Il lavoro nel
pensiero aristotelico
Secondo
Antonio Santoni Rugiu
Aristotele sosteneva che per la parte più illuminata della società greca era
necessario servirsi di schiavi e graduare nettamente i diritti civili e
politici in rapporto alle classi sociali di appartenenza. Era quindi una
necessità sfruttare il lavoro e a volte la vita di prigionieri di guerra, come
oggi si considera necessario l'apporto di principi nutritivi con
un'alimentazione sana e equilibrata.
Aristotele,
riserva l'educazione ai veri cittadini, coloro cioè che per condizioni sociali
potevano accedere alle funzioni pubbliche direttive; egli ritiene, infatti, che
siano "ignobili tutte le opere, i mestieri, gli insegnamenti che rendono
inadatti alle opere e alle azioni della virtù il corpo (o l'anima) o
l'intelligenza degli uomini liberi. Perciò tutti i mestieri che per loro natura
rovinano la condizione del corpo li chiamiamo ignobili, come pure i lavori a
mercede, perché tolgono alla mente l'ozio e la fanno gretta. Riguardo alle
scienze liberali, poi, interessarsi di qualcuna entro certi limiti non è
indegno d'un libero, ma l'occuparsene troppo, fino all'eccesso, comporta i
danni ricordati. Grande importanza riveste pure il fine per cui uno agisce o
impara; l'agire in vista di se stesso o degli amici o per amore della virtù non
è illiberale, ma chi fa queste cose per gli altri spesso sembrerà che agisca in
maniera mercenaria e servile".
Per Aristotele la condizione di benessere psico-fisico non è di chi lavora, ma
di chi sta in ozio. Aristotele parla di ozio in termini corretti, non intende
assenza di azione, ma " (.) di stare in ozio nobilmente: perché è questo il
principio unico di ogni azione, ripetiamolo anche a questo proposito. E se
entrambe le cose sono necessarie, ed è preferibile l'ozio all'azione, anzi ne è
il fine, bisogna cercare di stare in ozio facendo quel che si deve. (.). Ma lo
stare in ozio par che contenga da sé il piacere, la felicità, uno stato di vita
beato. E ciò appartiene non a quelli che operano, bensì a quelli che stanno in
ozio, perché chi è in attività lo è proprio perché vuol raggiungere un qualche
fine che attualmente non possiede, mentre la felicità è fine e tutti la
ritengono accompagnata non dal dolore ma dal piacere. Ora questo piacere non lo
concepiscono nello stesso modo, ma ciascuno secondo il suo punto di vista e la
sua disposizione: i migliori, in ogni modo, cercano il piacere migliore e che
deriva dalle fonti più belle. Di conseguenza è chiaro che bisogna imparare ad
essere educati in talune cose in vista dell'ozio che c'è nello svago nobile, e
che queste discipline e queste nozioni sono in funzione di se stesse, mentre
quelle che servono alla attività pratica vanno riguardate come necessarie e in
funzione di altro. Per ciò gli antenati inclusero la musica nell'educazione,
non in quanto necessaria (.) rimane dunque che essa serve a ottenere lo svago
nobile che c'è nell'ozio e per questo pare che l'abbiano introdotta. In realtà
essi le cedono un posto in quella forma di ricreazione che ritengono propria
degli uomini liberi" .
È
evidente in Aristotele la contrapposizione tra vita contemplativa e vita
lavorativa, solo il padrone può dedicarsi al ragionamento e alla riflessione,
lo schiavo poteva avere al massimo una "giusta opinione",
se seguiva le direttive del padrone; per il resto era troppo occupato a
lavorare. Secondo Santoni Rugiu, Aristotele considerava i lavoratori come strumenti
sociali, quasi come arnesi necessari al lavoro, infatti non aveva senso
preoccuparsi per un loro affinamento razionale, dal momento che le capacità che
loro dovevano sviluppare nell'interesse di tutti erano esclusivamente tecniche
e non intellettuali .
Dello schiavo Aristotele dice : "Per ciò, mentre il padrone è solo padrone
dello schiavo e non appartiene allo schiavo, lo schiavo non è solo schiavo del
padrone, ma appartiene interamente a lui. Dunque, quale sia la natura dello
schiavo e quali le sue capacità, è chiaro da queste considerazioni: un essere
che per natura non appartiene a se stesso ma a un altro, pur essendo uomo,
questo è per natura schiavo: e appartiene a un altro chi, pur essendo uomo, è
oggetto di proprietà: e oggetto di proprietà è uno strumento ordinato
all'azione e separato" .
Per
Donati Aristotele considera il lavoro attività «inferiore». Donati spiega che Aristotele concepisce
l'uomo (maschio, adulto, libero) composto di tre anime (razionale, sensitiva,
vegetativa) 'ed è un essere sociale in base - si badi bene - alle due
anime sensitiva e vegetativa, dal momento che la razionalità, l'operazione
razionale, è invece essenzialmente individuale e perviene a maturità quando
giunge all'autosufficienza, cioè alla chiusura completa (sublimata nella parte
speculativa o contemplativa della razionalità, distinta da quella
pratica)' .
Secondo Donati la società per Aristotele è una condizione «naturale» per l'Uomo
e gli aspetti sensibile e vegetativo «stanno sotto», precedendo l'operazione
razionale. Il lavoro è così considerato per l'uomo 'attività
«inferiore»' ,
necessaria a soddisfare i bisogni primi di sopravvivenza, ed eventualmente
sensitivi, per poi concedergli di accedere all'attività razionale superiore. Il
lavoro assume così significato per la specie, ma non per l'Uomo, (che per
Aristotele, è per essenza razionale) .