Europa - I suoi fondamenti spirituali ieri, oggi
e domani
Il
Cardinale Ratzinger, Biblioteca del Senato, Sala Capitolare del
Chiostro
della Minerva, 13 maggio 2004
L'Europa
- Cos'è essa propriamente? Questa domanda è stata sempre nuovamente posta, in
maniera espressa, dal cardinal Józef Glemp in uno dei circoli linguistici del
Sinodo Episcopale sull'Europa: dove comincia, dove finisce l'Europa? Perché ad
esempio la Siberia non appartiene all'Europa, sebbene essa sia abitata anche da
europei, la cui modalità di pensare e di vivere è inoltre del tutto europea? E
dove si perdono i confini dell'Europa nel sud della comunità di popoli della
Russia? Dove corre il suo confine nell'Atlantico? Quali isole sono
Europa, e quali invece non lo sono, e perché non lo sono? In questi incontri
divenne perfettamente chiaro che Europa solo in maniera del tutto secondaria è
un concetto geografico: l'Europa non è un continente nettamente afferrabile in
termini geografici, ma è invece un concetto culturale e storico. 1. Il sorgere dell'Europa Questo risulta in modo
assai evidente se tentiamo di risalire alle origini dell'Europa. Chi parla
dell'origine dell'Europa, rinvia solitamente ad Erodoto (ca. 484-425 a. C.), il
quale certamente è il primo a conoscere l'Europa come concetto geografico, e la
definisce così: 'i Persiani considerano come cosa di loro proprietà l'Asia
e i popoli barbari che vi abitano, mentre ritengono che l'Europa e il mondo
greco siano un paese a parte'. I confini dell'Europa stessa non vengono
addotti, ma è chiaro che terre che oggi sono il nucleo dell'Europa odierna
giacevano completamente al di fuori del campo visivo
dell'antico storico. Di fatto con la formazione degli stati ellenistici e
dell'Impero Romano si era formato un continente che divenne la base della
successiva Europa, ma che esibiva tutt'altri confini: erano le terre
tutt'attorno al Mediterraneo, le quali in virtù dei loro legami culturali, in
virtù dei traffici e dei commerci, in virtù del comune sistema politico
formavano le une insieme alle altre un vero e proprio continente. Solo
l'avanzata trionfale dell'Islam nel VII e all'inizio dell'VIII secolo ha
tracciato
un confine attraverso il Mediterraneo, lo ha per così dire tagliato a metà,
cosicché tutto ciò che fino ad allora era stato un continente si suddivideva
adesso oramai in tre continenti: Asia, Africa, Europa.
In oriente la trasformazione del mondo
antico si compì più lentamente che in occidente: l'Impero Romano con
Costantinopoli come punto centrale resistette laggiù - anche se sempre più spinto
ai margini - fino al XV secolo. Mentre la parte meridionale del Mediterraneo
attorno all'anno 700 è completamente caduta fuori di quello che fino ad allora
era un continente culturale, si verifica nel medesimo tempo una sempre più
forte estensione verso il nord. Il limes, che sino ad allora era stato un
confine continentale, scompare e si apre verso un nuovo spazio storico, che ora
abbraccia la Gallia, la Germania, la Britannia come terre-nucleo vere e
proprie, e si protende in maniera crescente verso la Scandinavia. In questo
processo di spostamento dei confini la continuità ideale con il precedente
continente mediterraneo, misurato geograficamente in termini differenti, venne
garantita da una costruzione di teologia della storia: in collegamento
con il libro di Daniele, si considerava l'Impero Romano rinnovato e trasformato
dalla fede cristiana come l'ultimo e permanente regno della storia del mondo in
generale, e si definiva perciò la compagine di popoli e di stati che era in via
di formazione come il permanente Sacrum Imperium Romanum.
Questo processo di una nuova
identificazione storica e culturale è stato compiuto in maniera del tutto
consapevole sotto il regno di Carlo Magno, e qui emerge ora nuovamente anche
l'antico nome di Europa, in un significato mutato: questo vocabolo venne ora
impiegato addirittura come definizione del regno di Carlo Magno, ed esprimeva
al tempo stesso la coscienza della continuità e della novità con cui la nuova
compagine di stati si presentava come la forza propriamente carica di futuro.
Carica di futuro proprio perché si concepiva in continuità con la storia del
mondo fino ad allora e ultimamente ancorata in ciò che permane sempre.
Nell'autocomprensione che andava così formandosi è espressa parimenti la
consapevolezza della definitività, così come al tempo stesso la consapevolezza
di una missione. È vero che il concetto di Europa è pressoché nuovamente
scomparso dopo la fine del regno carolingio ed è rimasto solamente conservato
nel linguaggio dei dotti; nel linguaggio popolare esso trapassa solamente
all'inizio dell'epoca moderna - certo in connessione con il pericolo dei
Turchi, come modalità di autoidentificazione -, per imporsi in generale nel
XVIII secolo. Indipendentemente da questa storia del termine, il costituirsi
del regno dei Franchi come l'Impero Romano mai tramontato e ora rinato
significa di fatto il passo decisivo verso ciò che noi oggi intendiamo quando
parliamo di Europa. Certo non possiamo dimenticare che c'è anche una seconda
radice dell'Europa, di un'Europa non occidentale: l'Impero Romano aveva in
effetti, come già detto, resistito a Bisanzio contro le tempeste della
migrazione dei popoli e dell'invasione islamica. Bisanzio intendeva se stessa
come la vera Roma; qui di fatto l'Impero non era mai tramontato, ragion per cui
si continuava ad avanzare una rivendicazione nei confronti dell'altra metà,
quella occidentale, dell'Impero. Anche questo Impero Romano d'Oriente si è
esteso ulteriormente verso il nord, fin dentro il mondo slavo, e si
è creato un proprio mondo, greco-romano, che si differenzia rispetto all'Europa
latina dell'occidente in virtù di una diversa liturgia, una diversa
costituzione ecclesiastica, una diversa scrittura, e in virtù della rinuncia al
latino come comune lingua insegnata.Certamente ci sono anche sufficienti
elementi unificanti, che possono fare dei due mondi un unico, comune
continente: in primo luogo la comune eredità della Bibbia e della Chiesa
antica, la quale del resto in entrambi i mondi rinvia aldilà di se
stessa verso un'origine che ora giace al di fuori dell'Europa, e cioè in
Palestina; inoltre la stessa comune idea di Impero, la comune comprensione di
fondo della Chiesa e quindi anche la comunanza delle fondamentali idee del
diritto e degli strumenti giuridici; infine io menzionerei anche il
monachesimo, che nei grandi sommovimenti della storia è rimasto l'essenziale
portatore non solamente della continuità culturale, bensì soprattutto dei
fondamentali valori religiosi e morali, degli orientamenti ultimi dell'uomo, e
in quanto forza pre-politica e sovra- politica divenne portatore delle sempre
nuovamente necessarie rinascite.Tra le due Europe, pur in mezzo alla comunanza
dell'essenziale eredità ecclesiale, c'è tuttavia ancora una profonda
differenza, alla cui importanza ha accennato specialmente Endre von Ivanka: a
Bisanzio Impero e Chiesa appaiono quasi identificati l'uno con l'altro;
l'imperatore è capo anche della Chiesa. Egli intende se stesso come
rappresentante
di Cristo, e in collegamento con la figura di Melchisedek, che era al tempo
stesso re e sacerdote (Gen 14,18), porta dal VI secolo il titolo ufficiale di
're e sacerdote'. Per il fatto che a partire da Costantino
l'imperatore se ne era andato via da Roma, nell'antica capitale dell'Impero
poté svilupparsi la posizione autonoma del vescovo di Roma come successore di
Pietro e pastore supremo della Chiesa; qui già dall'inizio dell'era
costantiniana
viene insegnata una dualità di potestà: imperatore e papa hanno in effetti
potestà separate, nessuno dispone della totalità. Il papa Gelasio I (492-496)
ha formulato la visione dell'Occidente nella sua famosa lettera all'imperatore
Anastasio e ancor più chiaramente nel suo quarto trattato, dove egli di fronte
alla tipologia bizantina di Melchisedek sottolinea che l'unità delle potestà sta
esclusivamente in Cristo: 'questi infatti, a causa della debolezza umana
(superbia!), ha separato per i tempi successivi i due ministeri, affinché
nessuno si insuperbisca' (c. 11). Per le cose della vita eterna gli
imperatori cristiani hanno bisogno dei sacerdoti (pontifices), e questi a loro
volta si attengono, per il corso temporale delle cose, alle disposizioni
imperiali. I sacerdoti devono seguire nelle cose mondane le leggi
dell'imperatore insediato per ordine divino, mentre questi deve sottomettersi
nelle cose divine al sacerdote. Con ciò è introdotta una separazione e
distinzione delle potestà, la quale divenne di massima importanza per il
successivo sviluppo dell'Europa, e che per così dire ha posto i fondamenti di
ciò che è propriamente tipico dell'Occidente. Poiché da ambo le parti di contro
a tali delimitazioni rimase vivo sempre l'impulso alla totalità, la brama di
porre il proprio potere al di sopra dell'altro, questo principio di
separazione è divenuto anche la sorgente di infinite sofferenze. Come esso
debba essere vissuto correttamente e concretizzato politicamente e
religiosamente rimane un problema fondamentale anche per l'Europa di oggi e di
domani.2. La svolta verso l'epoca moderna. Se in base a quanto sin qui detto
possiamo considerare il sorgere dell'impero carolingio da una parte, e la
continuazione dell'impero romano a Bisanzio e la sua missione verso i popoli
slavi dall'altra parte come la vera e propria nascita del continente Europa,
l'inizio dell'epoca moderna significa per ambedue le Europe una svolta, un
cambiamento radicale, che concerne sia l'essenza di questo continente, sia i
suoi contorni geografici. Nel 1453
Costantinopoli venne conquistata dai Turchi. O.Hiltbrunner commenta questo
evento in maniera laconica: 'gli ultimi dotti emigrarono verso
l'Italia e trasmisero agli umanisti del Rinascimento la conoscenza dei testi
originali greci; ma l'Oriente sprofondò nell'assenza di cultura'. Questa
affermazione può essere formulata in maniera un po' troppo rozza, poiché in
effetti anche il regno della dinastia degli Osman aveva la sua cultura; ma è
vero che la cultura greco-cristiana, europea, di Bisanzio trovò con ciò la sua
fine. Così una delle due ali dell'Europa rischiò in tal modo di scomparire, ma
l'eredità bizantina non era morta: Mosca dichiara se stessa come la terza Roma,
fonda ora un proprio patriarcato sulla base dell'idea di una seconda translatio
imperii e si presenta dunque come una nuova metamorfosi del Sacrum Imperium -
come una propria forma di Europa, che tuttavia rimase unita con
l'Occidente e si orientò sempre più verso di esso, fino a che Pietro il Grande
tentò di farla diventare un paese occidentale. Questo spostamento verso nord
dell'Europa bizantina portò con sé il fatto che ora anche i confini del
continente si misero in movimento ampiamente verso oriente. La fissazione degli
Urali come frontiera è oltremodo arbitraria, in ogni caso il mondo a
oriente di essi diventò sempre più una specie di sottostruttura dell'Europa, né
Asia né Europa, essenzialmente forgiato dal soggetto Europa, senza partecipare
però esso stesso del suo carattere di soggetto: oggetto, e non portatore esso
stesso della sua storia. Forse con ciò è definita, tutto sommato, l'essenza di
uno stato coloniale.Possiamo dunque, a riguardo dell'Europa bizantina, non
occidentale, all'inizio dell'epoca moderna, parlare di un duplice evento: da
una parte vi è il dissolvimento dell'antica Bisanzio con la sua continuità
storica nei confronti dell'Impero Romano; dall'altra parte questa seconda
Europa ottiene con Mosca un nuovo centro e amplia i suoi confini verso oriente,
per erigere infine in Siberia una specie di
pre-struttura coloniale. Contemporaneamente possiamo constatare anche in
occidente un duplice processo con notevole significato storico. Una grande
parte del mondo germanico si distacca da Roma; sorge una nuova, illuminata
forma di cristianesimo, cosicché attraverso l'occidente scorre d'ora
in poi una linea di separazione, la quale forma chiaramente anche un limes
culturale, un confine tra due diverse modalità di pensare e di rapportarsi.
Certo c'è anche all'interno del mondo protestante una frattura, in primo luogo
tra luterani e riformati, ai quali si associano metodisti e presbiteriani,
mentre la chiesa anglicana tenta di formare una via di mezzo tra cattolici ed
evangelici; a ciò si aggiunge poi anche la differenza tra cristianesimo sotto
la forma di una chiesa di stato, che diventa contrassegno dell'Europa, e chiese
libere, che trovano il loro spazio di rifugio nel Nordamerica, sulla qual cosa
dovremo tornare a parlare.Facciamo attenzione in primo luogo al secondo evento,
che caratterizza essenzialmente la situazione dell'epoca moderna di quella che
un tempo era l'Europa latina: la scoperta dell'America. All'allargamento verso
est dell'Europa in virtù della progressiva estensione della Russia verso l'Asia
corrisponde la radicale uscita dell'Europa fuori dai suoi confini
geografici, verso il mondo che sta aldilà dell'Oceano, che ora riceve il nome
di America; la suddivisione dell'Europa in una metà latino-cattolica e una metà
germanico-protestante si trasferisce e si ripercuote su questa parte della
terra occupata dall'Europa. Anche l'America diventa in un primo tempo una
Europa allargata, una colonia, ma essa si crea contemporaneamente con il
sommovimento dell'Europa ad opera della Rivoluzione Francese il suo proprio
carattere di soggetto: dal XIX secolo in poi essa, sebbene forgiata nel
profondo dalla sua nascita europea, sta tuttavia di fronte all'Europa come un
soggetto proprio. Nel tentativo di conoscere la più profonda, interiore
identità dell'Europa attraverso lo sguardo sulla storia abbiamo adesso preso in
osservazione due fondamentali svolte storiche: come prima la dissoluzione del
vecchio continente mediterraneo ad opera del continente del Sacrum Imperium,
collocato più verso nord, in cui si forma a partire dall'epoca carolingia la
Europa come mondo occidentale-latino; accanto a questo la continuazione della
vecchia Roma a Bisanzio, con il suo protendersi verso il mondo slavo. Come
secondo passo avevamo osservato la caduta di Bisanzio e il conseguente
spostamento da una parte dell'Europa verso nord e verso est dell'idea cristiana
di impero, e dall'altra parte l'interna divisione dell'Europa in un mondo
germanico-protestante e un mondo latino-cattolico, e oltre a ciò la fuoriuscita
verso l'America, a cui si trasferisce questa divisione e che alla fine si
costituisce come un soggetto storico proprio, che sta di fronte all'Europa. Ora
noi dobbiamo porci davanti agli occhi una terza svolta, il cui fanale ben
visibile fu formato dalla Rivoluzione Francese. È vero che il Sacrum Imperium
come realtà politica già a partire dal tardo Medioevo era concepito in
dissolvimento ed era divenuto sempre più fragile anche come valida e
indiscussa interpretazione della storia, ma soltanto adesso questa cornice
spirituale va in frantumi anche formalmente, questa cornice spirituale senza
cui l'Europa non avrebbe potuto formarsi. Questo è un processo di portata
considerevole, sia dal punto di vista politico, sia da quello ideale. Dal punto
di vista ideale questo significa che la fondazione sacrale della storia e
dell'esistenza statuale viene rigettata: la storia non si misura più in base ad
un'idea di Dio ad essa precedente e che le dà forma; lo Stato viene oramai
considerato in termini puramente secolari, fondato sulla razionalità e sul
volere dei cittadini. Per la prima volta in assoluto nella storia sorge lo
Stato puramente secolare, che abbandona e mette da parte la garanzia divina e
la normazione divina dell'elemento politico, considerandole come una visione
mitologica del mondo e dichiara Dio stesso come affare privato, che non fa
parte della vita pubblica e della comune formazione del volere. Questa viene
ora vista solamente come un affare della ragione, per la quale Dio non appare
chiaramente conoscibile: religione e fede in Dio appartengono all'ambito
del sentimento, non a quello della ragione. Dio e la sua volontà cessano di
essere rilevanti nella vita pubblica.In questa maniera sorge, con la fine del
XVIII secolo e l'inizio del XIX, un nuovo tipo di scisma, la cui gravità noi
percepiamo ora sempre più nettamente. Esso non ha in tedesco alcun nome, poiché
qui si è ripercosso più lentamente. Nelle lingue latine viene delineato come
divisione tra cristiani e laici. Questa lacerazione negli ultimi due secoli è
penetrata nelle nazioni latine come una frattura profonda, mentre il
cristianesimo protestante in un primo tempo ebbe vita facile nel concedere
spazio alle idee liberali e illuministe all'interno di sé, senza che la cornice
di un ampio consenso cristiano di fondo dovesse in tal modo venir distrutta.
L'aspetto di politica realistica della dissoluzione dell'antica idea di impero
consiste in questo, che ora definitivamente le nazioni, gli stati che sono
divenute identificabili come tali in virtù della formazione di ambiti
linguistici unitari, appaiono come i veri e unici portatori della storia, e
dunque ottengono un rango che ad essi in precedenza non spettava così tanto. La
drammaticità esplosiva di questo soggetto storico ora plurale si mostra nel
fatto che le grandi nazioni europee si sapevano depositarie di una missione
universale, che necessariamente doveva portare a conflitti fra di loro, il cui
impatto mortale noi abbiamo dolorosamente sperimentato nel secolo or
trascorso.3. L'universalizzazione della cultura europea e la sua crisi. Infine
dobbiamo qui considerare ancora un ulteriore processo, con cui la storia degli
ultimi secoli trapassa chiaramente in un mondo nuovo. Se la vecchia Europa precedente
all'epoca moderna nelle sue due metà aveva conosciuto essenzialmente solo un
dirimpettaio, con il quale doveva confrontarsi per la vita e per la morte,
ossia il mondo islamico; se la svolta dell'epoca moderna aveva portato
l'allargamento verso l'America e in parti dell'Asia senza propri grandi
soggetti culturali, così ora ha luogo la fuoriuscita verso i due continenti
sinora toccati solo marginalmente: l'Africa e l'Asia, che adesso parimenti si
tentò di trasformare in succursali dell'Europa, in colonie. Fino ad un certo
punto questo è anche riuscito, in quanto adesso anche Asia e Africa inseguono
l'ideale del mondo forgiato dalla tecnica e del suo benessere, cosicché anche
là le antiche tradizioni religiose entrano in una situazione di crisi e strati
di pensiero puramente secolare dominano sempre più la vita pubblica.Ma c'è
anche un effetto contrario: la rinascita dell'Islam non è solo collegata con la
nuova ricchezza materiale dei paesi islamici, bensì è anche alimentata dalla
consapevolezza che l'Islam è in grado di offrire una base spirituale valida per
la vita dei popoli, una base che sembra essere sfuggita di mano alla vecchia
Europa, la quale così, nonostante la sua perdurante potenza politica ed
economica, viene vista sempre più come condannata al declino e al
tramonto.Anche le grandi tradizioni religiose dell'Asia, soprattutto la sua
componente mistica che trova espressione nel buddismo, si elevano come potenze
spirituali di contro ad un'Europa che rinnega le sue fondamenta religiose e
morali. L'ottimismo circa la vittoria dell'elemento europeo, che Arnold Toynbee
poteva sostenere ancora all'inizio degli anni sessanta, appare oggi stranamente
superato: 'di 28 culture che noi abbiamo identificato 18 sono morte e
nove delle dieci rimaste - di fatto tutte tranne la nostra - mostrano che esse
sono già colpite a morte'. Chi ripeterebbe oggi ancora le stesse parole? E
in generale - cos'è la nostra cultura, che è ancora rimasta? La cultura europea
è forse la civiltà della tecnica e del commercio diffusa vittoriosamente per il
mondo intero? O non è questa forse piuttosto nata in maniera post-europea dalla
fine delle antiche culture europee? Io vedo qui una sincronia paradossale: con
la vittoria del mondo tecnico-secolare post-europeo, con l'universalizzazione
del suo modello di vita e della sua maniera di pensare, si collega in tutto il
mondo, ma specialmente nei mondi strettamente non-europei dell'Asia e
dell'Africa, l'impressione che il mondo di valori dell'Europa, la sua cultura e
la sua fede, ciò su cui si basa la sua identità, sia giunto alla fine e sia
propriamente già uscito di scena; che adesso sia giunta l'ora dei sistemi di
valori di altri mondi, dell'America pre-colombiana, dell'Islam, della mistica
asiatica. L'Europa, proprio in questa ora del suo massimo successo, sembra
diventata vuota dall'interno, paralizzata in un certo qual senso da una crisi del
suo sistema circolatorio, una crisi che mette a rischio la sua vita, affidata
per così dire a trapianti, che poi però non possono che eliminare la sua
identità. A questo interiore venir meno delle forze spirituali portanti
corrisponde il fatto che anche etnicamente l'Europa appare sulla via del
congedo. C'è una strana mancanza di voglia di futuro. I figli, che sono il
futuro, vengono visti come una minaccia per il presente; essi ci portano via
qualcosa della nostra vita, così si pensa. Essi non vengono sentiti come una
speranza, bensì come un limite del presente. Il confronto con l'Impero Romano
al tramonto si impone: esso funzionava ancora come grande cornice storica, ma
in pratica viveva già di quelli che dovevano dissolverlo, poiché esso stesso
non aveva più alcuna energia vitale.
Con questo siamo giunti ai problemi del
presente. Circa il possibile futuro dell'Europa ci sono due diagnosi contrapposte.
C'è da una parte la tesi di Oswald Spengler, il quale credeva di poter fissare
per le grandi espressioni culturali una specie di legge naturale: c'è il
momento della nascita, la crescita graduale, la fioritura di una cultura, il
suo lento appesantirsi, l'invecchiamento e la morte. Spengler arricchisce la
sua tesi in modo impressionante, con documentazioni tratte dalla storia delle
culture, in cui si può intravedere questa legge del decorso naturale. La sua
tesi era che l'Occidente sarebbe giunto alla sua epoca finale, che corre
inesorabilmente
incontro alla morte di questo continente culturale,nonostante tutti i tentativi
di scongiurarla. Naturalmente l'Europapuò trasmettere i suoi doni ad una
cultura nuova emergente, come è già accaduto nei precedenti declini di una
cultura, ma in quanto soggetto essa ha ormai il suo tempo di vita alle sue
spalle.Questa tesi bollata come biologistica ha trovato appassionati oppositori
nel tempo tra le due guerre mondiali specialmente in ambito cattolico; in
maniera impressionante le si è mosso contro anche Arnold Toynbee, certo con
postulati che oggi trovano poco ascolto. Toynbee mette in luce la differenza
tra progresso materiale- tecnico da una parte, e dall'altra progresso reale,
che egli definisce come spiritualizzazione. Egli ammette che l'Occidente - il
mondo occidentale - si trova in una crisi, la cui causa egli la vede nel fatto
che dalla religione si è decaduti al culto della tecnica, della nazione, del
militarismo. La crisi significa per lui, ultimamente: secolarismo.Se si conosce
la causa della crisi, si può indicare anche la via della guarigione: deve
essere nuovamente introdotto il fattore religioso, di cui fa parte secondo lui
l'eredità religiosa di tutte le culture, ma specialmente quello 'che è
rimasto del cristianesimo occidentale'. Alla visione biologistica si
contrappone qui una visione volontaristica, che punta sulla forza
delle minoranze creative e sulle personalità singole eccezionali. La domanda
che si pone è: è giusta questa diagnosi? E se sì - è in nostro potere
introdurre nuovamente il momento religioso, in una sintesi di cristianesimo
residuale ed eredità religiosa dell'umanità? Ultimamente la questione tra
Spengler e Toynbee rimane aperta, perché noi non possiamo vedere nel futuro. Ma
indipendentemente da ciò si impone il compito di interrogarci su che cosa può
garantire il futuro, e su che cosa è in grado di continuare a far vivere
l'interiore identità dell'Europa attraverso tutte le metamorfosi storiche. O
ancora più semplicemente: che cosa anche oggi e domani promette di donare la
dignità umana e un'esistenza conforme ad essa.Per trovare una risposta a ciò
dobbiamo gettare lo sguardo ancora una volta dentro il nostro presente e al
tempo stesso tener presenti le sue radici storiche. In precedenza eravamo
rimasti fermi, in effetti, alla Rivoluzione Francese e al XIX secolo. In questo
tempo si sono sviluppati soprattutto due nuovi modelli europei. Ecco qui allora
nelle nazioni latine il modello laicistico: lo Stato è nettamente distinto
dagli organismi religiosi, che sono attribuiti all'ambito privato. Lo Stato
stesso rifiuta un fondamento religioso e si sa fondato solamente sulla ragione
e sulle sue intuizioni. Di fronte alla fragilità della ragione questi sistemi
si sono rivelati fragili e facili a cadere vittima delle dittature; essi
sopravvivono, propriamente, solo perché parti della vecchia coscienza morale
continuano a sussistere anche senza i precedenti fondamenti e rendono possibile
un consenso morale di base. Dall'altra parte, nel mondo germanico, esistono in
maniera differenziata i modelli di Chiesa di Stato del protestantesimo
liberale, nei quali una religione cristiana illuminata, essenzialmente
concepita come morale - anche con forme di culto garantite dallo Stato -
garantisce un consenso morale e un fondamento religioso ampio, al quale le
singole religioni non di Stato devono adeguarsi. Questo modello in Gran
Bretagna, negli stati scandinavi e in un primo tempo anche nella Germania
dominata dai prussiani ha garantito per lungo tempo una coesione statuale e
sociale. In Germania, tuttavia, il crollo del cristianesimo di Stato prussiano
ha creato un vuoto, che poi parimenti si offrì come spazio vuoto per una
dittatura. Oggi le chiese di Stato sono dappertutto cadute vittima del
logoramento: da corpi religiosi che sono derivazioni dello Stato non proviene
più alcuna forza morale, e lo Stato stesso non può creare forza morale, ma la
deve invece presupporre e costruire su di essa.Tra i due modelli si collocano
gli Stati Uniti del Nord-America, cheda una parte - formatisi sulla base delle
chiese libere - prendono le mosse da un rigido dogma di separazione, dall'altra
parte, aldilà delle singole denominazioni, vengono plasmati tuttavia da un
consenso di fondo cristiano-protestante non forgiato in termini confessionali,
il quale si collegava con una particolare coscienza della missione, nei
confronti del resto del mondo, di tipo religioso e così dava al fattore
religioso un significativo peso pubblico, che in quanto forza pre-politica e
sovra-politica poteva essere determinante per la vita politica. Certo non ci si
può nascondere che anche negli Stati Uniti il dissolvimento dell'eredità
cristiana avanza incessantemente, mentre al tempo stesso il rapido aumento
dell'elemento ispanico e la presenza di tradizioni religiose provenienti da
tutto il mondo cambia il quadro. Forse si deve qui osservare anche che gli
Stati Uniti promuovono ampiamente la protestantizzazione dell'America Latina e
quindi il dissolvimento della Chiesa cattolica ad opera di forme di chiese
libere, per la convinzione che la Chiesa cattolica non potrebbe
garantire un sistema politico ed economico stabile, in quanto dunque fallirebbe
come educatrice delle nazioni, mentre ci si aspetta che il modello delle chiese
libere renderà possibile un consenso morale e una formazione democratica della
volontà pubblica, simili a quelli caratteristici degli Stati Uniti. Per
complicare ulteriormente il quadro si deve ammettere che oggi la Chiesa
cattolica
forma la più grande comunità religiosa negli Stati Uniti, che essa nella sua
vita di fede sta decisamente dalla parte dell'identità cattolica, che però i
cattolici a riguardo del rapporto tra Chiesa e politica hanno recepito le
tradizioni delle chiese libere, nel senso che proprio una Chiesa non confusa con
lo Stato garantisce meglio le fondamenta morali del tutto, cosicché la
promozione dell'ideale democratico appare come un dovere morale profondamente
conforme alla fede. In una posizione simile si può vedere a buon diritto una
prosecuzione, adeguata ai tempi, del modello di papa Gelasio, di cui ho parlato
sopra. Torniamo all'Europa. Ai due modelli di cui parlavo prima se ne è
aggiunto ancora nel XIX secolo un terzo, ossia il socialismo, che si suddivise
presto in due diverse vie, quella totalitaria e quella democratica. Il
socialismo democratico è stato in grado, a partire dal suo punto di partenza,
di inserirsi all'interno dei due modelli esistenti, come un salutare
contrappeso nei confronti delle posizioni liberali radicali, le ha arricchite e
corrette. Esso si rivelò qui anche come qualcosa che andava al di là delle
confessioni: in Inghilterra esso era il partito dei cattolici,
che non potevano sentirsi a casa loro né nel campo protestante-conservatore, né
in quello liberale. Anche nella Germania guglielmina il centro cattolico poteva
sentirsi più vicino al socialismo democratico che alle forze conservatrici
rigidamente prussiane e protestanti. In molte cose il socialismo democratico
era ed è vicino alla dottrina sociale cattolica, in ogni caso esso ha considerevolmente
contribuito alla formazione di una coscienza sociale.Il modello totalitario,
invece, si collegava con una filosofia della storia rigidamente materialistica
e ateistica: la storia viene compresa deterministicamente come un processo di
progresso che passa attraverso la fase religiosa e quella liberale per giungere
alla società
assoluta e definitiva, in cui la religione come relitto del passato viene
superata e il funzionamento delle condizioni materiali può garantire la
felicità di tutti. L'apparente scientificità nasconde un dogmatismo
intollerante: lo spirito è prodotto della materia; la morale è prodotto delle
circostanze e deve venir definita e praticata a seconda degli scopi della
società; tutto ciò che serve a favorire l'avvento dello stato finale felice è
morale. Qui il capovolgimento dei valori che avevano costruito
l'Europa è completo. Ancor più, qui si realizza una frattura nei confronti
della complessiva tradizione morale dell'umanità: non ci sono più valori
indipendenti dagli scopi del progresso, tutto può, in un dato momento, essere
permesso e persino necessario, può essere morale nel senso nuovo del termine.
Anche l'uomo può diventare uno strumento; non conta il singolo, ma unicamente
il futuro diventa la terribile divinità che dispone sopra tutti e sopra tutto.I
sistemi comunisti frattanto sono naufragati innanzitutto per il loro falso
dogmatismo economico. Ma si trascura troppo volentieri il fatto che essi sono
naufragati, più a fondo ancora, per il loro disprezzo dei diritti umani, per la
loro subordinazione della morale alle esigenze del sistema e alle sue promesse
di futuro. La vera e propria catastrofe che essi hanno lasciato alle loro
spalle non è di natura economica; essa consiste nell'inaridimento delle anime,
nella distruzione della coscienza morale. Io vedo come un problema essenziale
della nostra ora per l'Europa e per il mondo questo, che non viene mai
contestato il naufragio economico, e perciò i vetero- comunisti sono diventati
senza esitazione liberali in economia; invece la problematica morale e
religiosa, di cui propriamente si trattava, viene quasi completamente rimossa.
Pertanto la problematica lasciata dietro di sé dal marxismo continua a esistere
anche oggi: il dissolversi delle certezze primordiali dell'uomo su Dio, su se
stessi e sull'universo - la dissoluzione della coscienza dei valori morali
intangibili, è ancora e proprio adesso nuovamente il nostro problema e può
condurre all'autodistruzione della coscienza europea, che dobbiamo cominciare a
considerare - indipendentemente dalla visione del tramonto di Spengler - come
un reale pericolo.
4. A che punto siamo oggi?
Così
ci troviamo davanti alla questione: come devono andare avanti le cose? Nei
violenti sconvolgimenti del nostro tempo c'è un'identità dell'Europa, che abbia
un futuro e per la quale possiamo impegnarci con tutto noi stessi? Non sono
preparato per entrare in una discussione dettagliata sulla futura Costituzione
europea. Vorrei soltanto brevemente indicare gli elementi morali fondanti, che
a mio avviso non dovrebbero mancare.Un primo elemento è
l''incondizionatezza' con cui la dignità umana e i diritti umani
devono essere presentati come valori che precedono qualsiasi giurisdizione
statale. Questi diritti fondamentali non vengono creati
dal legislatore, né conferiti ai cittadini, 'ma piuttosto esistono per
diritto proprio, sono da sempre da rispettare da parte del legislatore, sono a
lui previamente dati come valori di ordine superiore'. Questa validità
della dignità umana previa ad ogni agire politico e ad ogni decisione politica
rinvia ultimamente al Creatore: solamente Egli può stabilire valori che si
fondano sull'essenza dell'uomo e che sono intangibili. Che ci siano valori che
non sono manipolabili per nessuno è la vera e propria garanzia della nostra
libertà e della grandezza umana; la fede cristiana vede in ciò il mistero del
Creatore e della condizione di immagine di Dio che egli ha conferito all'uomo.
Ora oggi quasi nessuno negherà direttamente la precedenza della dignità umana e
dei diritti umani fondamentali rispetto ad ogni decisione politica; sono ancora
troppo recenti gli orrori del nazismo e della sua teoria razzista. Ma
nell'ambito concreto del cosiddetto progresso della medicina ci sono minacce
molto reali per questi valori: sia che noi pensiamo alla clonazione, sia che
pensiamo alla conservazione dei feti umani a scopo di ricerca e di donazione
degli organi, sia che pensiamo a tutto quanto l'ambito della manipolazione
genetica - la lenta consunzione della dignità umana che qui ci minaccia non può
venir misconosciuta da nessuno. A ciò si aggiungono in maniera crescente i
traffici di persone umane, le nuove forme di schiavitù, l'affare dei traffici
di organi umani a scopo di trapianti. Sempre vengono addotte finalità buone,
per giustificare quello che non è giustificabile. In questi settori ci sono
nella Carta dei diritti fondamentali alcuni punti fermi di cui rallegrarsi,ma
in importanti punti essa rimane troppo vaga, mentre invece proprio qui ne va
della serietà del principio che è in gioco.Riassumiamo: la fissazione per
iscritto del valore e della dignità dell'uomo, di libertà, eguaglianza e
solidarietà con le affermazioni di fondo della democrazia e dello stato di
diritto, implica un'immagine dell'uomo, un'opzione morale e un'idea di diritto
niente affatto ovvie, ma che sono di fatto fondamentali fattori di identità
dell'Europa, che dovrebbero venir garantiti anche nelle loro conseguenze
concrete e che certamente possono venir difesi solamente se si forma sempre
nuovamente una corrispondente coscienza morale. Un secondo punto in cui appare
l'identità europea è il matrimonio e la famiglia. Il matrimonio monogamico,
come struttura fondamentale della relazione tra uomo e donna e al tempo stesso
come cellula nella formazione della comunità statale, è stato forgiato a
partire dalla fede biblica. Esso ha dato all'Europa, a quella occidentale come
a quella orientale, il suo volto particolare e la sua particolare umanità,
anche e proprio perché la forma di fedeltà e di rinuncia qui delineata dovette
sempre nuovamente venir conquistata, con molte fatiche e sofferenze. L'Europa
non sarebbe più Europa, se questa cellula fondamentale del suo edificio sociale
scomparisse o venisse essenzialmente cambiata. La Carta dei diritti
fondamentali parla di diritto al matrimonio, ma non esprime nessuna specifica
protezione giuridica e morale per esso e nemmeno lo definisce più precisamente.
E tutti sappiamo quanto il matrimonio e la famiglia siano minacciati -da una
parte mediante lo svuotamento della loro indissolubilità ad opera di forme
sempre più facili di divorzio, dall'altra attraverso un nuovo comportamento che
si va diffondendo sempre di più, la convivenza di uomo e donna senza la forma
giuridica del matrimonio. In vistoso contrasto con tutto ciò vi è la richiesta
di comunione di vita di omosessuali, che ora paradossalmente richiedono una
forma giuridica, la quale più o meno deve venir equiparata al matrimonio.Con
questa tendenza si esce fuori dal complesso della storia morale dell'umanità,
che nonostante ogni diversità di forme giuridiche del matrimonio sapeva
tuttavia sempre che questo, secondo la sua essenza,è la particolare comunione
di uomo e donna, che si apre ai figli e così alla famiglia. Qui non si tratta
di discriminazione, bensì della questione di cos'è la persona umana in quanto
uomo e donna e di come l'essere assieme di uomo e donna può ricevere una forma
giuridica. Se da una parte il loro stare assieme si distacca sempre più da
forme giuridiche, se dall'altra l'unione omosessuale viene vista sempre più
come dello stesso rango del matrimonio, siamo allora davanti ad una
dissoluzione dell'immagine dell'uomo, le cui conseguenze possono solo essere
estremamente gravi. Il mio ultimo punto è la questione religiosa. Non vorrei
entrare qui nelle discussioni complesse degli ultimi anni, ma mettere in
rilievo solo un aspetto fondamentale per tutte le culture: il rispetto nei
confronti di ciò che per l'altro è sacro, e particolarmente il rispetto per il
sacro nel senso più alto, per Dio, cosa che è lecito supporre di trovare anche
in colui che non è disposto a credere in Dio. Laddove questo rispetto viene
infranto, in una società qualcosa di essenziale va perduto. Nella nostra
società attuale grazie a Dio viene multato chi disonora la fede di Israele, la
sua immagine di Dio, le sue grandi figure. Viene multato anche chiunque
vilipendia il Corano e le convinzioni di fondo dell'Islam. Laddove invece si
tratta di Cristo e di ciò che è sacro per i cristiani, ecco che allora la
libertà di opinione appare come il bene supremo, limitare il quale sarebbe un
minacciare o addirittura distruggere la tolleranza e la libertà in generale. La
libertà di opinione trova però il suo limite in questo, che essa non può
distruggere l'onore e la dignità dell'altro; essa non è libertà di mentire o di
distruggere i diritti umani.C'è qui un odio di sé dell'Occidente che è strano e
che si può considerare solo come qualcosa di patologico; l'Occidente tenta sì
in maniera lodevole di aprirsi pieno di comprensione a valori esterni, ma non
ama più se stesso; della sua propria storia vede oramai soltanto ciò che è
deprecabile e distruttivo, mentre non è più in grado di percepire ciò che è
grande e puro. L'Europa, per sopravvivere, ha bisogno di una nuova - certamente
critica e umile -accettazione di se stessa, se essa vuole davvero sopravvivere.
La multiculturalità, che viene continuamente e con passione incoraggiata e
favorita, è talvolta soprattutto abbandono e rinnegamento di ciò che è proprio,
fuga dalle cose proprie. Ma la multiculturalità non può sussistere senza
costanti in comune, senza punti di orientamento a partire dai valori propri.
Essa sicuramente non può sussistere senza rispetto di ciò che è sacro. Di essa
fa parte l'andare incontro con rispetto agli elementi sacri dell'altro, ma questo
lo possiamo fare solamente se il sacro, Dio, non è estraneo a noi stessi.
Certo, noi possiamo e dobbiamo imparare da ciò che è sacro per gli altri, ma
proprio davanti agli altri e per gli altri è nostro dovere nutrire in noi
stessi il rispetto davanti a ciò che è sacro e mostrare il volto di Dio che ci
è apparso - del Dio che ha compassione dei poveri e dei deboli, delle vedove e
degli orfani, dello straniero; del Dio che è talmente umano che egli stesso è
diventato un uomo, un uomo sofferente, che soffrendo insieme a noi dà al dolore
dignità e speranza.Se non facciamo questo, non solo rinneghiamo l'identità
dell'Europa,bensì veniamo meno anche ad un servizio agli altri che essi hanno
diritto di avere. Per le culture del mondo la profanità assoluta che si è
andata formando in Occidente è qualcosa di profondamente estraneo. Esse sono
convinte che un mondo senza Dio non ha futuro. Pertanto proprio la
multiculturalità ci chiama a rientrare nuovamente in noi stessi.Come andranno
le cose in Europa in futuro non lo sappiamo. La Carta dei diritti fondamentali
può essere un primo passo, un segno che l'Europa cerca nuovamente in maniera
cosciente la sua anima. In questo bisogna dare ragione a Toynbee, che il
destino di una società dipende sempre da minoranze creative. I cristiani
credenti dovrebbero concepire se stessi come una tale minoranza creativa e
contribuire a che l'Europa riacquisti nuovamente il meglio della sua eredità e
sia così a servizio dell'intera umanità.