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I re di Roma




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I re di Roma


La monarchia a Roma (vedere: La Costituzione reggia) è antica quanto la città; ma la tradizione ricorda fra i re forse soltanto quelli che avevano avuto fama maggiore e ne fissò il numero a sette, dei quali ci ha tramandato i nomi e dei quali venne fissata la cronologia: Romolo (753-716 a. C.), Nuima Pompilio (715-672), Tullo Ostilio (672-640), Anco Marzio (640-616), Tarquinio Prisco (616-578), Servio Tullio (578-534), Tarquinio Il Superbo (534-510); nella lista si inserisce come correggente di Romolo anche Tito Tazio.

La storicità della monarchia è confermata dall'esistenza in Roma durante l'età repubblicana di un sacerdote che portava il nome di rex sacrificulus, di un edificio nel Foro chiamato Regia, dall'istituto giuridico dell'interregnum, e dalla concorde tradizione sull'esistenza dei re romani.

L'istituzione monarchica passò per due fasi distinte, seguendo dapprima un'evoluzione indigena e locale, con sovrani probabilmente elettivi di cui è prova la loro appartenenza a famiglie diverse, poi subendo l'interpolazione violenta di signori stranieri (etruschi). Fatta astrazione da Romolo, il mitico fondatore della città, i re della tradizione ebbero tutti probabile esistenza storica, ma non è detto che essi siano stati i soli; nè che si siano succeduti nell'ordine loro attribuito secondo lo schema consacrato dalla tradizione; nè che si debbano accogliere tutte le notizie che la leggenda ci riferisce per ciascuno di essi.

La leggenda spiegava l'aumento della popolazione maschile della nuova città col diritto di asilo accordato da Romolo in un bosco vicino e narrava che si provvide alle donne con il ratto delle Sabine, donde la guerra fra i due popoli.

Da Livio 'Storia di Roma' I, 9 Il ratto delle Sabine

Conclusa, per intervento delle spose rapite, la pace fra i Romani e i Sabini, fissati rispettivamente sul Palatino e sul Quirinale e assunto da essi il nome di Quiriti, Romolo e Tito Tazio re dei Sabini governarono collegialmente. Morto Tito Tazio continuò a regnare da solo Romolo, cui la leggenda attribuisce gli ordinamenti civili, sociali, militari della città, come a Numa Pompilio, che ci si presenta come ispirato dalla ninfa Egeria, nella sua lunga opera di giustizia, di ordine, di pace, si attribuisce la creazione di tutte le istituzioni religiose: così i Flàmini, le Vestali, i Salii, i Pontefici, così il diritto sacro, le norme degli Auguri, il riordinamento del calendario di dodici mesi e non più di dieci.

In antitesi con Numa, il sabino re pacifico, sta il re guerriero Tullo Ostilio, sotto il quale scoppiò la lunga interminabile guerra contro la lega Albana. Il racconto poetico ci dice che la contesa fu decisa a favore di Roma dalla drammatica tenzone tra i fratelli Orazi e Curiazi, Romani i primi Albani i secondi. L'Orazio vittorioso inebriato dal trionfo uccise la propria sorella che, fidanzata a uno dei Curiazi, ne piangeva la morte. Bisogna dunque ammettere che, a un certo momento, Alba fu distrutta e il suo territorio fu occupato da Roma; gli abitanti, trasferiti a Roma sul Celio, furono ammessi nella cittadinanza e i migliori nel Senato.

Le leggende relative all'età regia ricordano tra le conquiste romane, oltre Albalonga, la presa dei pagi di Ameriola, Antemue, Cameria, Cenina, Collazia, Corniculo, Crustumerio, Ficana, Medullia, Politorio e Tellene, che non sono quasi più menzionati in seguito e di alcuni dei quali è ignota la posizione. Probabilmente assorbiti da Roma i loro abitanti andarono ad accrescerne la popolazione.

Queste conquiste sono attribuite ad Anco Marzio, del quale non è da negare la storicità. La tradizione lo presenta savio in pace e forte in guerra; ed è concorde nell'attribuire a lui la fondazione della colonia di Ostia, la cui antichità non è dubbia, sebbene alcuni vogliano riferirla al dittatore Gn. Marzio del IV secolo a. C. Roma si assicurava il possesso delle bocche del Tevere, stanziandovi cittadini romani.

La tradizione inoltre considera etruschi Tarquinio Prisco e Tarquinio Il Superbo, mentre di solito il re intermedio è detto romano e certamente per molte ragioni bisogna ammettere che sia nel vero. Ma la questione della realtà storica di questi sovrani non è di facile soluzione, perchè per alcuni studiosi Tarquinio Prisco e il Superbo sono effetto dello sdoppiamento di un'unica leggendaria personalità.

Tarquinio Prisco fu ucciso da sicari prezzolati dai figli di Anco Marzio che si ritenevano defraudati dal re etrusco della successione al trono. Questo racconto si presenta come un tentativo di affermazione di un diritto di successione ereditaria, mentre fino a questo momento della storia di Roma la tradizione ci parla solo di elezione popolare. La leggenda narrò che Tanaquilla, l'etrusca vedova del re ucciso, con un inganno fece riconoscere re Servio Tullio. A questo si attribuiscono quasi tutte le più importanti innovazioni e istituzioni del secondo periodo regio ed egli fu considerato fondatore di quei principi da cui derivò il governo repubblicano; infatti gli si attribuì il merito di aver fondato il diritto civile, ius humanum e di aver curato il censimento dei cittadini, in forza del quale il popolo romano atto alle armi sarebbe stato diviso in cinque classi a seconda degli averi, profondo rivolgimento costituzionale che va sotto il nome di ordinamento centuriato; così si faceva risalire a lui la costruzione delle cosiddette mura serviane.

Queste opere devono riportarsi a età più tarda così come la divisione della città in quattro regioni: Suburana o Sucusana, Palatina, Esquilioa e Collina abitate da quattro tribù locali, che sostituivano al vecchio criterio gentilizio un criterio topografico.

Un secondo Tarquinio (detto il Superbo), figlio o nipote del primo, secondo le diverse versioni, riuscì a ritoglierli il trono. Ma l'esempio di Servio Tullio che aveva abbattuto il primo Tarquinio fu efficace nell'indicare ai Romani il modo di liberarsi dal secondo fattosi tiranno in Roma e la via a una nuova organizzazione statale.

La tradizione sui tre ultimi re è ricca di molti altri elementi tra i quali una leggenda etrusca diversa, istoriata nei dipinti della famosa tomba Francois di Vulci, scoperta nel 1857 e ora nel Museo Torlonia a Roma. Essa è narrata nei < Tyrrhenica >, ove si cita la sua origine etrusca, dall'imperatore etruscologo Claudio, e conferma che il primo Tarquinio fu abbattuto da Mastarna aiutato dai Vulcenti e che Mastarna era identificato col Servio Tullio della tradizione romana. L'intervento etrusco in Roma si ripete con Tarquinio Il Superbo il quale, nonostante che gli si attribuissero vittorie e importanti opere pubbliche, fu aborrito dai contemporanei stanchi della sua tirannide.

La causa occasionale della rivoluzione, secondo la tradizione annalistica, fu l'oltraggio che il giovane figlio del re, Sesto Tarquinio, recò a un'onesta matrona romana, Lucrezia, moglie esemplare di Collatino. Tarquinio fu bandito con la sua famiglia; a Roma fu abolita la monarchia e fondata la Repubblica, il cui governo fu affidato a due Consoli. Era l'anno 509 a. C.; i primi Consoli furono Giunio Bruto e Tarquinio Collatino.

Tarquinio, scacciato da Roma e rifugiatosi in Etruria, tentò ogni mezzo per ritornarvi; da ultimo si rivolse a Porsenna, re di Chiusi, il quale però, ammirato degli atti di valore degli eroi e delle eroine romane (Orazio Coclite, Clelia, Muzio Scevola), si ritirò dall'assedio, lasciando le vettovaglie del suo accampamento in regalo ai Romani.

Contro questa conclusione della guerra sta la tradizione etrusca, la quale, narrando dei patti duri imposti da Porsenna ai Romani, implicitamente presupponeva che il re etrusco avesse conseguito almeno temporaneamente il dominio della città.

Comunque ricca e intricata, la tradizione sugli ultimi tre re di Roma, conferma che vi furono realmente sovrani di origine etrusca in Roma, ma non una sovranità effettiva dell'Etruria su Roma, che non divenne mai una città etrusca. È piuttosto da ammettere in conclusione che alcuni capi etruschi hanno dominato in Roma, e che mediante il prestigio della loro civiltà progredita hanno molto influito sullo sviluppo politico, civile, culturale di Roma

Interessa in particolare il problema se con la cacciata dell'ultimo re sia realmente finita con moto rivoluzionario la monarchia in Roma. Dalle sicure sopravvivenze rimaste in epoca repubblicana, tra le quali particolarmente quella del rex sacrificulus che si ritiene sia l'antico re capo dello Stato, privato a poco a poco di ogni altro potere e ridotto a semplice sacerdote, nasce l'ipotesi che la monarchia non sia cessata con atto violento, ma sia stata esautorata a poco a poco con l'attribuzione dei suoi poteri a nuovi magistrati. Così non si nega che Tarquinio sia stato scacciato da un atto rivoluzionario; si esclude soltanto che la sua espulsione possa considerarsi senz'altro come la fine della monarchia.


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