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L’evoluzione della donna - tesina




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L’EVOLUZIONE DELLA DONNA


Nelle civiltà patriarcali, la donna non ebbe altra funzione che quella di assicurare la discendenza alla famiglia; ad esempio nell’ambito della civiltà greca le donne non avevano il permesso di lasciare l’abitazione se non in particolari circostanze; esse erano sottoposte alla potestà paterna e soggette alla tutela del fratello o del marito.

Invece a Roma la donna godeva di una maggiore libertà, e riceveva una più completa educazione intellettuale, pur essendo sempre sottoposta al capofamiglia.

Con l’avvento del Cristianesimo fu riconosciuta l’uguaglianza della donna e dell’uomo davanti a Dio, il matrimonio fu considerato indissolubile e fu vietato il ripudio della donna.

Inoltre nel Medioevo iniziò l’evoluzione intellettuale della donna, e il Rinascimento creò condizioni favorevoli all’evoluzione, oltre che intellettuale, anche sociale della donna, ma non ne segnò al pari un’evoluzione in campo giuridico.

Si ebbero dei cambiamenti alla fine del XVIII sec., quando il generale diffondersi delle idee di uguaglianza innescarono un processo di emancipazione. Nel corso della rivoluzione francese, anche le donne reclamarono il riconoscimento della loro parità. “La dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina” di Olympe de Gouges del 1791 segnò l’inizio del FEMMINISMO.

Nella seconda metà dell’Ottocento, si ebbe l’ingresso delle donne in fabbrica che cominciarono a percepire un salario autonomo. Così, alla fine dell’Ottocento, l’obiettivo del movimento femminista fu la conquista dei diritti civili e politici.

All’inizio del Novecento, invece, in Italia, le prime battaglie del movimento femminista riguardavano il diritto al voto ed al mantenimento del posto di lavoro.

Successivamente, con l’arrivo della prima Guerra Mondiale, il ruolo della donna “suffragetta”, ossia di colei che reclama il suffragio universale, fu fondamentale: fu chiamata a sostituire gli uomini al fronte, sia in campagna sia in città, ed in più fu impegnata come crocerossina e ausiliaria. Così, tra il 1914 e il 1918, essa acquisì sempre più importanza all’interno della società. Ma non fu facile come sembra, perché la nuova posizione della donna nella società fu vista come pericolo per il mondo maschile, così iniziarono le prime manifestazioni contro le donne lavoratrici, arrivando persino ad aggredirle.

In questi anni giunse anche il romanzo autobiografico “Una donna” di Sibilla Aleramo.







SIBILLA ALERAMO: “Una donna”


Biografia


Sibilla Aleramo, pseudonimo di Rina Faccio, nacque ad Alessandria il 14 Agosto 1876.

Si trasferì con la sua famiglia da Milano ad un piccolo paese nelle Marche, dove all’età di sedici anni dovette sposare Ulderico Pietrangeli, un operaio della fabbrica del padre, che l’aveva violentata. Risentendo sia dell’instabilità mentale della madre sia dell’unione forzata tentò il suicidio, e per il resto della vita ebbe diverse crisi depressive; la scrittura divenne l’unica via di salvezza.

Nel 1899 la sua reputazione era grande e le fu offerto di dirigere una rivista femminile a Milano, dove si era trasferita con la famiglia; questo evento le permise di abbandonare la sua famiglia e di affermarsi come persona.

Morì a Roma nel 1960.


Breve riassunto


Il romanzo “Una Donna” (1906), opera autobiografica di Sibilla Aleramo, inizia con il ricordo della fanciullezza spensierata della protagonista e presenta vari personaggi soffermandosi su alcune figure chiave, come il marito e il figlio; tutte persone che hanno segnato profondamente la sua vita. Il nodo di tutto è la disuguaglianza costruita a partire dal sesso. All’età di dodici anni si trasferisce da Milano in una città del Mezzogiorno, poiché il padre era diventato un direttore d’industria. Dopo pochi anni lasciò gli studi e divenne impiegata nella fabbrica del padre. Il passaggio dal mondo lavorativo ad un matrimonio senza amore e violento, a cui fu costretta, la videro interprete di un ruolo che odiava: quello di moglie e madre, in cui era richiesto l’annientamento del proprio Io. Da queste vicende personali nasce l’esigenza di cercare attraverso la scrittura la sua identità. Nel romanzo prevale la rivendicazione sociale di un ruolo pari a quello del marito; infatti, nelle liti con il marito, la giovane cerca di tenere duro per far crescere il figlio con una mentalità aperta. Dalle liti però si passò alle percosse, così la giovane decise di partire, ma il marito acconsentì a patto che il figlio rimanesse con lui; la ragazza partì, convinta che, nel giro di pochi giorni, il figlio l’avrebbe raggiunta; ma non fu così.

La protagonista, allora, decise di scrivere un libro per far sì che le parole in esso contenute potessero raggiungere il figlio.


Analisi del romanzo


Questa storia ruota attorno al fantasma della madre, creatura debole e inferiore agli occhi della figlia: quella madre che, giovane, aveva deciso di “salvaguardare” il matrimonio non per amore, ma per il bene dei figli; e che, nel martirio di un’unione fallita, cerca di sottrarsi ad essa prima col tentato suicidio e poi finendo in un manicomio pur di autocancellarsi dall’unione col coniuge. Vi è anche la figura del padre: apparentemente illuminato, libero pensatore, intraprendente; in realtà marito vile ed egoista.

Infine vi è il marito: ottuso, incolto, legato alla continua mania di usare la violenza e all’idea che aveva del possesso: tutto doveva appartenergli ed essere di “sua proprietà”.

La vita della protagonista andrebbe ricalcando quella della madre: una catena identica finirebbe con l’imprigionarla ad un matrimonio senza amore, alla gelosia morbosa e alle bastonate del marito, e tutto potrebbe sfociare nella follia come per la madre.

Ma l’avvio di una collaborazione con una rivista femminile rende maggiormente cosciente la protagonista del fatto che una donna deve potersi esprimere anche al di fuori della famiglia la sua identità e conquistarsi una vita indipendente.

Il pensiero della madre, che ha sacrificato ai figli e ad un uomo-padrone la sua esistenza infelice, l’aiuta a ripercorrere un cammino difficile, ma necessario, di rigenerazione; ma il marito la maltratta nuovamente e l’unica cosa che la trattiene dal lasciare il tetto coniugale è il timore di non riuscire a portare con sé il bambino, il quale le ha dato l’unico motivo per vivere.

Dopo un doloroso percorso interiore, ella decide di abbandonare la casa e il bambino, al quale è dedicato il libro, nella speranza che possa comprendere la tormentata strada che l’autrice-protagonista ha sentito di dover percorrere.


“Una donna” può essere considerato uno dei primi libri femministi d’Italia, ma può essere anche considerato una vera e propria battaglia contro la morale egemone, per la quale la donna ha come dovere primordiale quello di assicurare la riproduzione e l’allevamento della prole.

Come Sibilla Aleramo, anche Alda Merini, poetessa tutt’oggi vivente, ebbe problemi psichici molto gravi.


Alda Merini nacque a Milano il 21 marzo 1931. La famiglia di Alda Merini era composta dal padre, funzionario delle Assicurazioni Generali Venezia, dalla madre casalinga, da una sorella maggiore e un fratello minore.

Dovette compiere gli studi superiori in un istituto professionale, perché fu respinta in italiano al liceo; contemporaneamente si dedicò allo studio del pianoforte. Iniziò a comporre le prime liriche a quindici anni e il primo, autentico incontro con il mondo letterario avviene l'anno successivo, quando Giacinto Spagnoletti scoprì per primo il vero talento della poetessa. Proprio nel '47, la Merini inizia a frequentare la casa di Spagnoletti, dove conosce, fra gli altri, Giorgio Manganelli, il quale fu un vero maestro di stile per lei, oltre che il suo primo grande amore.

Ma il '47 è anche l'anno in cui si manifestano i primi sintomi di quella che sarà una lunga malattia: viene internata per un mese in clinica e, una volta dimessa, riceve l'aiuto degli amici più cari.

Nel '50 Spagnoletti pubblica nell'antologia Poesia italiana contemporanea 1909-1949 le due liriche “Il gobbo” e “Luce”. L'anno successivo, le stesse liriche, insieme con altri due componimenti, vengono incluse da Vanni Scheiwiller nel volume “Poetesse del Novecento”, su consiglio di Eugenio Montale e Maria Luisa Spaziani. Già da questi primi componimenti si intuiscono quelli che saranno motivi ricorrenti nella poetica della Merini: l'intreccio di temi erotici e mistici, di luce e di ombra, il tutto, però, amalgamato da una concentrazione stilistica notevole, che nell'arco degli anni lascerà spazio a una poesia più immediata, intuitiva.

Sia nel libro “Una donna” che nelle poesie di Alda Merini, le autrici parlano di loro stesse; fino a quel momento, in letteratura erano stati soprattutto gli uomini a parlare delle donne.


UGO FOSCOLO


La concezione dell’amore per Foscolo ha una connotazione passionale e romantica, è un sentimento importante, vissuto come esperienza che si intreccia con quella politica. Questo aspetto si nota nelle “Ultime lettere di Jacopo Ortis” dove, in seguito al trattato di Campoformio, Jacopo; deluso dall’atteggiamento politico di Bonaparte nei confronti di Venezia, abbandona la città e si ritira sui Colli Euganei.

Qui incontrerà Teresa (la divina fanciulla) e s’innamorerà, ma questo amore irrealizzabile accentuerà il suo dolore, già presente per la patria perduta.

L’ideale dell’Ortis patriota corre sullo stesso piano dell’Ortis amante.

Le forme del corpo di Teresa sono definite “angeliche” e le labbra “celesti”, ricordando Laura di Petrarca. Questa celebrazione della donna come presenza angelica rende religioso e sensuale il rapporto dell’innamorato con lei.

La donna per questo autore può provare compassione, questo la porta a visitare la tomba di un defunto mantenendone vivo il ricordo. La donna è inoltre dotata di pudore. Teresa non condivide il criterio di utile della società e ricambia l’amore di Jacopo.

Nelle Odi sono evidenti gli echi della poetica neoclassica e una certa influenza delle Odi pariniane galanti e amorose. Nelle Odi di Foscolo la celebrazione femminile si trasfigura nel mito ideale della bellezza, come unico conforto per alleviare il dolore umano. Nell’ultima parte di quest’opera, viene riconosciuta la fugacità della bellezza, compito del poeta è esternare, attraverso l’opera d’arte, questo ideale.

Le Grazie sono un altro vertice della poetica foscoliana. Sono concepite come divinità intermedie tra il cielo e la terra. Esse riescono a suscitare nel cuore degli uomini gli affetti più nobili. L’opera è divisa in tre parti: il primo Inno è dedicato a Venere, il secondo a Vesta e il terzo a Pallade.


GIACOMO LEOPARDI


L’amore, per Leopardi, è la più potente delle illusioni e sarà l’ultima a morire. E’ concepito come passione totale che coinvolge l’intera esperienza esistenziale degli individui.

Nella prima fase della sua poetica l’amore viene descritto nella “Storia del Genere umano”.

Esso, si narra, venne dato agli uomini da Mercurio come una delle illusioni che dovevano distrarli dalla loro triste condizione di vita.

La passione senza oggetto e senza speranza si trasforma in passione reale nel ciclo delle poesie per Aspasia dedicate all’amore per Fanny Targioni Tozzetti.

Insiste sulla grande passione concepita come prova di forza e di valore nei rapporti col mondo.

I canti d’amore del ciclo di Aspasia sono molto importanti per la nascita della poetica del Titanismo: la morte diventa prova del senso eroico suscitato dalla passione d’amore.

Sarà proprio la potente illusione amorosa che darà al poeta la forza di una sfida estrema alla negatività del mondo, che impone il dovere di una resistenza collettiva al male del mondo.

Amore e illusione sono amati dal poeta e sentiti come felicità vera, perché coincidono con una pienezza totale della nostra vita.

Nel canto “A se stesso” crolla per il poeta un’illusione, cioè l’amore per Fanny Targioni Tozzetti che gli fece credere di poter essere felici sulla terra.

Questo disinganno portò al crollo di ogni mito e illusione, Leopardi li rigetta per affrontare, con un’eroica ribellione, l’ultima lotta contro il destino.


GIOVANNI VERGA


Nelle sue opere, Verga rappresenta un amore elementare, travolgente, spesso non corrisposto, con esiti negativi e che si conclude talvolta con un suicidio; in generale non coincide con il matrimonio, che è un fatto sociale.

La donna è una creatura lussuriosa, inquietante e quindi si mette in scena un amore sensuale, contrastato e spesso torbido.

Nelle opere veriste l’amore viene concepito come un istinto, analizzato con metodo scientifico e rappresentato in relazione all’ambiente sociale e culturale.

L’amore non rappresenta un valore “sentimentale”, non è consolatorio, non modifica la condizione di vinti dei personaggi.

In mastro don Gesualdo esso si identifica con il matrimonio ed è utile per garantirsi un’ambita promozione sociale, ma anche in questo caso il protagonista non può che costatare la sua solitudine e la sua sconfitta.

Neppure nei Malavoglia l’amore è un ideale per il quale si lotta; spesso è accompagnato dalla sottomissione e dalla rinuncia: è il caso di Mena che rinuncia al matrimonio con compar Alfio.


GABRIELE D’ANNUNZIO


D’Annunzio ricercava nell’amore un molteplice godimento: il diletto di tutti i sensi, gli abbandoni del sentimento, gli impeti della brutalità. Essendo un’esteta, anche nell’amore traeva dalle cose molta parte della sua ebbrezza.

La figura femminile è connotata da accesa sensualità, da una bellezza seducente e raffinata e talvolta da una componente lussuriosa e aggressiva.

Nell’opera dannunziana ricorrono con ossessiva frequenza figure di donne fatali e distruttrici di uomini, indizio di quella paura della donna che è un dato costante della letteratura di fine secolo.

Nel “ Piacere” appaiono due tipi di donne: Elena Muti e Maria Ferres.

Elena Muti, il cui nome richiama allusivamente Elena di Troia, è caratterizzata dal dominio totale esercitato su di lei dai sensi, dall’eros, non controllato da alcuna istanza razionale.

Avida di piacere, ha come unico fondamento del suo essere morale uno smisurato egoismo che la rende insensibile e disumana.

Maria Ferres è invece l’immagine sublimata ed eterea della femminilità, che nella mitologia letteraria ottocentesca è l’antitesi e il complemento della donna fatale.

Andrea Sperelli è diviso tra le due immagini femminili, la perversa Elena e la castissima Maria.

In un primo tempo Andrea s’illude che il legame con Maria possa salvarlo dalla sua profonda corruzione, ma poi proprio la purezza della donna diviene lo stimolo di voluttuose fantasie erotiche.

Inoltre i bruni capelli di Maria, richiamando l’immagine delle tenebre e ponendosi in simbolica opposizione al candore della neve, rivelano la presenza della carnalità anche nella donna angelica, evocando l’idea del peccato in contrapposizione alla sua apparente purezza.


ITALO SVEVO


Una delle caratteristiche principali della figura dell’inetto è l’incapacità di affermarsi verso gli altri e soprattutto verso le donne.

L’amore di Emilio e Angiolina in “Senilità” è invece un amore trasgressivo, un sinonimo di gioventù, quindi un tentativo di rimanere giovani. Tuttavia questo amore occasionale procura a Emilio una grande delusione anche su sé stesso e sulla sua capacità deduttiva, e la sua reazione è quella di ritirarsi in una condizione di senilità, di vecchiaia interiore e di rinuncia all’amore stesso.

In “ La coscienza di Zeno” amore significa anche matrimonio.

Infatti, egli riesce a sposarsi, anche se non con la donna che ama. Questa donna è Augusta proiezione della madre donna brutta ma “rassicurante”.

Da “Senilità”: Amalia

Amalia ha un’esistenza vuota, che esclude qualsiasi tipo di desiderio, una non-vita che si svolge entro i confini di uno spazio chiuso, costrittivo, quello del nido familiare di cui è prigioniera. Amalia evade dalla sua grigia esistenza vagheggiando la vita intensa e splendida delle classi ricche. La vita di Amalia è una vita di sacrificio, l’unica ragione della sua esistenza è la dedizione al fratello; è come se vivesse per interposta persona


Da “La coscienza di Zeno”: Augusta

Augusta inizialmente viene presentata strabica, un po’ grassa, dai capelli opachi; ma l’intraprendenza, la solidarietà ilare e affettuosa la rivelano moglie ideale: innamorata, dolce, allegra, ottima padrona di casa, è la personificazione della salute.

Zeno comprende, attraverso essa, cosa sia la perfetta salute, cioè il segreto dell’attivismo e dell’equilibrio interiore: la salute è a sua volta una convinzione.

Tuttavia, mentre l’analizza, egli distrugge esplicitamente quella salute che prima sembrava ammirare e desiderare: rivela l’ingenuità di questa autoconvinzione, basato sull’inesperienza e sull’inconsapevolezza della vita.


UMBERTO SABA


Saba fu sempre a contatto con figure femminili triestine maliziose, facili, vecchie popolane, ma colte dall’autore con bonarietà e partecipazione.

Fin dall’infanzia, però ha avuto un brutto impatto con la femminilità. Infatti, non conobbe il padre perché marinaio ariano, italico, poco responsabile e venne cresciuto ed educato, con l’odio per il padre e il senso di colpevolezza per essere nato maschio, dalla madre molto severa, ferma ed ebrea.

Inoltre vive, i primi anni della sua vita, affidato ad una tata slovena dolcissima, la Peppa, che credeva fosse la sua vera madre ed a cui è stato strappato dalla madre naturale all’età di cinque anni provocandogli un trauma terribile. Tutto ciò fa sì che Saba diventi, probabilmente, un bisessuale, o che almeno ebbe avuto esperienze in gioventù, e una persona con problemi psichici e depressivi.

Un’altra figura femminile particolarmente importante è la sua bimba: creatura amabile e leggiadra che da felicità, la quale riesce ad evocargli un’infanzia felice che non ha mai avuto e alla quale avrebbe voluto tornare.

Infatti, nelle “Tre poesie alla mia balia” racconta che mentre teneva in braccio la sua bambina gli ritorna in mente il piccolo Berto tra le braccia della sua balia, definendola “madre di gioia”, e ricostruisce il doloroso momento della separazione dalla balia e racconta il tentativo di ritrovare serenità ed equilibrio recandosi a trovarla a casa dopo tanti anni. Infine l’ultima poesia si conclude con un altro distacco dalla balia, per tornare dalla moglie: ma, questa volta, una nuova consapevolezza e una più matura capacità di scelta conferiscono alla separazione un significato assai diverso.

Un’altra donna assai importante per Saba è Lina, sua moglie a cui dedica una poesia “Donna” in cui si sovrappongono due immagini di donna; una è quella della giovane donna del ricordo, dalla bellezza fresca e aspra “come una mora di macchia”, l’altra è quella della donna del presente, ancora ma diversamente bella, nella maturità. Lina, come tutte le donne, mantiene in ogni caso e sempre un fondo di inafferrabilità.


EUGENIO MONTALE



La poesia di Montale si rivolge spesso a un “tu” femminile. Inoltre “Le occasioni” sono state definite un canzoniere d’amore. L’amore in Montale assume un carattere totalizzante e impossibile coincidendo con la tensione del poeta verso un’alternativa radicale all’inferno della storia e alla “prigione” dell’esistenza quotidiana. Le figure femminili sono presentate come attributi alti e rarefatti, in quanto sono incarnazioni di un sogno di salvezza. Non si dà la possibilità di un rapporto reale con la donna; perciò essa non è mai descritta fisicamente, tranne in alcuni particolari simbolici, lo sguardo, i capelli, il passo. Montale recupera il modello stilnovistico della donna-angelo, portatrice di salvezza perciò la donna deve rappresentare un’altra dimensione: quella della morte (Arletta), della religione e della cultura (Clizia), oppure del mondo istintivo e biologico degli animali (Volpe e Mosca).

Arletta o Annetta (Anna degli Uberti) , donna giovanissima conosciuta dal poeta nei soggiorni a Monterosso, che egli finge precocemente morta, rappresenta il “varco”, in una zona dove è incerto il confine tra i vivi e i morti.

Il tema dell’opposizione della donna all’inferno e ad una storia sempre più degradata si concentra nel mito di Clizia. Nel 1933 era comparsa nella vita di Montale Irma Brandeis, una giovane studiosa americana, di famiglia ebrea e dotata di forti sentimenti morali e religiosi. La donna prende il nome mitologico di Clizia ed è associata al simbolo del girasole.

Clizia ha gli attributi contrastanti del fuoco e del gelo e incarna i valori umanistici della cultura minacciati dalla barbarie fascista; così diventa la nuova Beatrice assumendo connotati soprannaturali.

Ma di fronte alla guerra e alle persecuzioni razziali Clizia è costretta a fuggire, e con l’avvento delle società di massa, Clizia si rivela sempre più inadeguata.

Ora Montale cerca la salvezza non più nei valori alti e nelle ideologie, ma nel “basso”, nella vitalità degli istinti puramente biologici e sessuali; ed ecco la donna Volpe (la poetessa Maria Luisa Spaziani), l’antagonista di Clizia, portatrice di un eros concreto.

Infine Mosca, la moglie morta un anno dopo il matrimonio, è “l’insetto miope”, ma capace di vedere e di orientarsi istintivamente nell’informe vita quotidiana e nel “trionfo della spazzatura”.In Satura, opera maggiormente dedicata a Mosca e al suo ricordo, rappresenta il valore della pura esistenza fisica e materiale.

Nel 1919 fu votata la legge Sacchi, che cancellò definitivamente l’autorità maritale e affermò che le donne potevano esercitare tutte le professioni e coprire buona parte degli incarichi pubblici. Fin dall’inizio del secolo si era parlato in Parlamento del voto alle donne, ma gli unici favorevoli erano i socialisti. Più di una volta si era discusso per il suffragio universale femminile, arrivando a presentare leggi a favore in Parlamento, ma l’approvazione era sempre stata rimandata. Con l’arrivo del fascismo, si perse ogni speranza quando nel 1925 l’istituzione dei podestà tolse il voto amministrativo a donne e uomini. Così, fino al 1945, nessuno ebbe più la possibilità di votare.  Nel 1927 furono dimezzati gli stipendi e i salari, questo fatto contribuì a far aumentare l’occupazione delle donne e alla nascita di associazioni a tutela delle lavoratrici.

Le donne italiane furono messe alla prova in un confronto diretto con sollecitazioni nuove sul piano sociale, culturale e lavorativo; ed è in questo clima denso di tensioni che molte donne giovani e meno giovani si sentirono incuriosite e stimolate. Si trattò di un processo di massificazione nella società che andò ormai prendendo piede in un’Italia, che Mussolini e la sua classe dirigente volevano tenere saldamente ancorato a miti e valori tradizionali.

La donna nuova si trovò nel corso del ventennio al centro di un processo di trasformazione che investe le strutture sociali, economiche e ideologiche della nazione; la sposa e madre esemplare assunse volti molteplici finendo con lo sgretolarsi sotto i nostri occhi.

Nonostante ciò, in questi anni appare una femminilità più sicura di sé anche con il costante aggiornamento sulle novità in fatto di moda, di cosmesi e di costume.

Inizialmente le organizzazioni cattolico-popolari incominciarono ad interessarsi al settore della buona stampa indirizzata alle donne, con il preciso intento di ricoprire gli interessi femminili; invece negli anni venti le donne affluirono negli uffici e nelle fabbriche, acquisendo maggiore conoscenza dei propri diritti come soggetti sociali autonomi.

Le donne della piccola e media borghesia e del proletariato urbano avevano sperimentato nuove opportunità di socializzazione e di organizzazione dell’esistenza, acquisendo consapevolezza delle proprie potenzialità e dei propri diritti come soggetti sociali e produttivi autonomi, mentre nelle famiglie contadine il lavoro della massaia o moglie del capofamiglia superava in genere quello del capo famiglia stesso.


Il fascismo imponeva una rigida divisione del lavoro: gli uomini si occupavano della produzione e del sostentamento della famiglia; le donne della riproduzione e del governo della casa.

Tuttavia i dirigenti fascisti riconoscevano che le donne lavoravano e queste rappresentavano il 27% dell’intera forza lavoro.

Oltre al lavoro nei campi e nelle fabbriche le donne dovevano preparare i fanciulli al doposcuola fascista e trascorrere l’estate nelle colonie marine o elioterapiche organizzate dal partito e dai comuni; in alcuni casi diventavano specialiste all’assistenza per strappare i sussidi allo Stato.

Donne di ceto sociale elevato giunsero così, a giocare un ruolo importante nella definizione delle nuove norme di condotta familiare attraverso corsi per casalinghe, lezioni sull’allevamento dei figli e riunioni informali istituiti per la realizzazione dei programmi dello Stato fascista.

In seguito, il fascismo prese alcuni provvedimenti legislativi per impedire alle donne di competere con gli uomini sul mercato del lavoro e per tutelare le madri lavoratrici. Ma, lo scopo era anche un altro: evitare che le donne considerassero il lavoro retribuito come un trampolino verso l’emancipazione.

Nel 1938, le lavoratrici avevano obbligatoriamente diritto a un congedo di maternità della durata di due mesi, coperti da un sussidio di maternità pari alla paga media percepita nello stesso arco di tempo, a un congedo non retribuito lungo fino a sette mesi e a due pause giornaliere per l’allattamento finché il bambino non avesse compiuto un anno.

La dittatura proibì, come stabilito anche dalla legge n.653/1934, i lavori notturni, pericolosi, faticosi e insalubri; il trasporto e sollevamento pesi; limitò la giornata a 11 ore lavorative con riposi intermedi e sancì provvedimenti a tutela dell’igiene, della sicurezza e della moralità.

Con gli anni Trenta si giunse ad un momento di rottura: la donna fu sottoposta a spinte contrastanti e a tensioni proprie di un nuovo tipo di cultura che suggerisce inediti modelli sociali e sessuali assai più liberi di quelli delle generazioni precedenti.

In poche parole la contraddittoria politica femminile fascista pretendeva che le donne fossero al contempo cittadine responsabili e membri subordinati della famiglia, ma sottomesse all’autorità paterna e ciò provocò confusione e smarrimento.

Con la caduta del regime fascista e con l’inizio della resistenza il ruolo della donna incominciò a cambiare. Con la seconda Guerra Mondiale si ebbe un miglioramento della vita delle donne. Fu approvato un disegno di legge per sostituire nel lavoro il personale maschile con quello femminile. In mancanza degli uomini, le donne divennero capofamiglia e parteciparono attivamente alla resistenza.

Ad esempio nel 1942, dopo l’ingresso in guerra degli Stati Uniti, un gruppo di ottanta donne laureate in matematica entrò a servizio dell’Esercito americano per lavorare all’ENIAC, ossia il primo calcolatore completamente elettronico della storia, in grado di calcolare con precisione le coordinate di lancio dell’artiglieria fino ad allora tracciate manualmente.

L'ENIAC era costituito da 18.000 valvole, pesava 30 tonnellate, occupava 180 metri quadri di superficie e riusciva a svolgere 300 moltiplicazioni al secondo e, rispetto ai precedenti calcolatori, poteva essere di volta in volta predisposto a svolgere diverse funzioni.

I linguaggi di programmazione, infatti, non erano ancora stati inventati, e istruire l'ENIAC all'esecuzione dei calcoli richiesti significava azionare fisicamente gli interruttori che lo componevano, affinché la corretta sequenza di impulsi venisse immessa all'interno della macchina. In altre parole, chi programmava l'ENIAC doveva settare ogni singolo bit a 0 o a 1 per comporre il codice che doveva essere eseguito e tale sequenza doveva essere ripetuta ogni volta.

Nell’autunno del 1945 termina il progetto dell’ENIAC, e tra le donne che ebbero collaborato alla realizzazione dell’ENIAC, ne vennero scelte sei per essere addestrate come programmatrici: note come “le donne dell’ENIAC”.

Vennero scelte sei donne perché gli uomini erano ancora impegnati al fronte, ma quest’opportunità costituì per loro una vera svolta e un incarico che si prolungò anche dopo la fine della guerra, in quanto i soldati, che rientravano, non erano in possesso delle competenze tecniche necessarie.

La prima cosa che dovettero imparare le sei ragazze riguarda la programmazione dell’ENIAC, e dovettero farlo senza manuali, senza insegnanti e soprattutto senza ENIAC. Prima di avvicinarsi alla macchina, ne studiarono a fondo il modello teorico e, da quello elaborarono un modo di programmarla.

La dimostrazione pubblica dell’ENIAC, il 14 febbraio 1946, fu un vero successo, e il calcolatore restò in servizio fino al 1955. Nelle celebrazioni, per il cinquantesimo anniversario dell’ENIAC le sei ragazze vennero premiate dall’Associazione Americana Women In Tecnhnology International, un’associazione che promuoveva figure femminili che hanno contribuito allo sviluppo dell’industria.

Nel campo informatico, oltre alle donne dell’ENIAC, esistono donne che hanno contribuito molto allo sviluppo in questo settore.

Grace Murray Hopper, elaborò formule matematiche per il calcolo delle traiettorie balistiche e, inoltre, fu la creatrice del primo compilatore della storia e la “nonna” del linguaggio di programmazione Cobol. Il suo obbiettivo era scrivere programmi per computer per renderlo uno strumento accessibile a molte persone senza dover dipendere da specialisti.

Ròzsa Péter, invece, dopo essere riuscita a “forgiare” la teoria della ricorsività e darle statuto scientifico, iniziò ad applicare le funzioni ricorsive ai linguaggi per i computer.

Ada Byron Lovelace è considerata una delle prime menti dell’informatica moderna. Nel 1843 scrisse il primo programma al mondo per computer e in uno dei suoi articoli scientifici parlò dell’evoluzione dei computer, previsioni lungimiranti e valide anche ai giorni nostri. Ada riuscì a prevedere lo sviluppo e il futuro uso creativo dei software, anticipando i principi organizzativi del calcolo automatico moderno.


Continuando con il percorso storico, prima ancora della fine della Guerra, nel 1945, venne riconosciuto il diritto al voto alle donne, ma non ottennero però il diritto ad essere elette.

L’anno successivo, con un decreto, si affiancò al cosiddetto elettorato attivo, quello passivo: al Referendum partecipò l’89% dell’elettorato femminile e all’Assemblea Costituente venne candidato il 7% di donne e ne venne eletto circa la metà.

La strada che la donna ha percorso per raggiungere l’attuale traguardo di parità (o quasi parità) è stata lunga e tortuosa, ma per arrivare ad una parità totale ed effettiva tra gli individui di sesso differenti restano ancora dei passi da fare.

Infatti, non basta che la parità sia voluta dalla legge, per realizzarsi deve essere accettata e vissuta spontaneamente da tutti.

Dal punto di vista giuridico, con l’entrata in vigore del Codice del 1° gennaio 1866, la legge riconobbe alla donna la possibilità di venire adulta a 21 anni ed essere titolare di patria potestà sui figli.

La donna era ancora però obbligata a seguire il marito, risultandone sottomessa.

Però nello Statuto Albertino non troviamo riferimenti alla donna.

Gli articoli 24 e 32 enunciano i diritti e i doveri dei cittadini, ma in nessuno di essi si pronuncia la parola donna.

La Costituzione Repubblicana segue il punto di svolta.

Quando parla dei “diritti dell’uomo” (art.2), si riferisce ovviamente ai diritti dell’uomo e della donna, ossia della persona umana. Nella lingua italiana, infatti, si usa il genere maschile, quando si vogliono indicare, con una sola parola, persone di entrambi i sessi.

Quest’uso linguistico non è però del tutto innocente. Esso rivela un tradizionale atteggiamento sessista, che discrimina il genere femminile e lo considera come una pura appendice del genere maschile.

Dal 1948 la donna è un cittadino a pieno titolo, infatti, acquistò i diritti politici, cioè potette eleggere i propri rappresentanti e, a sua volta, potette essere eletta.

La Costituzione confermò la sua posizione di uguaglianza, nell’art. 48 viene affermato che “sono elettori i cittadini, uomini e donne, che hanno raggiunto la maggiore età”, invece il diritto uguale a quello degli uomini, di occupare tutti i posti pubblici e di esercitare tutte le funzioni pubbliche è sancito dall’art. 37.

La prima garanzia è quella dell’uguaglianza davanti alla legge senza distinzioni di sesso dettata dall’art. 3. Inoltre l’art. 29, dove si afferma che “il matrimonio è ordinato sull’eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell’unità familiare”, tende a vietare ogni disuguaglianza all’interno del gruppo familiare.

In contrasto con tale principio stavano molte norme del codice civile, oggi abrogate dal nuovo diritto di famiglia: l’art. 144 cod. civ., che conferiva al marito la posizione di “capo famiglia”, la cosiddetta “potestà maritale” sulla moglie e la potestà di decidere da solo in tema di amministrazione ordinaria e straordinaria del patrimonio familiare, della dote e della comunione dei beni.

Il contrasto era ancora maggiore fra il principio di eguaglianza affermato in costituzione e le norme, sia civili che penali, relative all’infedeltà dei coniugi. Infatti, l’art. 151 cod. civ. concedeva azione di separazione per colpa al marito per l’adulterio della moglie, mentre la concedeva alla moglie solo quando l’adulterio del marito costituisse ingiuria grave per lei. Gli art. 559 e 560 cod. pen. punivano la moglie adultera e non il marito, salvo che costui tenesse una concubina nella casa coniugale, o notoriamente altrove.

Rispetto ai figli, la patria potestà era affidata ad entrambi i genitori: ma l’eguaglianza fra loro era puramente formale perché l’art. 316 cod. civ. affermava che la patria potestà era “esercitata” dal padre; il quale praticamente poteva dettare in modo incontrollabile l’educazione dei figli e poteva giungere perfino a dettare, per il caso di sua morte, “condizioni alla madre superstite per l’educazione dei figli”.

Il nuovo diritto di famiglia è stato introdotto a partire dal 20 settembre 1975, con la legge numero 151 del 19 maggio 1975. Le linee importanti di tale riforma sono sostanzialmente le seguenti:

a)        affermazione del principio dell’eguaglianza dei coniugi come regola di vita comune fra di loro e verso i figli, ammettendosi solo, in via del tutto eccezionale, limiti derivanti dall’esigenza dell’unità della famiglia, e scomparsa dell’istituto della “patria potestà” che viene sostituito dalla “potestà dei genitori sui figli”;

b)       introduzione della comunione legale dei beni, a cui sono assoggettati i coniugi per i beni acquistati dopo il matrimonio, se non fanno richiesta della separazione dei beni;

c)       intervento del giudice in costanza del matrimonio per la risoluzione dei conflitti che sorgono relativamente ai rapporti personali e patrimoniali dei coniugi fra loro e con riguardo ai figli.

Nonostante questo, solo un articolo della Costituzione parli in particolar modo della donna ed è l’art. 37, il quale afferma che, “la donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore. Le condizioni di lavoro devono consentire e assicurare alla madre e al bambino una speciale e adeguata protezione”.  

Analizzando l’evoluzione della figura femminile nel mondo del lavoro, si nota che, in questo campo, la storia delle conquiste delle donne comincia tanti anni fa. Ma a partire dagli anni ‘70, quando la donna lottava per avere una legislazione che, a partire dal divieto di licenziamento per matrimonio, garantisse la parità uomo-donna, è stata approvata la prima legge importante in tal senso ossia la legge n° 1204 del 30 dicembre 1971, “Tutela delle lavoratrici madri”, a cui seguirà la n° 903 del 9 dicembre 1977 sulla “Parità di trattamento tra uomini e donne in materia di lavoro”, che vieta qualsiasi discriminazione fondata sul sesso in materia di accesso al lavoro. La legge 1204/1971 dispone un generale divieto di licenziamento della lavoratrice all’inizio del periodo di gestazione sino al compimento del 1° anno di età del bambino. Tale divieto opera in connessione con lo stato oggettivo di gravidanza e puerperio, ed infatti, la lavoratrice licenziata in tale circostanza ha il diritto ad ottenere il ripristino del rapporto di lavoro.

La legge seguente n. 903/1977 introduce:

il divieto di qualsiasi discriminazione;

il diritto alla stessa retribuzione dell’uomo a parità di lavoro;

il diritto di rinunciare all’anticipazione del pensionamento e di optare per il proseguimento del lavoro fino agli stessi limiti di età previsti per gli uomini;

la possibilità di deroghe al divieto di lavoro notturno;

la corresponsione degli assegni familiari, aggiunte di famiglia e maggiorazioni per familiari a carico, in alternativa, alla donna lavoratrice.


Un’altra tappa significativa della nostra storia, è quella che vede affermarsi il principio delle “pari opportunità”: il tema della parità fa un nuovo passo in avanti, si sposta sul terreno concreto, e ricco di conseguenze, delle azioni necessarie per garantire le stesse possibilità per gli uomini e per le donne sul lavoro. La legge, “Azioni positive per la realizzazione della parità uomo-donna nel lavoro” (10 Aprile 1991, n° 125), prevede di:

a.           eliminare la disparità nella formazione scolastica e professionale, nell’accesso al lavoro, nella progressione in carriera, ecc.;

b.           favorire la diversificazione nelle scelte professionali delle donne, anche nel settore del lavoro autonomo ed imprenditoriale;

c.           superare situazioni pregiudizievoli per l’avanzamento professionale, di carriera ed economico della donna;

d.           promuovere l’inserimento della donna in attività professionali in cui è sotto rappresentata;

e.           favorire l’equilibrio e la migliore ripartizione tra responsabilità familiari e professionali dei due sessi.


Il fondamento degli interventi attuativi del disegno di riequilibrio tra i sessi nel mondo dell’imprenditoria è costituito dalla legge 215/92. Con questo provvedimento, il legislatore ha incentivato la realizzazione di azioni positive in termine generale, ma soprattutto è intervenuto ad indicare nello specifico quelle iniziative da adottare per il conseguimento di una sostanziale parità tra uomo e donna.

Con l’articolo 1 si dichiara, infatti, di voler “favorire la creazione e lo sviluppo dell’imprenditoria femminile; promuovere la formazione imprenditoriale e qualificare la professionalità delle donne imprenditrici; agevolare l’accesso al credito per le imprese a conduzione o a prevalente partecipazione femminile; favorire la qualificazione imprenditoriale e la gestione delle imprese familiari da parte delle donne; promuovere la presenza delle imprese a conduzione o a prevalente partecipazione femminile nei comparti più innovativi dei diversi settori produttivi”.

Tale normativa, infatti, prevede incentivi finanziari per la creazione e lo sviluppo di imprenditoria femminile, secondo le modalità e i criteri previsti della stessa legge.

Tali modalità e criteri sono i seguenti:

L’applicazione dei benefici si espandono su tutto il territorio nazionale

Possono beneficiare delle agevolazioni in questione le imprese rispondenti ai requisiti di “prevalente partecipazione femminile” e di “dimensione di piccola impresa”.


Le imprese a “prevalente partecipazione femminile”sono:

o        Le imprese individuali in cui il titolare sia una donna;

o        Le società di persone e le società cooperative in cui il numero di donne socie rappresenti almeno il 60% dei soci, indipendentemente dalle quote detenute;

o        Le società di capitali in cui le donne detengano almeno i due terzi delle quote di capitale e costituiscano almeno i due terzi del totale dei componenti dell’organo di amministrazione.


Sono agevolabili i programmi di investimento presentati da imprese operanti nei seguenti settori:

o            Agricoltura;

o            Industria;

o            Commercio;

o            Servizi;

o            Turismo.


Le iniziative ammissibili alle agevolazioni sono:

o            Avvio di attività imprenditoriale;

o            Acquisto di attività preesistente;

o            Realizzazione di progetti aziendali innovativi (connessi alla qualificazione e all’innovazione dell’attività esercitata);

o            Acquisizione dei servizi reali (connessi all’aumento della produttività e all’innovazione organizzativa, alla ricerca di nuovi mercati).


Sono ammissibili alle agevolazioni le spese relative a:

o            Impianti generali;

o            Macchinari e attrezzature;

o            Brevetti;

o            Software;

o            Opere murarie e relativi oneri di progettazione e direzione lavori (architetto e impresa edile);

o            Studi di fattibilità e piani di impresa (Business Plan).


Il business plan è un progetto dettagliato, che prende in esame tutte le aree di attività di un’impresa. È una sorta di carta d’identità dell’azienda, attraverso la quale si mettono per iscritto tutte le componenti di un piano imprenditoriale: dall’analisi di mercato al progetto di mercato al progetto finanziario, dal marketing alla gestione delle risorse umane. Più è dettagliato, più agevola i rapporti dei neo-imprenditori con gli istituti di credito. Ma le sue funzioni vanno oltre a quella di semplice biglietto da visita della società per ottenere finanziamenti pubblici o privati. Un business plan ben fatto serve per capire i problemi, che si dovranno affrontare e gli strumenti a disposizione per farlo.

Preparare il business plan richiede tempo e dedizione, non si tratta di una semplice descrizione dell’attività che si intende avviare, né di un promemoria sulle principali spese da sostenere e sui fornitori da contattare. Il business plan è un progetto dettagliato che getta le fondamenta della nuova impresa e le garantisce maggiori probabilità di sopravvivenza.

Nella redazione del business plan, l’aspirante imprenditore deve scrivere in modo sintetico, ma non troppo stringato, utilizzando un linguaggio tecnico fornendo dettagli, ma non dati superflui.

I fattori da enfatizzare sono almeno tre: gli obbiettivi, che hanno una funzione motivante per sé e per gli altri; la ricerca di mercato e il relativo piano di marketing, che dimostra l’esistenza di spazi operativi e i sistemi per conquistarli; il conto economico, che illustra costi e ricavi. Da questi fattori, un lettore esperto può giungere a una prima valutazione dell’idea imprenditoriale.

Inoltre ci sono dieci elementi importanti per un piano d’impresa completo ed efficace:

Descrizione del progetto;

La forma giuridica della società;

La compagine sociale e l’organico;

L’analisi del mercato;

La strategia di marketing;

Strumenti per il raggiungimento dell’obbiettivo imprenditoriale;

Gli aspetti organizzativi della società;

Piano finanziario;

Promozione e pubblicità;

La motivazione.


Il contributo concesso dalla legge 215, per favorire il riequilibrio tra i sessi nel mondo dell’imprenditoria, dipende da vari fattori, tra cui il tipo di investimento che si deve effettuare, ma anche la regione in cui si realizza il programma.

Le percentuali massime sono calcolate secondo diverse tipologie di calcolo, alla fine coprendo le spese di investimento con una percentuale che varia dal 50% al 70-80% delle spese totali.

Questa legge ha ottenuto grandi risultati: oggi le imprese dirette da donne rappresentano oltre un quarto del totale e più di un terzo delle imprese nate negli ultimi anni è stato creato da donne.


Non si può parlare di pari opportunità senza rivedere la complessa materia delle tutele.

Ad esempio, il divieto di lavoro notturno (legge 903, art. 5) impediva a tante donne di entrare nel mercato del lavoro, così la nuova normativa ha consentito alla donne di scegliere di lavorare anche la notte, pur conservando le necessarie garanzie.

La nuova legge n. 53/2000 prevede infatti:


astensione obbligatoria. Riguardo ai 5 mesi di astensione obbligatoria previsti per la maternità, la madre può decidere come gestirli e cioè, mentre prima della legge era previsto che la madre rimanesse a casa obbligatoriamente 2 mesi prima della data presunta del parto e 3 mesi dopo tale data, oggi la madre può decidere (chiaramente in base anche alle condizioni della gravidanza) di lavorare fino ad un mese prima del parto e stare a casa 4 mesi dopo il parto. Durante tale periodo di astensione obbligatoria (detto anche periodo di comporto) la donna ha diritto di percepire un’indennità pari all’80% della retribuzione, a carico dell’INPS, e l’anzianità di servizio decorre a tutti i fini.

Morte, infermità, abbandono della madre. Il padre ha diritto di astenersi dal lavoro nei primi 3 mesi dalla nascita del bambino in caso di morte o grave infermità della madre, oppure in caso di abbandono, di affidamento esclusivo del figlio al padre.

Dieci mesi per otto anni. Nei primi 8 anni di vita del bambino madri e padri possono usufruire di permessi fino a 10 mesi complessivamente. Singolarmente, ognuno dei genitori, non può assentarsi dal lavoro per più di 6 mesi. Tali permessi sono retribuiti al 30% fino ai 3 anni di vita del bambino e sono comunque computati nell’anzianità di servizio. Dai 3 agli 8 anni la retribuzione parziale (30%) spetta solo ai genitori con basso reddito, inferiore a € 800 mensili .

Malattia del figlio. I genitori possono assentarsi anche in caso di malattia del figlio, le norme precedenti prevedevano la possibilità di assenza fino ai 3 anni del bambino, mentre questa legge porta il limite fino ad 8 anni, con la possibilità di usufruire di tali permessi però solo per 5 giorni all’anno.

Un premio per i padri. I padri che esercitano il diritto a curare i propri figli sono premiati e possono assentarsi un mese in più.

Genitori adottivi. Le stesse disposizioni si applicano anche ai genitori adottivi (parificati a quelli naturali), infatti chi ha scelto di adottare un bambino può usufruire delle stesse norme previste per i genitori naturali.

genitori - lavoratori autonomi. Commercianti e artigiani possono usufruire dei congedi facoltativi solo durante il primo anno di vita del figlio e per una durata massima di 3 mesi.

gemelli – permessi doppi Nel caso di parto gemellare, le ore di permesso per allattamento nel primo anno di vita del bambino vengono raddoppiate. Anche questi permessi possono essere utilizzati dai padri.



Inoltre, per favorire la partecipazione delle donne alla vita politica del paese e garantirne l’adeguata rappresentanza nelle sedi istituzionali, è stato approvato a larga maggioranza dal Senato della Repubblica un disegno di legge, nel corso della seduta dell'8 febbraio 2006, ma che non è passato al voto della Camera per mancanza dei tempi tecnici a causa della fine della Legislatura. 

Il disegno di legge voleva garantire e rendere effettiva un’adeguata rappresentazione delle donne nella composizione delle liste elettorali della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica.

Quando si parla di quote rosa, si parla quindi del numero di candidati di sesso femminile che dovrebbero essere inserite, quindi candidate, nelle liste elettorali valide per le elezioni. Il testo della legge, approvato dal Consiglio dei Ministri, prevedeva che nelle liste elettorali fosse candidata una donna ogni tre uomini.

Una volta approvata la nuova legge, avrebbe permesso di candidare una quota di donne nelle liste elettorali che non poteva essere inferiore al 33% del totale, favorendo così l’accesso al Parlamento.

Il disegno di legge, che non comportava nuove spese a carico del bilancio dello Stato, percorreva una strada già delineata il 30 maggio 2003 quando è stato modificato l’articolo 51 della Costituzione italiana che da allora recita così: 'Tutti i cittadini dell'uno o dell'altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge. A tale fine la Repubblica promuove con appositi provvedimenti le pari opportunità tra donne e uomini'.

Passa da qui, lo sviluppo della materia elettorale sulle quote rosa tesa ad affermare sempre più le pari opportunità, che ha già avuto un riscontro positivo nelle elezioni per il Parlamento europeo del giugno 2004.



Emma Marcegaglia è la prima ‘quota rosa’ del mondo dell’industria; è una manager che ha saputo conquistare la stima e la fiducia di grandi capitani d’industria, tutti uomini naturalmente, a cominciare dal padre, Steno Marcegaglia, che le ha affidato la gestione del gruppo.

Fu presidente nazionale dei giovani imprenditori di Confindustria dal 1996 al 2000, presidente dei Giovani industriali europei dal 1997 al 2000, poi vice presidente di Confindustria per l’Europa fino al 2002.

Emma Marcegaglia è oggi vice presidente di Confindustria per Energia e coordinamento politiche industriali e ambientali, inoltre, da un recente articolo di un giornale locale, ho appreso che, Emma sarà candidata a diventare presidente di Confindustria nelle elezioni del 2008, e quindi succedere a Montezemolo.

Ma la sua carriera non si esaurisce con i prestigiosi ruoli nella confederazione degli industriali. Emma rappresenta l’Italia nel gruppo di alto livello creato dalla Commissione UE su Energia, competitività e ambiente ed è amministratrice delegata della società Marcegaglia Spa e di tutte le società controllate, ossia l’azienda di famiglia dove mosse i primi passi a soli 23 anni, subito dopo la laurea in economia aziendale.

Imprenditrice da sempre, la prima sfida la vince portando i conti da rossi in nero della società Albarella Spa, il centro turistico immobiliare sul Delta del Po che rappresenta una proprietà di Marcegaglia Tourism, piccola divisione del Gruppo Marcegaglia, leader in Europa nella trasformazione dell’acciaio.


La storia del Gruppo Marcegaglia comincia nel 1959 in un laboratorio artigianale di 120 metri quadrati a Gazoldo degli Ippoliti (Mantova), dove Steno Marcegaglia, allora poco meno che trentenne, inizia a fabbricare in società con un amico e con l’aiuto di due operai, guide per tapparelle. Ben presto l’attività della piccola azienda si espande, incrementando rapidamente anche il numero dei suoi dipendenti. Ai profilati aperti si aggiungono i tubi da nastro a freddo, e nel 1962 sorge un’altra unità, a Contino di Volta Mantovana (Mantova), per la produzione di trafilati da tondo e da piatto con 10 addetti. Lo sviluppo prosegue incessante negli anni successivi, sorretto da investimenti costanti per innovare la gamma e migliorare la qualità dei prodotti. Nel 1969 lo stabilimento di Gazoldo degli Ippoliti, che oramai ha sostituito da tempo il vecchio laboratorio, viene ulteriormente potenziato con l’inserimento di un laminatoio a freddo e con l’aggiunta di nuovi capannoni. La Marcegaglia è diventata un piccolo gruppo di aziende, che insieme lavorano ogni anno più di 400 mila tonnellate d’acciaio, contro le 1000 di un tempo. Quando viene ultimato anche il nuovo stabilimento di Casalmaggiore (Cremona), agli inizi degli anni ‘80, il numero complessivo dei dipendenti supera ormai le 700 mila unità e il fatturato raggiunge i 500 miliardi di lire.

Nel 1983, il gruppo vara un intenso piano di acquisizioni per rafforzare la sua presenza nel core business, ampliare la sua filiera produttiva e diversificare la propria attività in altri settori. Accanto al continuo sviluppo degli insediamenti originali, di quelli costituiti ed acquisiti; gli anni ‘90 segnano l’affermazione del gruppo a livello internazionale, con la nascita di nuove unità produttive sia in Europa che nelle Americhe.

Il gruppo intensifica il suo sviluppo nel settore più prettamente siderurgico: da un lato, con un investimento di oltre 1000 miliardi, lo stabilimento di Ravenna diventa il secondo polo metalsiderurgico italiano; dall’altro, a Brema, in join-venture con il gruppo Arbed, diventa per la prima volta produttore di acciaio di qualità.

Il fatturato aggregato del gruppo, che oramai è presente con una cinquantina di società in una gamma diversificata di settori occupa 6000 addetti, sale a 2,6 miliari di euro.


Oltre ad Emma Marcegaglia, nel mondo, ci sono sempre più donne imprenditrici e manager.

Le donne ci sono, ma spesso non vengono contate. Infatti le donne rappresentano la maggioranza degli abitanti del globo, ma spesso risultano persino invisibili, in quanto il loro lavoro non viene registrato nelle statistiche. Il motivo è che esse sono occupate in prevalenza nei lavori domestici, oppure nell’agricoltura o in attività familiari informali, tutti i settori sui quali le informazioni sono carenti.

Infatti, è stato molto difficile trovare tabelle statistiche che riguardassero le donne nel mondo del lavoro. Dal sito del Ministero delle Pari Opportunità ho ottenuto la seguente tabella in cui vengono indicati il numero di donne e di uomini lavoratori (in migliaia di unità), nel periodo dal 1993 al 2003, in Italia.

anni

donne

uomini


7.069



6.998



7.007



7.122



7.192



7.345



7.533



7.764



8.060



8.236



8.365





Ho analizzato questi dati con lo studio della regressione, per determinare una funzione matematica, che esprima la relazione tra le variabili, per vedere come un carattere influenza l’altro; soprattutto per capire se l’occupazione femminile ha frenato (o svantaggiato) l’occupazione maschile, sottraendo posti di lavoro.

Successivamente, con lo studio della correlazione lineare, attraverso il calcolo del coefficiente di Bravais-Pearson, ho misurato l’intensità del legame fra le due variabili


REGRESSIONE LINEARE

Indicato con x il numero delle donne lavoratrici e con y il numero degli uomini lavoratori (in migliaia di unità) ottengo le rette di regressione con il metodo dei minimi quadrati.

RETTA DI REGRESSIONE DI y RISPETTO A x











N° osservazioni



FUNZIONE LINEARE  y= a+bx












a =










Y=10273,3355226704+0,397906776440309X



b =







i

x

y

xy

x2

y^

y-ỹ

(y-ỹ)2


7.069








6.998








7.007








7.122








7.192








7.345








7.533








7.764








8.060








8.236








8.365















SOMME:


145.910

1.097.898.488













RETTA DI REGRESSIONE DI x RISPETTO A y











N° osservazioni



FUNZIONE LINEARE  x= a+by



a =










x=-15665,9428944655+1,74776486765211y



b =







i

y

x

xy

y2

x^

x-x^

(x-x^)2

































































































SOMME:








baricentro


7.517







COMMENTO AL GRAFICO:

le rette sono, ovviamente, incidenti in quanto si incontrano nel baricentro della distribuzione con coordinate (7.517,13.265);

entrambe le rette sono crescenti, ciò si può dedurre anche dai coefficienti b, che sono  positivi; dunque al crescere del n° di lavoratrici donne cresce anche il numero di lavoratori uomini e viceversa;

l’intersezione tra le due rette forma un angolo acuto, che indica buona correlazione tra le due, ciò verrà dimostrato anche dal coefficiente di Bravais-Pearson che sarà compreso tra 0,5 e 1.

CORRELAZIONE



Coefficiente di correlazione lineare di Bravis Pearson =  √(b1/b2)












Commento=


buona correlazione lineare positiva


Si può concludere affermando, che l’occupazione femminile crea un vantaggio economico per l’intera società.


Nonostante nel mondo industrializzato ci siano stati forti progressi a favore delle donne, in paesi meno sviluppati ci sono ancora parecchi problemi, spesso causati dal fenomeno chiamato globalizzazione, che ha portato: gli stati più ricchi ad arricchirsi sempre di più a sfavore dei poveri. Per molte imprese occidentali il trasferimento degli stabilimenti produttivi in paesi sottosviluppati ha permesso di pagare la manodopera in maniera inferiore rispetto al normale. Chi subisce maggiormente questi svantaggi sono le donne ed i bambini. La condizione femminile e dell’infanzia in alcune parti del mondo è veramente tragica, sono le persone più deboli e quindi più facilmente sfruttabili. La donna che riesce a lavorare nei paesi sottosviluppati viene assunta senza nessun tipo di garanzia, gli stipendi sono inferiori a quelli degli uomini e le lavoratrici spesso vengono costrette ad accettare condizioni di lavoro malsane e pericolose per guadagnarsi da vivere per se stesse e la famiglia devono lavorare di più e più a lungo rischiando quotidianamente la loro vita.

Molti movimenti si sono creati a difesa dei diritti delle donne sfruttate nel lavoro e nella società, principalmente il movimento femminista, quello della difesa dei diritti umani, le associazioni religiose, impegnano le loro forze per informare l’opinione pubblica, i governi e tutti coloro che vivono una vita normale dell’importanza del problema femminile nei paesi sottosviluppati e principalmente far capire che “globalizzazione” deve essere uguaglianza, rispetto e condivisione delle ricchezze del mondo.

GLOBALISATION & MULTINATIONAL

The term “globalisation” is used to describe the increased flows of goods, services, people, capital and information in the modern world.

Three factors have contributed to the globalisation process:

the end of the Cold War and the collapse of the centrally planned economy of the Soviet Union, with its replacement by mixed free market economies;

the diminished importance of national borders and the elimination of protectionist barriers;

advancements in technology.

For thousands of years, people have been buying from and selling to each other in lands at great distances; they have invested in enterprises in other countries.

Now, consumers can more easily buy, compare prices, qualities of goods and services sold all over the World; businesses have been forced to become more efficient in order to cope with increased competition. Companies which wanted to operate successfully on foreign markets have merged with foreign businness. This in one of the reasons which explain the growth of join venture and multinational companies.

Multinational companies produce and sell goods or services in more than one country, they are the kings of the business world: they include companies such as Shell, Coca-Cola, Nike, Mc Donald, etc.

Multinationals have developed because they can gain from low labour cost, cheap raw materials and lower taxes; they can often avoid trade barriers by setting up their business in foreign countries; they are able to spread risk by diversifying into different countries markets.

Companies gain many advantages from becoming multinational, but there are both advantages and disadvantages to the “host” country, where multinationals operate.

In fact, in the host country:

unemployment will be reduced as new jobs are created;

multinationals introduce new ideas, successful work practices, new tecnology and new expertise;

multinationals provide work for local suppliers, components and services;

local government will see their funds increase thanks to the tax paid by multinationals;

imports are reduced as goods that were not previously produced in the host country are now available, the exports are increased by the multinational’s overseas sales effort.

On the other side:

profits are sent from the host country to the home country;

multinationals can exert strong political pressure in the host countries;

multinationals can cause economic problems and local unemployment if they close down their business;

some local businesses could be forced out of business as multinationals are usually more efficient and have lower costs;

scarce and non-renewable raw materials available in the host country may be used up to manufacture goods sold word-wide.


Finally with globalisation and multinational the rich have certainly become richer, but the poor have either remained as poor as they were before or become poorer.

The gap among rich and poor  is widening, and this isn’t a good thing! Unification of the world, by the point of view of a unic market, does not delete disparities among its areas or those in the single entities: it happens because economic mechanisms in a liberalistic point of view do not depend on social re-balance or no resources. Just think of actual crisis of Welfare State, caused by the economic internationalization and neo-liberism that distinguishes it


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