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Vita di A. Manzoni
Alessandro Manzoni, uno dei più grandi scrittori non solo del
XIX secolo, ma della letteratura europea dal Medioevo in poi, nasce a Milano il
7 marzo 1785, dal conte Pietro Manzoni, un benestante proprietario terriero
originario di Barzio in Valsassina, e da Giulia Beccaria figlia di Cesare
Beccaria, il celebre illuminista autore dell'opera Dei delitti e delle pene,
contro la tortura e la pena di morte.
Quando Giulia sposa
Pietro Manzoni ha vent'anni e lui quarantasei, due più del suocero. È un
matrimonio combinato, al quale la giovane acconsente malvolentieri e che
subisce con insofferenza. Così quando nasce Alessandro, i soliti pettegoli
danno per certo che la paternità del bambino sia da attribuirsi a Giovanni, il
più giovane e avvenente dei conti Verri.
Pietro Manzoni, però,
riconosce il figlio e lo affida a una balia, dal carattere dolce e allegro, che
abita alla cascina Costa, tra Malgrate e Mozzate, nei dintorni di Lecco.
Ma il matrimonio di
convenienza tra i coniugi Manzoni dura poco; sin dai primi mesi, costretta a
vivere con un marito più vecchio di lei, insieme a sette cognate nubili e a un
cognato canonico, Giulia si dimostra insofferente a un'atmosfera buia e retrograda,
e comincia a frequentare la casa dei Verri, dove si innamora di Giovanni
Con la nascita del
bambino la situazione in casa Manzoni diventa sempre più fredda, tanto che nel
1791 Giulia chiede e ottiene la separazione legale, che verrà ratificata dal
tribunale nel febbraio 1792. Alessandro secondo la legge resta con il padre.
A sei anni il piccolo
Alessandro entra nel collegio dei padri Somaschi, prima a Merate e poi, nel
I genitori si interessano
poco di lui; già dal 1792 Giulia Beccaria, che nel frattempo, abbandonando casa
Verri, aveva conosciuto il nobile e ricco Carlo Imbonati, col quale si stabilisce
prima a Londra e poi a Parigi, dove viene accolta favorevolmente anche grazie
alla fama del padre, finché nel 1805 il nobile muore improvvisamente
lasciandola erede di una cospicua fortuna.
L'adolescente Manzoni, fu in pratica abbandonato dalla madre, ed ebbe scarsi
contatti umani con il padre, che in lui vedeva l'immagine del suo fallimento
matrimoniale e di una donna che non era stato capace di amare e conquistare,
anche a causa di un carattere irresoluto e incline a una spiritualità umana e
religiosa di maniere fatta di apparenze più che di sostanza. L'adolescenza di
Alessandro trascorse quindi senza quegli affetti familiari che sono
indispensabili per creare quel vero equilibrio tra vita interiore e vita
sociale che è alla base di una vita che può definirsi felice: ogni altro
equilibrio è destinato a spezzarsi al primo soffio veramente impetuoso, che
spazza via ogni ostacolo che non è profondamente radicato.
Intanto nel 1798
Alessandro ritorna a Milano, che nel frattempo era diventata la capitale della
repubblica Cisalpina, dopo il Trattato di Campoformio, col quale Venezia cade
sotto l'Impero austriaco e Napoleone consolida il suo dominio sull'Italia
settentrionale, nel collegio Longone dei Padri Barnabiti. Nel 1801 completa gli
studi e ritorna in famiglia nel palazzo di via san Damiano, alternando i
soggiorni nella villa estiva al Caleotto, presso Lecco; ma vive praticamente
isolato da padre, insieme alla servitù, pur conoscendo ospiti abbastanza
occasionali come Monti, Foscolo e Cuoco; dello stesso anno è la sua prima opera
importante, il poemetto di stampo classicheggiante, secondo gusti montiani, Del
trionfo della libertà, frutto anche della sua insofferenza al metodo
educativo di Barnabiti e Somaschi, del suo distacco dal cattolicesimo e dell'entusiastico
avvicinamento agli ideali illuministici e ai valori della Rivoluzione Francese,
portati a Milano dall'armata Napoleonica.
Alessandro, nella casa
del conte Manzoni, respira un'atmosfera malinconica, accresciuta dalla
tetraggine delle sette zie nubili, una delle quali ex monaca, e dallo zio
monsignore che porta la natta all'occhio. Pure, riesce a divertirsi, come tutti
i giovani. Ama il teatro, va a giocare al Ridotto della Scala, conosce il poeta
Vincenzo Monti (1754-1828) che gli sembra un'immagine autorevole da imitare,
ammira le idee che diffonde Napoleone in tutta Europa, anche se il personaggio
lo lascia perplesso.
La vocazione poetica del
sedicenne Manzoni si manifesta con un sonetto autobiografico, Autoritratto,
in cui si presenta: «Capel bruno; alta fronte; occhio loquace» e poi, per
quanto riguarda il carattere, ammette di essere «Duro di modi, ma di cor
gentile», anche se confessa, alla fine, di essere un po' confuso circa il
giudizio da dare di se stesso, «Poco noto ad altrui, poco a me stesso. / Gli
uomini e gli anni mi diran chi sono». È un adolescente in cerca della propria
identità.
Il sonetto riecheggia lo stile di Vittorio Alfieri (1749-1803) che, per i
giovani del tempo, è una sorta di idolo di cui si ammira la generosità,
l'insofferenza per ogni forma di ipocrisia, il carattere ribelle,
l'incarnazione del genio incompreso, in lotta contro ogni forma di mediocrità.
Da poco
uscito di collegio, respirando l'aria ricca di ideali illuministici della capitale
lombarda, il giovane Manzoni scrive il suo primo poemetto in quattro canti,
intitolato Del trionfo della libertà (1801), in cui, imitando il suo
'maestro' Vincenzo Monti, e anche Dante, condanna ogni forma di
tirannide.
L'esordio poetico risale
al 1802: Francesco Lomonaco (1772-1810), storico e saggista esule da Napoli
dopo la fallita rivoluzione del 1799, inserisce il sonetto manzoniano Per la
vita di Dante, in apertura delle sue Vite degli eccellenti italiani.
In questi anni, incoraggiato dai consensi e dall'amicizia di poeti come Ugo
Foscolo (1778-1827) ed Ermes Visconti (con la sorella del quale, l'angelica
Luisina, vive l'emozione del primo amore, ma presto la famiglia scoraggia
le assidue visite del tenero poeta), scrive l'ode Qual su le Cinzie cime
(1802), in cui si sente l'influsso della poesia del Parini e del Foscolo,
l'idillio Adda (1803), una sorta di invito al Monti perché sia suo
ospite nella villa paterna del Caleotto, sul lago di Como, e i quattro Sermoni,
in cui, alla maniera di Orazio, elabora una satira sferzante contro il
malcostume del tempo. Il giovane comprende che il poeta deve coltivare in sé
una fortissima tensione morale per trasformare l'opera d'arte in strumento
educativo per l'umanità.
Questo è il retaggio di
un altro grande poeta che, scomparso da qualche anno, ancora irraggia la sua
personalità su tutta la cultura milanese e dà un carattere di forte impegno
all'illuminismo lombardo: Giuseppe Parini (1729-1799).
A diciott'anni, nel 1803, Alessandro Manzoni è già noto ai più grandi intellettuali del tempo, a cui chiede giudizi e valutazioni sulla sua produzione: sottopone le poesie al Monti, che ha per lui parole lusinghiere. Diviene amico di Vincenzo Cuoco( 1770-1823), esule a Milano come il Lomonaco, e autore del Saggio sulla rivoluzione napoletana del 1799 (1801), col quale inorridisce il poeta raccontando le sanguinose repressioni borboniche. Da lui riceve lo stimolo a conoscere il pensiero di Giambattista Vico e si entusiasma per la ricerca storica. L'idea di storia, come analisi delle condizioni di un popolo e come insieme degli avvenimenti in cui è protagonista la massa, si insinua in questi anni nella mente dell'autore dei Promessi Sposi, il 'romanzo degli umili'.
Milano è
una città stimolante e affascinante per il ragazzo che ha conosciuto, fino a
sedici anni, i quieti paesaggi del lago di Como (contemplati dalla villa
paterna del Caleotto, a Lecco) e gli austeri corridoi dei collegi. Tuttavia
egli lascia
Nel 1804 il Monti si
trova a Parigi, ospite dell'Imbonati e di Giulia e le parla di quel figlio
lontano e praticamente sconosciuto. Ecco rifarsi viva, dopo anni di silenzio,
questa figura materna così spregiudicata e anche un po' egoista, a ben vedere.
Forse è il timore della solitudine, forse è il bisogno di liberarsi dai sensi
di colpa. Non si sa che cosa induca Giulia a richiedere la presenza del figlio.
Alessandro riceve l'invito: chiede i soldi per il viaggio al padre, che subito
glieli concede; ma mentre si accinge a partire, viene raggiunto dalla notizia
della morte dello stesso Imbonati, lasciando erede Giulia dei suoi beni, tra
cui la villa di Brusuglio, poco fuori Milano. Il ventenne Alessandro, nel
settembre 1805 raggiunge Parigi e più che una madre conosce una donna, afflitta
per la recente perdita: si fondono due dolori ma nasce anche lentamente e con
una certa fermezza un affetto che in qualche modo ripaga del mancato amore
degli anni trascorsi. Comincia così, per lui, uno dei momenti più costruttivi
della sua formazione intellettuale
Parigi e una madre
«Giulia
Beccaria aveva quarantatrè anni: coi capelli biondi, quasi fulvi, gli occhi
grigi, il naso aquilino, il temperamento virile, ardimentoso, orgoglioso,
imperioso, lo spirito vivace e acuto, conservava ancora quella grazia che aveva
fatto di lei la regina dei salotti illuministi di Milano»
L'intesa è immediata: il giovane subisce il fascino della madre e accoglie le
sue confidenze, consola il suo dolore. Per lei scrive il Carme in morte di
Carlo Imbonati (1806), in cui immagina che il defunto gli appaia in sogno
per suggerirgli il corretto comportamento dell'uomo d'onore, che deve
«conservar la mano / pura e la menteil santo Vero / mai non tradir: né
proferir mai verbo / che plauda al vizio, o la virtù derida». Pare una sorta di
decalogo morale al quale il Manzoni si atterrà per tutta la vita, in cui
esprime i suoi ideali umani e letterari impregnati di coerenza etica e una
analisi concreta e reale della storia dell'uomo e della sua evoluzione.
Egli condanna anche la cultura disimpegnata o, peggio, utilizzata per motivi
economici, abbassata a merce in vendita. Impossibile non ricordare quella sorta
di commovente testamento intellettuale e morale che è l'ode La caduta di
Giuseppe Parini.
Il rigore morale di
questi affiora nel disgusto manzoniano per gli adulatori dei potenti, che
riducono la letteratura a «un vergognoso / di lodi mercato e di strapazzi».
Negli anni trascorsi a
Parigi, fino al 1810, Manzoni ha la possibilità di allargare il proprio
orizzonte culturale con amicizie che risulteranno decisive per la sua formazione
artistica e letteraria. Frequenta il salotto di Sophie Grouchy vedova del
filosofo Condorcet, morto suicida negli anni della Rivoluzione Francese, prima
ad Auteuil e poi a Meulan, in una dolce casa di campagna detta
Alessandro conosce quello
che sarà un grande amico di tutta la vita, Claude Fauriel (1772-1844), il
filologo che insieme a Madame de Staël promosse la cultura romantica in Francia
e che nel frattempo, troncando la sua relazione amorosa proprio con
Ma c'è
di più: gli ideologi ribadiscono l'esigenza di un profondo rigore morale. Ciò
li avvicina al pensiero del Giansenisti. Sono, questi, seguaci del teologo
olandese Cornelis Jansen (latinizzato Giansenio). Egli, nella sua opera Augustinus
(1640) afferma che solo
In questi mesi Alessandro
legge opere di grandi moralisti e filosofi del Seicento, come Jacques Bossuet
(1627-1704) e Blaise Pascal (1623-1662), ma si appassiona anche alla lettura di
Voltaire e, grazie a Fauriel , comincia ad accostare le idee romantiche,
attraverso il pensiero del tedesco August Wilhelm Schlegel (1767-1845).
Nel 1807 ecco la
pubblicazione di un poemetto, Urania (forse dedicato a Sophie, che gli
amici chiamavano Uranie) sulla funzione civilizzatrice della poesia. Lo
scrittore sembra ripiegare sulle posizioni del classicismo, accettando gli
schemi fissati dal Monti e dalla tradizione letteraria, ma il classicismo e la
mitologia sono più nella forma esteriore che nell'intimo significato; il
poemetto rappresenta l'opera civilizzatrice e consolatrice dell'arte, in cui le
Muse e le Grazie inviate in terra da Giove costituiscono un simbolo, quasi
cristiano, delle virtù che fanno corona a Dio, ma verrà ben presto sconfessato
dal Manzoni che scrive: «Non è così che bisogna far versi; forse ne farò di
peggiori, ma non ne farò mai più come quelli». In effetti, l'operetta è
piuttosto noiosa e, a detta dell'autore medesimo, incapace di suscitare
l'interesse del lettore.
In quegli anni accompagna
la madre tre volte in Italia, a Torino nel
Il matrimonio e la conversione
Così la
sedicenne Enrichetta Blondel entra nella vita di Manzoni per lasciare una
traccia importante. I due si sposano con rito civile nel Municipio di Milano il
6 febbraio1808 e la sera stessa le nozze sono benedette con rito evangelico
nella casa della sposa che pratica, infatti, la religione calvinista. Il padre
di Enrichetta, Francesco Luigi Blondel, è un ricco imprenditore ginevrino, che
possiede filande lungo l'Adda e inizia, proprio in quegli anni, l'attività di
banchiere a Milano, dove acquista palazzo Imbonati.
Nel giugno del 1808 la
famigliola Manzoni riparte per Parigi. I tre sono ottimamente assortiti e molto
felici. A proposito di Enrichetta, sappiamo che è «bionda, mite e graziosa,
tanto discreta e pronta a nascondersi quanto la madre di Manzoni era teatrale:
tanto ordinata e precisa, quanto la madre si abbandonava a un geniale
disordine».
Alessandro non esita a
dichiararsi «estremamente felice» di aver accontentato Giulia e di constatare
che la moglie nutre per la suocera una tenerezza rispettosa e devota, simile a
quella di una figlia. Nella capitale francese nasce la primogenita, Giulia
Claudia, nel dicembre 1809, che nell'agosto dell'anno seguente viene battezzata
nella chiesa giansenista di Meulan con rito cattolico, così come prevedeva il
contratto matrimoniale (che prevedeva che i figli nati dalla loro unione
sarebbero stati allevati nel culto della religione cattolica).
Il riserbo mantenuto
dallo scrittore ci impedisce di conoscere le tappe che portano i coniugi
Manzoni verso la religione cattolica. Certamente Enrichetta si annoia durante
le frequenti visite alla Maisonnette; certamente la maternità la induce
a riflettere sui suoi doveri nei confronti della creaturina nata da lei e a lei
affidata, non solo per le cure legate alla sopravvivenza, ma anche per
l'educazione e la sua crescita morale: come rendere Giulia una buona cristiana
se lei stessa si sente confusa e incerta? Nasce così il bisogno di conoscere
più da vicino la fede cattolica a cui, per contratto matrimoniale, come abbiamo
detto, ha il dovere di avviare la figlia; e Alessandro le è vicino. Così si
affidano all'abate giansenista Eustachio Dègola (1761-1826) le cui dotte
conversazioni la guidano progressivamente all'abiura del calvinismo e
all'adesione alla fede cattolica, il 22 maggio del 1810, nella chiesa di Saint
Séverin, a Parigi. Già nel settembre 1809 i due coniugi avevano fatto istanza
al Pontefice Pio VII affinché il loro matrimonio venisse nuovamente celebrato,
ma con rito cattolico, che avviene nel febbraio 1810.
A queste pacate riflessioni, in cui le domande di Enrichetta, testimoni di una sincera volontà di trovare il vero Dio, sono costantemente corroborate dalle sapienti risposte dell'abate (il cui rigore di giansenista ha una rispondenza profonda nell'austerità del calvinismo di Enrichetta), non è estraneo lo stesso Manzoni. Fino ad allora è stato indifferente alle questioni di fede, forse per un'intrinseca e giovanile polemica contro l'assillante educazione religiosa impartita nei collegi della sua infanzia e adolescenza. Ma ora il problema gli viene prospettato da una nuova angolatura: l'ansia della moglie di trovare un'autentica via di comunicazione con Dio poco a poco lo contagia. Risale a quel periodo la «conversione» anche del Manzoni che, a differenza di Enrichetta, non lascia una fede per abbracciarne, però un'altra, ma ritrova in sé quei valori che ha sempre trascurato.
Molti
amici e conoscenti chiederanno al Manzoni, lungo l'arco della sua esistenza,
quale sia stato il momento della 'folgorazione', l'attimo decisivo in
cui ha deciso di recuperare la fede. Il Manzoni non dà risposta, al massimo si
lascia andare a frasi sibilline: «È stata la grazia di Dio, mio caro, è stata
la grazia di Dio», confiderà molti anni più tardi a Stefano Stampa, figlio
della seconda moglie teresa Borri. Forse può essere d'aiuto un episodio della
sua vita, capitato il 2 aprile
Manzoni si riaccosta alla fede cattolica attraverso la mediazione giansenista:
questo fatto lascia un'impronta abbastanza forte sulla sua visione dell'uomo,
perché gli inocula quel pessimismo che poi si estende alla concezione della
storia, come ammasso irrazionale di fatti, disciplinati solamente dalla
Provvidenza di Dio e guidati, in tal modo, a un fine buono. Inoltre l'influsso
giansenista rafforza il naturale rigore morale del Manzoni e conferma
l'austerità del comportamento.
Tornato a Milano con la famiglia, prosegue la propria 'ricerca' sotto
la guida spirituale di monsignor Luigi Tosi, giansenista come il Dègola, allora
canonico della chiesa di Sant'Ambrogio e poi vescovo di Pavia, che influisce in
notevole misura non solo sulla sua formazione religiosa, ma anche sui suoi
programmi letterari.
La famiglia Manzoni
Nell'inverno
del 1810 i Manzoni si stabiliscono definitivamente a Milano, ma alternano la
vita in città con frequenti soggiorni a Brusuglio: sono gli anni più felici,
vissuti all'insegna dell'accordo perfetto.
Mentre Alessandro si
diverte a piantare platani, abeti, robinie, cipressi, ortensie, rododendri,
Brusuglio,
con l'abitazione milanese di via del Morone e poi di piazza Belgioioso, brulica
di amici di Manzoni, che sono anche i più significativi scrittori e
intellettuali del tempo: Ermes Visconti, Giovanni Berchet (1783-1851), Tommaso
Grossi (1790-1853), Carlo Porta (1775-1821), Massimo d'Azeglio (1798-1866), che
diventerà suo genero, e poi, più tardi, i fiorentini Gino Capponi (1792-1876) e
Giuseppe Giusti (1809-1850). Gli amici non sono sicuri di conoscere Manzoni in
ogni aspetto del suo carattere complesso: qualcuno fra loro lo definisce «un
enigma». Pure è capace di farsi amare, per il suo atteggiamento pacato e mite,
per il suo rispetto profondo per il prossimo, per la conversazione un po'
incerta (talvolta balbetta) ma tanto garbata, da suscitare nell'interlocutore
una profonda simpatia. Così lo presenta Tommaso Grossi in una lettera al
toscano Giampiero Viesseux, nel 1826: «un uomo che dall'assenza d'ogni
singolarità è reso affatto singolare e mirabile. Una statura comune, un
volto allungato, vaiuolato, oscuro, ma impresso di quella bontà che
l'ingegnorende più sincera e profonda: una voce di modestia e quasi
timidità, cui lo stesso balbettare un poco, giunge come un vezzo alle parole,
che paiono essere più mature e più desiderate: un vestito dimesso, un piglio
semplice, un tuono famigliare, una mite sapienza che irradia per riflessione
tutto ciò che a lui s'avvicina».
Da Parigi giunge in
visita anche Claude Fauriel, al quale è affezionatissima la piccola Giulia,
mentre, in casa di amici comuni, Alessandro conosce il filosofo Antonio Rosmini
(1797-1855), che sarà uno dei suoi più cari amici e influenzerà la sua
concezione religiosa e artistica. Nel settembre del 1819 i Manzoni partono per
Parigi, dove sono ospiti per più d'un mese nella casa di Sophie de Condorcet,
Nella capitale francese
il Manzoni frequenta lo storico Augustin Thierry (1795-1856) e il filosofo
Victor Cousin (1792-1867); quest'ultimo tornerà con lui in Italia e sarà ospite
a Brusuglio e a Milano. Il viaggio a Parigi, che si protrae sino all'agosto
1820, risulta proficuo per la maturazione delle idee letterarie e
l'enucleazione delle opere più significative del poeta.
Nel
1812, sotto la guida spirituale di Monsignor Tosi, come abbiamo vista, mette a
punto il disegno di dodici Inni sacri che hanno per tema le principali
festività religiose dell'anno ecclesiastico; di questi ne porta a termine solo
cinque:
-
- Il nome di Maria (novembre 1812 - aprile 1813);
- Il Natale (luglio - settembre 1813);
-
-
A questi cinque Inni si
aggiungeranno le Strofe per una prima comunione composte a più riprese a
partire dal 1832, che formeranno un gruppo di poesie religiose approvate
dall'autore.
Negli
stessi anni, di particolare rilievo sono le quattro odi civili:
- Aprile 1814, una delle opere indubbiamente meno felici, sia
poeticamente che politicamente;
- Il proclama di Rimini, che a seguito della sconfitta del Murat a
Tolentino rimane interrotta al 51° verso, ma è già rappresentativo delle
idealità patriottiche del poeta;
- Marzo 1821, che rappresenta la vera dichiarazione politica e
patriottica del Manzoni, con la sua aspirazione a un'Italia unita e libera
dallo straniero;
- Il cinque maggio, scritto in occasione della notizia della morte di
Napoleone Bonaparte.
Il 15
gennaio 1816 il Manzoni dà avvio alla composizione della prima delle sue due
tragedie, Il conte di Carmagnola, che occuperà molto del suo lavoro,
come testimoniano le lettere scritte al Fauriel e
Il 14 settembre, dopo aver affidato il manoscritto della tragedia all'amico
Ermes Visconti perché ne curi la stampa dopo averla sottoposta all'esame della
censura (verrà pubblicata nel gennaio dell'anno seguente), il Manzoni parte per
Parigi, dove soggiorna fino al luglio 1820. Al ritorno a Milano comincia
un'intensa stagione creativa, che parte con la tragedia Adelchi, passa
attraverso l'Inno sacro
Abbiamo
a lungo parlato del Manzoni scrittore e intellettuale, ma come si presenta
nella vita familiare e in veste di padre? Chi si aspettasse da lui
l'atteggiamento calmo, rasserenante e sicuro del patriarca resterebbe deluso.
Alessandro rivela tutte le caratteristiche del nevrotico. Lo studioso Pietro
Citati elenca in dettaglio tutte le sue fobie: a tavola viene preso dalle
vertigini, a passeggio teme che le case gli crollino addosso o che una voragine
lo inghiottisca. Non sopporta la folla, la terra bagnata e il cinguettio dei
passeri. Se si avvicina un temporale si sente venir meno le forze: «Vittima di
questi traumi, trascorreva giorni e settimane senza far nullaCon la mente
atona e vuota e lo sguardo perduto, spesso dovette temere di precipitare anche
lui nel baratro della dissociazione nervosa».
Con il passare degli anni
Alessandro Manzoni impara a difendersi da queste assurde paure, mettendo in
atto una complicata strategia che gli consente di convivere con la sua nevrosi:
conduce una vita meticolosa, cammina venticinque minuti prima del pranzo, pesa
i suoi vestiti secondo la temperatura, va a letto sempre alla medesima ora e
mangia sempre gli stessi cibi, prende a colazione il cioccolatte macinato in
casa Se l'angoscia lo assale, esce di casa e cammina per ore e ore lungo le
strade o per la campagna: percorre anche trenta o quaranta chilometri al
giorno, come se fosse inseguito, fino a tornare a casa spossato, ma calmo.
Anni di lutti e amarezze
Il
giorno di Natale 1833 muore Enrichetta Blondel: è il primo di una lunga serie
di lutti che si abbattono su Alessandro Manzoni. Scrive Pietro Citati: «Pochi
anni dopo la conclusione dei Promessi Sposi, la linea della sua vita
cominciò a discendere: il breve fervore creativo si spense, e a meno di
quarantacinque anni Manzoni diventò il puntiglioso revisore, l'interminabile
editore di sé stesso». L'anno dopo si spegne la primogenita Giulietta, da poco
andata sposa a Massimo D'Azeglio: ha solo venticinque anni. Turbato da questi
lutti il Manzoni inizia l'inno Il Natale 1833, che rimane incompiuto.
Nel 1837 sposa Teresa
Borri, vedova di Decio Stampa e madre di un ragazzo timido, Stefano Stampa, che
saprà intessere con il grande patrigno un rapporto di stima, affetto,
venerazione. Devozione è il termine che si addice maggiormente al comportamento
di Teresa, che dedica la vita alla protezione della salute, creatività, fama
del marito: gli amici la paragonano scherzosamente a una vestale, che
custodisce qualcosa di sacro con vigile solerzia e passione, nonostante anche
lei lamenti sempre qualche acciacco, reale o immaginario.
Nel maggio del 1841 muore
Cristina, moglie di CristoforoBaroggi, appena venticinquenne, seguita due mesi
dopo da Giulia Beccaria. Nel marzo del 1845 è la volta di Sofia, di ventisette
anni, sposata a Lodovico Trotti. Lo stesso anno Vittoria sposa Giovanbattista
Giorgini, uomo politico di principi liberali e moderati, di cui si ricordano
studi giuridici e storici. Vittoria si trasferisce a Pisa, dove, due anni dopo,
la segue Matilde, malaticcia: quest'ultima morirà nel marzo 1856.
Ai lutti si aggiungono
problemi economici: l'incendio del
L'incontro con Antonio Rosmini
L'insurrezione
di Milano non sortisce l'effetto sperato e nell'agosto del 1848 gli Austriaci
ritornano in città. Il Manzoni ripara a Lesa, sul lago Maggiore, dove Stefano
Stampa lo ospita insieme con sua madre Teresa , per due anni, nella bella villa
degli Stampa. Durante questo soggiorno si lega d'amicizia con il filosofo Antonio
Rosmini (1797-1855), che già nel 1826¶ gli ha presentato Niccolò Tommaseo.
Rosmini risiede nella vicina Stresa, una bella cittadina sulle rive del lago
Maggiore. Frutto di questa amicizia è il dialogo Dell'invenzione (1850),
in cui Manzoni sostiene che l'opera letteraria non deve lasciare spazio
all'invenzione fantastica, ma deve farsi portavoce del vero, soprattutto
del vero storico. È indubbio che, sotto un certo aspetto, viene
sconfessata l'ispirazione da cui hanno preso le mosse i Promessi Sposi.
Il Rosmini suggerisce anche i temi che sono enucleati nel trattato Del
piacere (1851).
Segue un decennio di
riflessioni storiche e ricerche linguistiche, le quali convergono nel saggio Sulla
rivoluzione francese del 1789 e la rivoluzione del 1859, composto nel 1860
(ma pubblicato postumo nel 1889).
Nel 1860 Manzoni accetta
la nomina a senatore del Regno d'Italia. A Torino partecipa alla seduta del
Senato che conferisce a Vittorio Emanuele II il titolo di re d'Italia, il 26
febbraio 1861. Il disegno di legge passa alla Camera il 14 marzo e ne è
relatore il genero dello scrittore, Giovan Battista Giorgini.
Nell'agosto del 1861
muore anche la seconda moglie, Teresa Borri, mentre nel 1856 è scomparso Claude
Fauriel e, l'anno prima, nel 1855, il Manzoni ha perso il conforto del grande
amico Rosmini. Qual è l'influsso del filosofo nel pensiero del Manzoni? Egli ha
definito, aderendo al pensiero dell'abate, il concetto di creatività
come scintilla divina che si esprime attraverso il genio dell'uomo. Con il suo
aiuto, inoltre, ha approfondito i concetti della morale cattolica, eliminando
ogni traccia dell'antico giansenismo.
La fine
Alessandro Manzoni resta lucidissimo sino alla fine della sua vita. Muore alle sei di sera del 22 maggio 1873, dopo penosa agonia, quasi un mese dopo la morte del figlio Pietro. La sua decadenza è cominciata nel gennaio precedente, quando, uscendo dalla chiesa di San Fedele, a Milano, cade battendo la testa. I suoi funerali sono un momento solenne a cui partecipa tutta Milano. Il corteo funebre, attraverso corso Vittorio Emanuele, giunge sino al Cimitero Monumentale e, l'anno dopo, nel primo anniversario della morte, Giuseppe Verdi gli dedica la sua Messa di Requiem, che personalmente dirige la mattina nella chiesa di San Marco e la sera nel teatro alla Scala.
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