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Dalla critica all'azione
Le prime forme di azione esemplari si verificarono negli Stati Uniti all'inizio degli anni Sessanta, nei primi sit-in del North Carolina, che avevano innescato la mobilitazione della popolazione di colore nell'associazione per i diritti civili. Ma nel contesto di conflittualità sociale emerso negli ultimi anni l'attivismo politico degli studenti all'interno delle università iniziò ad essere avvertito come fattore di disturbo dalle autorità accademiche. Questa fu la situazione che si produsse all'Università di Berkeley, dove nel settembre del '64 fu improvvisamente imposto il divieto di tenere banchetti di vendita e propaganda di iniziative politiche in alcuni punti di massimo passaggio degli studenti. Scoppiò così la prima rivolta studentesca della storia americana, animata dal desiderio dei giovani di far valere i propri diritti e combattere il conservatorismo delle istituzioni universitarie. La mobilitazione si intrecciò ben presto con il movimento contro la segregazione razziale e con la protesta contro la guerra in Vietnam, che veniva giudicata da parte dell'opinione pubblica americana come una guerra profondamente ingiusta e contraria alla democrazia americana.
A partire dal '66-67 la rivolta si estese all'Europa, dove, nonostante vi fossero degli elementi unificanti, il movimento di contestazione ebbe cause diverse e assunse forme di differenziazione da Paese a Paese.
A Parigi la contestazione sorse in un clima di malcontento sociale provocato dal governo De Gaulle e in particolare da un piano di riforme dell'istruzione che si proponeva di adeguare le strutture scolastiche alle richieste dell'industria. La mobilitazione raggiunse l'apogeo nella primavera del 1968 che vide susseguirsi gli eventi dello storico Maggio francese. Dopo la "notte delle barricate", la protesta si estese in tutto il paese. Il 13 maggio il movimento cominciò ad estendersi al mondo del lavoro. Dapprima furono occupate dagli operai alcune grandi fabbriche di Parigi, poi in tutta la Francia gli operai, ma anche quadri tecnici, intellettuali e gli stessi componenti dell'apparato statale entrarono in agitazione. La Sinistra politica francese vide in quella situazione la possibilità di riaprirsi uno spazio politico che le era stato negato dallo stato presidenziale del generale De Gaulle. Per questo socialisti e comunisti tentarono di tenere separati il movimento operaio e quello studentesco, giudicato troppo debole e poco controllabile. Di fronte al persistere dell'occupazione delle fabbriche, De Gaulle dichiarò la sua intenzione di ristabilire l'ordine militarmente, se le proteste non fossero cessate. Ma dopo alcune settimane di occupazione delle aziende il movimento aveva cominciato a perdere d'intensità. In sostanza, la Francia fu il paese in cui il Sessantotto si esaurì tanto rapidamente quanto si era formato.
Anche Praga fu protagonista di un episodio centrale della contestazione giovanile, che tuttavia ebbe caratteristiche molto diverse rispetto alle rivolte vissute nelle democrazie occidentali. Dopo l'invasione del loro Paese da parte delle truppe del patto di Varsavia, gli studenti universitari promossero uno sciopero per invitare i cittadini a non accettare le pressioni crescenti imposte dall'Unione Sovietica e per rivendicare i loro diritti: la libertà di riunione e di associazione, la libertà di espressione e di ricerca scientifica, l'abolizione della censura, il diritto di poter lavorare all'estero. Tali richieste erano contenute nella "Dichiarazione del comitato di azione degli studenti dell'Università di Praga", elaborata del novembre 1968; la dichiarazione inoltre rivendicava l'idea di poter realizzare nel proprio Paese un "socialismo dal volto umano". Nel gennaio 1969 uno studente, Jan Palach, si dette addirittura fuoco in piazza Venceslao, a Praga, per protestare contro l'occupazione sovietica.
In Italia la protesta studentesca si manifestò nelle università a partire dall'autunno 1967, con l'occupazione dell'Università di Trento, del Palazzo Campana a Torino, della Sapienza a Roma e della Cattolica di Milano. Elemento unificante della lotta era l'opposizione alla riforma proposta dal ministro Luigi Gui, tesa a reintrodurre i limiti di accesso alle facoltà universitarie e a stabilire tre diversi livelli di laurea. Tra gli eventi di particolare rilevanza della protesta italiana rientrano gli scontri di Valle Giulia, sede romana della facoltà di Architettura, il 1° marzo 1968. A Roma la tensione era alta sin dalla metà di febbraio, quando alcuni attacchi di gruppi neofascisti presso la facoltà di Lettere, occupata, avevano portato le autorità accademiche ad ordinare lo sgombero dell'occupazione. In risposta, alcune migliaia di studenti si diressero verso Valle Giulia per occupare Architettura. Ma le forze dell'ordine, chiamate a impedire l'occupazione, fronteggiarono gli studenti, i quali, inaspettatamente contrattaccarono; lo scontro si concluse con un bilancio di molti feriti. Questo fu il primo episodio di violenza delle proteste italiane, e rappresentò una manifestazione di forza del movimento che lo rese particolarmente significativo a livello nazionale. Sull'esempio del maggio francese, gli studenti italiani ritennero necessario portare avanti un'alleanza con gli operai delle fabbriche. Ma dopo alcuni episodi di collaborazione, l'intervento dei sindacati, impegnati nelle lotte dell'"autunno caldo", portò al distacco repentino delle due componenti, e anche in Italia iniziò una lenta fase di declino, tra l'autunno 1968 e l'estate 1969, fino a quando la costituzione di nuove formazioni politiche di diverso orientamento ne sancì la definitiva dissoluzione nell'autunno 1969.
Anche negli Stati Uniti, tra l'autunno 1967 e la primavera 1968, il movimento aveva raggiunto il suo massimo grado di sviluppo. La forza raggiunta dal movimento si manifestava nell'ampiezza delle componenti sociali coinvolte nella mobilitazione (dalla popolazione di colore alle donne, dagli studenti dei ceti medi bianchi ai gruppi marginali raccolti nelle correnti delle controculture), e nella proclamazione della volontà di passare dalla protesta alla resistenza, per contrastare la politica governativa, gli intrecci tra poteri economici e militari e ricerca scientifica, la segregazione razziale e soprattutto, allo scopo di giungere ad una rapida conclusione della guerra in Vietnam. Dopo una serie di successi favoriti anche da contatti e legami con rappresentanti delle istituzioni, tra cui spiccava il senatore democratico Robert Kennedy, si giunse a una profonda rottura nella fase di implosione del movimento quando, di fronte ad una repressione costante e dunque al susseguirsi delle sconfitte, la volontà unitaria delle diverse anime del movimento si trovò sopraffatta da un senso di impotenza che rendeva insanabili le linee di conflitto esistenti. A partire dall'agosto 1968, il movimento si apprestava ad entrare in una cupa fase, caratterizzata da continue scissioni, rotture, perdita della capacità di coordinare la lotta su vari fronti. Nella primavera 1969 quando giungerà il momento della repressione della componente incentrata sulla cultura hippie, sulla parola d'ordine "make love not war", che lanciava fiori alle forze dell'ordine esortandole a schierarsi con loro al grido di "join us!" e che nell'estate 1967 aveva dato vita alla Summer of Love a San Francisco. A Berkeley venne repressa con le armi da fuoco l'iniziativa del People's Park,uno spazio pubblico a disposizione degli esponenti del movimento per concerti, incontri o altre attività, realizzata su un'area del campus universitario occupata. Tra i manifestanti si riscontrano una cinquantina di feriti, uno dei quali morì qualche giorno dopo.
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