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Le compagnie di ventura
Durante il periodo di formazione degli stati regionali, in Italia si andò anche evolvendo molto rapidamente la tecnica militare, dato che erano ormai pressoché scomparsi i tradizionali corpi di cavalleria feudale e gli eserciti comunali, il cui nerbo era fornito dalla popolazione urbana.
Le vecchie milizie comunali erano infatti costituite da cittadini che abbandonavano per qualche tempo le loro normali attività produttive per andare a combattere contro il limitrofo comune o contro il riottoso feudatario locale; le campagne di guerra, in questi casi, duravano al massimo qualche settimana, permettendo così ai cittadini-soldati una rapida ripresa delle normali attività di lavoro. Ma le guerre che si svolsero tra le maggiori Signorie italiane nel '300 e nella prima metà del '400 ebbero carattere molto diverso per la loro complessità e la loro durata.
I governanti, da parte loro, non volevano ricorrere ad un esercito cittadino, che avrebbe potuto costituire un pericolo permanente per il loro potere, e per evidenti ragioni economiche non volevano allontanare dall'attività produttiva artigiani e mercanti; infine, la complessità e le difficoltà delle nuove guerre imponevano l'uso di soldati di mestiere, fortemente specializzati, come cavalieri, arcieri, balestrieri ecc. Di conseguenza, i signori cominciarono a servirsi su larga scala di corpi mercenari, che durante il medioevo avevano avuto un'importanza trascurabile, ma che adesso diventavano lo strumento militarmente determinante.
Inizialmente, cioè nella prima metà del '300, le compagnie di mercenari erano costituite da soldati stranieri, perché era naturale che soltanto i paesi più poveri d'Europa, come la Svizzera, l'Inghilterra o la Germania, fornissero uomini disposti ad affrontare i rischi della professione militare per sottrarsi alla vita di stenti condotta in patria.
I comandanti delle compagnie di ventura - chiamati condottieri in quanto trattavano la condotta ossia l'arruolamento dei mercenari, col signore o con la città che abbisognava dei loro servizi - erano a volte soltanto dei volgari avventurieri, desiderosi di arraffare bottino, ma a volte erano invece geniali capi militari, dotati anche di sottile acume politico, come nel caso di numerosi capitani italiani che inventarono nuove tecniche militari o addirittura crearono veri e propri stati.
Nella seconda metà del '300 si diffuse anche in Italia l'usanza, evidentemente redditizia, di formare compagnie di ventura. Fra i condottieri italiani emersero Alberico da Barbiano, Muzio Attendolo Sforza, che diede l'avvio ad una precisa tecnica militare da lui detta sforzesca, e Braccio di Mon- tone, detto Fortebraccio, iniziatore della scuola braccesca. Questi capitani di ventura, come molti altri, diedero una nuova dignità al loro mestiere di uomini d'arme, perché, mentre in genere i condottieri stranieri si erano comportati come autentici predoni e razziatori, i capitani italiani mirarono a creare piccoli eserciti ben disciplinati e tecnicamente preparati, capaci di condurre, anche a lungo, un'autentica guerra.
L'aspetto più negativo delle compagnie di ventura consisté nel fatto che troppo spesso i condottieri
combattevano esclusivamente per il compenso, indifferenti alle ragioni più o meno valide dei contendenti, pronti sempre a passare dall'un campo all'altro, appena se ne fosse presentata la convenienza.
Alcuni di essi, come Francesco Sforza, grazie alla forza militare e al prestigio realizzati, tenteranno anche di costruirsi domini personali (gli Sforza sostituiranno i Visconti a Milano).
Perciò le compagnie di ventura furono soprattutto un elemento di disgregazione e di confusione nella penisola, dove già molti erano i contendenti.
La consuetudine di affidare la guerra ai soldati di mestiere diffuse inoltre fra gli Italiani la tendenza a considerare la difesa del proprio paese come una questione da trattare alla stregua di un affare da risolvere quindi con un contratto e con una certa somma di denaro. Questo atteggiamento sarà causa di una grave carenza etica e civile, e contribuirà a indebolire la posizione degli stati regionali della penisola nei confronti delle forti monarchie dell'Europa occidentale, che tra breve minacceranno direttamente l'indipendenza italiana.
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