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Don Margotti e il Risorgimento italiano
Nella
Prefazione del libro Giacomo Margotti e
il dramma del Risorgimento Italiano, Mario Macchi afferma che è la diversa
accezione del concetto di libertà la problematica alla base del rapporto
conflittuale tra Chiesa cattolica e Stato italiano di fine Ottocento. I
politici piemontesi, infatti, si ispirano a principi liberali intendendo la
libertà in un senso che
Per
Lo
Stato liberale è laico; esso, però, interviene nelle questioni di matrimonio
-che per
Il papa, però, non può abbandonare i suoi sudditi, né può sacrificare l'interesse universale della Religione a quello particolare della nazione italiana; il problema politico appare quindi del tutto secondario di fronte a quello religioso. Questa è la politica della Chiesa di fine Ottocento, sostenuta dagli articoli del sacerdote e giornalista Giacomo Margotti.
DON MARGOTTI nasce a Sanremo nel maggio del 1823 e all'età di diciotto anni entra nel Seminario di Ventimiglia dove passa, secondo le sue stesse parole, una vita "meschina", soffrendo molto per la lontananza dalla famiglia. Laureatosi in Teologia e Diritto ecclesiastico all'Università di Genova, darà presto prova di spiccate doti giornalistiche; appena venticinquenne, infatti, accusa il Ligure Popolare di aver sfruttato i fondi destinati alle famiglie dei soldati al fronte per mantenere un giornale anticlericale sostenitore della guerra. Questa polemica giornalistica, apparentemente d'importanza marginale, risulta significativa in quanto dimostra quanto Giacomo fosse portato alla lotta attraverso la stampa, in difesa dei principi cattolici e contro la "rivoluzione".
Nel 1848, dopo la concessione della libertà di stampa in Piemonte, ad alcuni religiosi e laici appare conveniente opporre alla stampa liberale e rivoluzionaria un organo cattolico aperto ai progressi della civiltà. Il 4 luglio di quello stesso anno viene così pubblicato il primo numero del giornale Armonia della religione colla civiltà, senza dubbio uno dei giornali più interessanti dell'Italia ottocentesca. Margotti entra a far parte della redazione un anno dopo, nel 1849: da questo momento in poi l'Armonia si trasformerà un po' nel "suo" giornale.
In previsione delle elezioni che si indurranno per la prima volta in tutto il Regno d'Italia, Margotti scrive l'8 aprile del 1861 l'articolo Né eletti né elettori nel quale denuncia la profonda crisi prodotta dal Governo del Piemonte; quest'ultimo infatti, secondo le opinioni del giornalista, si sarebbe impossessato degli altri Stati italiani in modo non conforme al sentimento degli italiani e si sarebbe opposto alle avvenute elezioni di molti deputati cattolici, egli stesso compreso. Margotti scrive:
"Nelle prossime elezioni non vogliamo essere né eletti né elettori. Ecco in due parole il nostro programma, il quale questa volta vincerà sicuramente".
"Non vogliamo essere eletti, perché non ci vogliamo trovare a' fianchi di Liborio Romano, né del generale Nunziante, né di Camillo Cavour, che compie bellamente il triumvirato".
"Di poi non vogliamo essere nemmeno elettori. La legge ci accorda un diritto che noi questa volta rifiutiamo, e ci sovrabbondano le ragioni per rifiutarlo".
"Dapprima la lotta elettorale verte oggidì tra Camillo Cavour e Giuseppe Garibaldi, tra coloro che combattono il Papa colle ipocrisie e coloro che vogliono combatterlo apertamente coll'empietà e colla demagogia. E noi diciamo: né l'uno né l'altro, sono tutti della stessa buccia. E ci asterremo".
E' probabilmente questo suo atteggiamento che non rende più accetto il sacerdote all'Armonia; da questo momento in poi, infatti, il centro propulsore della linea di astensione cattolica diviene l'Unità cattolica il giornale da lui stesso fondato nel 1863.
La teoria margottiana fu accolta con scarso interesse, finché la presa di Roma nel 1870 fece dare a tutti i deputati e senatori cattolici le dimissioni; essendo poi venuta dalla capitale la parola d'ordine, non si parlò nemmeno più di andare alle urne. Infatti la politica inaugurata da Margotti nel 1861 sembrò a papa PIO IX l'unica perseguibile: una netta separazione dei cattolici dai governanti italiani.
L'articolo
di Don Margotti appare un'anticipazione della Bolla papale Non expedit del
1874, nella quale Pio IX respinge fortemente
Nel luglio del 1872 si preparano a Roma le elezioni amministrative; grande è il fermento nei diversi partiti: liberali, repubblicani, socialisti, democratici. E i cattolici dovrebbero assistere indifferenti alla lotta?
Molte saranno le critiche, sia contro la formula margottiana sia contro il comando pontificio; molti cattolici, infatti, non si sentono vincolati in coscienza a quest'obbedienza. Si arriverà quindi a vere e proprie "campagne" per il voto anche in favore di sinistra e radicali, promosse da sacerdoti che diranno di avere il loro "problema di coscienza". Per diventare più potenti appare necessaria la costituzione di un partito cattolico e la presenza dei cattolici in Parlamento: meglio agire con le armi che continuare a far vittime.
Nonostante
queste opposizioni, Giacomo resterà fedele per tutta la vita alla linea del Non expedit, che sarà incoraggiata anche
dal successore di Pio IX, papa LEONE
XIII. Quest'ultimo riceverà Don Margotti in Vaticano proprio qualche anno
prima della sua morte, avvenuta nel maggio del
"Oggi il comando del nostro capitano è di serrare le file ed aspettare; se più tardi suonerà la tromba dell'attacco, noi siam certi che i disubbidienti di oggi sarebbero i vigliacchi di domani".
Giacomo Margotti fu un polemista convincente, un giornalista europeo, una "penna d'oro", come lo definì Pio IX, e un "avversario temibile", come lo definì Cavour. Ogni suo avversario gli riconobbe di aver avuto, nei migliaia d'articoli che scrisse, sempre un fine onesto, anche se ovviamente discutibile; la stampa del suo tempo gli tributò larghi e positivi consensi, dichiarando che il giornalismo cattolico non ebbe mai in precedenza un osservatore più fine di lui.
Negli ultimi decenni dell'Ottocento lo Stato sovrano, come spesso aveva sottolineato lo stesso Margotti, faceva sempre di più sentire il suo peso, la sua intransigenza in tutti i settori; la libertà che dichiarava essere il suo fine principale, infatti, sotto l'etichetta di "neutralità" nei riguardi della religione, veniva negata proprio ai credenti.
"In Italia ed altrove, e sempre, la libertà fu uccisa non dai reazionari, ma dai liberali, perché ritenendo questo nome in fatto mostravansi demagoghi furiosi; vollero troppa libertà, e resero un benefizio al dispotismo. A Roma non fu Pio IX che uccise la libertà. Egli la generò, i mazziniani la uccisero. (.) La riforma delle "cose" non può cominciare che dalla riforma delle "persone". Via chi ha spinto l'impudenza fino alla menzogna! Via chi ha scambiato la libertà con la persecuzione!"
(Giacomo Margotti, Armonia, 26 ottobre 1852)
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