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Le donne: una rivoluzione incompiuta - tesina




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Le donne: una rivoluzione incompiuta






Argomenti trattati per ogni materia:

Storia: conquiste giuridiche ed economico-sociali delle donne.

Diritto: parità e pari opportunità.

Italiano: lettura del libro "Donne al Lavoro" di Maria Letizia Pruna, e di articoli di giornale inerenti l'occupazione lavorativa delle donne.


















Presentazione e motivazione

In occasione della festa delle donne ho letto alcuni articoli sulla condizione della donna nel lavoro oggi e da qui l'idea di approfondire l'argomento attraverso una tesina interdisciplinare che spaziasse dalle conquiste storiche alle odierne leggi.

L'obbiettivo che mi sono posta è analizzare questi due campi: storicamente ho voluto osservare la rivoluzione che le donne italiane hanno combattuto per ottenere alcuni diritti e per eliminare i pregiudizi che pesavano su di loro. Di fronte a quest'analisi era indispensabile farne una in materia giuridica per vedere fino a che punto i diritti rivendicati dalle donne sono stati loro concessi.

Il confronto con la realtà, secondo me, mostra al di là delle rivendicazioni e al di là delle leggi come è veramente cambiata la situazione per le donne. I molteplici grafici rendono bene l'idea della condizione della donna nella società lavorativa di oggi.

Il mio lavoro si basa su diversi articoli e documenti, su trasmissioni televisive e su alcuni libri.








Conquiste giuridiche ed economico-sociali delle donne

Il mondo femminile avrebbe potuto giungere a un'uguaglianza con il mondo maschile solo a determinate condizioni: l'acquisizione del diritto di voto; la promulgazione di leggi capaci di garantire la parità sul piano giuridico; una crescita della scolarizzazione femminile che permette alle donne di svolgere lavori prevalentemente maschili e giungere inoltre all'autonomia economica senza dover più dipendere dal marito o dal padre; la libertà di decidere come e quando sposarsi e quando e quanti figli avere.

L'acquisizione del diritto di voto, è stata la prima battaglia compiuta dalle donne per ottenere la parità tra maschi e femmine iniziata in Europa con il movimento delle suffragette ad opera di Emmeline Pankhurst in Gran Bretagna. In Italia il diritto di voto venne esteso alle donne solo dopo la fine della seconda guerra mondiale, più precisamente le donne votarono per la prima volta il 2 giugno 1946 per la scelta tra monarchia e repubblica e per l'elezione dell'Assemblea Costituente.

La prima legge in assoluto che garantisse parità sul piano giuridico fu l'articolo 3 della nostra costituzione, voluto dalle 21 donne che facevano parte dell'Assemblea Costituente:

"Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali di fronte alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali".

Questo articolo riporta due tipi di uguaglianza, quella formale e quella sostanziale.

L'uguaglianza formale consiste nel fatto che tutti i cittadini sono uguali davanti alla legge.

L'uguaglianza sostanziale indica che lo Stato deve rimuovere gli ostacoli di ordine sociale ed economico che di fatto limitano l'uguaglianza e la libertà dei cittadini, e che impediscono la realizzazione della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale della nazione.


Sono poi state approvate e promulgate altre leggi che garantissero pari dignità come la legge che permette alle donne di fare qualsiasi professione anche quelle convenzionalmente maschili (1963), la riforma del diritto di famiglia (1975) che aboliva ogni gerarchia e ogni diritto di superiorità dell'uomo nel quadro famigliare. Vi furono poi delle riforme sulla tutela della maternità (dal 1971 al 1977) la legge del 1991 che indicava ambiti e strumenti per fornire "pari opportunità" a tutti i cittadini e quella del 1996 che attribuiva alla violenza sessuale il carattere di reato contro la persona.

L'aumento del reddito disponibile delle famiglie dovuto alla ripresa economica post-bellica ha permesso a molte famiglie di investire più denaro per l'istruzione delle ragazze. Nel secondo dopoguerra aumentarono le ragazze che compirono gli studi superiori e frequentarono le università, queste ragazze rappresentavano il 30% degli studenti totali e questa percentuale andrà sempre più aumentando. Oggi il 57% degli iscritti all'università sono donne. Rispetto al passato queste donne erano per lo più di provenienza borghese e colte, esse non lavoravano per necessità ma per trovare nel lavoro realizzazioni e soddisfazioni. Prima erano le donne povere a dover lavorare per garantire alla famiglia la sopravvivenza.

Il lavoro permise alla donna di diventare una figura indipendente dotata di personalità e capacità decisionale, e di non essere più appendice del marito.

L'incremento del livello di scolarizzazione femminile permise a un maggior numero di donne di entrare nei processi lavorativi e di ricoprire cariche sempre più importanti. Inoltre, permise alle donne di essere più consapevoli della loro condizione e consentì loro di sensibilizzare l'opinione pubblica denunciando i fattori che ancora ne ostacolavano una piena emancipazione e valorizzazione.

Nel 1960 negli Stati Uniti iniziò la commercializzazione della pillola anticoncezionale, e successivamente di altri anticoncezionali anche meno invasivi, che ebbero un duplice effetto: le famiglie e soprattutto le donne poterono controllare la loro fecondità e quindi decidere quanti figli avere e quando averli, evitando che gravidanze indesiderate compromettessero la loro carriera. La riduzione del numero dei figli per coppia ha contribuito anche a ridurre il peso del lavoro domestico a carico delle donne, che è stato ancor più ridotto dalla creazione ad opera dello stato sociale, dopo numerose battaglie, di asili d'infanzia e scuole materne. Il peso del lavoro domestico fu alleggerito anche dalla rivoluzione dei consumi che immise sul mercato un numero sempre crescente di elettrodomestici che permettevano di ridurre il tempo da dedicare alle "faccende domestiche".

Durante gli anni Sessanta entra in crisi la differenziazione dei ruoli sessuali. Gli uomini iniziano a dare una mano in casa occupandosi delle faccende domestiche e dei bambini. Agli inizi degli anni Settanta nacque poi il movimento femminista negli Stati Uniti che lottava contro il dominio dei maschi sulle donne. Nascono dei gruppi in cui le donne si trovano per discutere della loro posizione all'interno della famiglia e della società, nel mondo in cui vivevano e il rapporto con il proprio corpo e la propria sessualità.

Nel frattempo vengono "organizzate" manifestazioni ed altre forme di pressione perché i Parlamenti approvassero nuove leggi sui temi del divorzio, dell'aborto e degli anticoncezionali, che furono intesi come altrettanti strumenti capaci di liberare la donna dalla tradizionale tirannia del matrimonio, della violenza sessuale, della procreazione non desiderata. In effetti le legislazioni dei vari stati seguirono il mutamento dei consumi. La maggior parte dei paesi cambiò il diritto di famiglia, in modo da riconoscere pari dignità alla moglie, il divorzio, l'aborto.

La legge sul divorzio venne introdotta in Italia nel 1970 e confermata poi da un referendum nel 1974 che spaccò in due l'opinione pubblica, anche l'aborto fece molto scalpore la legge venne introdotta nel 1978 e confermata da un referendum popolare nel 1981 destando una violenta discussione, entrambi questi argomenti vedono una parte della popolazione contraria a queste leggi ed è per lo più la componente cattolica.

Nel 1984 veniva istituita la Commissione Nazionale per la parità e la pari opportunità tra uomo e donna presso la Presidenza del Consiglio. Sulla base di questi organismi vengono create le Commissioni Regionali di Parità, costituite con leggi regionali e le commissioni di parità provinciali e comunali.

Conferenza di Pechino

Dal 4 al 15 settembre 1995 si è tenuta a Pechino la Conferenza Mondiale sulle donne a cui hanno partecipato quindicimila delegate provenienti da 189 paesi membri delle Nazioni Unite, affiancate dalle rappresentanti degli organismi internazionali e degli Stati osservatori. Inoltre, sono intervenute al Forum delle ONG trentaseimila donne appartenenti a movimenti, associazioni, all'imprenditoria, al mondo della scienza, dell'arte e della cultura.

Per la prima volta i diritti delle donne vengono definiti diritti umani ed universali con la conseguenza che nessuna ragione di fede, cultura o estremismo religioso possa giustificarne la violazione.

In questa conferenza furono proclamati due principi guida:

L'empowerment implica l'attribuzione di potere alle donne, ma non limitata ai processi politici di decision-making; c'è bisogno di una loro partecipazione attiva a tutti i livelli e questo potere costituisce uno stimolo ad accrescere le proprie abilità e competenze.

Il mainstreaming, invece, si riferisce alla necessità di inserire nelle politiche generali tematiche propriamente femminili.

Questi due concetti hanno spostato il dibatto dalla donna alla società intesa come relazioni tra uomini e donne; durante la Conferenza di Pechino è stata sottolineata anche l'importanza di includere la parità fra i sessi in tutte le istituzioni e le politiche degli Stati membri delle Nazioni Unite, accrescendo e rafforzando la presenza delle donne nelle posizioni di rilievo all'interno dei governi e della società.

La quarta Conferenza mondiale si è chiusa con l'adozione della Dichiarazione di Pechino e la Piattaforma d'Azione. Quest'ultimo documento contiene gli obiettivi strategici e le azioni da intraprendere per favorire la promozione dello sviluppo delle donne e, parallelamente, individua 12 ambiti che rappresentano, invece, gli ostacoli a tale promozione. Queste 12 aree critiche sono: donne e povertà; istruzione e formazione delle donne; donne e salute; la violenza contro le donne; donne e conflitti armati; donne ed economia; donne, potere e processi decisionali; meccanismi istituzionali per favorire il progresso delle donne; i diritti umani delle donne e donne e media.

Nell'ottobre 1999 è stato approvato un protocollo facoltativo con il quale viene riconosciuto il diritto delle donne di inviare comunicazioni scritte al Comitato sui Diritti Umani delle Nazioni Unite riguardanti le discriminazioni subite dalle donne, in ogni campo, a partire dalla famiglia sino ad arrivare al lavoro. Questo organismo si è posto a tutela di tutti i diritti civili e politici delle donne.

Riforma Costituzionale del 2003

La riforma costituzionale del 5 maggio 2003 ha modificato l'articolo 51 della Costituzione, in realtà non si tratta di una vera e propria modificazione ma dell'aggiunta di un comma :

"Tutti i cittadini dell'uno o dell'altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge. A tale fine la Repubblica promuove con appositi provvedimenti le pari opportunità tra donne e uomini. La legge può, per l'ammissione ai pubblici uffici e alle cariche elettive, parificare ai cittadini gli italiani non appartenenti alla Repubblica. Chi è chiamato a funzioni pubbliche elettive ha diritto di disporre del tempo necessario al loro adempimento e di conservare il suo posto di lavoro."

Questa modifica è da considerarsi un'integrazione sulla base dei provvedimenti europei. La modifica ha l'obbiettivo principale di garantire le pari opportunità tra uomini e donne, in particolare nelle cariche elettive, in quanto la presenza delle donne nelle istituzioni politiche elettive è molto rara.

Anche in passato sono stati fatti dei tentativi volti a consentire una maggiore presenza delle donne nelle assemblee elettive. Alcune norme contenute nella legge n.81 del 1993 - relativa all'elezione diretta del sindaco - introducevano un criterio di proporzione tra i due sessi nella composizione delle liste dei candidati alle elezioni dei consigli comunali, stabilendo che nei comuni con popolazione fino ed oltre i 15.000 abitanti nessuno dei due sessi potesse essere rappresentato in misura superiore ai tre quarti (nel primo caso) ed ai due terzi (nel secondo caso) dei consiglieri assegnati. Una norma della legge n.277 del 1993, relativa all'elezione della Camera dei deputati, disponeva che le liste presentate ai fini dell'attribuzione dei seggi in ragione proporzionale, ove recassero più di un nome, fossero formate da candidati e candidate in ordine alternato.

Parità e pari opportunità

I concetti di parità e di pari opportunità non sono sinonimi. Il concetto di parità si riferisce ad un'uguaglianza formale che si basa principalmente sul divieto di discriminazione e trova il proprio fondamento nella legge n. sulla "Parità di trattamento tra uomini e donne in materia di lavoro" e nell'art. 3 della Costituzione.

Il concetto di pari opportunità si richiama a un'uguaglianza sostanziale e vuole promuovere una discriminazione positiva e ha come riferimento la legge n. sulle "Azioni positive per la realizzazione della parità tra uomo-donna nel lavoro".

L'aumento delle donne nel mondo del lavoro non coincide con il raggiungimento di pari opportunità di accesso, permanenza e progressione nel lavoro tra uomini e donne.

Il Mainstreaming di genere fa riferimento all'adozione della prospettiva di genere nella definizione e attuazione di tutte le politiche e azioni pubbliche, a livello nazionale, regionale e comunitario. In sostanza significa tener conto dell'impatto di genere di ogni intervento o provvedimento introdotto nei più diversi settori. L'applicazione del mainstreaming appare ancora molto lontano dalla sua attuazione.

Le politiche di parità e di pari opportunità si configurano come azioni mirate, volte a rimuovere specifici ostacoli alla realizzazione di uguali condizioni di accesso al lavoro e di progressione della carriera tra uomini e donne. Le politiche di pari opportunità restano ancora interventi specifici per aiutare le donne mentre le politiche economiche per l'occupazione continuano ad affrontare la questione della creazione e regolazione dei posti di lavoro in modo indistinto o esplicitamente maschile. Le politiche del lavoro si occupano di creare tipologie contrattuali e forme di incentivazione pensate soprattutto per le donne ma non sempre a vantaggio delle donne. Il miglioramento della qualità dell'occupazione femminile resta un campo di intervento specifico delle politiche delle pari opportunità.

Le azioni positive sono nate negli Stati Uniti introno agli anni '60, per contrastare le grave discriminazioni razziali sfociate nell'assassinio di Martin Luther King. Si sono poi diffuse anche in Europa per garantire parità di diritti a minoranze o a gruppi discriminati in base alla razza, all'etnia, alla religione e al genere. Nel 1984 una Risoluzione della Comunità europea le ha individuate come strumento operativo della politica per le pari opportunità con riferimento alle disuguaglianze di genere. L'Italia ha recepito la Risoluzione europea sette anni più tardi con la legge n.

Le azioni positive sono provvedimenti o misure che introducono nel mercato del lavoro una discriminazione positiva per accelerare il processo di riequilibrio tra i generi. Si tratta quindi di interventi che combattono le forme di discriminazione diretta ma anche indiretta nei confronti delle lavoratrici.

Legge 903/1977

La legge n. 903/1977 ha introdotto elementi di parità di trattamento tra uomini e donne in materia di lavoro. Negli anni '70 viene messo in rilievo il problema della condizione femminile sul piano dell'occupazione ed emerge con chiarezza come le tradizionali norme di protezione svantaggiavano la donna in quanto aumentavano il costo della manodopera femminile e finivano per disincentivare il suo impegno da parte degli imprenditori.

Lo scopo della legge è realizzare una parità di trattamento tutelando la donna lavoratrice e creando presupposti per una maggiore autonomia sul piano professionale, personale ed economico. Le fondamentali caratteristiche di questa legge sono:

Divieto di qualsiasi forma di discriminazione dovuta allo stato di famiglia o allo stato di gravidanza;

La donna ha diritto alla stessa retribuzione dell'uomo quando le prestazioni richieste siano uguali o di pari valore e al medesimo inquadramento professionale;

Diritto di rinunciare all'anticipazione del pensionamento e di optare per il proseguimento del lavoro fino agli stessi limiti di età previsti per gli uomini, previa comunicazione al datore di lavoro da effettuarsi almeno tre mesi prima della data di perfezionamento del diritto alla pensione di vecchia;

Mantenimento del divieto di lavoro notturno per la parificazione delle condizioni di lavoro anche attraverso l'alleggerimento dello stesso per le lavoratrici;

Corresponsione degli assegni famigliari, aggiunte di famiglia e maggiorazioni per i famigliari a carico, in alternativa al lavoratore, alla donna lavoratrice.

L'articolo 5 della legge n. 903/1977, modificato dalla legge n. 25 del 5 febbraio 1995, vieta il lavoro notturno alle donne in stato di gravidanza fino al compimento di un anno di età del bambino e lo rende facoltativo per le donne che si trovino in queste condizioni:

La lavoratrice madre di un figlio di età inferiore ai 3 anni o alternativamente al padre convivente con la stessa;

La lavoratrice o il lavoratore che sia l'unico genitore affidatario del bambino con età inferiore ai 12 anni;

La lavoratrice o il lavoratore che abbia a proprio carico un soggetto disabile ai sensi della legge n. 104 del 5 febbraio 1992, e successive modificazioni.

Le lavoratrici che abbiano adottato bambini, o che li abbiano ottenuti in affidamento preadottivo possono avvalersi, qualora il bambino al momento dell'adozione non abbia superato il sesto anno di età, dell'astensione obbligatoria dal lavoro e del relativo trattamento economico.

Legge 125/1991

Scopo e obbiettivo della legge

La legge ha lo scopo di favorire l'occupazione femminile e di realizzare l'uguaglianza tra uomini e donne nel lavoro anche mediante l'adozione di azioni positive per rimuovere gli ostacoli che di fatto impediscono la realizzazione delle pari opportunità. L'obbiettivo principale è di favorire il miglioramento della formazione professionale e scolastica delle donne.

Benefici

Il legislatore ha voluto con questa legge attuare le misure finalizzate all'inserimento della donna nel mondo del lavoro attraverso le azioni positive.

I principali scopi delle azioni positive sono:

eliminare le disparità di fatto di cui le donne sono oggetto nella formazione scolastica e professionale, nell'accesso al lavoro, nella progressione di carriera, nella vita lavorativa e nei periodi di mobilità;

favorire la diversificazione delle scelte professionali delle donne in particolare attraverso l`orientamento scolastico e professionale e gli strumenti della formazione; favorire l`accesso al lavoro autonomo e alla formazione imprenditoriale e la qualificazione professionale delle lavoratrici autonome e delle imprenditrici;

superare condizioni, organizzazione e distribuzione del lavoro che provocano effetti diversi, a seconda del sesso, nei confronti dei dipendenti con pregiudizio nella formazione nell`avanzamento professionale e di carriera ovvero nel trattamento economico e retributivo;

promuovere l`inserimento delle donne nelle attività nei settori professionali e nei livelli nei quali esse sono sottorappresentate e in particolare nei settori tecnologicamente avanzati ed ai livelli di responsabilità;

favorire anche mediante una diversa organizzazione del lavoro, delle condizioni e del tempo di lavoro l`equilibrio tra responsabilità familiari e professionali e una migliore ripartizione di tali responsabilità tra i due sessi.

Per favorire lo sviluppo di queste azioni è stato previsto il rimborso totale o parziale degli oneri finanziari sostenuti per la loro attuazione.

Il legislatore non ha ritenuto di dover regolamentare in modo puntuale gli aspetti più applicativi, rinviandoli (art. 2, comma 4) ad un successivo decreto ministeriale, nel quale devono essere precisate le modalità di presentazione della richiesta, i criteri di erogazione dei fondi e i tempi di realizzazione del progetto.

La donna lavoratrice è tutelata anche nelle forme di discriminazione indiretta.

Questa legge istituisce il "Comitato nazionale" per l 'attuazione dei principi di parità di trattamento e uguaglianza di opportunità tra lavoratori e lavoratrici" e definisce i compiti del Consigliere di Parità presente a livello nazionale, regionale e provinciale per quanto riguarda gli organismi territoriali di promozione e controllo.

"Le azioni positive favoriscono l'equilibrio tra responsabilità familiari e professionali e una migliore ripartizione di tali responsabilità tra i due sessi": questo obbiettivo è promosso da:

Il Comitato nazionale nasce per promuovere la rimozione dei comportamenti discriminatori per sesso e gli ostacoli che limitino l'uguaglianza delle donne nell'accesso al lavoro e sul lavoro, i compiti di questo organo sono molteplici.

I Consiglieri di parità sono nominati del Ministro del lavoro e della previdenza sociale tra persone che abbiano maturato un'esperienza tecnico-professionale di durata almeno triennale nell'ambito delle pari opportunità. Sono presenti a livello nazionale, regionale e provinciale e sono componenti della commissione centrale e delle rispettive commissioni regionali per l'impiego e degli organismi di parità presso gli enti locali regionali e provinciali. Sono pubblici funzionari e hanno l'obbligo di rapporto all'autorità giudiziaria per i reati di cui vengono a conoscenza dell'esercizio delle funzioni. Hanno facoltà di agire in giudizio su delega della lavoratrice.

I Consiglieri di parità possono richiedere all'ispettorato del lavoro di conseguire presso i luoghi di lavoro informazioni sulla situazione occupazionale maschile e femminile.

Tenendo conto degli effetti prodotti dalle azioni positive è possibile, altresì, distinguere tra quelle:

strategiche, mirate cioè a produrre un mutamento effettivo, immediato e percepibile nella realtà aziendale a favore di processi gestionali e organizzativi tradizionalmente limitanti per le donne.

simboliche, finalizzate all'inserimento delle donne a livelli di responsabilità o a lavori storicamente loro preclusi.

di sensibilizzazione, prevedono attività formative e di informazione volti a diffondere la politica di promozione della figura e del ruolo femminile nell'azienda e a combattere in maniera incisiva le discriminazioni indirette.

promozionali, cioè quelle azioni volte al superamento di posizioni di svantaggio delle donne nel mondo del lavoro.

risarcitorie che propongano, cioè, soluzioni alle discriminazioni femminili nel mondo del lavoro, particolarmente in riferimento alle retribuzioni e alla carriera.

In sintesi

In Italia la prima legge sulla parità tra lavoratori e lavoratrici è stata la legge 903/1977. Una legge che presentava molte carenze per una la realizzazione sostanziale della parità tra uomini e donne in materia di lavoro e ha rimuovere di fatto gli ostacoli.

La legge 125/1991 ha proclamato il divieto di discriminazione ma anche impegnato a fare delle azioni positive per rimuovere i pregiudizi sull'avanzamento di carriera, in materia di retribuzione e in materia professionale.

Le azioni positive sono misure concrete che vengono attuate attraverso alcuni provvedimenti normativi per attuare migliori opportunità per le donne.

Questa legge riconosce e definisce la discriminazione indiretta : ogni trattamento pregiudizievole conseguente all'adozione di criteri che svantaggino in modo proporzionalmente maggiore i   lavoratori dell'uno o dell'altro sesso e riguardino requisiti non essenziali allo svolgimento dell'attività lavorativa.

L'inadeguatezza delle risorse  e l'insufficiente dotazione di strumenti e mezzi per lo svolgimento delle azioni positive da parte degli organi predisposti ha reso necessario un altro intervento: la legge n. 196/2000 che ha l'obbiettivo di ridefinire e potenziare le funzioni, le dotazioni strumentali, le risorse economiche dei consiglieri di parità e migliorare l'efficacia delle azioni positive.

Importante in questa legge è l'obbligo di informazione sulla situazione del personale maschile e femminile imposto alle «aziende pubbliche e private con più di 100 dipendenti». Le aziende sono tenute ad adempiere quest'obbligo mediante la redazione e la trasmissione alle rappresentanze sindacali aziendali (RSA) e al Consigliere regionale di parità (CRP) di un rapporto sugli aspetti essenziali della politica del personale (assunzioni, mobilità, retribuzioni, licenziamenti), con informazioni separate per lavoratori e lavoratrici. Il rapporto deve informare sulla situazione del personale maschile e femminile «in ognuna delle professioni». A facilitare il compito delle aziende nella redazione del rapporto il decreto del Ministero del Lavoro dell'8 luglio 1991 ha predisposto delle tabelle per ciascuna specificazione richiesta dalla legge.

La scarsità dei controlli

Le commissioni nazionali, regionali e provinciali per la parità e le pari opportunità tra uomo e donna, il comitato nazionale per l'attuazione dei principi di parità di trattamento ed eguaglianza di opportunità tra lavoratori e lavoratrici sono abbondanti e per lo più inutili. Vi è uno scarso coordinamento delle norme: ripetizioni di interventi tra leggi regionali e statali, le difficoltà di attuazione delle leggi sono dovute alla scarsità di risorse finanziarie.

La maggioranza dei progetti di azioni positive interviene in modo episodico nei contesti lavorativi con scarse possibilità di produrre qualche cambiamento significativo. Inoltre non vi sono altri provvedimenti che rafforzano quanto fatto dalle azioni positive.

In tutti questi provvedimenti e organi nati recentemente manca un'organizzazione stabile e agile dotata di mezzi adeguati e impostata su principi di efficienza. La carenza di controlli impedisce di rendere evidente la differenza tra gli impegni presi e le leggi in realizzazione di quanto previsto.

Alla fine del 2004 il CNEL ha predisposto un disegno di legge in materia di statistiche di genere accompagnato da una relazione nella quale si evidenzia la carenza dei dati per genere e la necessità di disporre in modo sistematico di una lettura di genere delle statistiche ufficiali.

Donne e inserimento lavorativo

La partecipazione delle donne nel mercato del lavoro non è scontata, infatti molte riviste pubblicano la direzione di un'azienda da parte di una donna come un fatto eccezionale, una conquista, anche se non dovrebbe più essere così visto i numerosi interventi dello Stato e delle organizzazioni sovranazionali.


La condizione non è certo migliore nelle stanze dei bottoni: alla Camera dei Deputati sono 134 donne su 630 (21,3%), mentre al Senato sono 59 su 322 (18,3%).

Bisogna premettere che nella nostra società c'è un pregiudizio: le donne devono essere madri, mogli e soprattutto casalinghe. Devono lavorare solo quando sono costrette a farlo per mandare avanti la propria famiglia.

Le donne non si sono fatte abbattere da questo pregiudizio, anzi, si sono date da fare anche contro lo Stato che non ha incoraggiato la presenza delle donne al lavoro. Infatti per circa trent'anni l'offerta pubblica di servizi alle famiglie è rimasta quasi invariata, allo stesso modo le politiche famigliari non sono state ripensate di fronte all'aumento delle donne nel mercato del lavoro.

Il pregiudizio di dover essere prima di tutto madri e mogli che pesa sulle donne è alimentato da alcuni atteggiamenti della società come il fatto che le retribuzioni maschili siano mediamente più elevate rispetto a quelle delle donne. Si calcola che gli uomini percepiscano retribuzioni il 7% circa più alte delle donne in Italia mente la media europea si aggira intorno al 15%. In realtà il dato è solo apparentemente positivo perché è legato al fatto che le donne italiane che lavorano sono poche e quelle che avrebbero bassi salari potenziali preferiscono starsene a casa. 

I dati della Presidenza del Consiglio rivelano che una dirigente guadagna il 26,3% in meno del collega maschio. Altri dati rivelano che il 63,1% delle aziende quotate in borsa, escluse banche e assicurazioni, non ha una donna nel consiglio di amministrazione. Su 2217 consiglieri, solo 110 sono donne. Ancora peggio nelle banche, dove su un campione di 133 istituti di credito, il 72,2% dei Consiglia di amministrazione non conta neppure una donna. Nonostante il 40% dei dipendenti delle banche siano donne, solo lo 0,36% ha la qualifica di dirigente, contro il 3,11% degli uomini.

La condizione della donna è certamente migliorata rispetto ai secoli precedenti ma la strada è ancora lunga, soprattutto se si pensa a quanto siano ancora frequenti gli stupri, le violenze, i maltrattamenti, gli abusi, sia tra le mura domestiche, sia sul posto di lavoro. In Italia circa 6 milioni 743 mila donne hanno subito una violenza fisica e sessuale, 7 milioni 134 mila una violenza psicologica, mentre 1 milione 400 mila un abuso sessuale prima dei 16 anni.

Impiego femminile e maschile a confronto

Nel nostro Paese circa la metà delle donne in età lavorativa non partecipa alla vita economica: si tratta di 9 milioni 600 mila persone, di cui un terzo - che corrisponde a 3 milioni 250 mila donne - è nella fase centrale della vita (35-54 anni). Gli uomini inattivi sono meno di 5 milioni - quindi 4 milioni e mezzo meno delle donne - e di questi soltanto 580 mila sono nella fascia di età centrale. Questi dati delineano la situazione dell'Italia, che ha il più basso livello di partecipazione femminile al mercato del lavoro tra tutti i 25 stati membri dell'Unione Europea, e che figura al terzultimo posto tra i 30 paesi aderenti all'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse). Secondo i dati diffusi da quest'organo nel 2005 il paese con il più alto tasso di attività femminile è l'Islanda dove la quota di donne attive oltrepassa l'83% seguita dai Paesi scandinavi. L'Italia è al 28° posto con il 50,4% di popolazione femminile attiva. Dopo l'Italia troviamo Grecia, Messico e Turchia.

Donne e titolo di studio

In relazione al titolo di studio la partecipazione delle donne al mercato del lavoro varia. Il titolo di studio sembra essere l'unica arma per annullare il divario di differenze tra uomini e donne. Se poniamo l'attenzione sulla fascia centrale della vita lavorativa (35-54 anni) possiamo osservare che uomini e donne esprimono in media livelli di partecipazione al mercato del lavoro molto distanti: il 93% dei primi contro il 62% delle seconde. Oggi il 60% dei laureati sono donne e questo ha causato la partecipazione delle donna al mondo dell'istruzione per un periodo più lungo dando vita a tre fenomeni rilevanti:

Il progressivo slittamento in avanti dell'età di ingresso nel mercato del lavoro, che oggi si colloca intorno ai 20 anni, cioè dopo il conseguimento del diploma;

Un'aspettativa pressoché generalizzata di inserimento lavorativo da parte delle giovani donne istruite, proiettate verso un futuro di lavoratrici e non di casalinghe e perciò mosse da una forte motivazione a raggiungere e difendere una certa realizzazione professionale;

Inoltre, vi è una maggiore selettività da parte dell'offerta femminile, accompagnata da legittime aspirazioni di carriera.


La partecipazione delle donne al mercato del lavoro non è quasi mai continuativa. Vi sono dei fattori discriminatori come il matrimonio e la presenza e la nascita di bambini. Questi fattori vengono considerati discriminatori perché questi eventi causano una minore produttività e maggiori assenze, il che rende le donne meno convenienti rispetto agli uomini che avendo il carico famigliare devono per forza lavorare e per questo sono più produttivi delle donne. Questa discriminazione è amplificata dall'insufficienza di strutture per l'infanzia e qualora vi siano hanno costi elevati e questo impone alle donne la rinuncia totale o parziale del lavoro. Oltre ai figli molto spesso vi sono anche i genitori, gli anziani, che sempre più spesso hanno bisogno di aiuti di vario genere e che molte volte si trovano con difficoltà sul mercato, questo problema aumenterà sempre più nei prossimi decenni.

Consiglio Europeo del 2000

Nel marzo del 2000, il Consiglio Europeo riunito a Lisbona ha rilanciato la strategia per l'occupazione individuando per la prima volta obbiettivi molto precisi.

Il primo obbiettivo è l'innalzamento del tasso medio di occupazione del 61 al 70% entro il 2010. Alla fine del 2005 il tasso medio di occupazione ha raggiunto solo il 63,3% e questo dimostra quanto ancora c'è da fare.

Il secondo obbiettivo consiste nell'innalzamento del livello occupazionale delle donne, che dal 51% del 2000 dovrebbe essere portato  entro il 2010 al 60%. Attualmente la media europea si aggira sul 57,4% e quella italiana attorno al 46,3%.

Questi due obbiettivi sono nettamente collegati tra di loro in quanto, un aumento del numero di occupati si può avere anche grazie a un aumento della percentuale di donne impiegate.

Le donne rappresentano quindi la principale risorsa per aumentare l'occupazione nel nostro continente e questo spiega la crescente attenzione che l'Unione europea dedica all'aumento e al miglioramento delle opportunità di lavoro per le donne.

Donne e Pubblica Amministrazione

Nella pubblica amministrazione le cose vanno diversamente. Infatti, per accedervi bisogna sostenere dei concorsi pubblici dove le donne riesco ad affermarsi in maniera diversa, dimostrando quello che valgono veramente, ecco perché la presenza femminile è maggiore nelle pubbliche istituzioni che nel settore privato.

Cosa non avviene nelle cariche elettive dove le donne addette ai lavori della politica sono molto poche.

Donne e tipi di lavoro

Le donne che lavorano sono in misura minore rispetto agli uomini ma che lavori svolgono? Prevalentemente quei lavori che la mentalità italiana considera da donne ma anche quei lavori tipicamente maschili che hanno suscitato molto scandalo. Le donne continuano ad affermarsi un po' in tutti i settori dimostrando di valere veramente,  e molto spesso anche di più degli uomini.

Per quanto riguarda le lavoratrici autonome in Italia sono aumentate del 9% circa negli ultimi quattro anni. I settori che si mostrano più sensibili e dinamici alla crescita dell'imprenditoria femminile sono prevalentemente quelli del terziario, nei quali si concentra il 15.4% delle imprese femminili.





















Conclusione

Se diamo uno sguardo al passato vediamo che dagli inizi del Novecento le donne hanno cambiato parecchio la loro condizione ma non possiamo parlare di una vera e propria emancipazione dalla quale si è ancora lontani.

Questo è dovuto alla difficoltà delle donne di raggiungere posizioni dirigenziali e di prestigio, in politica le donne sono in posizione nettamente inferiore rispetto ai loro colleghi maschi, nelle famiglie la donna deve sopportare il carico del doppio lavoro: il lavoro remunerato e il lavoro domestico del quale fanno parte anche l'educazione e la crescita dei figli e la cura degli anziani.

Le leggi non mancano, anche se in alcuni campi si registrano ancora molte lacune. Si registra ancora una carenza di controlli abbastanza elevata che non permette un rispetto delle leggi, anche se in certi casi è molto difficile controllare i comportamenti dei datori di lavoro. Comportamenti che dovrebbero essere denunciati dalle donne che, essendo sotto pressione o impaurite o poiché hanno scarsa fiducia nelle istituzioni, preferiscono restare nell'ombra.

Gli ambiti in cui si registra una maggiore carenza legislativa sono quelli dell'assistenza agli anziani e della cura dei bambini, di tutte le età. I costi che una famiglia deve sostenere per sopperire queste carenze ammontano all'incirca allo stipendio che una donna non in carriera percepisce. La carenza di queste leggi favorisce quindi l'abbandono lavorativo delle donne quando queste diventano madri.






Bibliografia:

M.L. Pruna, Donne al lavoro, Bologna, il Mulino, 2007.

F.M.Feltri, M.M.Bertazzoni, F.Neri, I giorni e le idee, Borgo Torinese (TO), Società Editrice Internazionale, 2006.

S.Marforio, Un'occasione rosa, in "iN Europa", anno XIII, numero 9, 2 Marzo 2009, pag. 2.

M.Gibelli, La sociologa: «Parità? Siamo ancora lontani», in "(iN Europa)", anno XIII, numero 9, 2 Marzo 2009, pag. 3.

R.Biffi, Quando nel Mezzogiorno l'innovazione è donna, in "Famiglia Cristiana", anno XIII, numero 10, 2 Marzo 2009, pag. II e III.

R.Biffi, La busta paga? Più leggera degli uomini, in "Famiglia Cristiana", anno XIII, numero 10, 2 Marzo 2009, pag. IV e V.


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