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Nella civiltà Romana ritroviamo solo in pochi autori la tematica utopica, peraltro sviluppata in maniera marginale se non del tutto in modo altamente superficiale. D'altronde quello Romano era un impero di vaste proporzioni, politicamente e militarmente avanzato, caratterizzato da un forte senso giuridico, dall'orgoglio per la civis e dalla concretezza, al contrario vi era una scarsa propensione all'astrazione filosofica.
Tuttavia un concetto di utopia lo possiamo ritrovare in Lucio Anneo Seneca, filosofo e senatore romano vissuto nella prima metà del I sec. d.C.
Vittima di una macchinazione di Messalina, moglie dell'imperatore Claudio, fu costretto all'esilio nel 41 d.C. nella 'selvaggia' Corsica, ove vi rimase per otto anni, e, successivamente, con la morte di Messalina, rientra a Roma grazie alla nuova moglie dell'imperatore, Agrippina, la quale gli affida l'incarico di mentore per suo figlio Domizio, futuro Claudio Nerone, avuto in un precedente matrimonio con il nobile Domizio Enobarbo .
La stessa Agrippina, anche se è stato completamente accertato, nel 54 d.C. avvelenò Claudio per far salire al trono il figlio Nerone, allora appena diciassettenne.
In realtà, l'intento della madre era quello di
riuscire a governare l'impero sfruttando la posizione del figlio, mentre, al
contrario, Seneca sperava di creare un sovrano
"illuminato", che potesse governare l'impero in modo
saggio e moderato.
D'altronde Seneca stesso è ben concio che non è più
possibile tornare alla repubblica passata e bisogna, pertanto, formare un
monarca assoluto che, a causa del suo potere infinito, il quale non può essere
limitato da nessuna legge costituzionale o da alcuna istituzione
di 'controllo', debba essere in grado di auto-controllarsi secondo una legge
morale, facente capo a se stesso.
Siamo intorno al 56 d.C. quando presenta il trattato
filosofico "De clementia" al sovrano.
Esso inizia con un plateale elogio dell'imperatore per la 'clementia'
verso i suoi sudditi e la stessa nobiltas
senatoriale, ma dall'altra parte scaturisce anche una sorte di timore che
questa 'clementia' sia di breve durata già l'anno prima vi era stato l'assassinio del figlio
naturale di Claudio e quindi fratellastro di Nerone, Britannico, al quale però
gli era già stata negata qualsiasi possibilità di successione al trono.
E secondo Seneca è appunto la 'clementia', definita come "la capacità di controllarsi quando si ha il potere di punire, o anche la mitezza di chi è superiore nello stabilire le pene nei confronti di chi è inferiore", la virtù più importante che deve possedere un sovrano per governare in modo equo, umano e moderato, e quindi, garantirsi la fiducia e la devozione sia dei sudditi che nella nobiltas romana.
Interessante è il paragone che fa rifacendosi al mito di Virgilio, il quale presentava l'organizzazione delle api come modello di comunità 'ideale' : così come il re delle api (e vabbè gli antichi ignoravano fosse una regina. ;)) non possiede il pungiglione appunto perché non potesse reprimere le altre api, così anche il princeps, tramite la 'clementia' riuscirà a godere del favore dei sudditi. In questo si verrà creando una specie di patto tra l'imperatore e i sudditi il primo godrà appunto della benevolenza del popolo e non dovrà temere congiure o ribellioni, mentre i secondi avranno la certezza di essere governati con moderazione e giustizia.
L'insegnamento dato da Seneca
al suo allievo durerà fino al 59 d. C., data in cui avvenne il matricidio da
parte dell'imperatore stesso. La madre fino ad allora
aveva esercitato un potere in un certo senso di oppressione nei confronti del
figlio, pretendendo di controllare e gestire ogni sua iniziativa.
Se fino a quel momento il suo governo sarà moderato e
tutto sommato giusto, grazie alla diretta influenza di Seneca,
con la morte della madre verrà fuori la vera personalità di Nerone insieme al
suo carattere ribelle e indocile.
L'allievo, istigato anche dalla nuova amante Poppea
Sabina e reso sempre più consapevole delle possibilità e del potere
conferitigli dalla sua posizione, inizierà quindi a svincolarsi dal suo mentore
fino a farlo, in modo comunque lento e graduale,
allontanare.
Nel 62 d.C., con la morte di Afranio Burro, vi sarà la rottura, anche se non in modo propriamente 'aperta' : Seneca vedendosi venire meno un 'alleato', si ritirerà a vita privata con il pretesto di riprendere gli studi filosofici ed anche la causa del peggioramento delle sue condizioni di salute.
A questo punto l'imperatore si circonderà di nuovi collaboratori spietati, come il tremendo Tigellino che diventerà il capo della guardia pretoriana, e ben presto diventerà l'opposto di quanto aveva sperato Seneca nel "De Clementia", tanto che sarà ricordato come uno dei tiranni più crudeli e sanguinari che governarono Roma e dagli storici romani di età successivi lo considereranno 'folle'.
Il filosofo è ormai conscio del suo fallimento e quella della creazione di un sovrano "illuminato", che seguisse i principi della filosofia stoica, è stata solo un illusione.
Romperà nuovamente con la nobiltas romana, con la quale precedentemente per volere di Seneca si era riappacificato con una serie di disposizioni a loro favore. In questo modo, invece, Nerone si era riuscito quasi a ricevere il loro consenso, o per lo meno la loro tolleranza.
Nel 65 d.C. la situazione è diventata ormai insopportabile, lo stesso Seneca scrisse poco tempo prima nel De beneficiis "proprio non c'è alcuna speranza che egli (il tiranno) guarisca (dalla sua ferocia)per uomini come lui la morte è il rimedio", ed anche se non si conosce con assoluta certezza quale sia stata la sua implicazione nella congiura pisoniana di certo si sa che ne fosse a conoscenza.
La congiura tuttavia fu sventata, nella repressione che seguì Nerone non si diede scrupolo a dare l'ordine di suicidarsi al suo ex mentore.
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