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Gli immigrati negli stati dell'unione europea




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GLI IMMIGRATI NEGLI STATI DELL'UNIONE EUROPEA


La mancanza di una politica estera comune si riflette, in modo negativo, su tutte le attività dell'Unione. Molti dei vincoli che fino all'inizio degli anni Novanta trattenevano i popoli più poveri del pianeta entro i rispettivi confini nazionali si sono allenati o hanno ceduto del tutto.

Questa grande diaspora diretta verso i Paesi più ricchi, da fenomeno circoscritto, l'emigrazione clandestina di masse di disposti a tutto pur di raggiungere la meta del benessere ha assunto dimensioni massicce.

Gli Stati dell'Unione sono diventati l'obiettivo di questo esercizio di disperati; né è stato possibile fronteggiare la situazione critica facendo leva sui rapporti che la Comunità ha imbastito con i Paesi di provenienza.

La CEE, ha eseguito una politica differenziata ma assai dinamica nei confronti dei Paesi in via di sviluppo. Essa si è articolata sia in accordi di associazione multilaterali, sia in intese bilaterali di cooperazione, come per esempio con i Paesi mediterranei.

In molte occasioni le ingenti risorse alimentari accumulatesi nei depositi della Comunità per effetto dei generosi sussidi della Politica agricola, hanno consentito di recare soccorso a popolazioni decimate dalla fame e dalla sete.

Ovviamente questa rete di rapporti commerciali, non poteva né si proponeva di risolvere gli enormi problemi del sottosviluppo, né poteva frenare l'esodo di chi abbandonava il proprio Paese.

La situazione era complicata dal fatto che i "Quindici" erano impegnati in una ambiziosa e delicata operazione di riforma interna.

L'allarme per l'immigrazione clandestina coinvolge quasi tutti i Paesi dell'Unione; e ciascuno risponde a proprio modo, in base alle proprie leggi nazionali.

Per comprendere le dimensioni del fenomeno e valutarne le conseguenze è opportuno considerarlo nella sua globalità.

Bisogna ricordare che oltre ai clandestini vi sono almeno tre filoni di immigrazione controllata all'interno dell'UE: quello dei lavoratori stranieri con regolare permesso di soggiorno, quello di coloro che chiedono l'ammissione per il "ricongiungimento familiare" e quello dei rifugiati che chiedono asilo politico.

Secondo le stime delle principali organizzazioni internazionali, attualmente nel mondo vi sono almeno 130 milioni di individui che hanno abbandonato la loro patria per un altro Paese.

Un quinto di costoro si trova in Europa, un quarto ha scelto l'America.

Il fenomeno migratorio è diretto soprattutto verso il mondo industrializzato, mentre la base di partenza è costituita in modo precipuo dai Paesi in via di sviluppo.

Nel quindici Paesi dell'Unione i "non nationals" sono 18 milioni, quattro quinti dei quali sono  extracomunitari.

Il primo Paese europeo per numero d'immigrati è la Germania con circa 7 milioni; l'Italia è quinta con circa 1.250.000 presenze.

Per quanto riguarda la nazionalità degli immigrati si può osservare che i turchi sono oltre 2 milioni e mezzo; il 70% di loro approda in Germania; dalle repubbliche della ex Jugoslavia sono arrivati circa un milione e 800 mila individui, in gran parte rifugiati di guerra, la Germania né ha accolti 350 mila; i marocchini sono un milione e 100 mila, gli algerini circa 560 mila e i polacchi 410 mila.

Per quanto riguarda l'Italia solo uno su tre emigranti proviene da un Paese Comunitario; la stragrande maggioranza arriva dai Paesi dell'Est e da quelli balcanici. Gli africani sfiorano il 30%; in testa ci sono i marocchini, seguiti dai tunisini, dai senegalesi, dagli egiziani, dai somali e dagli etiopici.

La presenza straniera in Italia è assai variegata e frazionata, è un intreccio di culture, di religioni e costumi diversi.

Per tutte le nazioni ospitanti si pongono enormi problemi di convivenza e di inserimento degli stranieri nei rispettivi tessuti locali.

L'accoglimento delle masse dei profughi viene sottoposto a valutazioni di opportunità politica e di solidarietà internazionale, l'immigrazione regolare risponde a criteri prevalentemente economici.

Essa non viene scoraggiata, ma in molti casi è favorita dai Paesi dell'Unione poiché è assorbita dal mercato del lavoro, senza contare che spesso gli stranieri extracomunitari suppliscono ad una carenza di manodopera in attività particolarmente faticose e poco remunerative.

L'immigrazione è una risorsa per lo sviluppo, come nel caso degli Stati Uniti che sono riusciti a trasformare l'immigrazione da fenomeno destabilizzante in fattore di crescita economica.

La Germania, sembra intenzionata a seguire una via innovativa, eliminando progressivamente la figura del "gastarbeiter", cioè del lavoratore immigrato ospite, destinato invece ad acquisire dopo un periodo di tempo - otto anni - la nazionalità tedesca.

Il fenomeno non riguarda soltanto l'Europa ma l'intero pianeta, si segnala infatti la presenza di ben 42 milioni di "nuovi schiavi" in tutti i continenti.

Il traffico clandestino, spesso a bordo di carrette che si trasformano in strumenti di morte, raggiunge la somma di 7 miliardi di dollari l'anno.

La Germania rappresenta ancora la meta più ambita, negli ultimi due anni il numero degli immigrati illegali sarebbe aumentato del 30 per cento. La Spagna, che per la sua vicinanza geografica con l'Africa è una tradizionale testa di ponte per l'ingresso in Europa, conta almeno 50 mila clandestini.

Ciascun paese fronteggia questa piaga come vuole e come può. Non mancano le soluzioni drastiche: come quella adottata dalla Spagna che ha deciso di innalzare due muri di filo spinato, lunghi otto chilometri, nelle due "enclaves" di Ceuta e Melilla per bloccare l'immigrazione proveniente dall'Africa. Il governo francese ha stanziato un "premio" di 4.500 franchi, circa un milione e 300 mila lire, per ogni immigrato illegale che accetta di tornarsene in patria senza opporre resistenza.

Le autorità italiane hanno adottato una politica che mira a programmare il flusso degli immigrati, a regolarizzare le posizioni degli "irregolari" giunti entro una certa data (il 27 marzo 1998), ma al tempo stesso sono decise ad usare il pugno di ferro con tutti gli altri clandestini mediante l'espulsione ed il rimpatrio.

La diplomazia italiana ha raggiunto intese bilaterali con alcuni Paesi mediterranei, come Marocco e Tunisia, perché collaborino alla "riammissione" dei clandestini in patria in cambio di accordi di aiuto allo sviluppo.

Paesi come l'Italia non sono assolutamente in grado di impedire l'arrivo di masse di immigrati clandestini che poi possono raggiungere altri Paesi europei.

La palese incapacità dei governi  dell'Unione di neutralizzare il fenomeno alimenta la protesta dei movimenti e dei gruppi razzisti.

Da una ricerca effettuata risulta una sostanziale ostilità della maggioranza degli intervistati nei riguardi degli immigrati: il 52,2% non scorge alcun valore positivo nella presenza degli stranieri e il 42,2% sarebbe favorevole ad un loro immediato ritorno nel Paese di origine.

Non è possibile immaginare di contrastare l'immigrazione clandestina soltanto con un'attività di interdizione dei "boat people" e di rimpatrio di coloro che tentano di approdare in territorio comunitario.

I vari Paesi sono chiamati a svolgere un'azione preventiva per scoraggiare l'immigrazione clandestina; ed essa consiste soprattutto nel rendere i rispettivi tessuti sociali poco ricettivi al fenomeno e nel far si che l'ospite irregolare non trovi una situazione in cui possa tranquillamente mantenere il suo "status".

In Italia prolifera un mercato nero di manodopera non regolarizzata, è qui che i clandestini trovano facile accoglienza e spesso riescono a condurre una vita normale eludendo qualsiasi controllo.

Il fenomeno è, invece, più circoscritto in Svezia in quanto le possibilità degli extracomunitari clandestini di sopravvivere sfuggendo ai controlli delle autorità statali sono pressoché nulle.

La sospensiva quinquennale prevista dal Trattato di Amsterdam, di fatto impedisce qualsiasi iniziativa di carattere europeo in materia di asilo senza il vincolo dell'unanimità.

In attesa di quella scadenza, troppo lontana, bisogna concordare ed attuare misure per avvicinare le legislazioni nazionali e per adottare criteri comuni di valutazione in materia di asilo e di protezione umanitaria.

Qualche piccolo progresso è stato realizzato nel gennaio 1998, sotto la spinta dell'emergenza per l'esodo verso l'Europa delle popolazioni curde dall'Iraq del Nord e da altri Paesi dell'area, i quindici hanno concordato un piano d'azione in 47 punti per rafforzare i controlli ai confini esterni dell'Unione.

Nel dicembre del 1998, il consiglio degli Affari generali dell'UE ha deciso di creare una task force "asilo-immigrazione", proposta dall'Olanda, per definire un approccio comune che doveva essere verificato al Consiglio speciale europeo di Tampere, in Finlandia, nell'ottobre del 1999.

C'è, comunque, urgenza di un'azione concordata e coordinata riguardante le politiche dell'asilo e dell'immigrazione, si tratta di avviare un'iniziativa più incisiva per aiutare queste nazioni a uscire dal sottosviluppo e per scoraggiare quel tipo di emigrazione clandestina che affonda le radici nella mancanza di beni primari e di qualsiasi occupazione.

Non basta, in questo contesto, stipulare accordi per assicurare aiuti in cambio di un impegno, più o meno rispettato, degli Stati esportatori di manodopera clandestina di collaborazione alla cosiddetta "riammissione", cioè al rimpatrio.

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