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Argomento trattato: Il fascismo, caratteri generali
Ascesa e
politica interna del fascismo
Il Governo successivo
sostenuto solo dai cattolici era guidato dal socialista Bonomi il quale però si
mostrò subito inadeguato e dopo essersi rifiutato d'intervenire per salvare
Con il Congresso di
Roma nel 1921 da semplice gruppo, quello fascista, divenne un vero e
proprio partito: il PNF (partito nazionale fascista) che aveva come
capisaldi nel programma la chiesa con i principi cattolici,
Lo 'Sciopero
Legalitario' organizzato da tutti i sindacati fine di chiedere al Governo
Facta un comportamento più energico nei confronti delle violenze fasciste, si
mostrò un fallimento. Queste infatti aumentarono così come la popolarità del
nuovo partito visto come ripristinatore dell'ordine e della legalità turbata
dagli scioperi.
Con la formazione del
Partito Socialista Unitario, guidato da Turati, si andava perdendo ogni
possibilità di creare una forte coalizione antifascista.
Ben presto Mussolini
prese le distanze dalla Repubblica e si avvicinò alla Monarchia alla
quale riconosceva un ruolo nazionale importantissimo.
Il consenso verso i
fascisti aumentava costantemente mentre le coalizioni antifasciste si andavano
sempre più indebolendo così il Re, anche per evitare la sua possibile
sostituzione con il Duca Amedeo D'Aosta, aperto sostenitore del fascismo,
dovette necessariamente appoggiare il movimento.
Alla luce di ciò, nel
1922 si tenne a Napoli un enorme adunata di camice nere decise da lì a
poco a marciare fino a Roma per prendersi il potere. Le 20000 camice nere non
erano ben armate, ma la figura incolore di Facta decise ugualmente di dare le
dimissioni.
Il Re d'Italia, Vittorio
Emanuele, sarebbe potuto intervenire duramente contro i manifestanti ma si
rese conto che se questi avessero avuto la meglio il suo trono sarebbe
vacillato, viceversa, se avesse vinto lui, l'Italia, dato il forte consenso
verso il fascismo, sarebbe potuta cadere in una dilaniante guerra
civile.
Fu così che il Re decise
di affidare il Governo a Mussolini che ebbe la fiducia anche dai
liberali e dai popolari così da far credere che, nonostante le violenze
esteriori, questo era un Governo in linea con la tradizione Costituzionale.
Si capì subito col
discorso del 16 novembre del 1922 che qualcosa era cambiato: 'Potevo fare
di quest'aula sorda e grigia un bivacco di manipoli. Potevo: ma non ho almeno
in questo primo tempo, voluto'.
Agli organi di Stato a
poco a poco si sostituivano organi di partito. Il Gran Consiglio del
Fascismo si sovrapponeva al Parlamento;
Nel 1923 venne varata
Quando i popolari si
ribellarono all'evoluzione autoritaria che stava prendendo il governo, Mussolini,
sicuro che il mondo cattolico gli sarebbe stato sempre vicino, chiese a loro le
dimissioni. In questo modo a Don Luigi Sturzo non restò che dare le dimissioni.
Il sistema elettorale
venne modificato con la 'legge Acerbo' la quale attribuiva i
2/3 dei seggi parlamentari al partito che avesse avuto il maggior numero di
voti purchè non inferiore al 25%.
Lo scopo di questa legge
era quello di far affiancare il maggior numero di forze liberal-moderate
intorno al partito fascista.
Autorevoli leader come
Salandra e Orlando, appoggiarono il listone mussoliniano mentre le altre forze
antifasciste, troppo frammentate, non rappresentarono una vera minaccia infatti
il listone ebbe il 65% dei voti.
All'apertura della nuova
Camera nel 1924 Giacomo Matteotti denunciò le ripetute violenze fasciste
che avevano caratterizzato la campagna elettorale e chiese l'annullamento delle
elezioni. Pochi giorni dopo venne rapito ed ucciso da dei sicari fascisti.
Il delitto sembrò avere
compromesso il potere fascista perché tutte le forze si rifiutarono di
partecipare ai lavori della Camera e seguendo l'esempio degli antichi romani
con
Mussolini si assunse tutte le
responsabilità del delitto Matteotti e proclamò la volontà di eliminare
ogni forma di democrazia esistente.
Seguirono nuovi atti di
violenze e repressioni che portarono nel corso del 1925 alla soppressione della
libertà di stampa; i giornali per continuare a lavorare dovevano
allinearsi alle posizioni del regime. Ormai lo Stato totalitario si era
affermato.
Con la legge del 24
dicembre 1925 il presidente del Consiglio assumeva il nome di Capo del Governo
e doveva dare conto delle sue azioni non più al potere legislativo ma solo al
Re.
Le leggi del novembre
1926 determinarono la fine del sistema parlamentare. Furono sciolti tutti i partiti
antifascisti e giudicati illegali. Chiunque si fosse opposto al regime
sarebbe stato giudicato da un tribunale speciale ed inviato al confino.
Con le leggi del 1926 si
modificavano le amministrazioni locali, il sindaco era sostituito dal podestà
di nomina governativa.
Con la legge del 1928 si
modificava il sistema elettorale; si sottolineava il principio della lista
unica nella quale erano presenti 400 candidati scelti dal Gran Consiglio del
Fascismo che bisognava approvare o respingere in blocco.
Con i patti
Lateranensi firmati dal Duce e dal cardinal Gasparri, si poneva fine alle
lotte tra Stato e Chiesa. A quest'ultima veniva riconosciuta l'importanza della
religione cattolica; gli venivano dati maggiori poteri per quanto riguardava la
nomina dei vescovi e la celebrazione del matrimonio sia in forma civile che
religiosa.
Per quanto riguarda il
territorio la chiesa riconosceva lo Stato italiano con Roma capitale e al
piccolo Stato Vaticano venivano dati 750 milioni come prezzo per le terre
espropriate.
Questi erano gli anni
della fabbrica del consenso. I giovani da fanciulli fino all'età universitaria,
venivano squadrati in gruppi tipo Balilla, Avanguardisti, Giovini
italiane, Figli della Lupa e così via.
Il regime si mostrò
molto attento alle innovazioni, infatti per diffondere le notizie si servi
moltissimo oltre che della stampa che però esisteva già da tempo, anche dei
nuovi sistemi di comunicazione rappresentati dal cinema e soprattutto della
radio.
Tra il 1922 e il 1926 il
fascismo mantenne una politica economica liberale. Il ministro delle
finanze Alberto De Stefani, si affrettò a ritirare il progetto sulla
nominatività dei titoli e abolì il monopolio statale delle assicurazioni sulla
vita. In pratica cercò di ridurre il controllo pubblico sulla vita economica
promovendo l'iniziativa privata.
In questi anni
l'industria italiana incrementò molto la produzione grazie soprattutto alle
aumentate esportazioni. Nonostante ciò De Stefani venne sostituito da Volpi
che era più in linea con i caratteri totalitari dello Stato fascista.
Per permettere la
ripresa del settore agricolo, fu lanciata la 'battaglia del grano';
furono alzati i dazi doganali sui cereali importati per incoraggiare la
produzione nazionale e giungere all'autosufficienza nei consumi. Furono estese
le aree coltivate a grano sostituendo culture specializzate che in un mercato
estero sarebbero state maggiormente richieste.
Nel discorso di Pesaro
nel 1926, Mussolini, annunciò di volere fissare il cambio della lira con
la sterlina a 90 'quota novanta'. Questa riforma era tesa a
fare aumentare l'importanza italiana in una futura politica estera autoritaria
ma ciò preoccupava molto le classi medie del paese sottoposte al pericolo
dell'inflazione. Per venire incontro agli industriali, il duce, fece
alleggerire i salari del 10-30% con un conseguente aumento della
disoccupazione.
I disoccupati che si erano
venuti a creare vennero impiegati in un vasto programma di opere pubbliche
culminanti con
In questo modo, l'Italia
si allontanava sempre di più dal mondo industriale e dal commercio estero.
Con il 'Patto di
palazzo Vidoni', la confederazione degli industriali e quella dei
sindacati fascisti, con una legge vietarono gli scioperi ed istituirono un
magistrato del lavoro che doveva risolvere i problemi riguardanti i contratti
collettivi di lavoro.
Gli anni trenta furono
gli anni del consenso; ogni italiano si poteva riconoscere con convinzione
nelle forme politiche realizzate dal PNF.
L'isolamento dell'economia
fece in modo che la crisi del '29 fu meno cocente rispetto agli altri Stati e
colpì le banche e le industrie siderurgiche. Il duce per evitare il tracollo
dell'economia assunse il controllo tramite l'IRI e l'IMI delle
principali industrie e banche italiane. IMI ed IRI avevano lo scopo di
riorganizzare le industrie e le banche per farle uscire dalla crisi.
Il regime in questo modo
finì per avere il monopolio del credito e 1/4 del capitale industriale. Tutto
questo non faceva parte di un processo di socializzazione, ma al contrario, era
teso a facilitare l'iniziativa privata tramite sgravi fiscali e tariffe
protette. In cambio di queste facilitazioni, gli industriali s'impegnavano ad
appoggiare il regime.
L'Autarchia,
produrre e consumare solo prodotti nazionali, divenne una delle parole d'ordine
del regime. Il sistema produttivo del paese gravò assai poco sulle classi medie
che per questo si sentirono legate al Duce.
La politica
estera del fascismo In
questo campo si notavano diverse contraddizioni che avevano contraddistinto il fascismo
(tra continuazione e rottura con il liberalismo). Mussolini, da un lato
aveva sempre in mente i piani di revisione dei trattati di pace;
dall'altro, non voleva opporsi al volere delle grandi potenze europee di
Francia e Inghilterra. Da uomo realista qual'era, si rendeva conto delle
disparità tra la sua nazione e le altre due, ma il suo obiettivo restava
comunque quello di far raggiungere all'Italia il medesimo loro livello sia
economico che militare. Non rinunciava a gesti esteriori come nel caso
dell'occupazione dell'isola di Corfù avvenuta dopo l'assassinio di un
suo generale sul fronte greco - albanese, e che il duce abbandonò solo dopo la
mediazione inglese. A seguito poi di una trattativa con
Fino al patto di
Locarno la diplomazia italiana aveva sostanzialmente mantenuto una rigorosa
applicazione dei trattati di pace e il principale obiettivo era quello di
mantenere indipendente l'Austria, per scongiurare un'annessione con
Le proteste scatenate
dall'URSS e dagli stati balcanici indussero però
La guerra d'Etiopia
era dettata da due principali motivi: la crescente disoccupazione, causa della
crisi economica (quindi la colonizzazione era ritenuta una valida alternativa
all'emigrazione); e la necessità da parte del regime di ostentare una
militarizzazione (seppur superficiale) di un atto importante di politica
estera. Con grande propaganda quindi si diede avvio alle operazioni militari,
condotte prima da De Bono e poi da Badoglio sul fronte eritreo, e
da Graziani su quello somalo.
Conclusa vittoriosamente
e brevemente la guerra, scattarono subito le ripercussioni internazionali. In
particolare l'opinione pubblica inglese si dimostrò ostile a questo atto e
nonostante un tentativo di rendere l'Etiopia protettorato italiano (rifiutato
dal popolo inglese),
L'antifascismo L'usufruire
di organizzazioni paramilitari significò, per il fascismo, sviluppare clandestinamente
qualsiasi forma di opposizione al regime. Conseguentemente i vari giornali
socialisti chiusero e le personalità di spicco della sinistra furono costretti
ad andare via dall'Italia. I pochi socialisti rimasti formarono nel 1926 la
convenzione antifascista; mentre i comunisti si organizzarono in società
segrete vivendo nelle zone malfamate ed agendo nell'anonimato.
Antonio Gramsci fu
incarcerato nel '27 e nelle sue lettere inviate dal carcere si riscontra il suo
pensiero politico: l'ascesa del socialismo in Italia, che sarebbe dovuto salire
in Italia sarebbe dovuto essere diversa dall'avvento del socialismo in Russia,
poiché la realtà Italiana era diversa socialmente, economicamente ed
intellettualmente.
Ma le società
antifasciste venutesi a formare, non trovarono mai un'intesa tra loro ed
inevitabilmente fallirono. Altro tentativo fu quello di Carlo Rosselli, con
l'instaurazione di un movimento chiamato Giustizia e libertà, che prevedeva la
riorganizzazione delle forze antifasciste al fine di opporsi al regime in modo
più deciso. Caratterizzato fortemente dalla componente generazionale, tale
movimento riteneva necessario far cambiare mentalità ai giovani per potere
risolvere il problema alla radice.
Allo scoppio della
guerra in Spagna parteciparono molti antifascisti con la speranza di dimostrare
che la resistenza armata alla dittatura mostrata contro il franchismo potesse
essere d'esempio contro il regime mussoliniano; da qui il grido 'Oggi in
Spagna domani in Italia'.
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