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GIOVANNI GIOLITTI
TESINA SVOLTA DA PAROLA PAOLO
ALUNNO DELLA CLASSE VC Geometri
DELL' ISTITUTO TECNICO STATALE "G.A.GIOBERT"
Giovanni Giolitti
nacque nel
La sua politica progressista gli guadagnò l'appoggio dei socialisti moderati e sotto il suo governo la classe lavoratrice organizzata godette i benefici ella prosperità economica e dell'aiuto dello stato.
Non simpatizzava ne per il clericalismo ne per l'anticlericalismo, e pensava che lo Stato e la Chiesa fossero due parallele che non devono mai incontrarsi. Per questo favorì l'integrazione nella vita della nazione tanto dei cattolici quanto dei socialisti; fu proprio questo l'impegno per il quale spese più tempo.
Negli anni 1911/1912 si rese protagonista di due azioni che riteneva necessarie, ma che avrebbero condotto l'epoca di Giolitti al declino: la conquista della Libia e il suffragio universale. Nel marzo 1914 Giolitti si dimise e nel maggio del 1915 l'Italia entrò in guerra.
Nel dopo "amaro" Versailles, fu auspicato il suo ritorno al governo nel 1920 quando dal "popolo d'Italia" del 18 marzo, il generale Peppino Garibaldi chiese il suo ritorno al governo.
Purtroppo era troppo tardi e Mussolini stava cavalcando il malcontento.
IL PRIMO MINISTERO GIOLITTI
Nei
primi giorni di marzo del 1892 il ministro del tesoro Luigi Luzzatti (del governo
guidato da Rudinì) nella discussione alla Camera sul bilancio, dopo aver in
precedenza ammesso di poterlo fare, ammette l'impossibilità di risanare il
bilancio per il 1892-1893. Molti deputati -tra i quali Vittorio Ellena e Sidney
Sonnino criticano la politica economica del governo.
Il 17 marzo
fu chiesta la fiducia alla Camera sulla politica finanziaria del governo.
L'on.
Giolitti che l'aveva proposta poi prese le distanze. Tuttavia la fiducia fu votata
con 261 voti favorevoli e 157 contrari.
Il 13 aprile
Rudinì si dimette con l'intero ministero in seguito alle forti divergenze sorte
alla Camera e all'interno del governo sulle proposte di nuove tasse e di tagli
alle spese. Su queste ultime il più forte oppositore è il ministro della guerra
generale Luigi Pelloux, che si vede ridurre le spese militari.
Il 14
aprile, Umberto incarica nuovamente Rudinì a formare il nuovo governo.
D'accordo con Giovanni Nicotera, Rudinì offre il dicastero del tesoro a
Giolitti, che però lo rifiuta dichiarando che è incompatibile la sua presenza
con quella di Nicotera.
Quello che
spera Giolitti, è d'essere chiamato lui dal re a formare il nuovo governo.
Re
Umberto I del nuovo ministero Rudinì accetta solo le dimissioni del ministro
delle finanze Colombo, e invita il capo del governo a ripresentare la fiducia
alla Camera. Alcuni affermano che agì in questo modo, perché convinto che
ripresentandosi alla Camera, Rudinì definitivamente sarebbe stato bocciato.
Infatti, il
5 maggio,
L'8
maggio, Umberto I, volle affidarlo a Giovanni Giolitti. Lo fece con un regio
decreto, seguendo una procedura giudicata dal Farini ai limiti della legalità,
in quanto precedeva la formazione del governo.
Tuttavia
volle interrogare il vecchio statista Francesco Crispi che non nascose al
sovrano la gravità della situazione dicendo:
'Il paese ha perduto la coscienza di sé. Gli si è tolto il
coraggio, si è avvilito parlando di miserie che non esistono, si è illuso
dandogli a credere che solo facendo economie si poteva pareggiare il bilancio
. Non vi è tempo da perdere ., bisogna provvedere subito . Si sono
perduti quindici mesi e si è tutto disordinato;
Umberto
I accennò a Crispi, come alla sola persona che potesse guidare
Ricevuto l'incarico il 10 maggio1892, il Giolitti compose il nuovo ministero tenendo per sé la presidenza del Consiglio, il portafoglio dell'Interno e l'interim del Tesoro.
Il 25 maggio il Giolitti presentò il nuovo ministero al Parlamento ed espose il suo programma: sistemazione della finanza, evitando al paese 'la necessità di nuovi aggravi e continuando energicamente nella riduzione delle spese'; risorgimento economico del paese, normalizzando la circolazione, correggendo la cattiva organizzazione del credito e il difettoso ordinamento degli studi, e vincendo gli eccessivi scoraggiamenti; rispetto delle alleanze contratte a scopo di pace, e cordiale amicizia con tutte le potenze; vigile custodia all'interno di tutte le libertà.
Il 12 ottobre ricorreva il
quarto centenario della scoperta dell'America, che Genova volle festeggiare con
grande solennità. Alle feste Colombiane, onorate dalla presenza di Umberto e
Margherita, di Savoia, che assistettero ad un'imponente rivista navale,
parteciparono numerose squadre estere, fra cui quella della Francia.
Si
avvicinavano intanto le elezioni. Il Giolitti volendo procurarsi una solida
maggioranza usò ogni mezzo pur di fare uscire uomini a lui devoti, trasferì
prefetti, sciolse municipi, usò pressioni e corruzioni, si accaparrò i voti di
molti cattolici promettendo di non applicare la nuova legge sulle Opere Pie, e
nominò quarantacinque senatori.
Il
6 novembre si svolsero le elezioni con il nuovo sistema del collegio
uninominale, reintrodotto l'anno precedente dal governo Rudinì. Notevole il successo
del partito di Giolitti che ottiene una buona maggioranza, anche se le
opposizioni denunciano una serie di pressioni sugli elettori tramite le prefetture
fedeli a Giolitti. Furono tanti e tali le corruzioni e i brogli che, durante la
verifica dei poteri,
Il
23 novembre del 1892 fu inaugurata
Il
giorno precedente erano stati pubblicati alcuni 'Decreti Reali' con cui fu aumentato il dazio sullo
zucchero, abolito il ribasso dei prezzi dei tabacchi venduti all'ingrosso e
affidato il servizio delle pensioni alla Cassa di Depositi e Prestiti.
Questi
decreti, furono presentati alla Camera per essere convertiti in legge nella
prima metà di dicembre e Giolitti dichiarò di avere adoperato questo metodo
eccezionale per la necessità di accelerare i lavori parlamentari e di dimostrare,
con la forma stessa dei bilanci che il pareggio era raggiunto. L'indirizzo
finanziario del Governo fu approvato.
Il 19
febbraio, Grimaldi, succeduto a Ellena nel ministero delle finanze, presentando
l'esposizione finanziaria, annunciò un aumento del dazio sullo zucchero e il
monopolio degli olii e degli alcool e anticipò il proposito di trasformare
completamente il servizio delle pensioni abolendo
LA QUESTIONE BANCA ROMANA
Nel
giugno del 1889, due ispettori incaricati dal Ministro dell'Agricoltura
costatavano alcune gravi irregolarità ed un ammanco di 9 milioni nella Banca Romana.
Il comm. Il governatore della Banca, interrogato dal ministro, dichiarava non
rispondenti a verità le dichiarazioni degli ispettori e, procuratasi dalla
Banca Nazionale la somma mancante, riusciva a mostrare che nella banca non
esisteva alcun vuoto.
Alla fine
del giugno del 1891 per non recare danno al credito pubblico, Luzzatti faceva approvare
un disegno di legge che prorogava il corso legale dei biglietti di banca e
accordava a tutti gli istituti d'emissione la facoltà di aumentare la
circolazione in ragione del quadruplo del loro capitale.
' NOTA -
Quando il
grande boom edilizio si sgonfiò ed iniziarono i fallimenti,
Non erano
banconote false, ma banconote 'clonate', che riportavano gli stessi numeri
di serie'.
Il 6
dicembre del 1892 due ministri presentarono con urgenza alla Camera un disegno
di legge per riordinare entro l'anno gli istituti d'emissione. Allora tutti
coloro che conoscevano le criminose illegalità di qualche banca, pensarono che
bisognava denunciare al Parlamento gli atti delittuosi della Banca Romana per
impedire che le si riconcedesse il privilegio dell'emissione.
Sparsasi
la notizia che alla Camera stava per scoppiare uno scandalo, il Giolitti corse
ai ripari e il 19 dicembre comunicò alla Camera che aveva deciso un'ispezione
amministrativa per tutti gli istituti di emissione e presentò un disegno di
legge che prorogava a tutto il marzo 1893 la facoltà d'emissione e il corso
legale dei biglietti di banca.
Il giorno
dopo venne esposta alla Camera la presenza di gravissime irregolarità della Banca
Romana desunte dalla relazione del senatore Alvisi e concluse proponendo
un'inchiesta parlamentare. Giolitti invitò
Con decreto reale del 30 dicembre 1892 fu istituita una commissione amministrativa di ispezione alle banche che fu presieduta dal senatore Gaspare Finali, primo presidente della Corte dei Conti. Furono ispezionate le banche più importanti di tutto il territorio italiano.
Ispezionando
Il
20 marzo Giovanni Giolitti, nel leggere alla Camera la relazione del senatore
Finali si presentò con un pacco di carte, affermando che erano gli elenchi
nominativi delle cambiali in sofferenza presso gli istituti d'emissione.
Nessuno vide
se le carte e i nominativi c'erano veramente; alcuni affermarono che nel pacco
c'erano solo giornali e che era quella di Giolitti tutta una scena sbruffona
per intimorire chi aveva da nascondere qualcosa, e che questi, chi più chi meno,
erano tanti.
Venne
proposta un'inchiesta parlamentare, ma ancora una volta il presidente del
consiglio si oppose.
Il 25 maggio
Giolitti comunicò tutto questo alla Camera e invocò il voto di fiducia che gli
fu concesso il giorno dopo.
Per
porre riparo al danno che gli scandali bancari arrecavano al credito italiano
all'estero l'on. Giolitti prese alcuni energici e pronti provvedimenti, quindi
pensò di riordinare gli istituti d'emissione. Il ministro d'Agricoltura
presentò un disegno di legge che liquidava
La Commissione parlamentare propose parecchi emendamenti al disegno di legge, che furono accettati dal Governo, quindi, dopo breve discussione, la legge bancaria fu approvata dalle due Camere e divenne legge nell'aprile.
STRAGE DI OPERAI ITALIANI AD AIGUES-MORTES
Nel
mese di agosto, e precisamente il 17-19, orribili fatti avvennero ad
Aigues-Mortes. Circa quattrocento italiani, che lavoravano in quelle saline, furono
selvaggiamente aggrediti dagli operai francesi e dalla popolazione locale al
grido di Morte agli Italiani! Andate
in Germania! Fatevi dar lavoro da Crispi!
All'origine
era l'esasperazione della concorrenza che facevano gli operai italiani,
impiegati nelle saline accettando stipendi più bassi che così calmieravano
quelli dei locali.
Trenta
italiani furono uccisi ed oltre cento feriti; le ostilità erano così diffuse
che perfino gli ospedali di quella civilissima città per ben otto ore si
rifiutarono di ricevere e prestar soccorso ai feriti e il 'maire' pubblicava due proclami
in cui scriveva: 'Il
'maire' della città di Aigues-Mortes porta a conoscenza dei suoi
amministrati che
'Raccogliamoci
per curare le nostre ferite e, recandoci pacificamente al lavoro, proviamo come
il nostro scopo è stato raggiunto e le nostre rivendicazioni soddisfatte'.
La
barbara strage di Aigues Mortes provocò uno sdegno straordinario in Italia. La
stampa fu concorde nel deplorare la vile aggressione e il selvaggio contegno
dei medici e delle autorità; in ogni città, in ogni paese, in ogni villaggio ci
furono dimostrazioni al grido di 'Abbasso
Ritornata in
Piazza Colonna, la folla, volle che la banda municipale suonasse l'inno tedesco,
quindi cercò di ritornare in Piazza Farnese, dove la dimostrazione si rinnovò
furiosa la sera dopo. Dimostrazioni più gravi, anche perchè coincisero con uno
sciopero di cocchieri e s'intrufolarono elementi sovversivi, avvennero luogo a
Napoli, con la distruzione di omnibus, fanali nelle strade, vetture tranviarie.
Nei conflitti con la forza pubblica oltre ad esserci parecchi feriti ci fu
anche qualche morto.
Intanto la
stampa italiana scagliava fulmini contro
Ma
il governo del Giolitti non ebbe il coraggio - e non ce ne voleva molto per
raccogliere l'invito all'energia. Anziché chiedere soddisfazione, si affrettò a
darla, collocando a riposo (ritenendolo lui responsabile degli incidenti) il
prefetto di Roma, senatore Calenda, e quattro alti funzionari della pubblica
sicurezza e inducendo il prefetto di Napoli, senatore Senise, a chiedere di essere
messo a disposizione (riposo).
La situazione politica si faceva di giorno in giorno più grave e il Governo di Giolitti era incapace di fronteggiarla.
Si seguivano a ruota scioperi di lavoratori in tutta Italia per il malessere che si era instaurato dopo la questione delle banche tanto da portare la questione presso la camera.
Giolitti dichiarò che il Ministero rassegnava le dimissioni per riacquistare la libertà di parola; questa comunicazione fu accolta da urli ostili.
Così, come dicevano i deputati dell'Estrema Sinistra in un manifesto lanciato al paese qualche giorno dopo la lettura della relazione dei Sette, cadeva il ministero di Giovanni Giolitti.
Il processo dlla Banca Romana finì, dopo 18 mesi, nel luglio del 1894 con l'assoluzione di tutti gli imputati, scandalizzando il paese consapevole dei grandi risultati delle inchieste. Non fu accertato se Giolitti e i suoi predecessori abbiano ricevuto soldi dalla Banca romana.
IL RITORNO SULLA SCENA DI GIOLITTI E IL SECONDO MINISTERO
Zanardelli incariato di formare il nuovo ministero, il 15 febbraio1901, affidò il Ministero dell'Interno a Giovanni Giolitti.
Non era cambiata di molto la situazione che si era lasciato alle spalle dopo le sue dimissioni per quanto riguarda gli scioperi che si erano anzi moltiplicati e per i quali non si riusciva porre rimedio.
Giovanni Giolitti difese la sua politica di neutralità nella lotta fra capitale e lavoro sostenendo essere opera saggia di Governo osservare e fare osservare la legge, evitare qualsiasi atto di forza, che avrebbe provocato gravissimi disordini, e cercare, invece, di 'richiamate l'affetto delle classi popolari verso le nostre istituzioni ., dimostrare non con le parole, ma con i fatti, al popolo, che con le nostre istituzioni tutti i progressi e tutte le libertà sono possibili'.
Riuscì in questo modo ad accaparrarsi giudizi favorevoli tra lavoratori e socialisti.
Nella tornata del 14 marzo, dopo il clamoroso evento della militarizzazione dei ferrovieri, il ministro Giolitti difese la propria politica. Pur riconoscendo il diritto allo sciopero, egli dichiarò che tale diritto era escluso nei pubblici servizi.
L'11 giugno del 1903 Giolitti rassegnò le sue dimissioni protestando che il Ministero non aveva più ragione di esistere poiché non operava le riforme promesse e si alienava l'appoggio delle Estreme.
Nel luglio del 1904 Giuseppe Zanardelli, carico d'anni ed esausto dall'intenso lavoro, e con una Camera ormai a lui ostile, pregò il sovrano che lo esonerasse dall'ufficio e si ritirò nella sua villa di Maderno, sul Garda. Il riposo non giovò al vecchio statista 77enne, che cessò di vivere il 26 dicembre, dopo essere stato 43 anni sulla breccia parlamentare.
Ritiratosi l'on. Zanardelli, l'incarico di formare il Ministero fu dato dal Re, come tutti prevedevano, all'on. Giolitti, il quale, dopo avere invitato socialisti e radicali ad entrare nel suo Gabinetto, lo costituì il 3 novembre 1903, con elementi di destra e del centro, ma più orientato a destra di quello precedente, dopo aver costatata l'impossibilità di coinvolgere socialisti e radicali.
Premesso che si sarebbe
continuata, nei limiti delle leggi, la politica di libertà, affermò che le
questioni che più urgentemente incombevano sull'economia del paese erano i
trattati di commercio, la diminuzione dell'onere del debito pubblico,
l'ordinamento ferroviario e l'urgente necessità di rialzare le condizioni
economiche delle province meridionali.
Nella stipulazione dei trattati commerciali il Ministero avrebbe avuto di mira
l'esportazione dei prodotti agricoli. Con la conversione della rendita si sarebbe
alleviato di molti milioni il bilancio e si sarebbe potuta affrontare una riforma
tributaria, la quale avrebbe sollevato le condizioni delle classi meno agiate.
Quanto alle province del Mezzogiorno, il Governo avrebbe mantenuto il disegno
di legge in favore della Basilicata e avrebbe presentato proposte per
promuovere lo sviluppo industriale di Napoli. Altre riforme che il Ministero
promise di attuare, vi erano l'esercizio di Stato delle ferrovie, l'abolizione
del domicilio coatto, lo sviluppo dell'istruzione elementare, il consolidamento
della Cassa per la vecchiaia degli operai e il riposo festivo. Dopo aver
assicurato che nel campo internazionale l'Italia si trovava in ottimi rapporti
con tutte le nazioni, l'on. Giolitti invitò la Camera a dire se aveva o no
fiducia nel Gabinetto.
il 3 dicembrela con la maggioranza assoluta Camera approvò il programma del Ministero Giolitti.
Dal momento che i trattati di commercio scadevano il 31 dicembre e non c'era il tempo di svolgere i negoziati, si stipularono accordi provvisori. In questo frattempo furono approvate molte leggi: fu modificata la legislazione sulla Sanità pubblica e sulle Opere Pie, furono migliorate le condizioni dei maestri elementari, fu istituita la Cassa per l'invalidità e la vecchiaia degli impiegati comunali, si migliorarono le condizioni economiche di alcune categorie di funzionari statali, si stabilirono pensioni per gli operai della manifattura dei tabacchi, si concessero benefici ai superstiti delle guerre d'indipendenza, si riformò il sistema carcerario e s'introdusse nella legislazione penale la condanna condizionale..
Nonostante questo buon cammino sulle questioni interne, a turbare l'anno furono i problemi di politica estera.
POLITICA ESTERA: INCIDENTE DI INNSBRUCK
Il 23 novembre del 1903,
con un discorso di Angelo De Gubernatis sul Petrarca, doveva essere inaugurata
a Innsbruck un'università libera italiana, ma la cerimonia fu impedita dalla
polizia locale. Gli studenti italiani in Austria, offrirono allora, con il
permesso delle autorità, un banchetto al De Gubernatis; ma, uscendo dal luogo
dove avevano banchettato, furono selvaggiamente aggrediti e malmenati dagli
studenti austriaci.
I fatti di Innsbruck suscitarono violentissime dimostrazioni di protesta in
tutta l'Italia e nella seduta del 15 dicembre alla Camera, durante la
discussione sul bilancio degli Esteri, fornirono occasione a molti deputati di
scagliarsi contro l'Austria.
Queste manifestazioni dell'amicizia italo-gemanico-austriaca non impedirono
manifestazioni, di gran lunga più significative e pompose, dell'amicizia
franco-italiana
Per far tornare buoni i rapporti italo-germanici Giolitti si recò, il 27 settembre del 1904, a Homburg da Bulow e gli fece osservare che le festose accoglienze da parte degli italiani verso la visita dei politici francesi al nostro Paese erano state un dovere di ospitalità. Esse poi avevano avuto il risultato di mostrare che il Governo francese non sosteneva il Papa, ma anzi, con l'amicizia verso l'Italia, faceva tramontare le speranze di molti di coloro che ancora pensavano ad una restaurazione del potere temporale della Chiesa in Italia.
Il viaggio del Loubet a Roma e la mancata sua visita al Santo Padre contribuirono a turbare i rapporti tra la Santa Sede e la Francia.
La protesta pontificia
ebbe per effetto la rottura dei rapporti tra la Santa Sede e la Francia.
Nel partito socialista si andava facendo sempre più numerosi e audaci coloro
che seguivano la tendenza rivoluzionaria. Nel Congresso di Bologna dell'11
giugno del 1904, che aveva riaffermato l'unità del partito socialista, il sopravvento
l'avevano avuto i rivoluzionari o si temeva perciò che i socialisti portassero
la lotta del Parlamento nel paese e dal campo delle idee a quello della
violenza; l'uso della forza.
Fra l'altro, ad innestarsi nella polemica e a criticare i socialisti
riformisti, da un anno, dalla Svizzera, giungono singolari articoli di un
giovane diciannovenne, Benito Mussolini.
Che questo timore non era infondato lo si constatò di lì a poco, infatti insorsero
scioperi e rivolte in tutto il Paese. Tutti questi fatti diedero occasione ai
socialisti rivoluzionari di proclamare lo sciopero generale. Lo proclamò per prima
la Camera del Lavoro di Monza, il 15 settembre, giorno in cui a Rocconigi
nasceva il Principe ereditario, al quale fu dato il nome di UMBERTO e imposto
il titolo di Principe di Piemonte.
Lo sciopero di Monza si estese con rapidità straordinaria in tutta l'Italia. A
Firenze, a Bologna, a Roma e in altri centri durò una sola giornata, ma in
altre città si prolungò per molti giorni. Così a Milano durò cinque giorni,
durante i quali si sospesero i pubblici servizi e la pubblicazione dei
giornali, e si commisero atti inauditi di violenza contro i lavoratori che non
volevano scioperare; a Genova per due giorni gli scioperanti furono padroni
della città, guastarono le linee ferroviarie e costrinsero il Governo a mandare
tre navi da guerra e a dar i poteri pubblici al generale Del Mayno; a Napoli,
dove furono mandate altre due navi da guerra e due reggimenti di cavalleria, lo
sciopero ebbe la durata di quattro giorni, si diede l'assalto alle tranvie, si
saccheggiarono i negozi, si tentò di erigere barricate e si ebbero conflitti
con la truppa; a Torino ci furono dei morti e feriti; a Venezia gli scioperanti
interruppero ogni comunicazione con le terraferma, sospesero il servizio
interno delle gondole e dei vaporetti e l'illuminazione pubblica, imposero la
chiusura dei negozi e delle chiese, ruppero i fili telefonici, impedirono il
trasporto degli ammalati all'ospedale e per tre giorni, insomma, obbligarono la
città a vivere in balia del disordine e della prepotenza; a Lugano gli
anarchici strapparono lo stemma dal Consolato Italiano lo calpestarono e lo
gettarono nel lago; a Verona, a Brescia, a Cremona e altrove si ebbero altre
violenze.
Il 18 settembre i deputati dell'Estrema Sinistra, riuniti nella Camera del Lavoro di Milano, deliberarono di chiedere la convocazione immediata del Parlamento per imporre le dimissioni del Ministero e discutere un disegno di legge che vietasse l'intervento della forza pubblica nella lotta tra capitale e lavoro; e decisero di continuare lo sciopero fino al 21 settembre; ma l'on. Giolitti seppe parare il colpo e quel giorno stesso fece emanare un regio decreto che scioglieva la Camera e convocava i comizi per il 6 e 13 novembre.
Le violenze dei socialisti durante lo sciopero preoccuparono non poco i cattolici, e il Pontefice fu pregato di revocare il Non expedit e permettere loro l'accesso alle urne. Pio X diede facoltà ai vescovi di concedere ai fedeli di partecipare alla lotta elettorale in quei collegi dove sembrava probabile la vittoria di un sovversivo e così l'intervento dei cattolici riuscì di non poco aiuto a Giolitti.
Infatti, le elezioni, segnano, come aveva previsto Giolitti, la sconfitta dell'estrema sinistra che perse 8 seggi. La Camera nuova risultò più moderata della precedente e in gran maggioranza devota a Giolitti.
NUOVE VIOLENZE ANTITALIANE A INNSBRUCK
L'indomani delle elezioni
presidenziali, del ministro degli Esteri deplorò i fatti della questione di
Innsbuck, ma, disse che 'gli eccessi di una folla eccitata non possono
affievolire i legami che uniscono la scienza e la civiltà tedesca alla scienza
e alla civiltà italiana, né possono influire sulle relazioni fra l'Italia e
l'impero Austro-ungarico che hanno profonde radici nella tutela di grandi interessi,
nel raggiungimento di alti fini, nei fermi e leali propositi dei due Governi'.
Probabilmente non gli avevano raccontato nulla di ciò che era avvenuto in
Italia dalla restaurazione fino alla fine degli anni Sessanta dell'800.
Le prime lotte sociali avevano sconvolto dalle fondamenta la vita del Paese.
Giolitti e il re furono d'accordo nell'accettare la dura realtà della lotta tra
capitale e lavoro e tutti i rischi che implicava, tanto per l'istituto
monarchico che per il regime parlamentare. Scioperassero pure i lavoratori.
Poiché le loro condizioni erano veramente intollerabili e i profitti del capitale
consentivano larghissimi miglioramenti, l'intervento dello Stato si limitò
unicamente al consiglio, che veniva dato continuamente ai datori di lavoro, di
andare incontro alle rivendicazioni delle masse. Liberi i lavoratori di
associarsi per la tutela dei loro diritti, erano, però, tenuti a rispettare la
libertà altrui.
Giolitti e il re non si commossero eccessivamente nemmeno al primo sciopero
generale. Aspettarono di vedere nei fatti se era proprio un pericolo per le
istituzioni. E avevano ragione. Lo scioperò sfumò, e la conseguenza fu che i
datori di loavoro si tranquillizzarono e le masse lavoratrici si calmarono. In
dodici anni, la media dei salari aumentò del cento per cento.
Tutta l'arte di governo di Giolitti e del Re si riduceva nel moderare gli
entusiasmi e nel sollevare gli avviliti.
L'on. Giolitti affermò di
voler governare per la libertà e con la libertà, diminuendo la gravità dei
fatti e dichiarando che, non lo si poteva rimproverare di avere autorizzato
tante associazioni, costituitesi di pieno diritto e non a scopo delittuoso.
LA QUESTIONE FERROVIARIA -
DIMISSIONI DI GIOLITTI
Urgeva intanto risolvere
la questione dei ferrovieri, dato che il 30 giugno del 1905 scadevano le
convenzioni ferroviarie con le Società che il Governo non voleva rinnovare.
Circa cinquantamila ferrovieri si erano organizzati nelle file della
Federazione e della associazione chiamata 'Il Riscatto', le quali
organizzazioni erano dirette da una giunta detta Costituente con sede in Milano
e da un comitato di agitazione, detto degli Otto.
Il 2 dicembre del 1904 gli Otto avevano presentato all'on. Giolitti un memoriale
contenente i 'desiderata' dei ferrovieri
Di fronte
all'atteggiamento dei ferrovieri il Consiglio dei Ministri stabilì l'esercizio
di Stato e il 21 febbraio il ministro dei Lavori Pubblici presentò alla Camera
il relativo disegno, nel quale si miglioravano le condizioni del personale, ma
si stabiliva l'arbitrato obbligatorio e si comminavano pene per gli organizzatori
e gli esecutori degli scioperi.
Alla presentazione di tale disegno i ferrovieri risposero proclamando l'ostruzionismo,
che su tutte le linee d'Italia cominciò il 26 febbraio. I ritardi enormi dei
treni, le lunghissime soste nelle stazioni, la lentezza straordinaria di tutti
i servizi indignarono immensamente l'opinione pubblica.
Ma al Senato il ministro Tittoni, parlando in nome di Giolitti ammalato, disse
che un Governo liberale deve non solo rispettare la libertà, ma esigerne il rispetto.
Il Senato votò una mozione con cui si invitava il Governo ad intervenire per
far cessare lo sconcio e a studiare il modo d'impedire che l'ostruzionismo paralizzasse
i pubblici servizi e il Paese.
L'on. Giolitti o perché
temeva, dopo l'ostruzionismo, uno sciopero ferroviario, e che essendo ammalato
non avrebbe saputo fronteggiare, o perché vedeva nella mozione del Senato una
condanna alla sua politica, il 4 si dimise con una lettera al re in cui diceva
che aveva bisogno di un lungo riposo per rimettersi in salute. I suoi colleghi,
non avvertiti, si dimisero anch'essi.
Ma forse questa scelta fu dettata dal voler lasciare ad un ministero da lui influenzato,
ma non personalmente diretto, la gestione della difficile vertenza per la
statalizzazione delle ferrovie.
Il re dovette affidare l'incarico ad un nuovo deputato, ma lo scelse su indicazione
di Giolitti: Alessandro Fortis, che fu subito contrastato e rinunciò
all'incarico; ma dopo un dibattito alla Camera, Fortis fu nuovamente designato
a formare un governo.
La formazione e l'arco di tempo in cui rimase in vita questo 'ministero ombra', e furono molti a considerarlo tale, ritenendo le dimissioni di Giolitti una temporanea fuga, pur rimanendo lui il 'regista'.
IL TERZO MINISTERO GIOLITTI
IL SUO PROGRAMMA
Il 18 maggio 1906 usciva dalla scena il Ministero Sonnino.
Durava da 13 mesi l'assenza di Giolitti, che riposatosi abbastanza bene da
quella che fu da alcuni chiamata 'fuga', ritorna alla ribalta
chiamato dal Re per formare il nuovo Ministero.
Giolitti, lo costituì il 27 maggio, assumendo la presidenza del Consiglio
e il portafoglio dell'Interno.
Questo terzo Ministero Giolitti ebbe vita lunga: durò, infatti, dal 27 maggio
del 1906 al 9 dicembre del 1909; fu però funesto, come il primo, a parecchi dei
suoi componenti.
Il 12 giugno, Giolitti espose al Parlamento il suo programma; vi entravano l'inchiesta sulla Marina e i provvedimenti per il Mezzogiorno, per la Sicilia, per la Sardegna e per i danneggiati dal terremoto e dal Vesuvio. Affermò anche che riteneva opportuno nominare due Commissioni parlamentari, affidando ad una l'incarico di studiare le condizioni dei lavoratori della terra nelle province meridionali e in Sicilia, specialmente in rapporto ai patti agrari; e all'altra l'incarico di studiare le condizioni della Sardegna e specialmente quelle degli operai delle miniere.
Le dichiarazioni dell'on. Giolitti ebbero l'approvazione della Camera.
Nel primo mese di governo del terzo Ministero Giolitti intensa fu l'attività
legislativa: furono approvati i provvedimenti per il Mezzogiorno, per le isole
e per o danneggiati dal Vesuvio, fu approvato il disegno di legge per il
riscatto delle ferrovie meridionali e fu votata la conversione della rendita.
Il 29 giugno del 1906 il ministro del Tesoro presentò alla Camera un disegno di
legge sulla conversione dei titoli delle rendite .
In modo da evitare giuochi di borsa,
Giolitti invitò l'assemblea a discutere quel giorno stesso il disegno, quindi
fu nominata la Commissione.
Nel medesimo giorno il disegno fu approvato dal Senato, sanzionato dal re e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale. Il successo dell'operazione, che doveva dare all'erario un utile di 20 milioni annui per i primi cinque anni, di 40 milioni poi, fu pienissimo.
Il giorno prima (28 giugno) era cominciata alla Camera la discussione
intorno alla relazione della Commissione d'inchiesta sulla Marina. L'inchiesta
era stata lunga e minuziosa e nella relazione, che comprendeva cinque volumi,
erano consacrate gravissime accuse contro il ministero della Marina, relative
allo sperpero del pubblico denaro.
Durante il dibattito diversi furono i deputati che si scagliarono contro la Commissione,
la quale fu difesa non solo dal suo presidente e dal suo relatore, ma anche
personaggi importanti. Per evitare uno scandalo, nella seduta del 4 luglio,
Giolitti accettò un ordine del giorno di fiducia nella marina italiana e il
presidente lo pose ai voti e lo dichiarò approvato fra il tumulto della Camera.
Nonostante le rivelazioni dell'inchiesta, il Parlamento si mostrò
favorevole a concedere maggiori spese per la Marina da guerra fino a 160
milioni di lire.
L'inchiesta sulla Marina fu seguita, a distanza di parecchi mesi, da quella
sull'esercito. Fu lo stesso Giolitti a presentare un disegno di legge per la
nomina di una Commissione destinata ad indagare sull'organizzazione e
sull'amministrazione dei servizi dipendenti dal Ministero della Guerra, disegno
che fu approvato il 16 maggio del 1907. Anche in questo caso lo stato fu
disposto a concedere una cospicua somma di denaro, e concesse anche il
richiesto aumento dei salari per i soldati.
Un'altra inchiesta votò il Parlamento nel 1907: quella 'sulle
condizioni dei contadini nelle province del Mezzogiorno e in Sicilia'.
La Commissione nominata si propose specialmente di studiare le condizioni dei
contadini e la natura dei patti agrari. Si sostenne che nel Mezzogiorno e nella
Sicilia l'impedimento al progresso dell'agricoltura era costituito, dalla distruzione
dei boschi, dalla malaria, dal latifondismo e dalla scarsità d'acqua e concluse
affermando che dal rimboschimento, dall'aumento dei mezzi di comunicazione e
dalla diffusione della cultura dipendeva l'avvenire del Mezzogiorno.
I TUMULTI E GLI SCIOPERI DEL 1906
Frequenti furono i tumulti e gli scioperi nel 1906. In Sicilia scioperarono gli zolfatari, che a Caltanissetta ebbero conflitti con la forza pubblica e con il loro atteggiamento ottennero che fosse subito votata la legge sul Consorzio obbligatorio degli zolfi; a Bari scioperarono i metallurgici, a Napoli gli studenti universitari, a Roma gli allievi guardie municipali, a Torino e a Genova i tranvieri, nel Vercellese i risaiuoli. Scioperarono anche i lavoratori del mare provocando per reazione la serrata degli armatori e il disarmo delle navi. E tra uno sciopero e l'altro si ebbero atti terroristici degli anarchici, che fecero scoppiare bombe nella capitale.
IL IX CONGRESSO SOCIALISTA
E IL TRIONFO DELLA TENDENZA INTEGRALISTA
Dal 7 al 9 ottobre del 1906 si tenne a Roma il IX congresso socialista.
In questo Congresso si manifestò ancor più insanabile il dissidio tra
riformisti e sindacalisti e trionfò la tendenza. Fu, infatti approvato l'ordine
del giorno presentato dagli integralisti, il quale affermavano che il partito
mirava alla socializzazione dei mezzi di produzione da raggiungersi con il
metodo della lotta di classe e con il criterio di 'una gradualità entro
al seno stesso della società borghese", usando i mezzi legali e solo in via
eccezionale la violenza.
Non meno frequenti che nel 1906 furono i torbidi e gli scioperi nel 1907. Si
ebbero quello degli operai delle Acciaierie di Terni, che, con la serrata, durò
93 giorni, quello dei vetrai di diciotto stabilimenti, quello dei tranvieri a
Napoli, quello agrario ad Argenta, durato tre mesi, lo sciopero generale a
Bari, lo sciopero dei gassisti a Milano cui seguì lo sciopero generale esteso a
Bologna, a Parma, a Cremona e a Torino. Dovunque tumulti, conflitti, saccheggi;
occupazioni violente di terre in Puglia dove l'agitazione durò dal settembre al
novembre, barricate a Napoli; qua e là morti e feriti.
Le agitazioni si estesero anche tra gl'impiegati dello Stato e non lasciarono
immune, purtroppo l'esercito. Carabinieri e guardie carcerarie chiesero
miglioramenti, sottufficiali di Marina si agitavano alla Spezia, si agitavano i
magistrati, si agitavano i professori universitari. I ferrovieri poi non
mancarono di scioperare e il Governo non seppe infliggere altra punizione che
quella di considerare dimissionari sedici fra i più compromessi.
DISCUSSIONE ALLA CAMERA
SULL'INSEGNAMENTO RELIGIOSO NELLA SCUOLE PRIMARIE
II Grande Oriente di Roma, preoccupato degli accordi avvenuti con i
cattolici nelle elezioni politiche ed amministrative intesi a combattere il
pericolo socialista, nel novembre del 1906 ordinava ai massoni di essere
intransigenti verso i clericali; in quel torno di tempo si costituiva un 'Comitato
nazionale' per fare una manifestazione anticlericale in occasione del
307° anniversario della morte sul rogo di Giordano Bruno, e la manifestazione,
il 17 febbraio del 1907, avvenne a Roma, in Campo di Fiori; frequenti
dimostrazioni anticlericali avvenivano a Messina, inscenate anche dagli
studenti, che come impetuosità furono superati da quelli di Padova. A dare esca
alle agitazioni anticlericali si diffondevano notizie vere o false di atti
immorali commessi da preti in collegi femminili o in convitti maschili. Specie
lo scandalo suscitato dalle turpitudini del sacerdote don Riva compiute in un
asilo infantile milanese diretto dalla sedicente suora Giuseppina Fumagalli,
commosse l'opinione pubblica e fece diventare più intensa la campagna
anticlericale.
Il 14 gennaio del 1908, l'amministrazione popolare del Comune di Roma,
presieduta dal sindaco ERNESTO NATHAN, ex-Gran Maestro della Massoneria,
approvò il seguente ordine del giorno: 'Il Consiglio Comunale di Roma
fa voti perché Governo e Parlamento, in coerenza alle leggi vigenti, dichiarino
esplicitamente estranee alla scuola primarie qualsiasi forma d'insegnamento
confessionale'. Continuava ad esserci però il regolamento del 1895,
che conservava l'obbligo dell'insegnamento religioso nelle scuole se richiesto
dagli interessati.
IL SINDACALISMO ITALIANO E LO SCIOPERO AGRARIO NEL PARMENSE
I sindacalisti italiani, decisi a rompere con i riformisti, il 27 giugno del 1907 si riunirono a congresso in Ferrara mentre questa provincia era funestata dallo sciopero agrario; un secondo congresso ci fu il 3 novembre dello stesso anno a Parma, dove poco dopo doveva scoppiare un gravissimo sciopero agrario, organizzato e guidato dai sindacalisti.
Gli scioperanti parmensi trovarono avversari ben più forti di loro nei proprietari della provincia, stretti intorno all'Associazione agraria, che si procurò manodopera per il lavoro dei campi assoldando lavoratori liberi fuori provincia, e a questi volontariamente si unirono studenti e giovani di buona famiglia, che più che usare la zappa non esitarono ad usare le armi per difendersi - così sostenevano- dalle violenze dei sindacalisti che giravano le campagne incitando gli analfabeti contadini a scioperare.
Fra disordini e tumulti, lo sciopero durò più di un mese e mezzo. Il 19
giugno 1908, avendo gli scioperanti tentato d'impedire l'arrivo dei liberi lavoratori
(al grido di 'crumiri') chiamati per la mietitura, la truppa
intervenne per difenderli. Allora la Camera del Lavoro proclamò nella città lo 'sciopero
generale a oltranza', cui la Federazione industriale rispose con 'la
serrata'.
Nacquero tumulti e la truppa, fatta segno da fitta sassaiola, occupò il 20
giugno i locali della Camera del Lavoro e arrestò una settantina di
sindacalisti con l'accusa di 'insurrezione armata contro i poteri dello
Stato'.
Continuò ancora per poco lo sciopero generale a Parma, per farlo cessare il
Governo restituì il 24 giugno la Camera del Lavoro, provocando le proteste
degli agrari e le dimissioni della Giunta comunale parmense.
Il fallimento dello sciopero segna la fine della prima stagione del
sindacalismo rivoluzionario, e la Confederazione generale del lavoro (CGL)
conferma i rapporti privilegiati con il PSI riformista.
LA LEGGE A FAVORE DEI DANNEGGIATI DAL TERREMOTO
Erano queste le condizioni dell'Italia, quando il 28 dicembre del 1908 un terribile terremoto, ripetutosi ad intervalli e seguito da un violentissimo maremoto, devastò la punta meridionale della Calabria e quella prospiciente della Sicilia, radendo al suolo numerosi villaggi e le belle città di Messina e di Reggio e causando oltre 150.000 morti.
Enorme fu il dolore di tutta la nazione e grandissimo lo slancio di
solidarietà per portare aiuto nelle regioni colpite. Il re, la regina e alcuni
ministri partirono subito per i luoghi del disastro, dove pure si recarono i
duchi d'Aosta e di Genova; da ogni parte si organizzarono squadre di soccorso
che gareggiarono con le truppe e coni marinari d'Italia e con gli equipaggi
delle squadre russa, inglese, francese, e tedesca prontamente accorse.
Tutto il mondo fornì mirabile prova di solidarietà umana: comitati di soccorso
si costituirono in Inghilterra, in Francia, in Germania, in America e denari e
aiuti di ogni tipo giunsero in Italia.
L'8 gennaio del 1909 la Camera fu convocata straordinariamente per
approvare un disegno di legge, presentato dal Governo, in favore dei
danneggiati dal terremoto, disegno che stabiliva la somma di 30 milioni per la
ricostruzione degli edifici pubblici, raddoppiava la tassa di bollo sui
biglietti ferroviari e di navigazione e aumentava di un ventesimo le tasse
sugli affari e le imposte sui terreni, sui fabbricati e sui redditi di
ricchezza mobile.
Il Senato lo approvò qualche giorno dopo.
Dal momento che bande di 'sciacalli' si erano organizzate
nelle zone colpite per commettere ruberie e saccheggi, fu proclamato nei primi
del gennaio lo stato d'assedio nelle province di Messina e Reggio, che durò
fino al 14 febbraio.
DISCUSSIONE PARLAMENTARE SULLA POLITICA ESTERA
Il 1° dicembre del 1908 cominciò alla Camera la discussione sulla
politica estera, che durò quattro giorni. La politica di TITTONI fu difesa dall'on.
GUIDO FUSINATO che presentò e svolse una mozione di approvazione dell'opera
della Consulta.
Molti parlarono contro la politica estera del Ministero.
Il discorso più elevato e più giusto di tutto il dibattito fu quello pronunziato
il 3 dicembre dall'on. FORTIS. Egli, fra l'altro, toccò con molta sincerità il
tasto degli anormali rapporti italo austriaci.
FORTIS con gli applausi fragorosi che coronarono il suo discorso, che esaltava
il rapporto con gli altri due membri della triplice alleanza, indubbiamente
aveva interpretato il pensiero di tutti; il suo successo fu enorme, ministri e
deputati corsero a baciarlo ed abbracciarlo e fra questi ci fu lo stesso GIOLITTI.
LE CONVENZIONI MARITTIME
IL DISEGNO DI LEGGE SUI PROVVEDIMENTI FINANZIARI
DIMISSIONI DEL MINISTERO GIOLITTI
Essendosi la Navigazione generale italiana rifiutata di continuare a tenere l'esercizio dei servizi marittimi, il ministro delle Poste e Telegrafi, aveva stipulato nuove convenzioni con il Lloyd Italiano. Le nuove convenzioni incontrarono viva opposizione nel Paese e nella Camera e invano furono strenuamente difese dal ministro nella seduta parlamentare del 30 giugno 1909. Fu tale l'opposizione che il senatore PIAGGIO, rappresentante del Lloyd Italiano, con una lettera diretta al presidente del Consiglio, rinunciò alle convenzioni stipulate. L'8 luglio, Giolitti, dopo avere comunicato alla Camera la lettera, chiese la sospensione del dibattito sul disegno di legge e la Camera, accettata la proposta, prese le vacanze estive.
Il 18 novembre, vennero presentati
gli emendamenti apportati al disegno sulle convenzioni marittime, ma
l'opposizione non disarmò. Allora l'on. Giolitti, che desiderava sbarazzarsi di
alcuni membri del suo Gabinetto e forse anche di prendersi un po' di riposo,
pensò di dimettersi, ma per non mostrare che anche questa volta 'fuggiva'
a causa delle difficoltose convenzioni, presentò alcuni (improponibili) disegni
di legge, tra cui uno di riforma tributaria con il titolo di 'provvedimenti
finanziari', che fissava un'imposta progressiva globale sui
fabbricati, sui terreni e sui redditi di ricchezza mobile.
Gli uffici della Camera disapprovarono quasi all'unanimità i provvedimenti finanziari,
e il 2 dicembre Giovanni Giolitti annunciò che il Ministero aveva rassegnato le
dimissioni.
IL QUARTO MINISTERO GIOLITTI
Dietro indicazione dello stesso Giolitti il Re affidò l'incarico di costituire il nuovo ministero all'on. Sonnino, che lo formò il 10 dicembre del 1909.
Il nuovo Gabinetto Sonnino era destinato ad avere vita brevissima: solo
un centinaio di giorni, come il primo. Si dimise il 21 marzo del 1910 a causa
delle opposizioni incontrate dal disegno sulle convenzioni marittime e
specialmente perché Giolitti si rifiutò di continuare ad appoggiarlo.
L'incarico di formare il nuovo ministero fu dato all'on. Luzzatti, che il 31
marzo costituì un governo simile al precedente.
Luzzatti fornì prova di molta attività e di molta abilità. Il disegno di
legge sulle Convenzioni marittime, che era stato lo scoglio contro di cui si
era sfasciata la nave dei due precedenti ministeri, fu approvato il 28 maggio
del 1910. Approvata fu anche la legge sull'istruzione primaria. Inoltre furono
emanati decreti in favore delle Puglie, promosse inchieste sui conflitti agrari
della Romagna, apportato migliorie al sistema ferroviario, aumentate le paghe
ai ferrovieri, stanziati 250 milioni di mutui per i comuni, istituito il
Demanio forestale, caldeggiata la riforma del Senato e proposto un allargamento
del voto politico con un disegno che, presentato alla Camera il 21 dicembre del
1910, riscosse il favore della maggioranza degli Uffici.
Ma l'attività di Luzzatti, smanioso di popolarità, sembrava volesse sottrarsi
alla tutela giolittiana, non poteva non ispirare preoccupazioni all'on.
Giolitti, il quale, creduto giunto il momento di riafferrare le redini del
potere, si servì del disegno sulla riforma elettorale per fare lo sgambetto a
Luzzatti.
La riforma elettorale che prima era stata appoggiata proprio dai giolittiani si
trovò ad un tratto, osteggiata da loro stessi. Il Bertolini, relatore, in nome
della Commissione parlamentare che aveva esaminato il disegno di legge, ne
chiese il rinvio. Il 18 marzo, la Camera, discussa la relazione, a gran
maggioranza accettò il rinvio. I ministri Sacchi e Credaro, avendo il gruppo
radicali, cui essi appartenevano, dato il voto contrario, si dimisero e il 20
marzo, l'on. Luzzatti, rimasto solo, presentò anche lui le dimissioni.
Ottenuto quello che voleva, e avuto l'incarico di formare il nuovo ministero, Giolitti lo costituiva il 31 marzo del 1911, prendendo la presidenza del Consiglio e gli Interni.
Il 6 aprile l'on. Giolitti espose al Parlamento il suo programma, in cui
erano compresi il monopolio delle assicurazioni sulla vita, i cui utili
sarebbero andati a beneficio del fondo per le pensioni operaie, e
l'allargamento del suffragio politico e amministrativo a tutti coloro che
avevano servito sotto le armi o compiuti i trent'anni. Iniziatosi il dibattito,
le dichiarazioni del Governo furono combattute dal centro destra e dal centro
sinistra.
Il giorno 8 aprile, l'ordine del giorno di fiducia al Ministero, fu approvato.
Mentre quest'attività legislativa si esplicava, tutta la nazione celebrava il cinquantenario del Regno d'Italia.
Il 17 marzo 1911, fu commemorato al Parlamento il giorno della proclamazione
del Regno fatta a Torino, il 27 marzo una solenne cerimonia celebrativa
avveniva in Campidoglio alla presenza del sovrano; questi il 4 giugno
inaugurava a Roma il monumento nazionale a Vittorio Emanuele II e, nel
frattempo, a Roma e a Torino si inauguravano due grandi esposizioni e la reale
Accademia dei Lincei promuoveva una pubblicazione con l'intento di rilevare
tutti i progressi fatti dall'Italia nel cinquantennio della sua unità ed indipendenza.
Fra le voci solenni dei discorsi commemorativi che esaltavano, non senza retorica,
l'opera del Risorgimento, si alzava gagliarda intanto la voce dei giovani
liberali e dei nazionalisti, che -sognando prosperità e grandezza- in un altro
modo volevano celebrare il cinquantenario del Regno: 'spingendo'
l'Italia verso le coste libiche.
Ma non erano solo gli italiani a esaltarsi con la campagna nazionalista, che
quasi tutti i giornali 'spingevano', ma anche il Re e Giolitti
giudicarono che il momento propizio era arrivato.
Propizio anche
all'esterno per una serie di motivi: la crisi marocchina che aveva portato
Non poteva essere sfavorevole all'impresa dell'Italia,
Ma oltre a questi motivi, le suddette nazioni nemiche o amiche pensavano
tutte ad una sola cosa: che l'Italia si sarebbe rotta il muso per la seconda volta
in Africa; anche perché l'esercito italiano non riscuoteva tanto credito negli
ambienti militari internazionali; inoltre il valore dei Turchi tutti lo avevano
sperimentato sulla propria pelle.
Quello che accadde prima, durante e dopo la guerra, fu invece un capolavoro di
discrezionalità e d'abilità diplomatica e militare. Ma tutto era già stato deciso
da molto tempo nei più minuti particolari. L'ora X la conosceva solo Giolitti e
il Re, e nell'ultima fase, quella operativa, solo il capo di stato maggiore e
il ministro degli esteri.
Come vedremo in queste e nelle prossime pagine, nell'arco di poco più di un
anno, l'Italia dichiarò: all'improvviso guerra alla Turchia; sconfisse le sue
forze armate; proclamò unilateralmente la sovranità sulla Libia; costrinse
l'impero Ottomano a trattare direttamente con l'Italia senza ingerenza delle
altre potenze; e infine indusse
Ricordiamo qui, che quando parliamo di Libia, ci riferiamo alla Tripolitania e alla Cirenaica. Solo dopo la conquista fu dato il nome a questo riunito territorio, con l'antico nome romano.
Già all'inizio del
Insomma, Liberali, cattolici e nazionalisti erano favorevoli alla
conquista della Libia per considerazioni di politica internazionale, per motivi
di prestigio nazionale, per interessi economici, per ragioni di politica interna.
Anche giornali poco inclini al colonialismo, come il Corriere della Sera
di Albertini, diedero il loro contributo alla campagna a favore dell'impresa
sostenendo la tesi che il territorio libico era una miniera intatta di grandi
ricchezze naturali (e non si parlava allora di petrolio), e che la sua
conquista avrebbe risolto il problema principale dell'economia italiana, cioè
la mancanza di materie prime e di risorse naturali. La stampa cattolica, per
sostenere la penetrazione commerciale e finanziaria del Banco di Roma (tutto
cattolico), alimentava la propaganda imperialista presentando la guerra contro
In Arte, la
reazione al 'giolittismo' diede origine al futurismo, mentre in politica
produsse due movimenti: quello dei liberali giovanili e quello dei nazionalisti.
Le pressioni a favore vennero dai fronti più disparati:
L'ATTENTATO A VITTORIO EMANUELE III
Il 14 marzo 1912, Roma fu commossa dalla notizia di un attentato commesso contro Vittorio Emanuele III da un muratore anarchico, che sparò tre colpi di rivoltella, fortunatamente andati a vuoto, contro la carrozza del Re, mentre questi si recava al Panteon. L'attentato, ch'era opera di un pazzo, si disse essere stato preparato dai Giovani Turchi; e a Tripoli, in segno di gioia per lo scampato pericolo e di riprovazione del turpe atto, arabi ed ebrei nelle moschee e nelle sinagoghe fecero solenni cerimonie di ringraziamento che assunsero l'aspetto di manifestazione politica.
TRATTATIVE DI PACE
Mentre in Libia si combatteva, in Europa si pensava alla pace. Questa era desiderata dall'Italia, ma ancor più desiderata dalla Turchia, incapace di domare la rivolta dello Iemen e dell'Albania e piuttosto preoccupata dal malumore che serpeggiava nelle sue truppe e dal contegno aggressivo del Montenegro, della Serbia, della Bulgaria e della Grecia. Tutte sul piede di guerra per scrollarsi di dosso i Turchi e tutte intenzionate a conquistarsi l'indipendenza (Austria permettendo!).
Anche le Potenze europee desideravano la fine di questo conflitto, impensierite dal fermento balcanico ma anche dal furore anticristiano dei Turchi.
I negoziati diretti tra l'Italia e
Nel giugno del 1912, tornando da Costantinopoli, uno di questi si recò dal
presidente del Consiglio Giolitti e gli disse che il Governo turco era
desideroso di intavolare trattative direttamente con l'Italia.
Giolitti rispose che anche lui desiderava l'accordo e propose che
I colloqui cominciarono il 12 luglio, ma il 17 il gabinetto turco si dimise.
Il nuovo ministero turco era favorevole anch'esso alla pace, tanto che non
accettò un ordine del giorno dei Giovani Turchi i quali volevano che la guerra
fosse continuata fino a quando non fosse accertata la sovranità integrale ed
effettiva sulla Tripolitania e sulla Cirenaica.
Il 12 agosto Pareva vicinissima la
conclusione della pace e invece i Turchi cominciarono a tergiversare, a far
circolar voci secondo le quali la pace non sarebbe stata possibile se l'Italia
non si fosse accostata al punto di vista ottomano.
Alle tergiversazioni ottomane il Governo italiano rispose con un ultimatum con
il quale concedeva alla Turchia tre giorni, dal 12 al 15 ottobre, per decidersi
ad accettare le condizioni di pace fissate ad Oachy. I preparativi italiani per
una vigorosa azione navale e il forzamento dei Dardanelli persuasero
Il Governo italiano ordinò subito la sospensione delle ostilità in Libia e i
fiduciari turchi telegrafarono a Costantinopoli di riapplicare la normale
tariffa doganale alle merci italiane. Il 17 ottobre, conforme ai capitoli del
trattato preliminare, furono emanati i 'firmani' imperiali,
riguardanti le isole,
La sovranità italiana sulla Libia fu riconosciuta, entro il mese di
ottobre, da tutte le Potenze, prima fra tutte
Il
L'ambasciatore italiano, conclusa la pace, ritornò a Costantinopoli; fu
iniziata subito la restituzione dei prigionieri e fu prontamente liberata la
missione italiana che venne arrestata durante il conflitto.
L'Italia non ottenne dal governo turco una cessione formale, ma solo la sua
rinuncia ad amministrarla e ad occuparla militarmente.
LA "SETTIMANA ROSSA"
Da quando Giolitti
iniziò la sua partita a scacchi con le grandi potenze, decidendo di invadere
La mossa
nell'estate del 1911, era stata abile, non solo perché forzata dalla crisi marocchina-francese,
ma anche dettata da ragioni politiche interne: cioè per placare i nazionalisti
e i clerico-moderati, e per andare incontro all'opinione pubblica dagli uni e
dagli altri (e dal governo - ovvero i giornali giolittiani come
I nazionalisti prima del 1908 erano poca cosa in Italia; il 'nazionalismo
italiano' era un movimento con alcuni nostalgici del 'grande
passato', e con molti insofferenti alle lotte sindacali, agli scioperi e
al socialismo. Per questi ultimi motivi erano ben visti dalla classe media e
piacevano particolarmente a molti industriali che guardavano all'ordine, al
produttivismo, al profitto e alle colonie.
Quindi primo bersaglio dei nazionalisti era stato Giolitti, accusato di aver
fatto troppe concessioni ai socialisti; ed erano, i nazionalisti in sintonia
con i conservatori che accusavano lo statista piemontese di essere blando,
sempre accomodante, e che agendo così stava consegnando lo Stato ai loro
nemici.
In effetti Giolitti negli ultimi anni e durante la guerra in Libia, fece il giocoliere,
ed era abile, ma non poteva farlo contemporaneamente con tutti. Quando faceva
concessioni ai socialisti scontentava i cattolici. Se si alleava con i
cattolici, perdeva i radicali. Se faceva il colonialista in Libia tradiva i
socialisti. Se voleva intervenire sulla crescita economica doveva prima fare i
conti con le casse vuote. Se i denari voleva cercarli presso i ricchi, subito veniva
tacciato di fare del socialismo. Corteggiava i socialisti e i sindacati, e
faceva accordi per mantenere legittimità allo Stato e alle sue istituzioni.
Corse ai ripari allargando il suffragio universale il 25 maggio 1912, convinto
di allargare il consenso, ma non avendo lui un partito di massa (di destra
moderata), e un partito liberale bene organizzato in tal senso, a guadagnarci
(con il 70% degli analfabeti degli aventi diritto al voto) furono proprio i
socialisti e soprattutto i cattolici che iniziarono ad essere indipendenti e a
non più dare quell'appoggio che Giolitti andava cercando in mezzo a loro.
Infine ai temi fino allora predicati dai nazionalisti più in una forma letteraria che non politica, e che quindi sembravano non preoccupare nè a indebolire Giolitti, all'improvviso si aggiunsero i nuovi temi, quelli del 1908, e iniziarono a potenziarsi, quando non reagendo il Governo alla politica imperialista e colonialista delle sue due alleate, i nazionalisti aumentarono le loro file facendosi interprete di un sentimento di frustrazione condiviso da molti italiani; che l'Italia era l'unica tra le potenze europee a non acquisire colonie; che era l'unica rimasta indietro nell'industrializzazione; che milioni d'italiani per vivere erano costretti ad emigrare; che l'Italia come potenza era oscurata dalle sue due alleate della Triplice; e infine dopo aver provato a voler cercare spazi vitali come le altre, era stata sconfitta ad Adua nientemeno che dagli abissini; insomma i nazionalisti insistevano sulle colpe e sulla redenzione futura; e dato che gli italiani già non erano più quelli di Crispi e di Adua, i nazionalisti iniziarono ad ascoltarli.
E costituirono la chiave di volta di tutto l'interventismo anche nella successiva guerra mondiale. Essi approdarono alla tesi dell'intervento a fianco dell'Intesa, dopo aver sostenuto in un primo tempo l'allineamento con gli Imperi centrali, palesando - come del resto altri settori dello schieramento politico - una chiara volontà di partecipare alla guerra non tanto per obbiettivi precisi, quanto per uscire dalla crisi nella quale la società italiana si dibattevaEcco perché nell'interventismo confluirono come in un crogiuolo uomini e tendenze politiche di provenienza così diversa, e perché in esso si realizzarono tante conversioni, altrimenti difficilmente spiegabili'.
Nei giorni roventi che precedettero l'intervento dell'Italia in guerra (in quella mondiale del 1915), l'attacco contro Giolitti e la maggioranza neutralista del Paese si fece sempre più serrato, più aggressivo, più protervo e violento, è una sobillazione alla rivolta, alla distruzione delle istituzioni della ancora giovane democrazia italiana. Nell'edizione del 15 maggio 1915 'L'Idea Nazionale' (un quotidiano romano portavoce degli interessi che puntavano al protezionismo industriale e al nazionalismo economico, contrapponendosi al sistema liberistico) spara un violento articolo di fondo, titolando 'Il Parlamento contro l'Italia'.
Prima della Guerra
mondiale, gli scioperi in ogni parte d'Italia, l'annessione austriaca, quella
francese in Marocco, l'accomodante politica estera e le astute manovre di
Giolitti in quella interna con le controversie risolte male o non risolte
affatto, furono i validi motivi per appoggiare i nazionalisti con tutti i mezzi
l' 'avventura' libica concepita da Giolitti. Dopo aver reso
malleabile l'opinione pubblica a favore della guerra in Libia, energicamente appoggiandola
(e si gloriarono di aver forzato Giolitti a fare questa guerra), quando arrivò
il successo e l'ubriacatura della vittoria l'uno e l'altra fornirono forza ai
nazionalisti che si presero così il merito della guerra vittoriosa, e li resero
popolari. L'Italia aveva lavato l'onta di Adua e finalmente l'Italia aveva la
sua colonia.
Non trascuriamo poi l'appoggio dato ai nazionalisti dai finanzieri e dai grandi
industriali, che in Libia avevano già fatto importanti investimenti. E fra
questi, il Banco di Roma, che oltre a finanziare alcuni giornali cattolici, tra
cui il 'Corriere d'Italia, che appoggiò la guerra, la stessa banca
non dimentichiamo era vicina al Vaticano, infatti
il vicepresidente era ROMOLO TITTONI (fratello di Tommaso Tittoni ministro
degli esteri 1903-1909). Tutto ciò significava Che nell'opinione dei cattolici
nello spingere l'Italia all'avventura libica, c'era uno smaccato appoggio al
movimento nazionalista. E se Giolitti fino il giorno dell'inizio della guerra
per la sua politica cercava l'appoggio dei cattolici moderati, e quasi vi era
riuscito, dopo, alla fine della guerra i cattolici moderati, avendo mostrato il
loro patriottismo ed entrando così a far parte dell'unità nazionale (anche se
questo connubio non ricevette mai la benedizione della Chiesa) diventarono i
migliori alleati dei nazionalisti. E pur dissociandosi da loro (chiamandoli
guerrafondai, imperialisti senza scrupoli, tracotanti) le affinità più di
vedute che non ideologiche, alle elezioni successive (del 26 ottobre 1913) fece
nascere un alleanza che procurò ad entrambi vantaggi; i nazionalisti per la
prima volta entrarono in Parlamento conquistando sei seggi, e i cattolici
iniziarono a creare un partito di massa entrando con autorevolezza e con una
certa indipendenza nell'arena politica (ma il successo maggiore fu -come
commentò l'Osservatore Romano -'di aver impedito l'elezione a oltre 100 candidati, che sarebbero
andati ad ingrossare la schiera, già sensibilmente aumentata, dei partiti
sovversivi' E fra questi i socialisti (che poco prima stavano
invece per entrare nel governo a braccetto di un più morbido Giolitti).
La guerra libica aveva smorzato i bollori socialisti; loro si erano opposti alla guerra per principio, ma i tentativi fatti per mettersi contro la guerra, contro Giolitti, contro i nazionalisti, contro i cattolici, non solo li isolò agli occhi dell'opinione pubblica (diventata all'improvviso tutta nazionalista), ma isolò perfino alcuni suoi deputati che così fornirono spazio dentro il partito a quelli dell'ala 'rivoluzionaria' che iniziarono a conquistare l'appoggio anche dei sindacati socialisti moderati.
Dopo la pace di Losanna, i socialisti tornarono a ridestarsi provocando agitazioni e scioperi. Scioperarono i marmisti del Carrarese nell'inverno e nell'estate del 1913; scioperarono nel maggio gli operai automobilisti di Milano e dall'aprile al giugno quelli di Torino; nel maggio e nel giugno scioperarono gli edili a Modena e a più riprese, nella primavera e nell'estate, e in varie città i metallurgici. Uno sciopero generale promosso dai sindacalisti, si ebbe nell'agosto a Milano; scioperi agrari tumultuosi si ebbero nell'Imolese e nel Ferrarese; di fattorini telegrafici a Milano, degli avvocati e procuratori in diverse città, e infine, per tacere altri meno importanti, uno sciopero dei lavoratori del mare.
Tutte queste
agitazioni non causarono grande ripercussione nella vita parlamentare, dominata
quasi completamente da Giolitti, il cui gabinetto non attraversò alcuna crisi.
Subì solo qualche mutamento .
Il 29 settembre fu sciolta
IL PATTO GENTILONI
Queste elezioni
furono precedute dal famoso 'patto Gentiloni'. Curia e Governo
(Giolitti) si accordarono. La prima aveva interesse che
Il patto Gentiloni
produsse i risultati che
Il 27 si riaprì il Parlamento e il giorno dopo fu eletto presidente della
Camera l'on. MARCORA, segno evidente che la maggioranza della nuova assemblea
era sì giolittiana (304) ma poco solida, e con tanti liberali delle varie tendenza.
Inoltre dalla
maggioranza, il 7 marzo 1914, per il rifiuto di votare alcune spese di guerra,
si staccò il gruppo radicale, il che portò alle dimissioni di tutti i ministri
e sottosegretari radicali.
Giolitti non volle nemmeno un voto di fiducia. Tre giorni dopo si dimise e con
lui tutto tutto il ministero.
Il 12 marzo, il re incaricò a costituire il nuovo governo a SONNINO, che però
rifiutò, incapace com'era di formare un ministero con la più che sicura
opposizione di tutti i giolittiani.
Giolitti dovette compiacersi di queste difficoltà; ancora una volta rimase in disparte,
ma fu lui a suggerire al Re il nuovo premier: il conservatore di destra ANTONIO
SALANDRA.
Il sovrano lo
incaricò a formare il nuovo governo, e Salandra con l'aiuto di Giolitti, lo
costituì il 21 marzo, prendendo per sé la presidenza del Consiglio e l'Interno.
Tuttavia erano tempi critici per un gabinetto pur abbastanza saldo come quello
capitanato da Salandra; si trovò dentro nella bufera di due momenti molto
difficili per l'Italia: prima gli scioperi e finiti questi, subito dopo una
guerra da affrontare.
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