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Le tipologie di detenuti




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Le tipologie di detenuti


Prima di passare ad analizzare come si svolge praticamente le vita carceraria e che tipo di  rapporti esistono tra carcerati, è necessario ricordare, se ce ne fosse bisogno, le varie tipologie di detenuti. La seguente classificazione va tenuta in conto poiché è evidente la diversità tra le tipologie, sia dal punto di vista della ricerca del potere, difficilmente raggiungibile per alcune categorie rispetto ad altre e che permette a chi ne è il detentore di tagliarsi uno spazio personale in cui gli altri non hanno accesso, sia dal punto di vista dell'effetto della prigionizzazione, alta o bassa a seconda della tipologia. La divisione in tipi diversi di detenuti viene fuori soprattutto tenendo presente non solo l'entità della pena e il tipo di reato, i quali possono essere anche simili tra le diverse categorie, ma anche se si tiene conto della cultura individuale precedente alla carcerazione e di conseguenza la predisposizione di ognuno ad accettare o a rifiutare la subcultura carceraria. Come si vedrà, i boss mafiosi, gli affiliati e, sovente, i delinquenti abituali provengono da un ambiente "particolare", in cui "è tenuto conto" della possibilità di trascorrere una parte della loro vita in carcere, per cui sono anche preparati psicologicamente; mentre il resto dei detenuti, individuato nella categoria dei non etichettabili, hanno provenienza diversa, anche se non tutti, e fanno fatica ad accettare non solo la pena in sé ma tutto ciò che ruota intorno alla comunità carceraria, regole comprese. Infine della categoria dei devianti per eccellenza fanno parte quei detenuti, individuabili esclusivamente dal tipo di reato o dal loro comportamento "immorale", tendente cioè alla delazione (vedi pentiti).

  • boss mafiosi: sono coloro che solitamente detengono il potere all'interno del carcere e che regolano la vita carceraria facendo rispettare le regole, impartendo ordini e sanzioni;
  • affiliati: sono i picciotti dei boss mafiosi che controllano, o dovrebbero controllare, il territorio per conto del capo. L'alto o basso grado del potere del boss è dato solitamente dal numero più o meno ampio degli affiliati. Il carcere è vissuto dagli affiliati come fosse la loro casa e, di solito, è una scelta razionale quella di delinquere o quella di affiliarsi ad un "gruppo" piuttosto che a un altro. Dipende molto dalla vicinanza materiale della persona a cui si fa riferimento: abitare nello stesso quartiere o lo stesso palazzo, aver condiviso con lui la stessa cella in passate carcerazioni, aver ricevuto favori particolari, ecc.;
  • delinquenti abituali: sono tutti quelli che entrano ed escono dal carcere ma non sono affiliati: scippatori, rapinatori, ladri, spacciatori, ecc. Questi detenuti hanno un grado di prigionizzazione troppo alto e sanno affrontare i pericoli insiti nella carcerazione perché hanno imparato attraverso l'esperienza diretta. Molto spesso si affiliano, magari per convenienza; sanno che la loro vita non può cambiare, per cui cercano di stare nel miglior modo possibile in carcere. Affiliarsi diventa quasi naturale. Coloro che non lo fanno preferiscono rimanere indipendenti; solitamente sono i più forti di carattere, più forti fisicamente  e più capaci di gestire i loro rapporti con gli altri. La forza fisica ha una certa funzione deterrente, che difende chi ne è dotato dagli abusi di potere "legittimi" o "non legittimi", come quelli messi in campo da personaggi con pochi scrupoli. Infatti risulta più difficile imporre un certo comportamento ad un individuo alto un metro e ottanta con novanta chili di peso che imporlo ad uno che è alto uno e settanta e pesa settanta chili. A volte basta solo la prestanza fisica per tenersi lontani dai pericoli insiti nell'interazione con gruppi che fanno riferimento a valori diversi rispetto ai propri.
  • detenuti non etichettabili: solitamente il termine "comune" è associato a quei detenuti che non sono né mafiosi, né politici e sono raggruppati in sezioni, appunto, comuni. In questa sede i "comuni" sono i non etichettabili e saranno differenziati anche dai delinquenti abituali per marcare l'esistenza in carcere di persone che hanno fatto un reato per la prima volta, i "pivelli", che, acquistando  esperienza con il tempo, diventano "esperti"; sono coloro che si sono macchiati di un solo reato e che scontano la pena, anche lunga, cercando di differenziarsi dagli altri. Questi sono spesso diversi per cultura, per intelligenza, per estrazione sociale. La diversità deriva anche dal fatto che non riescono ad accettare l'ambiente carcerario con le sue regole e oppressioni, ma sono costretti ad adeguarsi. Sono coloro che spesso vengono etichettati come devianti dal resto della popolazione carceraria, indipendentemente dal reato che hanno compiuto. Il loro grado di prigionizzazione è di solito basso perché non riescono ad accettare una integrazione totale con l'ambiente, anche se la subiscono, loro malgrado. È dal punto di vista di questi detenuti che si intende guardare le regole pratiche carcerarie, perché solo così si potrà comprendere le conseguenze che esse hanno sulla psiche e sul comportamento degli stessi detenuti, proprio perché provengono da una cultura diversa, arrivano in un ambiente al quale loro non ci avevano mai pensato nel corso della loro vita. Si vedono catapultare da una realtà ad un'altra senza che ci sia stata una sorta di "transizione iniziatrice" o "apprendistato", come avviene per esempio per quei delinquenti abituali che conoscono l'ambiente carcerario poco per volta. Questi detenuti vengono messi alla prova in tutti i momenti della giornata, sia dai loro stessi compagni sia dalle pratiche istituzionali. Nel linguaggio carcerario mafioso, queste persone sono spesso chiamati "boni vaglioni" o "boni cristiani" (bravi ragazzi o brave persone o semplicemente non affiliati), a seconda che si tratti di giovani o adulti.
  • Detenuti devianti per eccellenza: sono i pedofili, gli omosessuali o transessuali, gli stupratori, i pentiti di mafia, gli infami; sono tutti quei detenuti che non condividono gli stessi spazi degli altri, o perché hanno commesso reati ripugnanti (pedofili, stupratori), o perché sono "diversi" (omosessuali), o perché per vari motivi hanno accusato altre persone di qualche reato (pentiti, infami). Questa tipologia verrà trascurata solo per il fatto che i detenuti non sono presenti tra gli altri, quindi costituiscono un mondo a parte, anche se è facilmente ipotizzabile che nelle loro sezioni (ad eccezione di quelle dei pentiti), è in vigore la legge del più forte.

Credo che queste tipologie valgano anche per le donne, anche se, naturalmente, non ho esperienze dirette. Però spesso sono le compagne di altri detenuti e non è difficile sentir parlare un detenuto della situazione femminile in carcere. Probabilmente il loro ambiente non è molto diverso da quello degli uomini, perché i racconti dei loro amici in carcere tende quasi sempre a evidenziare l'uguaglianza delle condizioni tra uomini e donne, anche se c'è da tenere presente che la comunità femminile è molto ristretta numericamente (le celle quasi sempre sono singole), per cui i rapporti tra di loro hanno più un carattere amicale piuttosto che di contrasto.

È necessario precisare a questo punto che soprattutto nell'ultimo decennio sono aumentati gli immigrati in carcere, soprattutto al nord, ma anche al sud c'è stato il periodo tra il 1989 e il 1993, ossia in concomitanza dei primi sbarchi massicci di immigrati provenienti dall'est, soprattutto albanesi e slavi. Classificare questi detenuti non è facile, ma si può azzardare a dire che non possono essere inclusi nelle prime due categorie, per la mancanza di una cultura mafiosa, così come è quella italiana. Questo non vuol dire che non possono attingere al potere, anzi tra di loro esiste spesso una figura di riferimento che intrattiene i rapporti con gli indigeni. Sicuramente non si interessano della comunità nella sua totalità, non la vedono come qualcosa di strutturato e organico. Tra di loro non ci sono regole che riguardano i comportamenti da tenere in carcere. Spesso ho discusso con loro proprio di questa diversità e ne è venuto fuori che ognuno è responsabile delle proprie azioni, non ritenendo giustificabile la presenza di tutte quelle regole. Cercano di assimilarle perché sanno che i detenuti italiani sono ancorati soprattutto al valore del rispetto. Sicuramente è più semplice classificarli come delinquenti abituali dato che moltissimi di loro hanno commesso gli stessi reati reiterati e hanno conosciuto il carcere poco per volta.

Tra una categoria e l'altra si possono verificare dei passaggi, soprattutto a causa del «contagio sociale» , in base al quale i detenuti «si concentrano territorialmente, accentuano le loro caratteristiche di temperamento e ne cancellano altre» . Il "contagio" avviene perché si vive in ambienti ristretti, ma dipende anche dal caso. Per esempio, è potenzialmente più facile passare dalla categoria dei delinquenti abituali a quella degli affiliati se si è ubicati in una cella in cui i primi sono a maggioranza piuttosto che il contrario. Col tempo si sviluppano stili di comportamento e valori comuni e si giustificano atteggiamenti caratteristici. Se consideriamo impropriamente, dal punto di vista del potere, la disposizione delle categorie come una scala gerarchica, al cui vertice stanno i "boss", si può facilmente concludere che passaggi tra una tipologia e l'altra avvengono quasi sempre in modo ascendente e mai discendente. È difficile che un affiliato passi nella categoria dei delinquenti abituali o in un'altra, in quanto è la scelta di affiliazione è definitiva, a meno che il soggetto non si sia macchiato di una colpa grave, come quella di "denunciare un suo compagno". Può succedere anche che un detenuto non etichettabile passi nella categoria degli affiliati senza procedere per quella dei delinquenti abituali. Soltanto per diventare un "boss" è necessario, naturalmente, essere un "affiliato". Dal punto di vista del detentore del potere, la scala gerarchica è formata dal "boss mafioso", che sta al vertice, dagli affiliati, collocati in una posizione media della piramide, e da tutti gli altri che sono alla base, tra i quali un occhio di riguardo è per quegli individui che caratteristicamente hanno una certa predisposizione ad essere affiliati. I "devianti per eccellenza", essendo disprezzati in genere da tutta la comunità, una volta etichettati come tali, non hanno voce in capitolo. D'altra parte sono isolati dal resto dei gruppi direttamente dagli amministratori penitenziari.

La distinzione tra le categorie vale per tutti i tempi e tutti i luoghi, anche se c'è da sottolineare che nelle carceri del sud, essendo maggiore l'influenza della malavita organizzata esterna, il ruolo del boss o dell'affiliato assume una posizione di maggior rilievo rispetto agli altri. Non bisogna dimenticare che l'istituzione del 41bis ha permesso l'allontanamento di molti "boss" dalle sezioni comuni e ciò ha consentito una diminuzione del loro potere. Di conseguenza, se da una parte è causa di conflitti tra gruppi (al sud), dall'altra ha permesso l'instaurarsi di una concezione nuova, in cui la figura del boss è quasi inesistente. In generale, si può dire che le tipologie dei detenuti sopra riportate sono valide in tutte le comunità carcerarie.

Probabilmente le regole e il potere, oggetto di discussione nel prossimo paragrafo, sono percepiti in modo diverso a seconda della prospettiva del detenuto. Se questi è un "comune", il loro impatto è psicologicamente più destabilizzante. E' questo il motivo che mi spinge ad analizzare la comunità carceraria dal suo punto di vista. D'altra parte la comunità carceraria è un mondo così complesso e ricco di contraddizioni che è difficile mettersi nei panni di tutte le categorie.





Park R., (1928), in Berzano L., Prina F., Sociologia della devianza, pag. 70, Carocci Faber, Roma.

Ibidem.

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