Il
piano Marshall
Terminato il
conflitto mondiale, gli USA, che godevano di una notevole capacità produttiva e
di cospicue riserve auree, approntarono un piano economico volto anche ad
aumentare in modo rilevante le quote di esportazione. Il piano, noto col nome
del generale George Marshall, già comandante generale delle truppe americane e
segretario di Stato dell'amministrazione Truman, si basava sulla necessità di
garantire i livelli di produzione interna statunitense e di ripristinare le
capacità commerciali dell'Europa, sostenendo il suo sviluppo produttivo. Dal
punto di vista politico l'Europa veniva in questo modo inserita stabilmente nel
sistema delle alleanza americane. In sostanza con il piano Marshall, approvato
dal congresso il 3 aprile 1948, gli USA stanziarono circa 17 miliardi di
dollari in 4 anni, al fine di permettere la ricostruzione dell'Europa.
L'adesione al piano fu rifiutata dai paesi compresi nell'area di influenza
sovietica. I fondi divisi in aiuti gratuiti e in aiuti a titolo di prestito,
vennero amministrati dall'ECA (Economic Cooperation Administration). In Italia,
accusato dalla sinistra di finalità essenzialmente politiche, e utilizzato in
funzione elettorale dalle forze politiche nell'area di governo (uno degli
slogan della campagna elettorale del 1948 fu 'Il pane che mangi è fatto al
50% di farina americana'), il piano Marshall, a differenza che in
altri paesi europei, non fu di particolare stimolo alla ripresa industriale. I
12 milioni di dollari avuti in dotazione furono infatti per lo più utilizzati
per raggiungere il pareggio del bilancio, mantenendo basso il volume della
spesa pubblica, della produzione. Manco un articolato programma di impiego dei
fondi: l'unica proposta di piano economico, elaborata dal professor Pasquale
Saraceno per il 1949-1952, non ebbe seguito, mentre la bozza di programma
presentata del governo italiano il 30 settembre 1948 all'OECE, ebbe più che
altro il carattere di giustificazione formale delle richieste avanzate.