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Al termine della prima guerra mondiale, crollatol'impero degli Hohenzollern, la Germania si trasformò in una repubblica. Nel periodo di gestazione dei nuovi ordinamenti, il paese fu agitato dalle lotte fra una minoranza comunista, che si batteva per la fondazione di una repubblica sovietica simile a quella russa, e una netta maggioranza anticomunista, guidata dai socialdemocratici e decisa a creare istituzioni liberal-democratiche.
Con l'appoggio dell'esercito, la socialdemocrazia, cui la grande maggioranza del proletariato tedesco rimase fedele, riusci a stroncare i tentativi rivoluzionari di ispirazione sovietica. A Berlino, durante la settimana di sangue (10-17 gennaio 1919), una sollevazione «spartachista» [1] fu drasticamente repressa e gli stessi leader del movimento, Karl Liebknecht e Rosa Luxemburg, vennero trucidati insieme con molti altri insorti.
In Baviera, dove Monaco nell'aprile del 1919 si era proclamata capitale di una Repubblica dei Consigli, la repressione fu rapidamente attuata ai primi di maggio dai reparti militari inviati dal governo centrale.
Nel frattempo era stata eletta a suffragio universale un'Assemblea costituente (19 gennaio 1919) che proclamò la nuova costituzione nell'agosto, dopo aver svolto i suoi lavori nella città di Weimar: di qui deriva appunto la designazione abituale di «Repubblica di Weimar». La Germania veniva organizzata come una Repubblica federale, costituita da 17 Stati regionali (Länder). Il governo centrale, presieduto da un cancelliere, doveva rispondere del proprio operato di fronte al Parlamento (Reichstag), cui competeva il potere legislativo. Il presidente della Repubblica veniva eletto ogni sette anni direttamente dal popolo ed esercitava un'autorità molto ampia come capo supremo dell'esercito e del potere esecutivo. Il primo presidente della Repubblica, che fu il socialdemocratico Friedrich Ebert, venne però eletto dalla stessa Assemblea costituente.
Nel calcolo degli Alleati, la Germania doveva bensi esser mantenuta nel, campo occidentale, come baluardo contro la rivoluzione mondiale del proletariato che era nel programma del Komintern, ma doveva nello stesso tempo esser sottoposta a rigoroso controllo, soprattutto perché, malgrado i danni della guerra e le ingenti perdite territoriali, essa dava segni precoci e indubitabili di forti capacità di ripresa.
L'industria pesante tedesca era pertanto riuscita in un solo lustro a restituire al paese un'infrastruttura di trasporti che era la migliore del mondo per efficienza e per economicità. E questi risultati straordinari erano dovuti non solo alle risorse naturali del paese, ma anche e soprattutto all'alto livello della cultura industriale dei tecnici, dei manager, delle maestranze e dei capitalisti.
Fra i grandi capitalisti un posto di primo piano era occupato da Hugo Stinnes, magnate del carbone e dell'acciaio e leader del «partito dell'industria pesante», deciso a salvaguardare l'indipendenza economica e politica della Germania, senza la quale il suo stesso potere personale, fondato su un impero industriale di proporzioni gigantesche, sarebbe stato distrutto. Mentre i proprietari dell'industria leggera gravitavano verso l'Occidente, Stinnes e i suoi seguaci erano fautori di una stretta amicizia con la Russia sovietica, non certo perché nutrissero simpatie per il comunismo (da loro considerato come uno spettro destinato a scomparire nel termine di pochi anni), ma perché si rendevano perfettamente conto - sulla base dell'esperienza dell'anteguerra - che essi, contribuendo allo sviluppo delle immense risorse virtuali della Russia, avrebbero concluso ottimi affari e ridato alla Germania la potenza economica di un tempo.
Fautore dell'amicizia con la Russia era anche il «partito militare», guidato dietro le quinte dal comandante in capo dell'esercito (Reichswehr), generale Hans von Seeckt, spietato ed efficientissimo nella repressione dei tentativi rivoluzionari comunisti all'interno, ma giustamente convinto che solo l'alleanza con la Russia avrebbe permesso alla Germania di eludere le clausole iugulatorie del trattato di Versailles: la Germania, infatti, cui il Diktat aveva imposto il disarmo unilaterale, avrebbe potuto impiantare o riattivare fabbriche d'armi in Russia, sia a vantaggio proprio, sia a vantaggio dei virtuali alleati Sovietici. Considerazioni altrettanto realistiche spingevano i dirigenti russi ad allearsi con la Germania, che del resto, unica fra le potenze occidentali, si era rifiutata di partecipare al blocco antisovietico nel periodo della guerra civile.
La Germania nutriva un forte risentimento contro gli altri paesi capitalistici, e su questa divisione si doveva far leva. Aveva quella potenza e quella cultura industriale che mancavano alla Russia. Possedeva una collaudatissima esperienza d'armi e di eserciti, della quale l'Armata Rossa si sarebbe grandemente giovata. D'altra parte la Russia aveva tutto l'interesse a uscire dall'isolamento nel quale le potenze occidentali tendevano a mantenerla.
Date queste premesse, un accordo commerciale fra la Russia e la Germania venne stipulato già nel maggio del 1921 e contribui ad incrementare notevolmente gli scambi fra i due paesi, benché la Russia, bisognosa di importazioni di ogni genere, potesse per il momento esportare solo legname greggio, pelli e limitati quantitativi di lino.
I rapporti germano-sovietici si fecero assai più stretti con la firma del Trattato di Rapallo (16 aprile 1922), col quale Russi e Tedeschi si impegnarono a riprendere le normali relazioni diplomatiche, a rinunciare alle rispettive rivendicazioni finanziarie rimaste pendenti dopo la guerra e, soprattutto, a intensificare le relazioni economiche «in uno spirito di buona volontà».
Il Trattato ebbe rapida ed effettiva attuazione. Sorsero numerose società commerciali miste, tedescosovietiche, che permisero di superare le difficoltà di scambio derivanti dalle differenze economico-giuridiche dei due regimi.
Forte impulso ebbe naturalmente anche la produzione bellica, dato che entrambi i paesi aspiravano a superare l'enorme inferiorità che li separava dalle altre grandi potenze mondiali: grazie all'apporto di tecnici, maestranze e materiale germanico, fabbriche di aerei, di proiettili e di carri armati sorsero rispettivamente presso Mosca, negli Urali e a Kazan.
La situazione era certo ancora ben lontana da quella d'anteguerra, ma senza dubbio s'era aperto di fronte ai due paesi un promettente spiraglio, e questo si sarebbe rapidamente dilatato man mano che le risorse virtuali della Russia fossero state messe a frutto.
Le possibilità di ripresa fondate sugli accordi russogermanici furono bruscamente bloccate nel gennaio del 1923, quando la Francia e il Belgio, per rifarsi delle «mancanze della Germania nei versamenti in natura, costatate dalla commissione per le riparazioni», occuparono il bacino della Ruhr, che da solo forniva alla Germania i 4/5 del fabbisogno di carbone e acciaio ed era pertanto il cuore della sua industria pesante.
Quest'aggressione portò la Germania alla rovina.
II governo tedesco rispose all'invasione proclamando la resistenza passiva, e i lavoratori della Ruhr, sostenuti nel loro sciopero ad oltranza dalle finanze pubbliche germaniche, rifiutarono ogni collaborazione con i Francesi, che di fatto non ricavarono alcun vantaggio dall'aggressione.
D'altra parte, le spese sostenute per finanziare la resistenza passiva costrinsero la Germania.a stampare immense quantità di moneta, e l'inflazione raggiunse livelli vertiginosi: in pochi mesi il marco, già svalutatissimo, si svalutò ulteriormente di 26 milioni di volte, tanto che alla fine del 1923 un dollaro si scambiava con 4200 miliardi di marchi.
A questo punto fu naturalmente necessario ritirare la vecchia moneta dalla circolazione e sostituirla con un nuovo marco che, come vedremo, avrà tutt'altro destino.
Queste vicende gettarono i Tedeschi nella più nera disperazione, e le correnti sciovinistiche ne approfittarono per intensificare la campagna antidemocratica e per additare al pubblico disprezzo i «criminali di novembre», cioè coloro che, firmando l'armistizio nel novembre 1918, avevano consegnato la Germania al saccheggio dei vincitori. In realtà i governi del dopoguerra scontavano disastri provocati dalla vecchia classe dirigente, e l'armistizio era stato firmato in condizioni di assoluta necessità, ma questi slogan demagogico-reazionari avevano facile presa sulle popolazioni esasperate.
Fra i movimenti sciovinisti cominciarono allora a farsi strada i nazionalsocialisti di Adolf Hitler, di ispirazione simile a quella del fascismo italiano, dal quale peraltro si distinguevano per l'ideologia razzista antisemita, professata fin dalle origini, che blandiva i peggiori istinti del piccolo-borghese tedesco, tanto più disposto ad accogliere il «verbo» nazista quanto maggiori diventavano le sue sofferenze.
L'inflazione vanificava in un lampo i risparmi accumulati in anni di lavoro tenace, la disoccupazione e la miseria incombevano, le virtù tradizionali del piccolo-borghese (previdenza, costumatezza, rispetto dei propri obblighi sociali) erano svalutate e vilipese: in questa tragica situazione, la piccola borghesia, incapace di cogliere le vere cause della propria rovina, la imputava agli Ebrei, e trovava nell'antisemitismo nazista uno sfogo al groviglio dei risentimenti accumulati.
Di fronte all'impossibilità di sostenere ulteriormente represse le spese della resistenza nella Ruhr, il governo tedesco ne proclamò la completa cessazione il 26 settembre 1923, provocando le più roventi proteste dei nazionalisti, mentre anche il Partito Comunista Tedesco, sostenuto dal Komintern, riprendeva il progetto di un'iniziativa rivoluzionaria, giudicando che la situazione fosse favorevole. In realtà, i tentativi insurrezionali comunisti ad Amburgo e in Sassonia furono rapidamente stroncati, o addirittura prevenuti, dal Reichswehr (fine ottobre 1923), e sorte analoga incontrò una ribellione nazista tentata pochi giorni dopo a Monaco di Baviera (8-9 novembre), che costò a Hitler oltre un anno di prigione.
La rovinosa inflazione del marco, l'instabilità. politica, la questione delle riparazioni, giunta a un punto morto con la fallimentare occupazione franco-belga della Ruhr, consentirono ora agli Stati Uniti di intervenire col loro peso determinante nei problemi dell'Europa centrale, cui essi erano d'altra parte direttamente interessati, perché la Francia dichiarava di non poter pagare i propri debiti di guerra, se i Tedeschi non avessero a loro volta pagate le riparazioni.
In questa prospettiva il finanziere statunitense Charles G. Dawes mise a punto un piano di ricostruzione dell'economia tedesca, o meglio «una manovra finanziaria con cui l'America mise la Germania in condizione di pagare i debiti verso gli Alleati, affinché questi saldassero i propri con l'America» (Rohan Butler).
Il piano Dawes ebbe effettiva attuazione a partire 1 dall'agosto 1924. Secondo quanto esso prevedeva, i Francesi sgombrarono la Ruhr; la Banca Centrale Tedesca (Reichsbank) fu sottoposta alla sorveglianza degli Alleati e affidata alla direzione dell'economista tedesco Hjalmar Schacht, severo custode della stabilità del nuovo marco, da conservare ad ogni costo (ossia a costo di una feroce stretta creditizia che moltiplicò il numero dei fallimenti industriali); un prestito di 800 milioni di marchi oro venne offerto dagli Stati Uniti come base di partenza del nuovo corso economico, e negli anni successivi affluirono dall'Inghilterra e dall'America anche numerosissimi prestiti privati a breve termine e ad alto saggio di interesse.
Le riparazioni - stabiliva il piano - sarebbero state pagate dalla Germania a rate annuali crescenti, e la progettata ripresa economica avrebbe permesso ai Tedeschi di saldare il debito.
La ripresa doveva però essere orientata in modo tale da facilitare il pagamento delle riparazioni. P
ertanto essa non doveva fondarsi sul rilancio dell'industria pesante ad alto contenuto tecnologico e ad alta intensità di capitale, quanto piuttosto sull'industria leggera e sul «razionale» sfruttamento degli impianti (intendendosi per «razionale» il massimo di utilizzazione unito al minimo possibile di spese per il rinnovamento).
Naturalmente, perché il piano andasse a buon fine, occorreva che le leve della produzione fossero nelle mani di poche persone, concordi con la linea che lo ispirava; e per ottenere questo risultato - distrutta dall'occupazione della Ruhr e dalla stretta creditizia la potenza del vecchio «partito dell'industria pesante» - si facilitava la formazione di nuovi enormi trust, destinati nel volgere di pochi anni a diventare i maggiori finanziatori del nazismo hitleriano.
Quest'ultima conseguenza, per la verità, non era affatto nei propositi del piano e si manifestò soprattutto quando la crisi del 1929 costrinse i finanzieri anglo-americani a ritirare i loro prestiti e sottrasse pertanto la Germania al loro controllo
Il «miracolo economico» tedesco degli anni del piano Dawes (1924-1929) crollò allora come un castello di carta, appunto perché, a nostro avviso, la vantata «ricostruzione» dell'economia germanica era stata in realtà fin dall'inizio più simile a uno sfruttamento semicoloniale della Germania che a una reale espansione delle sue capacità produttive.
All'artificiosa ripresa economica tedesca determinata dal piano Dawes corrispose una stabilizzazione politica della Repubblica anche più artificiosa ed evanescente.
Nell'aprile del 1925, morto il presidente Friedrich Ebert, fu eletto a succedergli il generale Hindenburg, tipico e autorevole rappresentante del più genuino militarismo prussiano.
L'attività diplomatica della Germania sembrava dunque rivolta alla pace, ma nello stesso tempo all'interno del paese si rafforzavano le organizzazioni paramilitari di estrema destra, come lo Stalhelm (Elmo d'acciaio) o come le S.A. (Sturm-Abteilung =Sezioni d'assalto) naziste.
La magistratura, severa nel punire le violazioni della legge commesse dai comunisti, tendeva ad assolvere o a punire con pene irrisorie le violenze dei nazionalisti. L'esercito, ridotto di numero ma perfettamente efficiente, si considerava come uno stato nello stato, sganciato dalle istituzioni, delle quali avrebbe potuto decidere la rovina anche semplicemente rifiutandosi di intervenire in loro difesa.
Hindenburg, anziché svolgere la funzione di mediatore e di moderatore che gli competeva, favoreggiava apertamente gli schieramenti di destra.
La Repubblica di Weimar, insomma, sostenuta sinceramente dai soli socialdemocratici (peraltro incapaci di risolverne i problemi sociali ed economici fondamentali, e logorati dal violento contrasto con i comunisti), veniva a ragione definita, secondo un'espressione corrente, «una repubblica senza repubblicani».
A1 rapido deterioramento della democrazia in Germania corrisponde d'altra parte la diffusione di regimi parafascisti in Spagna (1923), in Portogallo, in Polonia e in Lituania (1926) e in Iugoslavia (1929).
Con la crisi del 1929 e col conseguente crollo dell'economia tedesca si creano alla fine le condizioni perché il nazismo, già largamente affermatosi, si imponga come forza dominante.
Fra il 1930 e il 1932 la produzione industriale germanica, non più sostenuta dai crediti stranieri, diminuisce del 50% circa; la disoccupazione si estende a più di sei milioni di lavoratori; i salari calano del 10% e più, mentre i prezzi al consumo salgono di circa il 60%, sicché i salari reali risultano quasi dimezzati.
La Germania, che il piano Dawes pretendeva d'averricostruita, è ancora una volta ridotta alla disperazione, e la sfiducia nelle istituzioni e nei partiti tradizionali si insinua non solo nella piccola borghesia, ma anche tra le file del proletariato.
I nazisti, appoggiati e finanziati dai grandi trust, hanno quindi buon gioco nel presentarsi demagogicamente all'opinione pubblica come gli unici autentici rappresentanti del popolo tedesco.
Esperti nelle moderne tecniche di mobilitazione e di manovra delle masse e spesso dominatori delle piazze, grazie alle loro bande paramilitari, essi subentrano progressivamente ai vecchi partiti della conservazione e nello stesso tempo fanno breccia anche presso l'elettorato popolare.
Nelle elezioni per il Reichstag del settembre 1930 i nazisti ottengono 6 400 000 voti e 107 seggi, contro il milierne di voti e i 12 seggi conseguiti nel 1928: essi sono ormai secondi solo alla socialdemocrazia, che, pur conservando la maggioranza relativa con 8 580 000 voti e 143 seggi, subisce una netta flessione.
Nell'aprile del 1932 si svolgono le nuove elezioni presidenziali, e i candidati più importanti sono Hindenburg e Hitler, cioè due diversi esponenti delle stesse tendenze reazionarie e nazionalistiche. Ciò nondimeno la situazione della Repubblica è cosi disperata che i socialdemocratici accettano l'improponibile alternativa e, rinunciando a presentare un loro candidato, concentrano i voti su Hindenburg, che viene eletto con 19 milioni di voti, contro i 13 milioni riportati da Hitler.
Quindi, perché lo stesso Reichstag abbia una composizione anche più corrispondente ai nuovi rapporti di forza stabilitisi coll'ascesa di Hitler al potere, Hindenburg lo scioglie anticipatamente e indice nuove elezioni per il 5 marzo 1933.
I metodi usati dai nazisti durante la campagna elettorale furono tali da far impallidire le violenze fasciste del 1924: la polizia, ulteriormente nazificata con l'immissione di nuove leve reclutate fra le bande di Hitler, fu largamente usata per reprimere l'opposizione, e il 27 febbraio fu inscenato a Berlino l'incendio del palazzo del Reichstag per farne ricadere la responsabilità sui comunisti, subito imprigionati a migliaia mentre un'ondata di violenze si abbatteva su tutti gli avversari del nazismo. In queste condizioni, fu titolo di onore per il popolo tedesco il fatto che i nazisti non riuscirono a conquistare più di 17 milioni di voti, mentre ancora i socialdemocratici ne ottennero 7 milioni, i comunisti 5, il Centro cattolico quasi 4 e mezzo.
I nazisti comunque, coll'appoggio dei nazionalisti, avevano ormai al Reichstag la maggioranza assoluta e, in ogni caso, erano ben decisi a conservare il potere con qualsiasi mezzo.
Sciolti o costretti ad autosciogliersi gli altri partiti, tolti di mezzo i sindacati, il 14 luglio del 1933 il governo, che già si era fatto attribuire dal Reichstag i pieni poteri, emise una legge che riconosceva diritto di esistenza al solo «Partito nazionalsocialista tedesco dei lavoratori».
L'erezione del nazismo a regime fu perfezionata con la morte di Hindenburg (2 agosto del 1934), che consenti a Hitler di farsi proclamare anche capo dello Stato. Il discepolo ideale di Mussolini, più rapido e brutale del maestro, s'impose pertanto in brevissimo tempo come indiscusso Führer (duce) del Reich tedesco.
Del resto, nonostante la sostanziale affinità col fascismo italiano, il nazismo tedesco - enormemente più pericoloso perché affermatosi in un paese dotato di grandi risorse produttive e demografiche - presenta alcuni caratteri specifici che non devono essere sottovalutati:
l'alone di pseudo-misticismo che circonda il Führer è qualche cosa di ben più tragico dell'esaltazione ufficiale italiana del «duce»;
il totalitarismo fascista scalfisce ma non distrugge i valori della tradizione cristiana, mentre il nazismo propugna un neo-paganesimo, fondato sul mito del sangue e della razza, per il quale il Tedesco, considerato come un essere biologicamente superiore, dovrà subordinare a sé, ridurre in schiavitù o sterminare tutte le altre razze «inferiori»;
il fascismo non rifiuta completamente la tradizione umanistica, anzi la esalta, per quanto solo verbalmente e retoricamente, mentre il nazismo delira di una nuova scienza e di una nuova cultura tedesca, che dovrebbe ripudiare ogni valore di ragione e contrapporsi alla tradizione «liberale e giudaica».
Con l'ascesa di Hitler al potere la guerra s'accampava nel cuore dell'Europa. Malgrado le iniziali dichiarazioni del Führer, rivolte a tranquillizzare i governi occidentali per prendere tempo, le sue intenzioni risultavano evidenti, oltre che dai programmi del partito, dalle sue prime mosse nella politica estera: l'abbandono già nell'ottobre del 1933 di una Conferenza internazionale per il disarmo, allora in corso, e l'uscita della Germania dalla Società delle Nazioni.
Per giunta, il superamento della crisi economica e il riassorbimento della disoccupazione vennero perseguiti dal nazismo mediante un massiccio e progressivo rilancio della produzione bellica, al fine dichiarato di preparare la Germania a smantellare con la forza delle armi le clausole del trattato di Versailles e a conquistarsi un adeguato «spazio vitale».
La Francia e l'Inghilterra - già cosi esose nei confronti della Germania democratica - si dimostrarono invece più che remissive di fronte all'evidente aggressività nazista. Questo atteggiamento si spiega solo con la convinzione, largamente diffusa nelle classi dirigenti, che il nazismo fosse, comunque, un solido baluardo contro il bolscevismo, se non addirittura un'arma da scagliare a tempo opportuno contro la Russia sovietica.
D'altra parte la «condiscendenza» inglese e francese nei confronti del nazismo nasceva a sua volta dalla crisi interna dei due paesi, nei quali - benché le istituzioni liberal-democratiche riuscissero a resistere al dilagare del fascismo - la vita politica subi una netta involuzione.
In Inghilterra il Partito laburista - fondato nel 1905 con l'appoggio delle Trade Unions - subentrò ai liberali, come antagonista dei conservatori, a partire dalle elezioni parlamentari dell'ottobre 1924. Il nuovo «bipartitismo» che cosi si affermò - fondato sulla dialettica conservatori-laburisti, più adeguata alle esigenze di una moderna società industriale - non riusci però a modificare profondamente i rapporti di classe. I conservatori, forti della maggioranza conquistata nel 1924, risposero alle vaste agitazioni proletarie del 1926 con una legislazione fortemente restrittiva del diritto di sciopero; ma anche quando i laburisti, riusciti vincitori nelle elezioni del maggio 1929, ottennero la presidenza del Consiglio, perseguirono una politica di risanamento della crisi economica mediante riduzione dei salari, che non si discostava sostanzialmente da quella dei conservatori.
Dal 1935 sino all'inizio della seconda guerra mondiale la presidenza del Consiglio tornò ai conservatori, i cui cedimenti alle aggressioni naziste avremo modo di esaminare più avanti.
Anche in Francia, dalla fine della guerra sino al 1936, prevalsero nettamente le forze più moderate, salvo brevi periodi durante i quali il governo passò ai radicali, dimostratisi peraltro del tutto incapaci di operare una reale svolta politica. Negli anni Trenta, caratterizzati da una forte instabilità politica e da un calo rilevante della produzione industriale, gruppi di estrema destra come la Croix de feu o l'Action française puntarono addirittura all'eliminazione della democrazia parlamentare e all'instaurazione di un regime autoritario. Un loro tentativo insurrezionale fu peraltro stroncato energicamente dalla polizia e dall'esercito (febbraio 1934), e anzi provocò per reazione l'accordo delle sinistre (comunisti, socialisti e radicali) per la costituzione di un Fronte popolare: e il Fronte riportò una netta vittoria nelle elezioni dell'aprile-maggio 1936.
Conseguentemente, si formò un governo di coalizione radical-socialista, presieduto dal leader socialista Léon Blum e appoggiato dall'esterno dai comunisti, che s'impegnò in un'efficace attività riformatrice in favore dei lavoratori. Ne seguirono però massicce fughe di capitali all'estero e un forte calo negli investimenti, con conseguenze economiche tali che Blum dovette dimettersi (giugno 1937), e i successivi governi, presieduti da esponenti del partito radicale, ridimensionarono drasticamente le riforme da poco attuate.
Nella politica estera, del resto, neppure Blum aveva potuto sottrarsi alle pressioni del capitale francese e del governo inglese e, come vedremo, aveva dovuto abbandonare la vicina repubblica spagnola alla reazione falangista, concretamente appoggiata sul piano militare dal nazismo tedesco e dal fascismo italiano.
Lettura: I «25 punti» del programma nazista
Questi «25 punti» del programma nazista originario furono letti da Adolf Hitler in una riunione pubblica a Monaco il 24 febbraio 1920.
Sette di essi (cioè i punti 4, 5, 6, 7, 8, 23, 24) si riferiscono in tutto o in parte, direttamente o indirettamente, al problema della razza, la cui importanza oggettiva nella Germania del 1920 - anche a voler concedere che un simile problema possa mai imporsi come tale - lasciamo giudicare al lettore.
Ma l'abilità del programma stava appunto nella sua attitudine a suscitare emozioni profonde, legate agli istinti ancestrali della difesa di gruppo e disgiunte da qualsiasi contenuto critico concreto: com'è dimostrato dall'analisi delle numerose enunciazioni che risultano ovvie o assolutamente generiche. Si veda, per esempio, la conclusione del punto 6, che stigmatizza l'attribuzione di cariche «in base a considerazioni di partito, senza tener conto del carattere e delle capacità»; o l'inizio del punto 10, che dichiara «Primo dovere di ogni cittadino dello Stato quello di produrre, spiritualmente e materialmente»; o il punto 18, che chiede «la lotta a fondo contro coloro che esplicano attività dannose per l'interesse della comunità», invocando sbrigativamente contro di essi la pena capitale. Come se fossero concepibili partiti che chiedano apertamente di ignorare le capacità personali nell'attribuzione delle cariche, che consiglino l'ozio collettivo, che propongano premi per i parassiti della società.
Arriviamo cosi all'allucinante punto 19, che vuole la sostituzione del diritto romano, «che serve il mondo materialistico», con un non meglio definito «diritto comune germanico».
Eppure queste vacuità demagogiche, violente e perentorie - unite a promesse più precise, se pur irrealizzabili, come quelle del punto 16 - erano perfettamente studiate per corrompere il proletariato e per far breccia nella mezza cultura, nei risentimenti, nel candido idealismo del piccolo-borghese tedesco.
Noi chiediamo la riunione di tutti i Tedeschi in una Grande Germania, in base al diritto di autodecisione dei popoli.
Noi ,chiediamo la parità di diritto del popolo tedesco di fronte alle altre nazioni, nonché l'abolizione dei trattati di pace di Versailles e di San Germano.
Noi chiediamo terra e suolo (colonie) per nutrire il nostro popolo e per insediarvi la nostra eccedenza di popolazione.
Può essere cittadino dello Stato solo chi sia connazionale. Può essere connazionale solo chi sia di sangue tedesco, senza riguardo alla sua religione. Nessun ebreo può quindi essere connazionale.
Chi non è cittadino dello Stato deve poter vivere in Germania solo in veste di ospite e deve sottostare alla legislazione che regola il soggiorno degli stranieri.
Il diritto di influire sulla condotta e sulle leggi dello Stato può spettare solo al cittadino dello Stato. Per questo noi chiediamo che tutte le cariche pubbliche di qualsiasi genere, cioè del Reich, dei Lànder o dei comuni, possano venir occupate solo da cittadini dello Stato. Noi lottiamo contro il parlamentarismo corruttore, contro l'attribuzione di cariche in base a considerazioni di partito, senza tener conto del carattere e delle capacità.
Noi chiediamo che lo Stato si impegni ad aver cura in primo luogo di assicurare lavoro e possibilità di esistenza ai cittadini dello Stato. Qualora non sia possibile nutrire la popolazione dello Stato, gli appartenenti ad altre nazionalità (cioè coloro che non sono cittadini dello Stato) dovranno venir espulsi dal Reich.
Si dovrà impedire ogni nuova immigrazione di non-tedeschi. Noi chiediamo che tutti i non-tedeschi che sono immigrati in Germania dopo il 2 agosto 1914 vengano costretti a lasciare immediatamente il Reich.
Tutti i cittadini dello Stato devono possedere eguali diritti ed eguali doveri.
Primo dovere di ogni cittadino dello Stato deve essere quello di produrre, spiritualmente e materialmente. L'attività del singolo non deve urtare contro gli interessi della comunità, ma deve applicarsi nel quadro della collettività e per il bene di tutti.
Per questo noi chiediamo:
Abolizione del reddito ottenuto senza lavoro e senza fatica. Abolizione della schiavitù dei prestiti ad interesse.
Considerando l'immane sacrificio di beni e di sangue che ogni guerra chiede al popolo, l'arricchimento personale per mezzo della guerra deve venir dichiarato delitto contro il popolo. Noi chiediamo quindi la confisca integrale di tutti i profitti di guerra.
Noi chiediamo la statizzazione di tutte le imprese associate (trusts) esistenti.
Noi chiediamo la partecipazione agli utili nelle grandi imprese.
Noi chiediamo una completa riforma delle previdenze per la vecchiaia.
Noi chiediamo che venga creata e conservata una sana classe media; che i grandi magazzini vengano subito comunizzati ed affittati a basso prezzo a piccoli commercianti; che si aiutino tutti i piccoli commercianti mediante le forniture allo Stato, ai Lànder e ai comuni.
Noi chiediamo una riforma fondiaria adatta ai nostri bisogni nazionali, l'emanazione di una legge per l'espropriazione del suolo senza indennizzo per fini di pubblica Utilità 2, l'abolizione dell'interesse fondiario e il divieto di ogni speculazione sui terreni.
Noi chiediamo la lotta a fondo contro coloro che esplicano attività dannose per l'interesse della comunità. Coloro che commettono delitti contro il popolo, gli usurai, i profittatori ecc., devono essere condannati a morte, senza distinzione di confessione o di casta.
Noi chiediamo che il diritto romano, che serve il mondo materialistico, venga sostituito da un diritto comune germanico.
Lo Stato deve provvedere a una radicale riforma di tutto il nostro sistema di istruzione popolare, al fine di permettere ad ogni Tedesco capace ed attivo di raggiungere un'istruzione superiore e quindi di salire a posti direttivi. I programmi di studio di tutti gli istituti scolastici devono conformarsi ai bisogni della vita pratica. La comprensione del concetto di Stato deve venir diffusa dalla scuola (istruzione civica) non appena incomincia ad aprirsi l'intelligenza del fanciullo. Noi chiediamo che i figli dei genitori poveri, dotati di particolare intelligenza, vengano educati a spese dello Stato, senza aver riguardo alla posizione sociale o alla professione dei genitori.
Lo Stato deve provvedere a migliorare la salute pubblica, proteggendo la madre e il fanciullo, vietando il lavoro giovanile, rafforzando la prestanza fisica mediante l'istituzione di ginnastica e sport obbligatori, dando il massimo appoggio a tutte le associazioni che si occupano dell'educazione fisica della gioventù.
Noi chiediamo che venga abolito l'esercito di mestiere e che venga formato un esercito di popolo.
Noi chiediamo la lotta legale contro le menzogne politiche consapevoli e contro la loro diffusione a mezzo della stampa. Per rendere possibile la creazione di una stampa tedesca, noi chiediamo:
a) che tutti i redattori e collaboratori di giornali pubblicati in lingua tedesca debbano essere connazionali;
b) che i giornali non tedeschi debbano ottenere, per essere pubblicati, un'espressa autorizzazione dello Stato; e che non possano venir stampati in lingua tedesca;
c) che ogni partecipazione o influenza finanziaria su giornali tedeschi da parte di non Tedeschi venga vietata legalmente, e che la violazione di questa norma venga punita con la chiusura del giornale e con l'immediata espulsione dal Reich delle persone non tedesche implicate. I giornali che contrastano con l'interesse della comunità devono essere vietati. Noi chiediamo la lotta legale contro organizzazioni artistiche e letterarie che esercitano un influsso disgregatore sulla nostra vita nazionale, e chiediamo la chiusura delle istituzioni che violano i principi sopra esposti.
Noi chiediamo la libertà di tutte le confessioni religiose entro lo Stato, in quanto esse non minaccino la sua esistenza o non urtino contro la coscienza morale della razza germanica. Il Partito, come tale, difende la concezione di un cristianesimo positivo 3, senza legarsi confessionalmente ad una determinata fede. Esso lotta contro lo spirito ebraico-materialista entro di noi e fuori di noi, ed è convinto che un durevole risanamento del nostro popolo può avvenire soltanto dall'interno, sulla base del principio: l'interesse comune deve prevalere sull'interesse privato.
I Capi del Partito promettono di lottare a fondo, se necessario esponendo la propria vita, per l'attuazione di questi punti.
(in B. Pagani e S. Pozzani, La Germania nel dopoguerra (19181938), Milano, LS.P.L, 1938)
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