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Europa, IXX secolo




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Europa, IXX secolo. Un secolo che avrebbe cambiato per sempre il destino del mondo: Innovazione tecnologica, migrazioni di massa, produzioni immense di qualsiasi bene utile o inutile che dir si voglia, ma anche epoca madre di nuove e grandi idee, di rivoluzioni e repressioni, anni che videro la comparsa di valori mai immaginati precedentemente, quei valori che spinsero milioni di uomini a scendere in piazza per combattere per un valore fondamentale e utopico: la giustizia sociale.

Fu il secolo della rivoluzione industriale.

Essa ha un ruolo fondamentale nella storia, poiché non solo cambio il modo di vivere della gente, ma fu in grado di rovesciare la società, creando le basi della vita che sarebbe stata nei secoli avanti: tutto ciò che oggi possediamo, che amiamo e difendiamo, deriva da quei giorni di progresso e lotta.

Questa introduzione è servita a spiegare in breve l'argomento di questo testo, ora è meglio proseguire con ordine, partendo con.


UN PO' DI STORIA


Già nella seconda metà del '700 in Inghilterra si verificò in Inghilterra quel grandioso processo di industrializzazione che avrebbe portato, all'alba dell'800 all'esportazione delle tecnologie dall'isola britannica per sbarcare sulle coste continentali (nonostante i governi inglesi avessero imposto misure molto rigide per impedire l'esportazione di macchinari, tecnologie e tecnici ), diffondendosi principalmente in Belgio, Francia e Germania.

Nonostante l'evidente ritardo nei confronti degli inglesi, sin dall'inizio si svilupparono i medesimi meccanismi sociali:

  • Un evidente incremento demografico, dovuto anche ai progressi nel campo della medicina e dell'igiene, che portarono ad una scomparsa delle epidemie pestilenziali, che tanta morte causarono nei secoli addietro, oltre naturalmente ad un miglioramento nel settore alimentare;

  • Una più consistente richiesta di beni prodotti dall'industria, con conseguente espansione di quest'ultima, dovuta ad un concreto sviluppo del settore agricolo;

  • Infine vi fu una definitiva e totale affermazione della borghesia, derivata dall'immenso processo evolutivo in atto nel continente.


Lo sviluppo sempre più rapido degli stabilimenti industriali portò ad un capitalismo sempre più sfrenato, esso, dal 1830, generò una nuova classe sociale, destinata a sconvolgere la società borghese del tempo, diffondendo idee e muovendo rivoluzioni al solo fine di vedersi riconosciuta quella dignità che spetta ad ogni essere umano: il Proletariato.

Di pari passo si verificò la costante ed inarrestabile scomparsa del lavoro artigiano, dovuta alla spietata concorrenza ed efficienza delle macchine, che sì davano una minor qualità, ma garantivano una quantità esorbitante e con differenze minime dal lavoro artigianale, rendendo così molto più economico il prodotto.

Queste furono le cause che portarono a 3 fenomeni importantissimi:

La creazione di grandi fabbriche alla periferia delle città o nei pressi di miniere carbonifere;

Un urbanesimo caotico, dovuto all'esodo dalle campagne che portava quotidianamente migliaia di contadini disperati a cercare lavoro nelle industrie;

L'origine della questione sociale, che vedeva i capitalisti in contrasto con i proletari, ovvero le due classi protagoniste della storia dell'800 e della prima parte del '900.

Come se non bastasse, la borghesia capitalistica era ormai padrona, oltre che del mondo economico, della sfera politica, difatti la corrente di pensiero predominante in quel periodo, fu il liberismo, così denominato proprio per la sua caratteristica di apertura a qualsiasi forma di sfruttamento finalizzato all'aumento di capitale ed una totale indipendenza delle industrie dalle leggi statali.

È superfluo far notare come questo genere di politica tendesse ad allargare il divario già enorme tra i pochi capitalisti e l'immensa massa operaio-contadina, costretta a sopportare condizioni di vita spesso al di sotto della decenza minima, orari di lavoro massacranti e salari bassissimi.

In questi anni e grazie a questi avvenimenti, nacque la scuola economica classica, sviluppatasi nell'arco compreso di tempo tra la pubblicazione de La ricchezza delle nazioni di Adam Smith e la stessa de I principi di economia politica di John Stuart Mill, che racchiudeva tutte le idee liberiste ed economiche dell'epoca, diffondendo quelle idee di sfruttamento sociale ciniche ed emarginanti proprie del capitalismo. Il pensiero di questa scuola si racchiude nella celebre "Lasciateli fare: ecco il grande principio dell'economia", di Jacques Turgot.  

L'ideologia di base di tale istituzione fu l'ottimistico principio di Adam Smith, secondo il quale "un'invisibile ma reale legge naturale fa coincidere la ricerca del profitto individuale con il benessere generale della collettività, senza bisogno dell'intervento dello Stato, considerato un ostacolo nel libero gioco della concorrenza".

Robert Malthus, fu il primo a riservare dubbi sull'attività dell'accademia del liberismo, in quanto essa avrebbe provocato l'arresto dello sviluppo economico, mentre David Ricardo, fece notare come inevitabilmente si sarebbe arrivati ad un punto di contrasto tra gli interessi dei proprietari e lavoratori terrieri e quelli degli industriali.

Grossi disagi furono arrecati al proletariato dal fatto che spesso i padroni utilizzavano il lavoro di donne e bambini, provocando così una forte disoccupazione nel mondo degli uomini, accrescendone sempre più la miseria.

Una ventata di speranza arrivò con l'ascesa al potere dei liberali, ma presto venne spezzata dall'ignavia di questi ultimi, che si guardarono bene dal dare vita ad una vera democrazia, dove ogni cittadino ha il diritto di eleggere i governanti e dove ogni strato sociale viene rappresentato, anzi non cercarono neppure di migliorare le condizioni del popolo.

Esso non aveva alcuno strumento per combattere o, almeno modificare, tale situazione, poiché a votare era una strettissima minoranza ed il proletariato non aveva nessuno che potesse denunciare l'ingiustizia sociale che andava perpetrandosi nella società. In definitiva la situazione andava a dimostrare che una larghissima parte di cittadini non godeva di alcun diritto politico.

La nascita della questione sociale.

Il proletariato riconosceva la necessità di organizzarsi per migliorare il penoso tenore di vita nel quale era costretto a vivere e modificare la propria situazione economico-sociale, in modo da conquistare i diritti politici necessari ad una esistenza dignitosa. La richiesta era semplice: una legislazione destinata a regolare orari e salari, a stabilire norme riguardanti le pensioni e a fissare il diritto all'assistenza sanitaria e al rispetto di particolari regole igieniche nelle fabbriche.

Nonostante un interessamento da parte dei politici liberali , la politica riformatrice di questi ultimi era ancora troppo lenta e limitata per soddisfare le esigenze delle classi operaie.

Furono proprio questa lentezza e indifferenza le cause principali che portarono il proletariato ad una vera e propria coscienza di classe, ovvero di appartenere ad un preciso gruppo sociale, con bisogni ed interessi comuni, con precise richieste da avanzare e obiettivi da raggiungere e, cosa non da poco, la consapevolezza di essere in molti a lottare.

Numerosi intellettuali si interessarono alla questione sociale, tanto che nacquero da essi le teorie economiche alternative al liberismo, inoltre nacque una progressiva difesa dei propri interessi, con attività di mutuo soccorso, proteste, rivendicazioni e rivolte, atte a modificare lo stato delle cose.

Particolarmente importante per la propria attività clandestina, fu il luddismo (da Ned Lud, operaio che, leggenda disse, avrebbe distrutto un telaio nel 1779 in rivolta al lavoro massacrante). Questa confraternita proletaria si battè per la diminuzione dei massacranti orari di lavoro (14-16 ore al giorno), per il diritto allo sciopero, puntando all'associazione di vere e proprie associazioni operaie. Grande battaglia del luddismo fu quella contro le macchine, che "avrebbero provocato una crescente disoccupazione".  L'unica soluzione al problema si dimostrò il sabotaggio delle macchine, la distruzione delle stesse e la violenza contro le fabbriche.

Nel 1824 Robert Peel, allora Ministro degli Interni inglese, abolì le vecchie disposizioni che vietavano la libertà di associazione, ovvero permettevano la creazione di vere e proprie associazioni dei lavoratori, poi trasformatesi nel primo sindacato, le Trade Unions. Questo a prova del fatto che il mondo politico iniziò ad interessarsi della questione sociale,  questo portò al principio del diretto intervento dello Stato in campo sociale.

Nel 1883, con un apposita legge, le ore di lavoro vennero portate a 8 giornaliere per i ragazzini compresi  tra i 9 e i 12 anni e a 10 per quelli con età inferiore ai 18 anni.

Mentre è del 1884 la legge che portò la pubblica assistenza nella vita quotidiana, dando beneficio ed aiuto alla povera gente che riempiva le strade.

Nonostante questi passi avanti, la lotta del proletariato subì un ennesimo duro colpo dalla riforma elettorale del 1832, la quale escluse ancora una volta una rappresentanza operaia alla Camera dei Comuni. Da questo fatto nacque nel 1836, a Londra, l'Associazione dei Lavoratori ( Working Men's Association) che, nel maggio 1838, stese e pubblicò la Carta del Popolo ( People's Charter), la quale conteneva le segunti rivendicazioni:

  • Elezioni annuali;
  • Suffragio universale maschile;
  • Una nuova e più equa divisione delle circoscrizioni elettorali;
  • L'abolizione del censo quale criterio discriminatorio sul piano politico;
  • Voto segreto;
  • Indennità ai parlamentari, la quale avrebbe consentito di esercitare il mandato anche a chi non disponeva di rendite personali.

Una petizione, ideologicamente vicina alla carta e di medesimi principi, fu sottoscritta da più di un milione e presentata in parlamento, ma non ottenne quel successo sperato da molti. La risposta popolare fu immediata ed a Newport si ebbero violente sommosse.

Fattore determinante dell'insuccesso furono le aspre e numerose divisioni in seno all'assemblea, unite alla determinazione dei cartisti (questo il nome del gruppo promotore) di non collaborare in alcun modo con la borghesia. Il movimento si trovò presto isolato in modo irrevocabile.

Ulteriore declino del movimento si ebbe quando, nel 1842, una seconda petizione, questa volta firmata da tre milioni di persone, venne nuovamente respinta dal parlamento. Dalla seconda metà degli anni 40, il declino divenne inesorabile.


SOCIALISMO E COMUNISMO


Senza alcuna ombra di dubbio, il movimento di massa destinato a lasciare un'impronta pressoché indelebile del proprio passaggio, fu senz'altro il socialismo o comunismo ( prima della rivoluzione bolscevica del 1917 i due termini erano di egual significato ).

Non si trattava certo di un movimento uniforme, poiché nonostante l'uguaglianza di ideali, la via da percorrere per arrivare alla realizzazione di essi, si suddivise in due strategie ben distinte: la via cosiddetta riformista e quella rivoluzionaria.

Le differenze, che già dai nomi si possono immaginare, erano enormi. Difatti, dalla parte dei riformisti, vi erano tutti coloro i quali avevano la convinzione che si potesse arrivare ad un cambiamento della società in modo pacifico, mediante l'istituzione di organizzazioni operaie e riforme ben mirate al benessere della collettività, mentre dall'altra vi era la certezza che queste fossero fandonie utopiche e che l'unica via per ottenere un cambiamento della società, fosse l'inevitabile uso della violenza, atto a rovesciare la società, ottenendo così un ordine nuovo, in grado di eliminare ogni forma di disuguaglianza.

Se dalla parte riformista gli intellettuali di spicco erano vari, ricordiamo Claude Henri de Saint-Simon, Robert Owen, Charles Fourier, Louis Blanc e Pierre Joseph Proudhon, è fuori da ogni dubbio che dall'altro lato gli autori ed intellettuali di spicco incontrastato, furono Karl Marx e Friedrich Engels.

I due pensatori elaborarono una concezione del tutto nuova nei riguardi dello sviluppo sociale e della storia dell'umanità, impostata sulla tesi che nell'ambito della società era sempre stato determinante il fattore economico, ovvero il cosiddetto Materialismo Storico. Da sempre i rapporti di produzione costituivano il vero fondamento della società e determinavano anche il suo assetto politico. Lo scontro di classe tra i gruppi dominanti ed i gruppi subordinati nei vari sistemi produttivi che si erano succeduti nel tempo era dunque un dato obiettivo, una costante nella storia dell'uomo che anzi diveniva in realtà storia delle lotte tra classi antagoniste. Tale contrasto nella società borghese contemporanea, si manifestava tra i capitalisti borghesi ed i proletari. Per questi ultimi non potevano esserci obiettivi alternativi all'abbattimento del dominio della borghesia attraverso la rivoluzione. Pertanto il socialismo diveniva la conseguenza delle lotte del proletariato.

È del 1848 l'opera più importante dei due intellettuali, ovvero Il Manifesto del Partito Counista, nel quale dopo un attento esame dello sviluppo storico dell'umanità e delle forze economiche e sociali che operavano nel mondo, riconoscevano il positivo contributo dato dalla borghesia per il superamento del vecchio sistema feudale, ma ne predicavano anche la fine: infatti mediante l'impiego di capitale privato, la borghesia aveva dato vita ad un sistema di produzione nel quale il proletariato si vedeva spogliato dei frutti del proprio lavoro e prendeva coscienza, organizzandosi, come classe. Di qui l'inevitabile conflitto tra capitalisti ed operai, la lotta di classe, il cui destino era di sboccare in una sicura ed irrevocabile decadenza del sistema in vigore e quindi anche dello Stato, reo di sostenere tale sistema e con esso il potere della classe borghese, opprimendo tutte le altre. Di qui anche la necessità dei proletari di assumere la guida di una rivoluzione più decisa e radicale di quelle fino ad allora attuate, mirando la conquista del potere politico ed alla convivenza basata esclusivamente sulle esigenze proletarie, ovvero la creazione di una vera e propria dittatura del proletariato.

Sicuramente il risultato più maturo dei due filosofi fu Il Capitale di Marx: un'opera che sarebbe riduttivo chiamarla imponente, pubblicata in parte nel 1867 ed in parte postuma per iniziativa personale di Engels.

Predominante nell'opera era la Teoria del Plusvalore, la quale diceva che "Una quota del valore prodotto dal lavoro proletario eccedeva la remunerazione con la quale il lavoro stesso veniva pagato. La borghesia poteva appropriarsene, in quanto possedeva i mezzi di produzione. Quella quota costituiva il cuore del sistema capitalista e delle sue ingiustizie e contraddizioni." . Da qui  l'inevitabilità della lotta di classe tra borghesia e proletariato, fra capitalisti ed operai, fra ricchi e diseredati.

Così avrebbe avuto origine una società nella quale ognuno lavora per quanto può e riceve in compenso tutto ciò di cui ha bisogno, vivendo in un mondo di uomini eguali, dotati tutti del diritto e del desiderio di vivere. Di qui la necessità di considerare unitario tutto ciò che produce ricchezza: dai campi alle fabbriche.

Questo darà vita ad una collettività che possiede tutto, che si unirà sul piano internazionale attraverso la lotta rivoluzionaria e la dittatura del proletariato.


LE TECNOLOGIE E LA SCIENZA

Fondamentali per lo sviluppo industriale, sicuramente, furono le numerose scoperte scientifiche che segnarono il XIX secolo. I rapporti tra scienza e tecnologia diventarono così stretti da rendere inscindibile per sempre questa alleanza. Basti ricordare la scoperta del cloro, effettuata nel 1774 per opera dello chimico svedese Carl Willhelm Scheele, resa indispensabile all'industria tessile per le sue proprietà fortemente candeggianti rese note nel 1785 dal francese Claude Louis Berthollet.

Nell'anno 1801 vide la luce un processo chimico per l'estrazione dello zucchero dalle barbabietole, per opera dell'industriale e chimico Franz Achard, mentre tra il 1830 ed il 1840, iniziò ad essere usato il gas illuminante per permettere l'illuminazione delle grandi città.

È dello stesso periodo la rivoluzionaria teoria di Justus von Liebig sulla nutrizione delle piante, che portò alla realizzazione ed all'uso dei primi fertilizzanti chimici.

Si deve al genio di Robert Fulton  l'applicazione della macchina a vapore alle navi nel 1803, mentre nel 1814 George Stephenson realizzò la prima locomotiva a vapore realmente efficiente e, dopo 10 anni dalla sua morte, vide luce il suo progetto di linea ferroviaria.

La diffusione delle ferrovie fu, per l'appunto, uno dei maggiori elementi che favorirono lo sviluppo ed il decollo dell'industria, difatti le "strade ferrate" diedero un impulso eccezionale alla trasformazione economica del XIX secolo, inoltre la trazione meccanica rese sempre più veloce e meno costoso il trasporto delle merci dai luoghi dove esse venivano prodotte a quelli dove venivano vendute, anche se le distanze si dimostravano più che considerevoli.

L'intensificarsi delle reti ferroviarie portarono ad una copertura quasi totale del territorio inglese già nel decennio 1840-1850.


Dopo questa introduzione, lunga ma necessaria per capire l'importanza degli eventi analizzati, andremo ad approfondire le rivoluzioni industriali singolarmente.


La prima rivoluzione industriale


Per prima rivoluzione industriale s'intende quel fenomeno che portò, nella seconda metà del '700, in Inghilterra all'affermazione di un modello produttivo incentrato sulla fabbrica.

Sono diversi i fattori che ne determinarono lo sviluppo in questo periodo e soprattutto in Inghilterra, infatti, solo più tardi questo fenomeno si espanse un po' in tutta l'Europa.

Molto importanti erano le innovazioni tecniche che si andavano introducendo, o erano già state introdotte negli anni precedenti, nel campo tessile e con le quali si cercava di contrastare le importazioni delle pregiatissime stoffe indiane. (navetta volante, Kay 1733; filatoio meccanico, Hargreaves 1764; filatoio idraulico, Arkwright 1769; mule, Crompton 1779; telaio meccanico a vapore, Cartwright 1785)

L'introduzione di questi macchinari iniziò a spostare i centri di produzione: non era più possibile tessere a casa sotto ordinazione, questi macchinari avevano bisogno d'alimentazione e grandi spazi, così nascono i primi "prototipi" di fabbriche.

Nuovi passi furono fatti anche nel campo siderurgico dove, grazie all'introduzione del carbone coke da parte di Darby e Cort, si riuscirono ad ottenere fusioni migliori con meno impurità e quindi una maggior qualità del prodotto; iniziò anche la diffusione di leghe metalliche più adatte e resistenti per lavori più specifici; nello stesso periodo Watt mise a punto la macchina a vapore che risolse molti problemi riguardante l'alimentazione dei macchinari.

La vicinanza al mare, la presenza di molti fiumi navigabili e una migliore condizione della rete stradale, rispetto a tutti gli altri paesi europei, furono fattori fondamentali per lo sviluppo di un sistema industriale verso il quale l'Inghilterra si stava avviando, i tempi per ottenere materie prime, per trasportare i prodotti erano ridotti e anche i costi non erano proibitivi.

Contemporaneamente alla rivoluzione industriale bisogna tenere in considerazione anche la rivoluzione agraria, infatti, dopo l'introduzione delle coltivazioni a rotazione, l'applicazione del metodo e delle innovazioni industriali la condizione della popolazione contadina, che a quel tempo rappresentava circa il 75% della popolazione, era notevolmente migliorata.

Nella seconda metà del '700 si verificò in tutta Europa un aumento demografico, il che fece sì che non mancasse mai la manodopera e soprattutto non a costi elevatissimi; contemporaneamente all'aumento della manodopera c'era di conseguenza un aumento della richiesta dei prodotti, così il mercato non ristagnava.

All'inizio però erano solo i piccoli mercanti o artigiani a rischiare, poiché i grandi proprietari terrieri o grandi mercanti non vedevano la necessità di fare rischiosi investimenti; quando si vide invece che questi investimenti non erano così rischiosi: il processo d'industrializzazione iniziò a decollare. Il comportamento delle banche poi fu un altro fattore importante per lo sviluppo in senso industriale dell'Inghilterra, infatti, non furono mai applicati interessi alti che bloccavano sul nascere qualsiasi tipo di nuova attività, anzi spesso con prestiti e finanziamenti agevolati erano proprio le banche le migliori rampe di lancio per piccole fabbriche.

Difficoltoso fu l'inserimento degli operai in un nuovo mondo lavorativo, totalmente diverso da quello a cui si era abituati: sono i poveri, i disadattati, gli orfani, le prostitute . i primi a doversi adattare per necessità. (nascono le workhouses) La suddivisione del lavoro introdotta in seguito da A. Smith rese il lavoro ancor più alienante.

In definitiva le cause che facilitarono lo sviluppo di un nuovo sistema produttivo in Inghilterra furono: lo sviluppo tecnologico e l'applicazione di esso in campo produttivo, l'aumento demografico, le favorevoli caratteristiche socio-politiche (diffusa istruzione e istituzioni politiche favorevoli), abbondanti risorse (anche grazie alle colonie), facilità dei trasporti, prerequisiti economici presenti, crescita della domanda dei prodotti, disponibilità dei capitali iniziali e disponibilità di forza lavoro.


La seconda rivoluzione industriale

Nasce negli ultimi trent'anni del XIX secolo in Germania perché essa comprò i macchinari dall'Inghilterra  per poi eventualmente apportare loro migliorie, diminuendo così le spese e il tempo per la progettazione.

La seconda rivoluzione industriale è caratterizzata dalla crisi della libera concorrenza.

Nacquero infatti le grandi associazioni(holdings) degli industriali, con i cartelli, che erano accordi sulla produzione e i prezzi fra aziende dello stesso settore, i trusts, cioè concentrazioni di imprese, che potevano essere orizzontali se riguardavano aziende operanti nello stesso settore, verticali se interessavano imprese coinvolte nelle diverse fasi della lavorazione di un prodotto.

Per quanto riguarda le scoperte scientifiche, una delle più importanti fu l'acciaio, la cui produzione fu consentita dall'innovazione dei forni, ora più efficienti, con meno spese.

Si sviluppò pio l'industria chimica(coloranti,gomma,cemento etc.), farmaceutica( nacquero nuove ditte come ad es. la Bayer, comparve l'aspirina, il ddt etc.), edilizia( cemento armato, costruzioni in metallo e altri nuovi materiali), elettrica( illuminazione tramite lampadine, motori elettrici), meccanica( motore a scoppio e poi automobile).


La società di massa

Per società di massa si intende un aggregato omogeneo in cui i singoli tendono a scomparire rispetto al gruppo.

I rapporti tra le persone diventano anonimi e impersonali, le relazioni sociali non passano più attraverso piccole comunità ma grandi istituzioni nazionali, cioè gli apparati statali, i partiti e tutte le altre organizzazioni di massa, che esercitano un peso crescente sia sulle decisioni pubbliche che su quelle individuali.


I nuovi metodi di produzione

Per far fronte a una domanda sempre più importante, le industrie svilupparono principalmente due metodi di produzione che presero il nome di coloro che per primi li applicarono: Taylorismo e Fordismo. Lo scopo era aumentare la quantità dei prodotti e diminuire i tempi di produzione.

Il primo consiste nello studiare i movimenti, rispetto al tempo, degli operai durante la produzione di una determinata parte del prodotto, per ridurre al minimo i movimenti inutili e per selezionare gli operai più veloci, aumentando così la produzione utilizzando meno tempo possibile.

Il secondo consiste nella catena di montaggio, in cui ogni operaio ha soltanto un'operazione da fare, cioè un solo compito da svolgere. Questo per tutta la giornata lavorativa.


La società

Siccome il lavoro richiedeva sempre una maggiore specializzazione, e quindi un'adeguata istruzione, nacquero così le scuole pubbliche.

Grazie alle scuole pubbliche e all'obbligo della loro frequentazione, venne ridotto il tasso di analfabetismo, favorendo così anche una più larga divulgazione dei quotidiani, che portarono al crearsi di un'opinione pubblica sia nel campo politico che in quello sociale.

Venne inoltre esteso, negli ultimi anni dell' '800 e nei primi del '900, il diritto di voto, che diventò così un suffragio universale. Si formarono i primi partiti di massa, i più di ispirazione socialista, in minoranza cattolica( la cui presenza però indica come la chiesa cominciò a interessarsi anche della vita pubblica). In conseguenza alle teorie marxiste e con la pubblicazione del Manifesto del partito comunista, nacquero i primi partiti comunisti.

E' da rilevare negli ultimi anni dell' '800, grazie anche ai partiti socialisti, la crescita del numero dei sindacati, che prima erano presenti solo in Gran Bretagna, grazie ai quali i lavoratori riuscirono a far valere i propri diritti contro le resistenze degli imprenditori, delle classi conservatrici e contro i pregiudizi della dottrina liberista, che vedeva nei sindacati un ostacolo alla libera contrattazione.


La posizione dei cattolici

Il mondo cattolico non rimase indifferente alla nuova realtà che andava formandosi, e cercò di adeguarsi cercando di opporsi alla corrente laica dei socialisti, organizzando associazioni caritative e movimenti di azione cattolica, incoraggiando, specialmente sotto la guida del Papa Leone XIII, la nascita di partiti cattolici, affermando l'ideale della concordia fra le classi, il rispetto dei doveri delle parti sociali, cioè la laboriosità, il rispetto delle gerarchie per gli operai, la retribuzione in giusta entità, il rispetto della dignità umana per gli imprenditori.

Tutte queste idee sono scritte nell'enciclica 'Rerum Novarum' del maggio 1891 di Leone XIII.

Parallelamente, negli ultimi anni dell' '800, in particolare in Francia e in Italia, nacque la democrazia cristiana, che aveva lo scopo di conciliare la dottrina cattolica con l'impegno sociale e con gli istituti della democrazia.


Nascita dei partiti socialisti e comunisti

Alla fine dell' '800 in tutti i più importanti paesi europei sorsero partiti socialisti che cercarono di organizzarsi a livello nazionale, che parteciparono alle elezioni inviando i loro rappresentanti nei parlamenti.

Il primo di questi fu il partito social democratico tedesco che fu un esempio e un modello per gli altri partiti nazionali per la sua efficienza organizzativa, la sua compattezza ideologica fornita dal marxismo.

I Francia si formò un partito di ispirazione marxista, ma che subito si divise in tronconi in lotta fra loro, fino alla riunificazione nel 1905.


La questione femminile

Le donne hanno da sempre lavorato, anche se a pari impiego percepivano un minore salario rispetto a un uomo. Alla fine dell' '800 le donne erano escluse dall'elettorato attivo e passivo e in molti paesi anche dalla possibilità di accedere agli studi universitari e alle professioni.

Per molto tempo l'idea di far valere i diritti delle donne era ristretto solo a minoranze operaie e intellettuali, solo nel 1902 sotto la guida di Emmeline Pankhurst riuscirono a imporsi all'attenzione dell'opinione pubblica e della classe dirigente, concentrando la loro attività sulla richiesta del suffragio( da qui suffragette ) nel 1918 la Gran Bretagna concesse il diritto di voto alle donne.

Nel complesso però ci fu molta indifferenza alle rivendicazioni delle donne da parte di molti dirigenti socialisti, con la tendenza a privilegiare gli aspetti economico-retributivi del lavoro femminile o a vederne la soluzione nel ritorno delle donne al loro compito di casalinghe.

Comunque oltre al suffragio( in Gran Bretagna, Norvegia e Finlandia), esse guadagnarono il diritto all'istruzione superiore e all'accesso alle professioni.


La Terza Rivoluzione Industriale


Intorno ai primi anni settanta un mutamento profondo cominciò a investire alcuni settori della grande industria. L'organizzazione del lavoro che per quasi mezzo secolo si era retta sui sistemi tayloristico-fordistici comincia a entrare in crisi. Quel sistema, ricordiamo, era stato pensato per produrre il più gran numero possibile, e nel tempo più breve, di merci standardizzate, adatte a un pubblico indifferenziato di massa. Ma col tempo, dopo decenni di consumismo, nelle società cosiddette affluenti la domanda dei consumatori era mutata. Sempre di più essi si mostravano volubili nel gusto, desiderosi di cambiare continuamente, e soprattutto attenti alla qualità e all'originalità del singolo bene, capace di distinguersi in mezzo alla straripante offerta di prodotti di massa. A questa e ad altre esigenze diede una risposta efficace e originale una fabbrica giapponese di automobili, la Toyota, grazie a una profonda trasformazione tecnologica e dell'organizzazione del lavoro in fabbrica. Dentro i vecchi stabilimenti fordisti l'organizzazione del personale soggiaceva a una rigida struttura gerarchica: in alto stavano i dirigenti, poi c'era lo strato intermedio dei tecnici e degli impiegati, infine la massa degli operai addetti al lavoro sulla linea - o catena - di montaggio: vale a dire incaricati di assemblare i vari pezzi che scorrevano sui nastri trasportatori nei vari reparti. Però già alla fine degli anni venti i sociologi dell'industria americana avevano provato sperimentalmente (esperimento di Mayo) che la disaffezione verso il lavoro di operai condannati a passare tutta la propria giornata nell'esecuzione affannosa, in tempi accelerati, di poche e ripetitive mansioni manuali, riduceva inevitabilmente la produttività. Negli stabilimenti Toyota questo schema venne spezzato. Alla struttura verticale venne sostituita un'organizzazione orizzontale, per gruppi, composti dalle figure che una volta erano disposte gerarchicamente. Manager, ingegneri, tecnici e semplici operai lavoravano tutti insieme, organizzati per squadre. Se si voleva produrre un bene che fosse curato in ogni sua parte e in qualche modo personalizzato, occorreva un lavoro di cooperazione di tutti in tutte le fasi della lavorazione. Gli operai, così come tutti gli altri operatori, non si occupavano più, come un tempo, di un singolo segmento di lavoro, ma si muovevano in gruppo, quasi gruppo, quasi come una singola impresa, ed erano al corrente di tutte le fasi di lavorazione dell'automobile. D'altronde oggi, all'interno della fabbrica, grazie all'elettronica, ogni membro può essere informato su quello che accade negli altri reparti e nell'intera azienda. Finisce così un'epoca dell'organizzazione del lavoro, durata mezzo secolo. Una tale trasformazione viene resa possibile dalle straordinarie innovazioni tecniche fondate sul computer. Ai robot azionati elettronicamente si fa un sempre più largo ricorso nelle lavorazioni particolarmente pesanti.  Ma quella del toyotismo costituisce solo una prima avvisaglia delle radicali innovazioni che con l'ingresso del computer si sono avviate in tutti i campi della vita produttiva, dei servizi, della vita quotidiana, della cultura e della scienza. I mutamenti e le trasformazioni, prodotte direttamente o indirettamente dall'elettronica appena agli inizi, hanno riguardato prevalentemente il campo del lavoro, della ricerca e dell'informazione. Nel mondo industriale i computer hanno rivelato la loro straordinaria potenzialità nella capacità di sostituire lavoro umano, per la quale secondo alcuni si è verificato un passaggio storico dalla « manifattura» alla « macchino-fattura», una seconda o -meglio - terza rivoluzione industriale. Se infatti tanto nella prima rivoluzione industriale che nella seconda (di metà Ottocento) si realizzò la sostituzione su larga scala della forza fìsica dell'uomo con l'energia delle macchine, ora è avvenuto qualcosa di non meno rivoluzionario: le macchine sostituiscono non solo le mani ma anche il cervello dei lavoratori. La cosiddetta « intelligenza artificiale» entra sulla scena del lavoro industriale e fa sì che le macchine producano da sole le merci.

La capacità dell'elettronica di sostituire lavoro è alla base di un processo grandioso di rivolgimento sociale, oggi appena agli inizi: in ogni fabbrica, ma ormai anche in ogni ufficio, imprenditori e manager guardano sempre più all'impiego dei computer come allo strumento privilegiato per risparmiare sui costi e rendere più competitiva l'azienda licenziando lavoratori. Il cosiddetto re-engineering - cioè la riorganizzazione del lavoro resa possibile dai computer -espelle dalle imprese non solo semplici operai, ma anche tecnici, impiegati, perfino manager e dirigenti. Solo alcuni di essi riescono a trovare un nuovo impiego sulla base delle proprie competenze e qualifiche, mentre il resto è quasi sempre costretto ad accettare lavori dequalificati e precari, o a uscire per sempre dal mercato del lavoro. In realtà non si verifica, o avviene solo in parte, ciò che secondo alcune teorie economiche dovrebbe essere l'« effetto a cascata », per cui le innovazioni tecnologiche dovrebbero favorire l'espansione economica così da riassorbire progressivamente, in nuovi settori, gli operai espulsi dalla produzione.

Nei fatti, i nuovi lavori sorti intorno alla rivoluzione informatica sono appannaggio di una ristretta élite di scienziati, progettisti, disegnatori, programmatori: in nessun caso essi sembrano in grado di assorbire la grande massa di lavoratori che quotidianamente viene messa sulla strada. Probabilmente, quelle teorie economiche ottimistiche sono state costruite per una società che era in grado di moltiplicare i propri settori produttivi grazie alle dimensioni ancora limitate dal proprio sviluppo. Nel corso del Novecento l'agricoltura ha perso lavoratori, che hanno potuto trovare impiego nell'industria; l'industria, soprattutto dalla metà del secolo, ha ridotto progressivamente i propri occupati, e questi hanno trovato nuove occasioni nei servizi pubblici e privati. Ma oggi lo scenario è radicalmente nuovo rispetto al passato. Le macchine spazzano via il lavoro umano simultaneamente sia in agricoltura che nelle fabbriche, tanto nei servizi privati (banche, assicurazioni ecc.) quanto nella pubblica amministrazione. Nel frattempo, quella che una volta era la classe media, non solo degli Usa ma di tutte le società industrializzate, vede perdere progressivamente il proprio peso e la stratificazione sociale tende a ridursi. La massa degli occupati generici e precari continua a crescere, mentre si va lentamente restringendo quella dei lavori specializzati e meglio pagati. La distanza fra le classi tende ormai ad allargarsi e a formare nel corpo sociale, quasi come alle origini delle società capitalistiche, ceti di ricchi sempre più ricchi e di poveri sempre più poveri. La logica e l'ideologia della competizione internazionale a tutti i costi, che anima ogni impresa e che è penetrata profondamente nella politica e nel comportamento degli Stati, fa oggi in modo che i lavoratori, vale a dire gli uomini, in una forma del tutto nuova rispetto ai tempi di Marx, stiano ormai diventando gli strumenti flessibili delle macchine. Potenziali strumenti per alleviare o liberare il lavoro umano dalla fatica, le nuove tecnologie - divenute le armi di una «guerra economica» mondiale che guarda al profitto come al suo fine supremo - si sono in realtà trasformate nel contrario: esse contendono agli uomini il posto di lavoro e li hanno posti, in tutti i paesi industrializzati, di fronte a un avvenire di perenne e frustrante insicurezza. Ma il concetto di flessibilità è da applicarsi anche alla dislocazione geografica delle imprese. Oggi i vecchi polmoni dello sviluppo industriale basato sull'acciaio e sul carbone, la Liverpool dell'industrializzazione ottocentesca e la Detroit già capitale dell'industria automobilistica mondiale, sono sulla via della smobilitazione, con le loro fabbriche chiuse, e i loro quartieri operai trasformati in sacche di emarginazione. Questo processo di deindustrializzazione appare inarrestabile. Scompaiono le industrie vecchie e spuntano nuovi aggregati produttivi in altre aree, magari assolutamente vergini, valorizzando nuovi settori merceologici. Oggi, ad esempio, i diversi materiali plastici hanno ampiamente sostituito i metalli; e, sull'onda della rivoluzione informatica, i grandi insediamenti industriali della Silicon Valley, in California, hanno preso il posto anche simbolicamente, oltre che materialmente, degli antichi bacini industriali.




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