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BENITO MUSSOLI
Si chiamava Benito Mussolini. Il Padre, Alessandro
Mussolini ammirato dalle gesta di Benito Juarez,
impose questo nome al suo primo figlio quando
nacque il 30-7-1883. La moglie, insegnante e madre di questo bambino (in mezzo
a molta miseria - dove metà della popolazione di Dovia
nell'arco di pochi anni era emigrata in Brasile), fu anche la maestra di suo
figlio. E lui stesso poi prese il diploma di insegnante elementare,
frequentando
Ma il ragazzo non
studiava solo Geometria, ma Storia, Politica, Musica, Poesia. Divenne infine
Maestro, ma il fascino di arringare la folla era il suo debole, tenne discorsi
celebrativi su Verdi, Garibaldi e altri, che
entusiasmavano i presenti con le arringhe, dove poi, quasi sempre, lui
sconfinava nella politica più accesa, coinvolgendo le masse con i suoi
caratteristici atteggiamenti e una passionale oratoria. Di Gustav
Le Bon 'Psicologia della folle' aveva
imparato tutto. Sarà lui più tardi, quando era ormai
al potere come Duce, a confermarlo 'Ho
letto tutta l'opera di Le Bon - diceva Mussolini- e
non so quante volte abbia riletto la sua 'Psicologia delle folle' E'
un opera capitale alla quale ancora oggi spesso ritorno'
Diplomatosi
maestro, insegnava a Gualtieri (che era il primo
comune conquistato in Italia dai Socialisti), ma presto, pur avendolo nominato i socialisti Capo Sezione, gli venne a noia e emigrò in
Svizzera. Due anni e mezzo in giro a fare lo sfaccendato, il
disoccupato, il poveraccio, l'insegnante di italiano agli immigrati; non sempre
guadagnava qualcosa per sfamarsi; ma intanto frequentava le lezioni di
economia-politica di Vilfredo Pareto il grande
economista (borghese) che insegnava a Losanna; e nel frattempo leggeva
molto.
Sue letture
preferite: Nietzsche, Marx, Schopenhauer.
E scrive anche qualcosa. Ma nei suoi primi scritti non esordisce
rivoluzionario; usa il gergo socialista che ha assorbito a casa, anche se in
questo primo periodo svizzero (1902-1904) il suo gergo inizia a essere originale
soprattutto quando i dibattiti fra riformisti e rivoluzionari si fecero
roventi. Non ha ancora un pensiero politico autonomo, ma è già un dialettico
rivoltoso (del resto era a contatto anche con l'ambiente anarchico) e in questi
primi interventi (su L'Avvenire del
Lavoratore, Il Proletario, Avanguardia Socialista) si permette già di
scrivere che 'il socialismo è un
vasto movimento pietista, non l'avanguardia vigile del proletariato, ma una accolta di malcontenti, con alcuni vanitosi già
compromessi con la borghesia che li usano proprio per far naufragare il
socialismo'. Sono dunque già frasi in libertà, fuori
da certi rigidi schemi.
Infatti con le varie scuole, le varie dottrine, le
frequentazioni e le letture più diverse nel 1909 lo ritroveremo già autonomo,
con la sua ideologia già in embrione.
Dopo 2
anni in Svizzera, fece una breve visita in Italia alla madre malata, ma aveva
21 anni e a casa trovò la cartolina di leva. Per evitare il servizio militare,
contraffece la data sul passaporto e riespatriò in
Svizzera, ma il documento falsificato fu scoperto alla frontiera.
Fu quindi
espulso, mentre nel frattempo in Italia lo condannavano per diserzione. I
giornali socialisti enfatizzarono, uno scrisse: 'E' stato cacciato dalla
Svizzera il socialista Mussolini, il grande duce della 'Prima' sezione socialista d'Italia'.
Era la prima volta che veniva usato il titolo di duce, che ricordavano gli antichi
condottieri romani, ed era anche la prima volta che veniva indicato come grande. Mussolini
aveva poco più di vent'anni ed entrambi i due titoli non gli
dispiacquero proprio per nulla.
In Italia,
ci fu proprio quell'anno l'amnistia per i reati anche
di diserzione. Provvidenziale perchè gli evitò una condanna, ma il soldato
dovette farlo, a Verona nel 10° reggimento bersaglieri. Ci stava apparentemente
bene, tanto che si prese perfino le lodi e i gradi di caporale, ma era di idee
antimilitariste e predicava la diserzione quando
scriveva agli amici. Congedato, fece il maestro a Tolmezzo,
poi anche lì divenne insofferente all'ambiente.
Lo andò a
fare il maestro a Oneglia, in Liguria, dove si mise a dirigere con impegno
anche un piccolo foglio socialista '
A un capo
crumiro, tenendo una mazza in mano minaccia di spaccarlo in due, l'altro non
sta al gioco, va a denunciarlo, la sera stessa è arrestato, processato per
direttissima e condannato a 3 mesi. Conosce il carcere per 15 giorni; uscito,
si ributta in politica, ma alla fine emigra nuovamente all'estero, a Trento
(allora austriaca) dove passa intere giornate nella biblioteca comunale a
leggere storia e saggi politici, e nello stesso tempo a studiare il violino
('se diventerò bravo ho un mestiere di riserva'), infine trova la
tanto sospirata occasione di poter dirigere un foglio.
É 'L'Avvenire del lavoratore', gli
da' impulso, dinamismo, fa raddoppiare le copie del giornale. CESARE BATTISTI il più attivo del socialismo trentino che
dirige il 'Popolo' lo
scopre e lo vuole con se'; lo nomina Redattore Capo.
Proprio Battisti nel presentarlo per la prima volta sul giornale, così lo
descrive, 'é uno scrittore agile,
incisivo, polemista, vigoroso, con una buona cultura, multiforme e
moderna', ma subito dopo gli diventa
scomodo, incontrollabile e perfino pericoloso, perché Mussolini
é impulsivo, interviene con rudezza con tutto il peso delle sua presa di
posizione estrema e rigida che inaspriscono le polemiche con gli austriaci per
l'autonomia del trentino, mentre Battisti sta operando in un modo più
diplomatico, pur dicendo velatamente le stesse cose. Inoltre Battisti non
voleva inimicarsi il clero locale, molto legato all'Austria. Non rompe del
tutto con lui i rapporti, ma dopo un mese Mussolini
già non scrive più sul suo giornale.
A Mussolini, Trento, gli sembrò troppo clericale, e aveva
anche una profonda avversione per un giovane leader dei cattolici. Era Alcide De Gasperi che
dirigeva Il Trentino e dalle
sue colonne rimproverava gli insulti che lanciava il suo collega; ma Mussolini con i suoi articoli a sua volta lo attaccava, lo
definiva 'pennivendolo' 'uomo senza coraggio' 'un
tedesco che parla italiano, protetto dal forcaiolo,
cattolico, feudale impero austriaco e quindi un servo di Francesco Giuseppe'. L'attacco
ai preti intanto continuava. Gli avversari politici lo chiamavano 'il
cannibale dei preti', e quando in un paesino di Trento si scoprì una
storia boccaccesca fra una contadina (in vena di santità) e il parroco locale,
che l'aveva messa incinta più volte, Mussolini con la
sua vena di scrittore salace, irriguardoso e fantasioso scatenò un putiferio
nel raccontarne i retroscena, con il preciso intento di ridicolizzare tutto il
clero locale.
In questo
clima rovente, come agitatore più che polemista, che metteva a rumore la città,
Mussolini non poteva durare, infatti, la gendarmeria
austriaca su segnalazione di anonimi, l'accuso' assieme ad altri suoi amici
irredentisti del furto in una banca, gli perquisirono l'abitazione, forse
trovarono manifestini anti-austriaci, alcune copie del suo giornale che andava spesso
sotto sequestro, trovarono insomma la 'giusta causa' e una vaga
motivazione per l'arresto e per sbatterlo in prigione. Dopo aver odiato gli
svizzeri, Mussolini in galera iniziò a odiare i
trentini austriaci, quando, pur non provata né trovata nessuna accusa sui fatti
addebitatigli, seguitarono a tenerlo in carcere senza un preciso motivo. Tanto
che per protesta, e informando i socialisti con chissà quali
mezzo, iniziò a fare un plateale sciopero
della fame per attirare l'attenzione.
Per non
farlo diventare un pericoloso martire dei socialisti o creare incidenti
diplomatici con l'Ityalia, i gendarmi lo
accompagnarono con i soli vestiti sdruciti addosso al confine di Ala, e lo
diffidarono a non mettere più piede nella terra del Kaiser. Mussolini
raggiunta Verona a piedi, racimolato qualche soldo alla stazione per il viaggio
in treno, rientrò a Forlì, dove visibilmente umiliato passò l'inverno ad
aiutare il padre vedovo a servire clienti in un osteria
gestita assieme a una certa Annina Guidi, una sua vecchia amante, che
morta la moglie si era deciso a viverci insieme, gestendo con lei appunto la
trattoria. Un antico rapporto questo, fino al punto che alcuni mormoravano che
da lei aveva avuto quella bimba cui avevano dato il nome di Rachele, e che la donna allevò.
Benito aveva conosciuto Rachele bambina
prima di andare in Svizzera, ora al suo rientro l'aveva ritrovata donna e
piuttosto attraente; le sue attenzioni furono pari a quelle della fanciulla che
a sua volta si invaghì presto del fratellastro.
Forlì' gli stava stretta e lo divenne ancora di più quando
anche in questa città lo arrestarono e lo misero di nuovo in carcere per
quindici giorni per aver fatto un comizio non autorizzato.
Nel comizio,
teorizzava la rivolta, e incitava a dare alle fiamme il Codice, ne auspicava un
altro con nuove leggi. Il suo attivismo lo portava a porsi al di sopra delle
comuni norme, e quindi auspicava la 'necessita' della rivolta'. Leggendo Nietzsche lo aveva colpito una frase 'vivere
pericolosamente', e ne fece il proprio motto, tanto che pubblico'
un saggio in tre puntate sul giornale 'Pensiero
Romagnolo', La filosofia
della forza, dove troviamo il pensiero del filosofo tedesco (il
superuomo nicciano) che indubbiamente lo aveva
affascinato e conquistato (altrettanto quello di G. Sorel
- 'La funzione della violenza
nell'agire storico'. E si bevve tutto d'un fiato Le
Bon 'Psicologia delle
folle').
In carcere
in quei pochi giorni dove era stato ospite utilizzò il tempo a scrivere. Dopo
l'esperienza fatta a Trento, dove si era documentato storicamente di un certo
periodo della vita politica di quel paese, scrisse un breve satirico romanzo
proprio sul Trentino. Cesare Battisti a Trento lo pubblicò a puntate sul
'Popolo', a 15 lire a puntata, e il pubblico lo lesse avidamente. Era
un racconto fantapolitico 'Claudia Particella, l'Amante del
Cardinale', un modo per fare la 'sua' feroce propaganda
politica anticlericale, irridendo i cattolici bigotti.
Ma Forlì dopo le vicende del carcere gli divenne antipatica,
anche perchè inutilmente bussò a tutti i giornali; infine pensò di emigrare
anche lui in Brasile, come avevano fatto tanti abitanti del suo paese Dovia; infatti aveva tanti vecchi amici di infanzia che
appunto in Sud America erano emigrati, e non gli sarebbe stato difficile
raggiungerli e avere nello stesso tempo un punto d'appoggio..
Valutò pure
di accettare un posto come messo comunale ad Argenta; 'sono stanco di
stare in Romagna e sono stanco di stare in Italia', scrive a tutti; poi il
9-1-1910 la federazione socialista di Forlì lo nomina segretario della
federazione e gli fa dirigere i quattro fogli di 'Lotta di Classe'. Mussolini e' entusiasta, vede già il suo successo, ne e'
convinto, e' sicuro di sè, si sbilancia anche troppo
'alla prossima ventata spazzerò via Giolitti', ed
economicamente non teme più il futuro perchè prende 120 lire al mese; tanti da
mettere su anche famiglia; infatti dopo 8 giorni torna a casa e presa Rachele sotto braccio, comunicò al
padre e alla matrigna che sposava la sorellastra 'senza vincoli ufficiali,
ne' civili, ne' religiosi', e con una pistola in mano minacciò in caso di
diniego il duplice suicidio. La notte stessa prese due lenzuola, quattro piatti
con le posate, la rete di un letto e con Rachele si trasferì in una stanza in
affitto con cucinino a 15 lire il mese; 'mise su casa'. Era il 17
gennaio del 1910.
Mussolini aveva 27 anni e Rachele 17. Dopo 9 mesi, il 1°
settembre 1910 nasceva Edda. 27 giorni dopo si svolse lo sciopero di Forli! Con Mussolini attivista in
prima fila; un po' troppo, tanto che gli valse questa volta la condanna a
cinque mesi di carcere. Comunque una galera utile per trasformarsi in vittima,
in martire e quindi diventare ancora più popolare. (Hitler nel '
Così
popolare che nel 1912 Mussolini lo troviamo a
dirigere l'organo del partito socialista L'Avanti.
Si fa portavoce del proletariato ed inizia il 7 gennaio 1913 una
feroce campagna contro 'gli assassinii di
Stato'. Con indignazione si era scatenato per gli incidenti mortali
verificatisi durante gli scioperi dei lavoratori che chiedevano miglioramenti
salariali, riduzioni d'orari, previdenze, pane e lavoro. Conflitti dove
scopriamo all'interno di queste manifestazioni non solo una forte
tensione sociale fra padronato e operai, ma anche la prima forte spaccatura
dentro i sindacati socialisti, tra i riformisti e i rivoluzionari. Due
correnti di pensiero che divideranno in eterno le sinistre; e non solo quelle
italiane.
Poi venne la
ferale notizia da Sarajevo. L'inizio di quella che doveva essere per tutti una breve guerra, si trasformò ben presto -dopo le
prime battute- in una guerra mondiale che andrà a cambiare il mondo.
Crolleranno tre imperi, il Reich tedesco verrà sbriciolato, muterà l'intera politica del vecchio
continente, nasceranno due grandi influenze ideologiche, e l'intera economia
mondiale inizia a prendere due sole direzioni; che non viaggiano in parallelo,
ma inizieranno a correre una contro l'altra fino al grande scontro ideologico.
Ognuna durante questo lungo viaggio cercando -con tutti i mezzi- di allargare
il proprio regno; che questa volta non è quello di uno Stato, nè quello di un Continente, ma è in gioco l'egemonia
sull'intero Pianeta. Una lotta che ben presto (con la prima e poi con la
seconda 'Olimpiade della morte') sarà ingaggiata più solo da due
giganti.
MUSSOLINI
dallo stesso giornale, il 20 settembre 1914 lo troviamo prima contro
l'intervento in guerra dell'Italia, promuovendo perfino un plebiscito
pacifista, poi subito dopo il 18 ottobre 1914 (l'articolo é una
'bomba') lo troviamo improvvisamente schierarsi a favore; titola 'da una neutralità assoluta alla
neutralità attiva e operante' che gli costa la radiazione dal
giornale e dal partito, il PSI. Un socialismo
neutralista ad oltranza, che già in crisi con la disgregazione
dell'Internazionale socialista, messo di fronte alle scelte sull'intervento in
guerra, che tutti ormai consideravano imminente, e nelle alte sfere necessaria
per biechi motivi lo troviamo -il partito
socialista- schierarsi contro la guerra, e iniziata questa, a promuovere
il disfattismo, e fin dall'inizio andare verso il suo fallimento. Mussolini non é disposto ad accettare questo fallimento né
le limitate vedute di molti dirigenti del suo partito.
L'idea che
si é fatta Mussolini (ed é l'unico ad avere una certa
lucidità in anticipo sui tempi) é che la rivoluzione socialista é fallita prima
ancora di iniziare, e mai il socialismo potrà uscire dalla guerra, vinta o
persa, con nuove prospettive.
Le masse -
andava dicendo Mussolini- i milioni di
individui, dopo aver combattuto, potranno imporre domani, a vittoria ottenuta,
la propria pace alla borghesia con tutte le carte in regola, perché avranno una
propria forza autonoma per farlo, e non avranno bisogno dei socialisti. A
guerra persa invece le colpe ricadrebbero solo sui socialisti, che il conflitto
non lo volevano e hanno sempre disprezzato chi era
stato chiamato a parteciparvi: (tanti, tantissimi, saranno quattro milioni e
mezzo di uomini).
Insomma i
socialisti erano dentro un vicolo cieco. Questo in sostanza aveva sostenuto Mussolini alla vigilia del conflitto, e il ragionamento era
impeccabile; ma il guaio grosso fu che la guerra che doveva essere
'lampo' fu invece lunga e quando finì terminò in un modo anomalo, non
accontentò proprio nessuno; infatti i vincitori (per
come furono trattati a Versailles) si ritrovarono in mano quella che fu poi
definita una 'vittoria mutilata'; in altre parole, una frustrazione
per entrambi, per chi l'aveva sostenuta la guerra e combattuta (Mussolini e i 4,5 milioni di Italiani) e chi aveva remato
contro e profetizzato il totale fallimento (i socialisti - questi erano
convinti di poter fare dopo la guerra la rivoluzione del proletariato).
Il 15
novembre del 1914, dopo l'articolo 'bomba' e dopo la radiazione all'Avanti, MUSSOLINI fonda a Milano il Popolo d'Italia (finanziato e non del
tutto disinteressatamente dalla Edison, dalla Fiat di Agnelli, dall'Ansaldo dei
fratelli Perrone ecc. ecc.) con un indirizzo
antisocialista, e con iniziali palesi appoggi all'irredentismo che va
predicando D'Annunzio e De Ambreis (Ma poi con la
'Vicenda Fiume 'Mussolini prenderà le
distanze dai due 'rossi' - vedi partendo dal 1919).
Infine il 6
maggio del
Non è il
solo, parte D'Annunzio, parte Marinetti, e parte
Cesare Battisti che incita 'tutti al fronte con la spada e col
cuore', poi in agosto parte finalmente anche Mussolini.
C'è in
questo slancio forse anche un motivo umano, lui odia gli Austriaci; il suo é
anche un conto personale da regolare! I giorni di carcere a Trento, le
accuse infamanti, e le umiliazioni ricevute hanno lasciato il segno!
Al fronte Mussolini non ha la vita molto facile, sia con i soldati
che lo ritengono un interventista e sia con lo Stato
Maggiore che diffidano di questo ambiguo soggetto fino a ieri a sinistra come
oppositore all'intervento. Era nota la sua renitenza, il suo antimilitarismo in
piazza del 1911-12, e il suo passato di socialista.
Al Distretto
non si fidano proprio. Senza tanti riguardi al suo diploma e al suo mestiere di
giornalista lo mandano al fronte, come soldato semplice col grado di caporale.
Dopo 16 mesi di guerra, per quaranta giorni Mussolini
va anche in trincea, sul Carso, in prima linea sotto
le granate austriache; si guadagna perfino il nastrino. Nel febbraio 1917 una
sventagliata di schegge, non proprio del nemico, lo colpisce. Resta gravemente
ferito. Trascorre in stampelle quattro mesi all'ospedale di Ronchi. Qui nel
portare conforto ai feriti troviamo una visita di Re Vittorio Emanuele
III. Di certo non immagina nemmeno lontanamente, nel preoccuparsi della salute
e nello stringere la mano di questo semplice caporale sulle grucce, di trovarsi
di fronte all'uomo che fra soli 5 anni legherà il suo destino a quello di Casa
Savoia e a tutta la sua dinastia. Il Destino se era da quelle parti a fare
qualche scherzo, quel giorno ne organizzò uno dei più singolari.
Dopo la
convalescenza, MUSSOLINI rientra al giornale nel luglio 1917. Le cose in Italia
sono molto cambiate nel frattempo, l'interventismo, dopo tre anni di guerra,
quasi inutili sul piano militare e politico, é in crisi, e sembra - dopo Caporetto- che il disfattismo socialista fra le masse trovi
un buon appoggio. Così andava dicendo Cadorna per giustificare i suoi tragici rovesci.
Ma non é
così, Mussolini è molto attento, si accorge che le
masse hanno avuto uno scollamento dal socialismo e che questo (dopo la disfatta
di Caporetto del 24 ottobre) non può certo aspirare
alla vittoria di una rivoluzione dopo una guerra persa. Infatti
le cose cambiarono, per tanti motivi, interni ed esterni. E anche per tante
coincidenze a favore. L'entrata in guerra degli Usa,
Alla fine,
la guerra non fu persa, ma nemmeno vinta, passerà alla storia come
la 'vittoria mutilata' dopo le liti a Versailles con Wilson. Questo
finale andò ancora di più a complicare le cose. Non c'erano politicamente né
vinti né potevano rallegrarsi quelli che la guerra l'avevano boicottata con il
disfattismo. Con troppo accanimento, questo esito negativo e piuttosto
umiliante (nonostante tanta retorica e i proclami) dai socialisti fu fatto
pesare molto ai reduci; 'che cosa vi dicevamo, ecco il risultato!' e
giù il resto. Non era certo il modo migliore per fare proseliti nel chiamarli i
reduci grulli. E chi era ritornato dal
fronte (ed erano quasi 5 milioni) non voleva certo sentirselo dire, dagli
'imboscati' poi.
Quello che
temeva Mussolini accadde, come aveva previsto e
profetizzato. I socialisti riformisti (con Treves e
Turati) sono in difficoltà più di prima della guerra, e nemmeno parlarne di
poter avviare un dialogo con i padroni; questi invece di concertare hanno
preferito la linea dura, si sono uniti e hanno adottato la strategia delle
serrate.
Mentre i
massimalisti dichiaratamente rivoluzionari (con Gramsci
e Bordiga) guardano con molta attenzione i fatti
russi che avrebbero potuto far aprire delle nuove prospettive; la prossima fine
del capitalismo con la tanto attesa rivoluzione. Ma
non hanno i seguaci, hanno solo i pochi (e difendono solo questi) che
ancora lavorano e che sono poi quelli che non hanno fatto la guerra. Non hanno
nemmeno le masse contadine (che per la maggior parte non sono salariati ma sono 3 milioni di piccoli proprietari di
'fazzoletti' di terra) tutti timorosi di perdere con l'avvento
del bolscevismo il loro 'orticello', quindi sordi a tutte le sirene
comuniste.
Insomma
nelle due correnti, e tra queste e le masse si è creata una barriera di totale
incomunicabilità. Non esiste più spazio per i socialisti. Mussolini
è lapidario, caustico ma anche realista 'Vogliono
fare la rivoluzione, ma se li contiamo i conti proprio non tornano'
Mussolini se ne convince ancora di più quando inizia a vedere i pessimi risultati della Rivoluzione Russa. 'Bello i soldati uniti al popolo! Bello il collettivismo! Bello la distribuzione delle terre! Male invece i nuovi dittatori statali nelle fabbriche e nelle campagne'. Non era questo il socialismo che Mussolini sognava da giovane. In Russia il 'padrone' autoritario e il grasso borghese zarista, usciva dalla porta e rientrava dalla finestra con la nascente 'borghesia' statale di partito, ancora più autoritaria e peggiore della precedente perchè non possedeva capacità tecniche e organizzative. Gli esaltati operai credevano di poter mettere in riga i cervelli del vecchio management o impunemente insultare i vecchi padroni. Lenin dimostrando subito i propri limiti e le incapacità a organizzare uno Stato così vasto e burocraticamente così complesso, ha dovuto richiamare in fretta e furia ai loro posti nei vari apparati gli stessi funzionari zaristi, e nelle grandi aziende i vecchi padroni, per riuscire a sopravvivere ed evitare il totale fallimento della rivoluzione che si stava avviando nell'anarchia. E quelli non si fecero pregare; soltanto che borghesi erano e borghesi rimasero. Non più al soldo del padrone ma del Partito, che in quanto a zarismo poteva competere.
Mussolini lo troviamo
quindi a guardare in altre direzioni; é il momento della sua
'conversione' totale. Finita la guerra, se già aveva quelle idee gia
descritte sopra, ma non ancora applicate, dopo una cocente sconfitta elettorale profondamente mutato, lo ritroviamo nel
C'erano tutte le condizioni a favore: buona parte del proletariato senza lavoro, il ceto medio deluso, la rabbia degli ex combattenti e la rottura dentro le file dei cattolici. Ma c'era soprattutto la nuova borghesia industriale che iniziava a combattere le feudali inette energie latifondiste che si opponevano con forza a tutti cambiamenti di una nuova società. Non a caso il fascismo nasce in via San Sepolcro in una saletta messa a disposizione dal Circolo industriale (l'Associazione Industriale -poi Confindustria) proprio in quel 1920). E ovviamente ad ascoltarlo non ci sono solo i 'camerati' o solo gli 'arditi' ma ci sono soprattutto gli industriali (con addosso la tremarella, causata dal bolscevismo - Loro nel fare le serrate non è che avevano risolto il problema. Lo avevano solo rimandato. In certi casi anche inasprito).
Mussolini quasi più
convinto di molti industriali non credeva alla
fine del capitalismo. Perchè non credeva alla forza disordinata delle
masse. E soprattutto non credeva negli ottusi capi.
Lo aveva
scritto infatti su Utopia ancora nel 1915: 'I socialisti commettono un gravissimo
errore, credono che il capitalismo ha compiuto il suo ciclo. Invece il
capitalismo è ancora capace di ulteriori svolgimenti. Non è ancora esaurita la
serie delle sue trasformazioni. Il capitalismo ci presenta una realtà a facce
diverse: economica, prima di tutto'.
Poi nel 1917 frenando gli
entusiasmi dei primi confusi progetti russi: '.La rivoluzione non è il caos, non è
il disordine, non è lo sfasciamento di ogni attività, di ogni vincolo della
vita sociale, come opinano gli estremisti idioti di certi paesi; (il
riferimento alla Russia è chiaro. Ndr) la rivoluzione ha un senso e una portata
storica soltanto quando rappresenta un ordine superiore, un sistema politico,
economico, morale di una sfera più elevata; altrimenti è la reazione, è
Agli operai poi, nel 1921, quando la svolta fu decisamente tutta a destra (e i primi fallimenti in Russia di Lenin erano ormai risaputi) MUSSOLINI così affrontò il proletariato: 'La parola socialista nel 1914 aveva un senso, ma ora è anacronistica.. bisogna esaltare i produttori perché da loro dipende la ricostruzione. e ci sono proletari che comprendono benissimo l'ineluttabilità di questo processo capitalistico.produrre per essere forti e liberi.' - 'le dottrine socialiste sono crollate, i miti internazionalistici caduti, la lotta di classe è una favola'. Voi non siete tutto, siete soltanto una parte, nelle società' moderne. Voi rappresentate il lavoro, ma non tutto il lavoro e il vostro lavoro é soltanto un elemento, nel gioco economico. Finché gli uomini nasceranno diversamente 'dotati', ci sarà sempre una gerarchia delle capacita''. - 'Non basta essere in tanti, ma si deve essere preparati'.
Poi Mussolini
rincarò la dose 'Se per gli
interessi nazionali bisogna lottare contro il socialismo e se
occorre
sostenere i proprietari terrieri e i produttori per non causare lo sfascio
della società in una
rivoluzione
o in una guerra civile, allora il fascismo si schiererà con la borghesia'.
Il 1° agosto dell'anno precedente al suo giornale -Il Popolo d'Italia- aveva già cambiato il sottotitolo. Da Quotidiano Socialista -dopo aver ricevuto ulteriori finanziamenti dagli industriali- lo aveva abilmente sottotitolato: Quotidiano dei combattenti e dei produttori. Poi il 1° gennaio del '21, sarà ancora più esplicito (arrivano i finanziamenti dei 'siderurgici'), e metterà il motto di Blanqui 'Chi ha del 'ferro' ha del pane'. Il patto con gli industriali era ormai senza più sottintesi (e quando andrà al governo alla fine del 22, suo primo pensiero fu quello di abrogare la legge sulla nominatività dei titoli. Gli industriali tirarono un sospiro di sollievo. Infatti molti capitali erano nel frattempo emigrati all'estero per paura di essere tassati o addirittura espropriati dalle rendite finanziarie.
ALBERTINI il direttore del
Corriere della Sera così salutò
la 'svolta': 'il
fascismo ora interpretato é l'aspirazione più intensa di tutti i veri
italiani' (ovviamente il giornale della borghesia si riferiva
a una piccola minoranza di italiani, quelli che avevano i titoli al sicuro).
La Stampa di
Torino 'Il governo Mussolini é l'unica strada da percorrere per ridare agli italiani quell''ordine'
che tutti ormai reclamano intensamente'. (Ci
fermiamo qui ai due maggiori giornali. Tutti gli altri si unirono al coro).
Tutto questo accade nel
La
riconversione dell'economia di guerra verso una produzione di pace, nella sua
lentezza e senza una avveduta guida governativa,
provoca una disoccupazione che sembra avere imboccato una strada senza ritorno.
A renderla drammatica sono poi i debiti di guerra, con le banche in sofferenza,
anche se sono piene di soldi degli speculatori, che però
non hanno certo la 'vocazione' di puntare sulle nuove 'scommesse'
dei piccoli imprenditori. Le piccole industrie quindi sono senza capitali e con
un mercato dei consumi che precipita sempre di più a picco per la poca
liquidità circolante nella popolazione che ha nelle sue file 4.500.000 di ex
combattenti senza lavoro (cui si sono aggiunti quelli (chiamati imboscati da chi era tornato dal
fronte) che terminata la intensissima (14 ore al
giorno) produzione di guerra, sono stati mandati a casa).
Infine, a
forte rischio, perfino il rimborso dei prestiti di guerra (Buoni del Tesoro)
sottoscritti dai risparmiatori. E sono tanti questi malcapitati, tutti
appartenenti alla classe media. Tutti in preda alla più nera
disperazione: una mina vagante questa categoria che vede davanti ai suoi occhi
la grande industria e le banche rifiutarsi di accollarsi i debiti
nonostante gli ingenti profitti fatti con la guerra; e ha -anche questa
categoria- la netta impressione di essere stata tradita, come i reduci. (da notare che tutto questo sta accadendo contemporaneamente
anche in Germania)
Poi arrivò anche il colpo
di grazia con la 'caduta' (prevedibile da mesi - ed era già iniziata
la fuga dei grandi capitali fatti dagli 'squali') della Banca di
sconto. La disperazione della piccola industria, degli artigiani dei coltivatori
e dei risparmiatori fu comune, divenne una cosa sola. Quando il Tesoro farà i conti dei debiti, i propri, più quelli contratti con
gli alleati, con le cifre che sono di dominio pubblico, le speranze dei
risparmiatori di riavere indietro i soldi furono quasi nulle. Forse i pronipoti
nel 1988! Non è un errore! questa la data degli
impegni assunti con l'Inghilterra e l'America per i rimborsi. Altro che guerra
vinta! Ogni nuovo nato si portava dietro fino a sessantotto anni la
'follia' della
Grande Guerra, che era più coerente averla chiamata '
La soluzione che ha adottato il governo per far fronte ai debiti e alle spese sostenute in guerra è stata quella di aumentare le tasse; con la conseguenza di far aumentare il costo della vita e ha così bloccato ulteriormente gli investimenti produttivi. Ma quello che indignava i 4.500.000 reduci, era che il denaro ricavato dal maggior prelievo fiscale serviva buona parte solo per pagare gli interessi dei Buoni del Tesoro (90 miliardi che erano stati emessi per finanziare la guerra) posseduti da chi la guerra non l'aveva fatta, e che ora con il paese dissanguato da uno stillicidio di tasse, quello sporco 'imboscato' ci guadagnava pure!
Una realistica
analisi la fece De Ambris (l'amico di D'Annunzio
nell'avventura di Fiume) ed allarmò ancora di più: lo Stato tassando in questo
sciagurato modo, causava la paralisi della produzione e gli investimenti,
facendo così salire l'inflazione e la disoccupazione. Inoltre essendo il debito
troppo grande, affermava che 'non
lo avrebbe mai annullato questo debito'. Occorrevano decine e
decine di anni. Tanto valeva correre il rischio di fare una rivoluzione, e
anche se era una oscura 'avventura', non
c'erano altri sbocchi in questo quadro globale confuso, contraddittorio, ma
anche piuttosto drammatico. (le spirali delle
violenze, nel 1921-
La guerra ha
provocato dunque due fenomeni. 1) L'industria pesante ha registrato un
enorme sviluppo con la produzione bellica; che però é andata a drenare e a
convogliare tutte le risorse disponibili nel modo più selvaggio, favorendo solo
un ristretto gruppo di industriali (si pensi alla Ansaldo
e alla Fiat, entrambe dall'inizio alla fine della guerra, passarono da
A guerra
finita -finite le grandi commesse militari- entrata in crisi la prima, l'altra
seguì la stessa sorte ma senza tanti traumi, anzi si
prese il lusso con i capitali accumulati e le quote di azioni e gli immobili
fagocitati in cambio di crediti inesigibili, di riuscire a traghettare il
potere dello Stato a questa nuova emergente forte borghesia, non aristocratica,
ma altamente produttiva, persino da proteggere (Come l'invio
dell'esercito ai cancelli della Fiat per far entrare i 'crumiri'
disponibili a sostituire i 'ribelli scioperanti').
E' il primo passo di un patto scellerato dell' impotenza politica, che (servilmente) ipocritamente si giustifica (chi ha messo in bocca queste frasi lo possiamo solo immaginare) con quello che sarà d'ora in poi un ritornello: 'lo facciamo per salvaguardare il patrimonio produttivo del Paese, per salvare l'occupazione, per dare lavoro a tutti'. In nome di questa 'evangelica missione', le altre armi ricattatorie dei poteri forti saranno in seguito anche le innumerevoli sollecitazioni a svalutare la moneta, con tutte le conseguenze negative sulle importazioni di beni di prima necessità; perfino alimentari. Poi questo durerà fino alla fine degli anni Novanta, con Mussolini prima e senza Mussolini dopo. O con il fascismo o con la repubblica, i ricatti sempre gli stessi erano.
2) Avviene poi il secondo fenomeno che era l'effetto del primo: questa nuova classe, ora chiamata dei 'grandi produttori', moderna e spregiudicata, divenuta forte, progressivamente esautora non solo i sindacati ma anche la classe politica, ormai logora, antiquata, anacronistica, fatta di conservatori, di aristocratici, di borghesia sì liberale ma con il Dna feudale, avversi ad ogni mutamento. La grande industria é costretta (e fa di tutto) a scaricarla se vuole andare avanti con certe ambizioni per imitare il modello americano.
La nuova classe -poche
famiglie- sono ora i padroni dell'Italia. D'ora in avanti qualsiasi politico
dovrà fare prima i conti con loro, perchè sono in grado di crearli e anche di
distruggerli i politici. Di condizionarne le scelte economiche e gli indirizzi.
Divenuti potenti, la grande industria e le grandi banche sono una forza
sola. Inoltre entrando la prima di prepotenza dentro i giornali fornisce i
mezzi propagandistici ai politici graditi, che ora sono gli stessi industriali
a scegliersi; la seconda forza (le banche - dove gli anonimi padroni spesso
sono gli stessi grandi industriali) con i suoi nodi scorsoi sul credito, domina
il resto della produzione nella media e piccola impresa, e spesso quest'ultima
è asservita, è clientelare, utile solo per allargare il 'nuovo regno'
di quella grande. Il potere forte fa insomma quello che vuole, quando vuole,
con chi vuole, dove vuole. I politici che ora si scelgono d'ora in avanti
saranno solo dei soggetti manovrabili. Burattini che a loro volta muoveranno altri
fili: con la propaganda ideologica, il patriottismo, la retorica risorgimentale
(una parola che useranno socialisti, i fascisti poi anche gli antifascisti) e
l'oratoria autoritaria.
Droghe utili
e necessarie che servono per avere la massa a servizio e ottenerne il consenso.
Come e con cosa? Ma con l'informazione, con i giornali degli stessi industriali
subito messi a disposizione del regime. ('Vuole
un giornale sig. Mussolini?, non si preoccupi, ci
pensiamo noi, in 24 ore lei avrà un giornale, la sede, la tipografia, le
macchine, la redazione, i giornalisti e tutto il resto'. Questa è la
potenza del grande capitale!).
La cartina d'Italia, col 'nuovo regno', se la prendiamo e iniziamo a tracciare l'organigramma di questo nuovo potere e ad annotare una ad una le nuove società industriali e finanziarie che orbitano come satelliti attorno a quelle 'forti' (queste non arrivano a una decina), la rete che ne viene fuori é tale che vi troviamo imbrigliata nelle maglie tutta l'economia nazionale. Quando se ne occuperà Beneduce, sarà lui a stendere una complicata rete. Una rete che non termina con la fine del fascismo, ma ha una sua continuità per quasi tutta la seconda metà del secolo. Quando una paio di grandi aziende, e un paio di finanziarie riusciranno a condizionare 20.000/30.000 medie e piccole aziende.
Con il fascismo
assisteremo alla grande concentrazione fra società e banche: 'Serve ed é necessario- dicono
gli economisti legati al carro dei 'Signori del Triangolo' - a trasformare l'apparato produttivo del
Paese in un modo razionale, a produttività e competitività molto forte'.
Non e la temuta sovietica collettivazione, ma è la corporazione
E' una
logica imprenditoriale ineccepibile, ma ha il rovescio della medaglia: perchè
diventa forte anche politicamente. L'avvento del fascismo viene a costoro utile
e permette di fare i primi passi. Li autorizza il regime a fare anche le
prime 'prove d'orchestra' dietro lo quinte.
Poi cinicamente sbarazzatosi del teatrante di turno, dal '
BENEDUCE in questo 1921 è
già amministratore delegato dell'INA, poi guiderà
Per anni nel bene e nel
male, Mussolini riempirà molte pagine di storia del
nostro secolo. Ci saranno intuizioni politiche da grande
statista; diventerà per gli industriali l'uomo qualificato a ristabilire l'ordine; mandato 'dalla provvidenza' per il clero
nel dare la soluzione a problemi secolari (il concordato); e varerà ottime
istituzioni sociali ed economiche che sono giunte integre fino a noi (che
vedremo in questi anni e in altre pagine ). Fu tutto il centro motore
del suo movimento, il fascismo,
anche se con gli anni sempre più distaccato da un contatto più diretto con i
suoi collaboratori; sarà il promotore di un regime totalitario che poggiò per
qualche tempo sul consenso di massa, che demagogicamente fu abile a sollecitare
attraverso coreografiche manifestazioni, con i mezzi di comunicazione e gli
slogan.
Non mancò il
prestigio internazionale di un certo periodo del '29 e dintorni. In questi
anni, preso dal miraggio di mutare a vantaggio dell'Italia lo statu quo internazionale (che era in crisi- compresi gli Usa) lui Benito Mussolini, allora antitedesco, il 12 gennaio del 1932, faceva
pubblicare sul giornale <<Popolo d'Italia>> il seguente articolo,
con lo scopo di sensibilizzare l'opinione pubblica europea, contro il
'pericolo delle conferenze internazionali' : (Losanna ecc.)
'I popoli che si avviano faticosamente e fra
inaudite miserie, ad uscire da uno degli inverni più tormentati che la storia
ricordi, appena paragonabile all'ultimo inverno di guerra nelle trincee, ora
che la data della Conferenza di Losanna è ufficialmente fissata, si domandano:
Che cosa accadrà? Avremo una definizione del problema debiti
- riparazioni o sarà rinviato ancora una volta?
Noi avremo
una soluzione radicale oppure avremo una soluzione di compromesso che
dilazionando nel tempo le difficoltà, non farà altro che complicare le cose
all'infinito?
I governi
d'Europa daranno ancora una volta prova di quella tremenda abulia che sembra
paralizzarli tutte le volte che devono affrontare un problema e che li conduce
quindi a polverizzare lo stesso durante i lavori delle Commissioni? Queste ed
altre domande affollano il nostro spirito.
La
conferenza di Losanna deve giungere a quello che ormai si chiama il 'colpo
di spugna', deve concludersi con la cancellazione del dare e dell'avere
nella tragica contabilità della guerra.
Non è
affatto esagerato affermare, così ha detto l'on.
Alessandro Shaw (deputato del Regno Unito, n.d.r.) che la struttura economica e sociale dell'Europa si
avvicina al precipizio; la cruda verità è che se le cose vanno avanti così come
stanno andando, la scelta è semplicemente fra il ripudio dei debiti ed il caos.
Invece di una libera partecipazione con uomini e mezzi alla causa, gli alleati
hanno tracciato la più strana, illogica, antistorica distinzione. Quando un
proiettile americano è stato sparato da un artigliere americano con un cannone
americano, gli Stati Uniti non hanno imposto agli alleati di pagare nè l'uomo, nè il costo del
proiettile. Ma quando il proiettile americano è stato sparato da soldati
alleati per il medesimo scopo, per la causa comune, nello stesso comune
interesse questo ha creato un debito in oro da pagarsi agli Stati Uniti. Mai
prima d'ora nella storia era stato mai stato così ingiustamente applicato. Il
giusto messaggio che tutto il mondo aspetta è: << Rimetti i nostri debiti
come noi li rimettiamo ai nostri debitori'.
Mussolini abbandonò le cautele e, con un atteggiamento di
grande e palese insofferenza, entrò in urto con le potenze occidentali
(veramente poco sensibili ai problemi di alcuni stati europei - e perfino tra di loro - vedi i pessimi rapporti Usa-Gran
Bretagna) e iniziò a rafforzare legami proprio con una Germania dove c'era un Hitler con
gli stessi suoi problemi, figura ancora modesta ma grande suo ammiratore e con
ambizioni più grandi delle sue. L'accordo formale che molto tempo dopo
seguì (il patto d'acciaio) fu un grave e ingenuo errore di valutazione, che
dopo pochi mesi non si poteva più riparare.
L'errore fu
ancora più grande quando ebbe la convinzione che Hitler dopo
i suoi blitz vittoriosi soprattutto in Francia, conquistasse e mutasse l'intera
cartina d'Europa. Nel timore di essere escluso da questa spartizione (e con lui
molti italiani) pur al corrente dello stato di
impreparazione militare del proprio paese (è lui stesso a informare Hitler in una famosa lettera del '39; a dirgli che non è
pronto) decise, cercò, tentò, s'illuse, si sentì forse obbligato (una
parte non indifferente del Paese lo sollecitava) ad intervenire militarmente al
suo fianco per potersi ritagliare a guerra finita, i migliori vantaggi
possibili per l'Italia.
Ma altro non
poteva fare. Aveva le armate tedesche al Brennero e a
Tarvisio dopo il disimpegno a est. E se si appoggiava
alla Francia e all'Inghilterra, visto poi come si squagliarono i loro
eserciti e le loro difese (non capaci neppure di difendersi in casa propria,
figuriamoci se accorrevano in Italia!) l'invasione dell'Italia da ovest, dal
nord, e da est sarebbe avvenuta in 24 ore. In Alto Adige c'erano già 250.000
tirolesi che l' aspettavano.
Venne poi
l'esito disastroso tedesco in Russia, ma ormai era troppo tardi per tirarsi
indietro, contro l'Italia c'erano tutte le potenze (che Mussolini sottovalutava) che
avevano deciso di fermare l'egemonia nazista, quando quella fascista era già
naufragata molto prima del 25 luglio 1943, cioè quando il Paese si sentì estraneo
nella guerra e finalmente capì che Mussolini era un
uomo senza piu' consensi, perdente, e soprattutto
solo, non essendosi circondato da persone capaci e intelligenti, ma solo di
consiglieri che non operavano con realismo nelle situazioni (vedi inizio della
guerra contro
Momenti
drammatici, dove si rispondeva per coprire questi guasti interni, con solo grandi
bluff militari, politici, culturali e di costume, sempre guidati da operatori e
propagandisti di bassa levatura. Ma soprattutto c'erano dentro dirigenti e
generali nobili e gerarchi che volevano
'dirigere' e fare i 'Generali'. E che ritroveremo subito
-dopo l'8 settembre- a guidare l'antifascismo per ritornare a fare i dirigenti
e i generali.
Questo
significa che era solo, ma Mussolini non se ne era
reso conto.
Nel discorso del 25 ottobre 1938, analizzando bene le parole di Mussolini, appare già questa solitudine. E' uno statista perdente! La situazione precipitava davanti a una realtà oggettiva del Paese che dimostra subito quanto effimeri, artificiali, e come erano sempre suonati falsi, gli accenti eroici, i toni di sfida di una certa propaganda. Era quello di Napoli, già il discorso della sconfitta, soltanto che lui non se ne era reso ancora conto, anche se lo aveva intuito: gli italiani che 'contavano' invece sì; non per nulla questa intuizione la esternò con amarezza proprio in questo discorso: ' quel mezzo milione di vigliacchi borghesi che si annidano nel paese'. Infatti, quelli che proprio lui aveva fatto diventare ricchi, gli avevano già voltato le spalle. Un '25 luglio' infatti fu già cospirato il 19 ottobre del 1939 e quasi dagli stessi uomini del successivo '43: Grandi, il Re, il principe Umberto, Balbo.
Quello che avvenne in seguito fu una tragedia. La sua, e insieme quella di un popolo e di una nazione, dove alcuni vecchi antiquati generali presero i migliori uomini italiani per mandarli allo sbaraglio, in Grecia, in Africa, (e scelleratamente a piedi) in Russia. Inquietanti personaggi poi caduti nella polvere e molti nel disonore; caduto lui, Mussolini, quelli gli italiani in armi li abbandonarono, e loro scapparono, aggiungendo tragedia a tragedia (8 settembre '43). Scapparono, ma poi li ritroveremo tutti, ma proprio tutti dopo pochi giorni dentro i meandri degli stessi Palazzi a guidare il Paese, mentre i più disgraziati, iniziarono a darsi la caccia l'un l'altro.
Mattia
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