Culti della personalità nei
regimi comunisti dell'Europa Orientale
Le democrazie popolari sorte nei Paesi dell'Europa Orientale
dal 1948 furono coinvolte in un profondo processo di sovietizzazione, che includeva
l'instaurazione dei culti di Lenin e Stalin; anche i capi dei partiti comunisti di questi stati
svilupparono il culto della loro persona. Personaggi come Mátyás Rákosi in Ungheria,
Bolesław Bierut in Polonia, Georgi Dimitrov in Bulgaria godevano nei loro Paesi
di un prestigio enorme, erano celebrati come "i più fedeli discepoli di Stalin"90;
il processo di instaurazione del culto riprendeva direttamente il modello sovietico
con la stessa orchestrazione di riti e simboli e la presenza nei partiti di zelanti
promotori dell'immagine del capo.91
Dal 1956 i Paesi del blocco sovietico seguirono le direttive
di Krusciov e si impegnarono a smantellare il culto di Stalin; tuttavia nella società
sopravvisse per un certo periodo di tempo un ampio supporto pubblico a molte manifestazioni
del culto e i leader degli stati satelliti capirono che la proibizione totale di questa pratica avrebbe minato
il loro prestigio. In generale, la leadership reagì con la restaurazione e la creazione
di nuovi culti: il culto di Lenin divenne un elemento centrale della propaganda,
così come il mito della Rivoluzione bolscevica; emersero i culti di Krusciov e Breznev,
che differivano qualitativamente da quello di Stalin92.
Possiamo trovare molte caratteristiche simili nei regimi comunisti
in Unione Sovietica, Albania, Jugoslavia , Cina, Corea del Nord, Vietnam del Nord
e Cuba; questi si svilupparono da movimenti relativamente piccoli, altamente ideologizzati
e militarizzati che combatterono in guerre civili, rivoluzioni o battaglie di liberazione
nazionale. I capi di questi movimenti erano celebrati come strateghi e "padri della
Patria"; una volta giunti al potere, lo esercitarono con metodi coercitivi per consolidare
la posizione ottenuta e combattere l'opposizione interna. I culti dei capi servivano
in primo luogo per legittimare
il potere del
movimento giunto al
potere e del suo capo;
secondariamente erano adottati come meccanismo di gestione dei conflitti che potevano
sorgere all'interno del gruppo dirigente; in terzo luogo erano introdotti per provocare
una mobilitazione di massa di tutti gli strati delle popolazioni coinvolte93. I
culti combinavano elementi della tradizione socialista a elementi nazionalistici
e aspiravano alla coesione sociale, che in certi casi venne a mancare con la loro
disintegrazione; con la morte di Tito e di Enver Hoxha, ad esempio, la classe
dirigente tentò di inculcare nella popolazione il culto postumo di questi leader
per consolidare il controllo dello stato sulla
società e per promuovere l'unione all'interno del governo.
La dissoluzione di questi culti e le avverse condizioni economiche disintegrarono l'unità
del governo e la coesione sociale.