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Processo storico che ha portato al dissolvimento degli imperi coloniali costituiti dalle grandi potenze europee nel corso del XIX secolo.
CAUSE: Declino politico di Francia e Inghilterra (in quanto erano uscite dalla seconda guerra mondiale molto deboli), emerge la potenza degli Stati Uniti e dell'Unione Sovietica, esigenza dei paesi coloniali di acquisire libertà e indipendenza, intervento significativo da parte dell'ONU e della Chiesa.
DECOLONIZZAZIONE IN MEDIO ORIENTE: Qui la decolonizzazione è complessa, anche perché questa zona ha grande importanza economica, in quanto assicura rifornimenti petroliferi a tutto il Mondo.
Dopo la prima guerra mondiale, alla Francia vengono affidate Siria e Libano, mentre alla GB spettano Iraq e Palestina. In seguito alla seconda guerra mondiale, la Francia è costretta (a causa di gravi difficoltà portate dall'invasione nazista) a dichiarare l'indipendenza di Siria e Libano.
Nel 1945 (2 marzo) viene costituita la Lega Araba, a cui aderiscono Libano, Siria, Iraq, Egitto, Arabia Saudita, Transgiordania e Yemen, per favorire la nascita di un nuovo Stato arabo: la Palestina, sottraendola alla GB.
Si sviluppa il sionismo, un movimento politico organizzato che prevede il ritorno dei figli d'Israele in Palestina.
Nel 1947 l'ONU divide, la Palestina in due Stati, uno ebraico e uno arabo, con Gerusalemme come zona internazionale. Un anno dopo la GB si ritira dalla Palestina.
Sempre nel 1948 (14 maggio) nasce lo Stato d'Israele e il Medio Oriente si trasforma in una delle aree più critiche dei pianeta, infiammata dal conflitto arabo-israeliano e dalla questione palestinese. La prima guerra arabo-israeliana (maggio 1948) vide un importante successo dell'esercito israeliano. Ben presto il conflitto locale venne risucchiato nella logica della guerra fredda e del bipolarismo: Israele divenne il sostegno degli Usa, mentre il nazionalismo arabo venne incoraggiato e armato dall'Urss in funzione anti-americana. Nel 1967 la fulminea e vittoriosa guerra dei sei giorni impose l'egemonia israeliana nell'area, aprendo la spinosa questione dei profughi palestinesi. Da allora la resistenza palestinese cominciò a strutturarsi nell'Organizzazione per la liberazione della Palestina, guidata da Arafat. Nel 1973 la crisi precipitò nuovamente con l'aggressione di Egitto e Siria a Israele (guerra del Kíppur).
Egitto: sebbene il paese fosse formalmente indipendente dal 1922, l'influenza britannica cessò solo nel 1952, quando un colpo di stato guidato dal giovane ufficiale Nasser impose un regime dai tratti autoritari ma ben deciso a far rispettare la propria autonomia. La nazionalizzazione dei canale di Suez condusse alla guerra contro una coalizione franco-anglo-israeliana, da cui Nasser usci sconfitto ma politicamente rafforzato, avendo dimostrato la crisi del vecchio colonialismo. Avvicinatosi all'Urss, Nasser consolidò la politica di sviluppo, facendo dell'Egitto il paese leader dei nazionalismo arabo.
DECOLONIZZAZIONE IN ASIA
Nel 1947 l'India conquistò l'indipendenza. I maggiori problemi erano il conflitto religioso tra induisti e musulmani e lo sviluppo economico. Gandhi sosteneva l'integrazione fra musulmani e induisti in uno stesso stato e perciò fu assassinato nel 1948 da un induista che lo accusava di essere troppo morbido con la minoranza musulmana. Infine prevalse la divisione: nacquero cosi traumaticamente l'Unione Indiana (induista) e il Pakistan (musulmano), da cui in seguito si staccò il Bangladesh. Il successore di Gandhi, avviò la modernizzazione socio-economica, facendo dell'India la più grande democrazia del mondo nonché una promotrice dei movimento dei paesi non allineati. Sostenuto finanziariamente dagli Usa, eglli non disdegnò di applicare elementi di socialismo nella vita produttiva, attraverso la programmazione economica e un forte interventismo statale. Su questa linea si sono attestati i suoi successori, garantendo un robusto sviluppo che pure non ha risolto i problemi dell'approvvigionamento alimentare.
Nel Sud-est asiatico il vuoto determinatosi con il crollo del Giappone fu colmato dagli anglo-americani, che dovettero affrontare il nodo dei movimenti nazionalisti. L'area più critica fu quella dell'Indocina, dove la dura colonizzazione francese aveva favorito lo sviluppo di un forte movimento comunista indipendentista, guidato da Ho Chi Minh. Occupata dai giapponesi durante la guerra, l'Indocina conquistò la sua indipendenza nel 1945, proclamando la Repubblica Democratica del Vietnam. Contro questa prospettiva De Gaulle mobilitò l'esercito e cominciò una guerra, terminata solo nel 1954 con la vittoria vietnamita.
A Parigi si decise che il Vietnam rimanesse diviso in due parti, l'una controllata dai vietnamiti l'altra dai francesi. Ma questa soluzione diplomatica non pacificò l regione: ai francesi si sostituirono sempre più gli americani, mentre il governo vietnamita sosteneva la guerriglia filocomunista dei vietcong. Giudicato un tassello strategico nell'equilibrio mondiale, il Vietnam divenne il centro di una guerra terribile, che oppose i vietcong al più potente esercito dei mondo. La guerra si concluse nel 1973 con la sconfitta statunitense e la nascita della Repubblica Socialista del Vietnam.
DECOLONIZZAZIONE IN AFRICA
Durante la seconda guerra mondiale crolla l'impero coloniale italiano, di conseguenza, la Libia, la Somalia, l'Eritrea e l'Etiopia conseguono l'indipendenza.
La decolonizzazione del continente africano mostrò limiti strutturali, connaturati alla sua storia e allo sfruttamento coloniale a cui fu sottoposto. A differenza del nazionalismo arabo, erede di civiltà millenarie, l'Africa nera ignorava concetti come "patria"e "nazione" e soffriva ancora dei guasti provocati dallo schiavismo e dalla distruzione delle antiche entità statuali. La matrice ideologica dei movimenti indipendentisti fu il panafricanismo, tendente a realizzare l'unità di tutti i popoli africani. La Gran Bretagna cercò di guidare tale processo controllando le classi dirigenti, la Francia integrando i nuovi stati in una comunità franco-africana e il Portogallo combattendolo strenuamente.
La conquista dell'indipendenza si risolse o in una nuova forma di dipendenza economica e politica nei confronti dei vecchi colonizzatori o nell'instaurazione di regimi marxisti-leninisti e nell'ingresso nella sfera d'influenza sovietica.
L'indipendenza del Congo Belga rappresentò un caso emblematico, perché mostrò le conseguenze devastanti di una politica coloniale spietata. L'insurrezione costrinse i belgi alla fuga e consentì la dichiarazione dell'indipendenza (1960) sotto la guida dei leader socialista Lumumba. In seguito, la secessione della ricca regione mineraria del Katanga, spinta dalle compagnie occidentali, e l'assassinio di Lumumba, gettarono il paese in una sanguinosa guerra civile conclusa nel 1963 con l'instaurazione della dittatura del generale Mobutu.
Nell'Africa meridionale le classi dirigenti bianche mantennero saldamente il potere, esercitando una vera e propria oppressione razziale sulle popolazioni indigene. Solo negli anni ottanta nacquero lo Zimbabwe (ex Rhodesia) e la Namibia (prima appartenente al Sudafrica), mentre continuava a resistere l'apartheid sudafricano, ovvero un razzismo legalizzato in base al quale la minoranza bianca discriminava la maggioranza nera.
Contro l'apartheid andò organizzandosi la resistenza nera, riunita sotto le bandiere dell'African National Congress e dei suo leader Nelson Mandela. Costretto all'illegalità dal 1961, l'African National Congress passò alla lotta armata, fino a quando all'inizio degli anni novanta la coraggiosa iniziativa del leader bianco De Klerk consentì l'avviamento di trattative, sfociate nel superamento dell'apartheid, nel suffragio universale e nell'elezione di Mandela a presidente della repubblica.
Decolonizzazione in america latina: La seconda guerra mondiale fu per l'America latina un'occasione di sviluppo, favorendo le esportazioni e assicurando i capitali necessari per liberarsi dalla dipendenza con l'Occidente. I processi di modernizzazione che investirono il continente non riuscirono a superare i limiti strutturali della società latino-americana: l'industria pesante rimase fragile e l'urbanizzazione ebbe più il carattere di fuga dalla miseria contadina che di corsa verso il lavoro industriale.
Eccetto il Messico, dove la riforma agraria assicurò una parziale redistribuzione della terra, le campagne continuarono a essere dominate dal grande latifondo, nelle mani delle antiche oligarchie terriere. I vecchi ceti possidenti, uniti ora alle nuove ristrette borghesie industriali, continuarono a detenere buona parte della ricchezza e a esercitare il potere.
Dal punto di vista politico il secondo dopoguerra fu segnato dall'affermazione di movimenti populistici, caratterizzati da un forte leader (Perón in Argentina e Vargas in Brasile), da uno stile di governo autoritario, dal nazionalismo, dall'interventismo statale in economia e dalla mobilitazione delle masse e dei sindacati per ottenere il consenso. Nonostante per certi versi il populismo cavalcasse tenti tradizionalmente appannaggio della sinistra, esso fu generalmente accettato dalle oligarchie possidenti come garanzia d'ordine e stabilità.
La crisi economica causata dalla diminuzione dei prezzi delle materie prime sui mercati mondiali determinò la crisi del populismo e l'insorgere di tensioni rivoluzionarie, a cui corrispose un'involuzione reazionaria e l'instaurazione di numerose dittature militari. Negli anni settanta in Argentina, Cile, Uruguay ecc., i regimi militari si macchiarono dei peggiori crimini, eliminando le opposizioni politiche e violando sistematicamente i diritti umani. La crescita economica di questi anni fu in realtà una crescita drogata, finanziata con il ricorso al debito estero, causa di una nuova e più insidiosa dipendenza con il nord del mondo.
Gli Usa ebbero un ruolo fondamentale nelle vicende politiche latino-americane degli anni sessanta-settanta, appoggiando i regimi militari in funzione anticomunista. Esemplare fu il caso del Cile, la più antica democrazia parlamentare del continente: Salvador Allende, salito al potere a capo di un governo di Unidad Popular, fu rovesciato da un colpo di stato militare del generale Pinochet, sostenuto e incoraggiato dagli Stati Uniti.
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