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Concezione materialistica della storia - tesi




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CONCEZIONE MATERIALISTICA DELLA STORIA


Mappa concettuale della tesi


Attualità del marxismo e

del suo metodo scientifico 1_ grande industria, si universalizza la concorrenza, mercato mondiale

(Vedi “Ideologia tedesca”)    2_ mezzi di comunicazione globale

3_ circolazione rapida dei capitali, centralizzazione dei capitali (trust)

4_ storia del mondo: ogni uomo dipende dal mondo intero

(globalizzazione)

5_ scienze naturali sottomesse alla “volontà” del capitale

6_ rapporti sociali in denaro (rapporti di produzione)

7_ grandi città industriali e migrazioni


La storia degli uomini è studiabile secondo leggi di sviluppo.

Concezione: leggi degli uomini nell’oggettività

Sviluppo delle forze produttive corrisponde modo di produzione




Divisione del lavoro forma di proprietà



Divisione in classi



<<Non è la coscienza che determina la vita, ma è la vita che determina la coscienza.>>


Rapporti di produzione sono:         - determinati

necessari (per vivere)

indipendenti dalla volontà

corrispondenti ad un grado sviluppo delle forze produttive


struttura economica: reiterabile, regolarità, generalizzazione



sovrastruttura (norme, stato ecc.)


Epoca di rivoluzione sociale - contraddizione tra forze produttive e rapporti di produzione

rapporti di produzione da forme di sviluppo diventano catene

subentra l’epoca di rivoluzione sociale


Dalla preistoria alla storia

Modi produzione: asiatico (prima della rivoluzione agricola), antico, feudale, borghese moderno.

Con il comunismo comincia la storia




La Concezione Materialistica della Storia di Marx ed Engels

Intervista a Fulvio Papi

di Alessandro Laterza


Alessandro Laterza: Come è arrivato Lei allo studio di Marx ed Engels e precisamente all’analisi della concezione materialistica della storia?


Fulvio Papi: Cominciamo con un piccolo dato autobiografico. Ho letto il manifesto dei comunisti nel maggio/giugno del 1945, quando ero ancora sfollato a Stresa. Non giuro che riuscì a capire tutto, ma il clima morale ed etico riuscì a percepirlo. C’era un’idea di rinnovamento del mondo e della società, un avvenire di pace, di giustizia, di libertà; tanti sogni. Dopo una catastrofe durata 5 anni ogni pubblicazione che mostrasse un avvenire era di grande fascino.

La mia lettura dei testi marxiani rimase quella per tutto il liceo. All’università lessi il leggibile, ma soprattutto il giovane Marx come i “Manoscritti economico-filosofici del ‘44” e “L’ideologia tedesca”. Con una gran differenza: il primo tirava verso l’antropologia mente il secondo verso la concezione materialistica della storia. Sotto l’influsso del professor Antonio Banfi lasciai perdere l’antropologia e mi fermai sulla concezione materialistica della storia formandomi così un certo gusto per la storia, già in forte polemica con la concezione sovietica.

Io penso che il marxismo non fosse una scienza globale della storia ma una interpretazione! Una interpretazione, quella di Marx ed Engels, contingente e cioè con un soggetto storico, il proletariato, che era l’elemento attivo che portava alla luce l’esigenza di interpretare in questo modo la storia. Quindi non scienza assoluta, ma contingenza storica che portava alla luce l’interpretazione di sé stessa.

Fino a 35 anni avevo questo quadro. Ho preso, inoltre, una parte dello stile di Althusser: bisogna leggere i testi marxiani, anche il capitale; questa fu la lezione fondamentale. Basta con le ibridazioni filosofiche! Pensavo che l’insegnamento fondamentale di Marx fosse la conoscenza del modo di produzione capitalistico, già molto chiaro a metà degli anni ’60, e la critica dell’economia politica. Quest’ultima isola il fattore economico e ne fa una scienza a parte, non vede gli aspetti sociali: come se l’economia avvenisse in un mondo diverso dal mondo della vita sociale delle persone. La critica serve a riportare l’economico nella sua dimensione sociale.


Alessandro Laterza: Ha parlato di scienza. Molti mettono in dubbio che il marxismo si possa definire scienza o che abbia un metodo.


Fulvio Papi: Sono sostanzialmente d’accordo. Bisogna cominciare col distinguere metodo e scienza: la scienza è un sapere, la costruzione di un sapere; il metodo è un pensare il come, come si fa. Ciò che è successo è questo: che la scienza, come produzione di sapere scientifico, usa dei metodi, ma anche corregge i metodi mentre lavora, cambia secondo le esperienze, gli elementi apriorici. La scienza è una serie che richiede una quantità di aggiustamenti. Non si può pensare di far calare un metodo rigido: il metodo è stato un problema solo filosofico ed epistemologico, un poco astratto; non succede sempre nella pratica ciò che l’epistemologia filosofica dice.

Il problema del marxismo non è l’elaborazione di un metodo. Non vi è un “problema del metodo”, ma della produzione di un sapere. Il metodo secondo me è quello della logica di Hegel. Faccio un paragone: la “Logica”(1812) di Hegel(1770-1831) comincia con la categoria dell’essere, perché la filosofia occidentale comincia con Parmenide (l’Uno, il discorso sull’essere). Tutti pensano che l’essere sia l’elemento che tiene assieme e condivide tutti gli aspetti della realtà, una forte categoria filosofica che deve essere smontata attraverso il processo della dialettica delle grandi categorie. Il “Capitale” comincia col feticismo della merce, con una categoria pubblica, come l’essere di Hegel: che cosa si pensa comunemente intorno alla merce? Che la merce sia, sia l’essere, che la merce abbia un essere proprio, con caratteristiche dell’essere. Bisogna invece dimostrare che la merce è una relazione sociale come Hegel dimostra che l’essere è una relazione categoriale. Il metodo profondo del Capitale, quindi, è la logica di Hegel. Come la religione è una oggettività prodotta da un soggetto, allo stesso modo la merce feticizzata è il modo di pensare di un soggetto che, feticizzando la merce, feticizza il suo pensiero. Ecco come Marx vuole costruire il suo sapere.

Però non c’è un solo fine teorico nel Capitale. Marx, procedendo, non si accontenta di dimostrare che il lavoro e il capitale sono una relazione sociale, sufficiente ciò per inverare una concezione materialistica della storia. È sbagliato cercare un metodo ma ci sono più metodi nel lavoro teorico marxiano in relazione agli oggetti che si pongono (ad esempio la relazione tra lavoro e capitale e il problema teorico della riduzione dei valori a prezzi. Sono due livelli diversi che mostrano due periodi diversi della vita intellettuale di Marx)


Alessandro Laterza: Quali sono, se ne esistono, gli aspetti positivi del marxismo? Perché noi, giovani e meno giovani dobbiamo continuare a studiare Marx, anche a partire dalla Concezione Materialistica della Storia.


Fulvio Papi: Secondo me la concezione materialistica della storia è molto riduttiva e ce ne accorgiamo subito. Appena facciamo una vera ricerca storica lo “schema povero”, come diceva Sartre nelle “Questions de méthode” (1960), in realtà cala sulla storia e riduce i contenuti storici in funzione di questo schema. La concezione materialistica della storia è uno sguardo d’assieme ma non un sapere che possa essere usato per capire i vari momenti storici e le varie congiunture storiche. Bisogna, perciò, avere un sapere più analitico, più sottile. Il punto centrale è la produzione della concezione del modo di produzione capitalistico. Ogni teoria deve avere dei referenti. Quelli di Marx erano della rivoluzione industriale dal 1780 al 1850 e Marx fa la teoria di quella realtà. Però noi, oggi, non possiamo ripetere quella teoria di quella realtà e quegli stessi referenti. Esiste però un modo di produzione che ha una storia cominciata nel 1600 e che arriva fino ad adesso con impensabili sviluppi. Una replica marxiana è positiva per studiare oggi le relazioni, anche se non ce la faremmo, ma come idea trascendentale, come finalità del lavoro, per rendersi conto del sistema complesso di relazioni che ha introdotto il modo di produzione capitalistico come, ad esempio, la finanziarizzazione dell’economia, la globalizzazione e i suoi squilibri, il Pil come calcolo della ricchezza delle nazioni, la povertà ecc. L’insieme di questi fenomeni è lo sviluppo storico del modo di produzione capitalistico dal quale non si evade con un atto di pensiero: sarebbe come andare fuori dalla propria configurazione biologica. Il capitalismo si è imposto su scala globale. Questa è la situazione nella quale siamo.


Alessandro Laterza: Dobbiamo però, come Lei sostiene, cominciare da un lavoro ermeneutico e non cercare di ibridare le conoscenze o il metodo che Marx ed Engels ci hanno lasciato.

La teoria marxiana, nella sua storia, è stata criticata da Nietzsche, Weber, Althusser, dalla Scuola di Francoforte, Derrida, Sartre e altri. Come hanno, in pratica, valutato e analizzato questi il pensiero marxista?


Fulvio Papi: Ci sono vari tipi di marxismo. Non si può paragonare il marxismo fenomenologico di Sartre con la forma di marxismo critico o di sociologia para-marxista della scuola di Francoforte. I vari marxismi, filosofie, hanno attinto al sapere di Marx ed Engels. Qual è l’elemento negativo? È quando si dogmatizza il contenuto della tradizione marxista. Io non penso che sia colpa di Marx se in Urss ci sono state delle repressioni, quei milioni di morti, i gulag, la mancanza di libertà ecc. Marx non c’entra nulla! Le idee non calano sul mondo come se fossero passeri che cadono sulla terra. Le idee sono mediate da uomini, da situazioni politiche, da élite politiche, da tradizioni. In Russia vi era una forte tradizione di centralismo zarista che, a rivoluzione compiuta, si è ripetuto per la nuova élite, in nuova forma, portando allo stalinismo ecc. Divenne un sapere scolastico, una dottrina di stato, con carattere di catechismo. È però, questo, il rischio di ogni filosofia! Ogni filosofia ha un suo momento di negatività.


Laterza: Adesso, nella attualità, quali sono i problemi che si pongono i giovani su Marx ed Engels; nella politica, nelle accademie, quali sono i problemi che fanno arrovellare gli studiosi o chi approccia i testi marxiani?


Papi: Io sono abbastanza pessimista. La cultura contemporanea non si arrovella per nulla. Il sapere attuale ha 3 caratteristiche fondamentali: o diventa una forma di rappresentazione mediatica, spettacolo, o diventa iperspecialismo universitario oppure se ne occupa il mondo politico che è, a sua volta, autoreferenziale. Sono in dialettica povera tra loro e nessuno dei tre spazi è in grado di sviluppare elementi teorici forti. Infatti in Italia la politica soffre di cultura, è una politica “bassa”.


Laterza: A che livelli si dovrebbe applicare la conoscenza marxista?


Papi: Con dei grandi studi che tengano conto degli aspetti economico-sociali e culturali del mondo intero come ad esempio lo studio delle trasformazioni ecologiche, sociali, culturali, i rapporti con le tradizioni simboliche di un luogo. Sono queste tutte domande concrete, nella prassi, che fanno parte della tradizione marxiana. Sono questi gli studi di chi si ispira ad una tradizione marxiana. Non contaminazioni filosofiche ma analisi pertinenti sul campo e analisi relazionali che prendano in considerazione sia gli elementi ecologici, sia economici, politici, sociali, etnologici, simbolici. Una Weltanschaung.

L’economia politica vede un solo aspetto e lo enfatizza. Ad esempio il Pil o Pnl è un elemento non esaustivo non sufficiente in quanto è da mettere in relazione con le condizioni di vita. L’economia politica è insieme di astrazioni. Il lato peggiore nell’economia politica è la sua presunzione di conoscere il bene: vi sono dei calcoli e generalizzazioni unitamente a un’idea di bene: così diventa un sapere impositivo e non descrittivo. L’economia politica impone di far in modo che accada qualcosa: ad esempio se l’anno seguente aumenta il Pil di X% siamo virtuosi, ma possiamo aver generato catastrofi, molti incidenti sul lavoro, instabilità sociale, inquinamento superiore. Bisogna descrivere avendo dei referenti complessivi, non uno solo!


Laterza: […]Altrimenti prenderemmo come esempio da Stalin che in 20 anni ha portato, con un capitalismo di stato, l’industria dell’Urss “alle stelle”! Non credo che l’economia politica, quindi, come diceva lei, ci possa dare risposte anche dal punto di vista antropologico, etnologico, dell’ambiente; dobbiamo riportare l’economia, che è diventata solo mente calcolante e un apparato tecnico a noi sconosciuto, a livello dell’uomo.


Papi: Alle condizioni di vita! Non userei “l’uomo” perché è un paradigma astratto, complesso. Bisogna parlare di condizioni reali di vita. Se la gente è più felice o meno, questo è il problema. Non è un problema stabilire se hai 100 € in più o 100€ in meno, ma è a quali condizioni li hai o no! Bisogna tener conto degli scambi sociali e le condizioni di vita generali: allora si può vedere se un paese va bene o meno, non si può solo misurare dal Pnl.


Laterza: Quindi a partire dalla felicità (eydaimonia, eu=bene e daimon=spirito), dal benessere, dalle condizioni sociali prese in riferimento.


Papi: Se con le tasse pagate si avesse una scuola efficiente, insegnanti capaci, dei corsi funzionanti, delle abilità che vengono trasmesse con efficienza a me allora non interessa avere più soldi. Se poi devo avere servizi pessimi…Bisogna vedere cosa si vuole scambiare, e oggi vi è una demagogia spaventosa che si affonda nell’individualismo: “con 100€ in più so io cosa fare…” Tu credi di saperlo ma non sai nulla, i tuoi 100€ sono già mangiati da una serie di cose che non si controllano, come il sistema dei prezzi.


Laterza: Günther Anders diceva che l’uomo è antiquato. Allora, oggi, è necessario riportare il marxismo ad un “umanismo”, e quindi vedere la felicità nelle sue relazioni sociali e nella pratica. A partire anche dall’educazione come si può introdurre il discorso su Marx, come riportarlo nel vivo della discussione e magari anche applicare il marxismo?


Papi: Ho cercato la distanza oggi esistente tra la teoria marxiana e il fare della conoscenza sociale contemporanea. Si può anche dimenticare il nome di Marx purché si facciano delle ricerche relazionali, che facciano emergere, mostrino (con linguaggio wittgensteiniano) il tessuto sociale nel quale viviamo: da cosa respiriamo a cosa mangiamo a quale tipo di relazione stabiliamo con gli altri, quali sono i tempi di lavoro, di cultura ecc. Questa è una analisi erede della tradizione marxista. Si può anche dimenticare il nome di Marx!


Laterza: come già voleva Marx che diceva “Je ne suis pas Marxiste”.

Saggio breve sulla Concezione Materialistica della Storia

di Alessandro Laterza


<<I filosofi hanno solo interpretato il mondo in modi diversi; si tratta però di mutarlo.>>

(K. Marx, Tesi su Feuerbach, numero XI)


<<La questione se al pensiero umano appartenga una verità oggettiva non è una questione teorica, ma pratica. E' nell'attività pratica che l'uomo deve dimostrare la verità, cioè la realtà e il potere, il carattere terreno del suo pensiero. La disputa sulla realtà o non-realtà di un pensiero che si isoli dalla pratica è una questione puramente scolastica.>>

(K. Marx, Tesi su Feuerbach, numero II)



<<Perché Marx era prima di tutto un rivoluzionario. Contribuire in un modo o nell'altro all'abbattimento della società capitalistica e delle istituzioni statali che essa ha creato contribuire all'emancipazione del proletariato moderno al quale Egli, per primo, aveva dato la coscienza della propria situazione e dei propri bisogni, la coscienza delle condizioni della propria liberazione: questa era la sua reale vocazione. La lotta era il suo elemento.>>

(Epitaffio del 17 marzo 1883 di F. Engels in morte di K. Marx)


<<La storia di ogni società sinora esistita è storia di lotta di classi. Liberi e schiavi, patrizi e plebei, baroni e servi della gleba, membri delle corporazioni e garzoni, in una parola oppressori e oppressi sono sempre stati in contrasto tra di loro, hanno sostenuto una lotta ininterrotta, a volte nascosta, a volte palese: una lotta che finì sempre o con una trasformazione rivoluzionaria di tutta la società o con la rovina comune delle classi in lotta.[…] L’epoca nostra, l’epoca della borghesia, si distingue tuttavia perché ha semplificato i contrasti tra classi. La società intera si va sempre più scindendo in due grandi campi nemici, in due grandi classi direttamente opposte l’una all’altra: borghesia e proletariato>> (K. Marx - F. Engels, Manifesto del partito comunista ). Così i due studiosi, Karl Marx (1818-1883) e Friedrich Engels (1820-1895), sintetizzano la loro lettura della storia dell’umanità analizzata attraverso il metodo materialistico-dialettico. Ciò porta a teorizzare, dopo un’attenta e non grossolana analisi dei rapporti di produzione in cui sono entrati gli individui nelle varie epoche storiche ed economiche, una linea tendenziale di sviluppo della storia dell’uomo che, a partire dalla “preistoria” arriva, attraverso la rivoluzione proletaria e il passaggio al socialismo, alla “storia”. La loro “rivoluzione” teorica in campo storico può essere paragonata a quella di Darwin in campo delle scienze naturali.

L’interesse e la sensibilità che i due filosofi esprimono per la storia e per l’essere umano a “tutto tondo” deriva esplicitamente dal loro grande maestro F. Hegel. Nella recensione al “Manifest der Kommunistischen Partei” (Manifesto del Partito Comunista) Engels asserisce che <<ciò che distingueva il modo di pensare di Hegel da quello di tutti gli altri filosofi era l’enorme senso storico che ne costituiva la base. Per quanto astratta e idealistica fosse la forma, ciò non di meno del suo pensiero andava sempre parallelamente allo sviluppo della storia.>> I due provenivano dalla corrente della sinistra hegeliana ovvero quel movimento culturale che, dopo la morte di Hegel avvenuta nel 1831, mantengono la dialettica come metodo immutabile non più per l’analisi delle categorie ma per l’analisi dei movimenti delle relazioni umane.

La visione marxiana della storia come lotta tra le classi deriva, però, anche da uno studio approfondito della giurisprudenza (vedi prima laurea di Marx) e della filosofia antica (vedi seconda laurea Differenza tra le filosofie della natura di Democrito ed Epicuro; 15 aprile 1841, Jena). Le fonti principali dalle quali Marx attinge sono l’economia politica inglese (i fisiocratici, Smith, Ricardo, suo insegnante, ecc.), il socialismo francese (vedi Francois Gracco Babeuf), la filosofia tedesca e il materialismo antico (Epicureo). Nel progressivo compiersi della bibliografia marxiana, il marxismo si configura come scienza che non si arresta di fronte alle scoperte delle contraddizioni sociali, da un lato, e l’applicazione della scienza nella società, la pratica scientifica da parte di chi non ha nulla da perdere, ovvero il proletariato, e tutto da guadagnare ad applicarla, dall’altro. <<Il marxismo è, secondo lo studioso italiano A. Cervetto, in quanto coscienza del movimento reale, la scienza della rivoluzione. Se la libertà è coscienza della necessità, (d’accordo con ciò che Kant asseriva), la scienza è la libertà, e lo è perché non è una teoria distaccata dalla pratica ma è la pratica guidata dalla teoria. È nella concezione materialistica la consapevolezza che la scienza è libertà solo se è pratica del movimento reale di classe e la libertà è scienza solo se è praticata nelle scelte dell’azione, nelle sue verifiche, nei suoi collaudi, nell’esperienza accumulata e tramandata di generazione in generazione tramite lo strumento partitico adatto allo scopo.>> Ciò contrasta apertamente con l’analisi storico-politica effettuata da A. Harendt in “Vita activa. La condizione umana” (1958) secondo cui <<la necessità è un fenomeno pre-politico[…] e la forza e la violenza sono giustificate in questa sfera perché sono i soli mezzi per aver ragione della necessità.>>

Ne 'L'ideologia tedesca', testo emblematico nel quale i due filosofi tedeschi elaborano una critica all’idealismo tedesco opponendo il materialismo, Marx ed Engels sostengono che <<Di conseguenza la morale, la religione, la metafisica e ogni altra forma ideologica, e le forme di coscienza che ad esse corrispondono, non conservano oltre la parvenza dell'autonomia. Esse non hanno storia, non hanno sviluppo, ma gli uomini che sviluppano la loro produzione materiale e le loro relazioni materiali trasformano, insieme con questa loro realtà, anche il loro pensiero e i prodotti del loro pensiero. Non è la coscienza che determina la vita, ma la vita che determina la coscienza. Nel primo modo di giudicare si parte dalla coscienza come individuo vivente, nel secondo modo, che corrisponde alla vita reale, si parte dagli stessi individui reali viventi e si considera la loro coscienza soltanto come la loro coscienza.>> Qui i due filosofi propongono una visione di Uomo che, opponendosi all’idealismo, e cioè opponendo alla giustificazione dei movimenti reali di un “Geist” hegelianamente concepito (Spirito) o della storia come “Geschichte” (accadimenti), muove le proprie intenzioni, riconoscendo agli individui singoli la “volontà di potenza”, verso l’analisi scientifica dei movimenti reali delle relazioni sociali, sempre se sia possibile mantenere l’intensità scientifica derivante dallo scientismo a tratti presente nei testi marxiani, e la conseguente rivoluzione proletaria che condurrebbe poi ad una società socialista. Per movimenti reali non si intendono solo i meri rapporti economici in cui gli individui sono coinvolti da quando l’economia capitalistica si è imposta ma anche tutta la dimensione “sovrastrutturale” costituita dalla cultura, morale, norme, simboli e tradizioni di una particolare comunità. A tal proposito è chiara la spiegazione che F. Engels, sottoforma epistolare, fornisce a J. Bloch nel settembre del 1890: <<Secondo la concezione materialistica della storia, il fattore in ultima istanza determinante nella storia è la produzione e la riproduzione della vita reale. Nulla di più ne io ne Marx abbiamo mai affermato. Se ora qualcuno travisa la questione nel senso che il fattore economico sia l’unico, egli trasforma questa proposizione in una frase astratta, assurda, che non dice nulla […] La situazione economica è la base, ma i diversi fattori della sovrastruttura esercitano la loro influenza sul corso delle lotte storiche, e in molti casi ne determinano decisamente le forme.>>

Che l’economia non fosse l’unico blocco che influenza, guida e plasma i movimenti “reali” di una società, Engels lo chiarisce in una lettera dell’ottobre 1890 a C. Schmidt sottolineando inoltre la fondamentale strategia dell’analisi dialettica dei fenomeni reali nella concezione materialistica della storia: <<L’economia qui non crea nulla ex novo, ma determina il modo della trasformazione e dell’evoluzione del materiale di pensiero preesistente, e per lo più lo determina in modo indiretto, perché sono i riflessi politici, giuridici e morali quelli che esercitano la più grande azione diretta sulla filosofia. […] Quel che manca a questi signori (Bernstein e Kautsky ad esempio), è la dialettica. Vedono sempre solo da una parte la causa, dall'altra l'effetto. Che ciò è una vuota astrazione, che nel mondo reale tali metafisiche opposizioni polari si danno solo nei momenti di crisi, mentre tutto il gran corso dello sviluppo avviene nella forma dell'azione reciproca - anche se di forze assai impari, di cui il movimento economico è di gran lunga la più forte e la più originaria, la più decisiva - che qui niente è assoluto e tutto è relativo, questo neanche lo vedono; per loro Hegel non è mai esistito.>> Qui Engels pone l’accento sull’importanza dell’analisi dei movimenti reali di uomini reali con bisogni, emozioni, pregiudizi ecc. in relazione all’intensità dell’influenza con cui gli apparati sovrastrutturali si impongono in una data epoca sugli uomini causando così un rapporto dialettico e conflittuale tra due classi. Solo il metodo materialistico dialettico in questo caso sarebbe utile e funzionale per leggere il tipo di conflitto sociale esistente e dedurne una soluzione atta a preparare l’emancipazione di una classe rispetto all’altra e il seguente superamento del conflitto tra classi. Non si vuol mettere in dubbio la soluzione che deriva dall’analisi a partire da un metodo quanto il metodo stesso che non è necessario, talvolta, a definire una situazione futura. Da metodo descrittivo si passa così a impositivo. L’assolutizzazione di un metodo che si applica alla lettura della realtà naturale, umana ecc. risulta essere un fatto, piuttosto che liberatorio, alienante per l’uomo in quanto, come già diceva E. Husserl ne “La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale” del 1936, <<le mere scienze di fatto creano uomini di fatto.>> Quindi bisogna tenersi alla larga da un approccio naturalistico evitando di servirsi di un metodo assoluto per giungere a una scienza assoluta, e cioè che possa servire sia per la lettura dell’uomo che per la lettura della natura. Quando H. Arendt diceva che  <<A differenza della natura, la storia è piena di eventi.>> già metteva in guardia chi si fosse avvicinato ad una così delicata questione come la lettura della storia e la conseguente soluzione politica, ciò che di fatto avvenne per i totalitarismi nel ‘900 i quali, promettendo una società più giusta, hanno di fatto mostrato la mostruosità dell’uomo e, purtroppo, la “banalità” del male. Rispetto al rapporto tra uomo,natura e storia Engels scrive in una lettera  dell’aprile 1893 al geologo W. Lamplugh: <<La natura è grandiosa, ma la storia mi sembra più grandiosa della natura. La natura ha messo milioni d'anni a generare esseri coscienti, e questi esseri coscienti hanno ora bisogno di migliaia d'anni per agire insieme con coscienza - con coscienza cioè non solo delle loro azioni come individui, ma anche delle loro azioni come massa cooperando e perseguendo uno scopo comune e preventivamente voluto. A tanto siamo ormai quasi arrivati. E osservare questo processo, questo delinearsi sempre più vicino di qualcosa che nella storia della nostra terra non c'è mai stato, mi sembra uno spettacolo che vale la pena di seguire, e per tutta la mia vita non sono mai riuscito a distoglierne gli occhi. Ma è sfibrante, soprattutto se a questo processo si crede d'esser chiamati a collaborare; e allora lo studio della natura si rivela un grande sollievo ed una medicina. Giacché, in fin dei conti, natura e storia sono i due elementi in cui viviamo, operiamo e siamo.>>

Quando si pensa al marxismo non si deve però pensare ad un insieme di metodi che propongono un sapere o una scienza di carattere dogmatico, deterministico o teleologico, ma descrittivo. Nel corso del Novecento è stata spesso portata in auge la lettura che molti, soprattutto in ambito politico, hanno imposto del marxismo, mettendo in “cattiva luce” così il lungo e specifico studio di Marx ed Engels. La concezione materialistica della storia si distingue dal sapere idealistico che propone una falsa coscienza rispetto ai nessi manifesti dei fenomeni che costituiscono le relazioni di una realtà sociale. Il dogma impedisce di approdare a una conoscenza relativistica o scientifica della realtà oggettiva impedendo la costituzione di un sapere scientifico a misura di uomo e non di macchina tecnologica.

Dopo che il Novecento si è concluso il marxismo è ancora soggetto di dispute, discussioni, movimenti politici giovanili e non, studi universitari e specialistici e questo perché il suo contenuto è fuorché passato a causa delle sue radici affondanti nel sistema capitalistico, sistema impostosi alla fine del Seicento, ancora vivente e con sviluppi impensabili. <<Oggi che il muro di Berlino non c’è più, asserisce D. Fusaro in “Marx e l’atomismo greco. Alle radici del materialismo storico”, “Il prato. I cento talleri”, Torino 2007, e che lo stesso Marx sembra essere rimasto sepolto sotto le sue macerie, occorre non dimenticare, ma anzi disseppellire, far tornare a vivere il pensiero di Marx, compresa l’importanza che egli ha attribuito al materialismo come antidoto contro ogni idealismo e contro ogni spiritualismo. In un’epoca come la nostra, in cui la religione sembra godere di ottima salute e i rapporti sociali sono sempre più religiosamente strutturati, Marx ed Epicuro possono ancora essere “maestri di resistenza”.>> A questo richiamo del marxismo, e di conseguenza dell’epicureismo, come antidoto allo spiritualismo e all’idealismo, G. Vattimo sostiene, nella  prefazioni a“Marx e l’atomismo greco. Alle radici del materialismo storico” di Diego Fusaro che <<Il comunismo reale è morto, ma resta in ogni caso vivissima l’aspirazione comunista a una società libera dai rapporti di dominio e di sfruttamento e, dunque, dalle strutture proprietarie.[…] Il comunismo di cui abbiamo oggi bisogno è, piuttosto, la negazione dell’ordine proprietario esistente, ispirata da una grande diffidenza verso le istituzioni e, più in generale, verso la statualità.[…] un comunismo senza economia statalizzata, senza dittatura del proletariato e che sappia accogliere le critiche al dogmatismo di Marx, da cui dipendono in buona parte le deviazioni autoritarie del socialismo reale.[…] il proletariato di cui egli diceva (Marx) è ancora oggi vivissimo, ha solamente cambiato forma.[…] i proletari di oggi sono, in definitiva, coloro la cui povertà estrema sta nel fatto che ormai devono operare per difendere le stesse condizioni-base della vita sul pianeta, mentre i capitalisti consumano le risorse naturali senza riguardo al fatto che tra non molto saranno esaurite.[…] il senso selettivo del “nichilismo” di Nietzsche sta tutto qui: cadono i valori, ossia le maschere che hanno tenuto buoni tanti poveri e hanno tranquillizzato le coscienze dei ricchi per tutta la nostra lunga “preistoria”, come la definiva Marx. […] Si tratta di ripensare il comunismo come ideale di società giusta, che però, proprio in quanto tale, non può (e non deve) pensarsi come società “perfetta”, ossia compiuta e tale da non ammettere trasformazioni ulteriori e rinnovamenti dal basso tramite gli strumenti della democrazia.>>



Conclusione

Che il marxismo sia ancor oggi al centro dell’analisi lo dimostra il fatto che, in seno alle accademie, alle università e ai centri culturali, continuano a elaborarsi studi a riguardo con conseguenze importanti per l’opinione pubblica e soprattutto per l’educazione dei prossimi cittadini di una società civile. Riporto ora un frammento tratto da “Karl Marx e la schiavitù salariata. Uno studio sul lato cattivo della storia” di D. Fusaro che aiuta a definire in che modo si può riproporre o continuare l’analisi della realtà tramite il metodo materialistico elaborato 150 anni fa da Marx ed Engels: <<In opposizione all'immagine gratificante che l'epoca moderna diffonde di sé come «regno della libertà» pienamente dispiegata, Marx scopre come anche nel mondo moderno sopravviva una particolare forma di schiavitù, dai contorni difficilmente percepibili: la «schiavitù salariata» di una classe sociale che, in una condizione di privazione totale, è costretta ad alienare la propria forza lavoro e a vendersi quotidianamente. La libertà formale di cui godono i lavoratori salariati nasconde un asservimento economico dissimulato (dalla «fictio iuris» del) contratto di lavoro e, per molti versi, analogo a quello dell'antico schiavo: in un coerente intreccio di filosofia della storia e di indagine economica, Marx scopre che, nonostante la diversa condizione formale, l'operaio e l'antico schiavo vengono a coincidere nell'estorsione di «pluslavoro» a cui sono soggetti. In questo modo, tra passato e presente sussiste una forte continuità: l'antico schiavo, il servo della gleba e il moderno salariato si configurano inaspettatamente come tre proiezioni storiche della stessa figura del lavoratore asservito, come tre diverse forme della stessa sostanza schiavistica che ha accompagnato la storia in ogni sua fase; ma con una differenza decisiva: gli «schiavi del salario» costituiscono una classe potenzialmente rivoluzionaria, in grado di spezzare l'incantesimo di alienazione e sfruttamento in cui è sospeso il mondo moderno.[…](il capitalismo) pervadendo in misura sempre più accentuata le coscienze e l’esistenza degli individui, “liquida le figure di un altro mondo possibile”. In particolare il modo di produzione capitalistico si configura oggi, ancora più che in passato , come una “gabbia d’acciaio”(Eiserner Käfig), le cui sbarre si fanno sempre meno visibili creando l’illusione di una libertà universalmente diffusa: Marx ci ha insegnato che non dobbiamo cercare margini di libertà dentro quella gabbia, come credeva Max Weber.[…] Già Marx aveva rilevato a proposito dell’eternizzazione del capitalismo fantasticata dai liberali del suo tempo, (che in questo modo) si dovrebbe trarre la conclusione che ci sia stata storia, ma che ormai non ce ne sia più.[…] dobbiamo piuttosto spezzare le sbarre di quella gabbia e guardare al di là di essa.[…] Come ci ha insegnato Derrida, finchè ci sarà quella gabbia, e finchè in essa ci saranno schiavi, continuerà ad agitarsi tra noi lo spettro di Marx, con la sua critica demolitrice e col suo sogno di un mondo finalmente umano. Il sangue che grondava dal capitale nel momento in cui esso venne al mondo, la schiavitù diretta in cui sfociò tramite i provvedimenti contro il vagabondaggio e nella sua violenta espansione nei territori extra-europei, non sono solamente un ricordo sbiadito che si staglia su un orizzonte sempre più lontano: al contrario, sono l’anima tenebrosa che accompagna – ora apertamente, ora in maniera velata – il capitalismo in tutti i suoi sviluppi, compresi quelli odierni. Riprendendo, e variando, una tesi sostenuta recentemente da Luciano Canfora a proposito della democrazia, potremmo affermare che nella storia dell’umanità anche la sconfitta della schiavitù, non meno dell’affermarsi di un’autentica democrazia, “è rinviata ad altre epoche”>>





















Bibliografia

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C. Cafiero, Il Capitale di Carlo Marx, Editori Riuniti, Roma 1996

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D. Fusaro, Marx e l’atomismo greco: alle radici del materialismo storico, il Prato, Padova 2007, prefazione di G. Vattimo.

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E. Husserl, La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale [1935-7], il Saggiatore, Milano 1975.

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V. Lenin, Opere complete, Editori Riuniti, Roma 1963

Marx – Engels, La concezione materialistica della storia, edizioni Lotta Comunista, Milano 2008.

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