disposti a rinunciare alla propria sovranità verrà soffocato mediante uno sforzo cosciente degli uomini che possono costruire e mantenere la pace superando lo stato di natura che, come nel caso degli uomini, è anche per gli Stati per sé belligerante (anche quando lo stato di guerra non è presente, c'è sempre la costante minaccia delle ostilità): con ciò Kant critica anche i cosiddetti trattati di pace, colpevoli di essere solo l'anticamera di nuovi conflitti.
E' evidentissimo in quest'opera quanto sia importante l'influenza dell'illuminismo e quanto di questo voglia evidenziarne il carattere cosmopolita, globale e di reciproca convivenza.
In particolare ciò si può evincere dai tre postulati della Pace perpetua:
Sistema statale repubblicano (non imposto dall'esterno, in principio dell'autodeterminazione degli Stati), unica alternativa al dispotismo garante dell'uguaglianza e della libertà del cittadino di fronte alle leggi, secondo il già noto potere tripartito (esecutivo, legislativo, giudiziario)
Sistema federativo degli Stati, senza che a questi venga meno la propria sovranità;
Diritto cosmopolitico di ospitalità.
E' questo il cuore del Progetto kantiano, quello di maggiore rottura verso il passato, un'idea che per noi, per quanto possa sembrarci attuale, è ancora tanto, troppo grande: è l'idea di un mondo aperto in cui gli uomini siano tutti coscenti della propria mondialità, in cui tutti riconoscano il diritto di circolare o soggiornare liberamente in qualsiasi luogo della Terra in quanto noi tutti figli di essa.
Kant, postulando anche quest'ultimo grado di libertà, afferma dunque che il diritto di ospitalità garantisce ad ogni individuo di poter inserirsi nella società anche se in un'altra terra rispetto a quella di origine, nel rispetto delle leggi e in virtù dell'appartenenza comune al mondo, criticando fortemente chi viola questo diritto come gli europei colonialisti: <<la condotta inospitale degli Stati civili, soprattutto quelli commerciali, della nostra parte del mondo, l'ingiustizia, di cui essi danno prova visitando paesi e popoli stranieri (visite che essi immediatamente identificano con la conquista), è tale da rimanere inorriditi. L'America, i Paesi dei Negri, le Isole delle Spezie, il Capo di Buona Speranza, ecc., quando li scoprirono furono per loro terre che non appartenevano a nessuno; degli abitanti infatti non tennero assolutamente conto».
Il discorso kantiano sulla Pace perpetua è tuttavia molto aperto su certi aspetti, e a dir poco controverso su altri.
Innanzitutto i problemi di salute (il morbo di Alzheimer, che lo portò alla morte nel 1804) non garantirono certamente a Kant la possibilità di dare una risposta forte agli avvenimenti storici immediatamente successivi alla pubblicazione dell'opera, tra cui spicca su tutte l'avvento di Napoleone Bonaparte che rivoltò completamente l'idea di Rivoluzione Francese a cui il filosofo era tanto legato.
Già nel 1798, nello scritto Il conflitto delle facoltà, si evince una forte nota di pessimismo, dubitando, riferendosi probabilmente al Terrore, che <<il genere umano sia in costante progresso verso il meglio>>; ma non è da escludere che forse, dall'esperienza violenta post-rivoluzionaria avrebbe salvato dalle macerie le enormi conquiste civili che questa ha portato, come il Codice Napoleonico, l'abolizione della servitù della gleba e la diffusione delle idee democratiche che formò una generazione di giovani intellettuali romantici.
In particolare durante l'età romantica successiva a Kant i filosofi trovarono tantissime lacune nella Pace perpetua: importantissima nei fini storici è la critica che fa Hegel nei Lineamenti di filosofia del diritto, affermando che un'entità sovranazionale così costituita non può esser realizzata se non utopisticamente, data l'accidentalità (contrapposta a necessarietà) dei rapporti che ci sono fra i vari Stati, soprattutto nel mantenere saldi i trattati di pace, il cui valore è legato soltanto alla volontà degli Stati di rispettarli. Hegel accusò quindi Kant di utopismo: una federazione di stati senza potere sovrano può risolvere delle controversie, ma presupponendo l'umanità degli Stati; altrimenti, mantenendo la situazione tale, la guerra continuerà sempre ad essere l'unica via risolutiva, e cercando le conferme storiche durante il XX secolo, non ci si mette tanto a capire che il filosofo di Stoccarda, pur nel pessimismo, aveva le sue buone ragioni.
L'altro limite riscontrabile nell'età immediatamente successiva a Kant è la concezione universale della storia su cui si basa il suo Progetto: la storia (come appare nell'Idea per una storia universale) appartiene unicamente all'uomo e lo studio si basa sui suoi comportamenti in maniera universale, globale, senza cogliere invece le differenze fra quelle che i romantici esalteranno, ovvero le nazioni, popoli accomunati da tradizioni linguistiche, religiose, culturali, geografiche e, appunto, storiche ben definite. L'applicazione su scala mondiale di un simile progetto così razionale sarebbe, per i romantici, come una "colonizzazione ideologica", volta a distruggere ogni realtà culturale nazionale.
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