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LUDWIG WITTGENSTEIN
Il pensiero
Il Tractatus logico - philosophicus
N |
el 1921 sulla rivista Annalen der Naturphilosophie (Annali della filosofia della natura) Wittgenstein pubblica il Logisch - philosophische Abhandlung, meglio noto in seguito come Tractatus logico - philosophicus, uno dei testi fondamentali della filosofia del linguaggio del XX secolo.
Un'opera strutturata seguendo una ferrea consequenzialità logica: l'intero Tractatus è un insieme di brevi proposizioni, ad ognuna delle quali è assegnato un numero cardinale(come 1, 2, 2.1, 2.2, 3.1, 3.1.2, etc.), che possono essere raggruppate in insiemi riferibili a sette proposizioni principali. In nota l'autore chiarisce la particolare forma con cui si presenta il testo, spiegando che le parti decimali evidenziano l'importanza logica dell'enunciato nella propria speculazione filosofica; le proposizioni del tipo n.1, n.2 sono commenti all'enunciato n; le proposizioni del tipo n.m.1, n.m.2 contengono ulteriori considerazioni sull'enunciato n.m. . Con questa inconsueta sistemazione dei contenuti Wittgenstein si propone di rendere più chiari possibile non solo la gerarchia generale delle proposizioni, ma anche le connessioni parziali tra gruppi di esse.
Il tractatus inizia definendo alcuni concetti basilari, sui quali si innesterà il contenuto dell'opera, come mondo, fatto, oggetto, stato di cose. Per mondo Wittgenstein intende la totalità di tutto ciò che accade, ossia i fatti. Il fatto viene definito come il sussistere di uno stato di cose, ovvero l'estrinsecazione di una peculiare combinazione tra gli oggetti che costituiscono il mondo. Il mondo quindi secondo il filosofo viennese è costituito da elementi specifici ed indefinibili, gli oggetti, i quali possono connettersi in maniera differente per formare altrettanti stati di cose.
Dopo aver chiarito questi concetti, l'autore definisce cos'è una proposizione - un'espressione linguistica o frase per la quale si possa dire se è vera o falsa - ed analizza come la connessione tra pensiero e realtà si realizza nel linguaggio. Come i vari stati di cose mettono in relazione vari oggetti anche le proposizioni sono connessioni tra nomi, ed è proprio in quest'identità formale tra le due componenti che Kant definirebbe fenomeniche della realtà che va ricercato il senso del linguaggio. Le proposizioni, come modellini o plastici, rivelano l'analogia tra la forma che vuol raffigurare e ciò che raffigura, diventando perciò raffigurazioni di stati di cose:
"La proposizione rappresenta il sussistere e il non sussistere degli stati di cose" (4.1).
Tuttavia l'analogia tra proposizioni e realtà non è completa; queste due strutture non esprimono una relazione di somiglianza o riproduzione totale - il linguaggio rare volte è sufficientemente preciso nel definire la singolarità di un fatto - quanto l'assoluta uguaglianza formale delle relazioni tra le parti presenti nello stato di cose. Di conseguenza la proposizione presenta un dato stato di cose, senza definirlo completamente.
In seguito Wittgestein fa un'importante distinzione fra proposizioni elementari - o atomiche - e complesse - o molecolari - soffermandosi soprattutto sul senso e sul valore di verità che esse hanno. Per proposizione atomica si intende l'unità minima fornita di senso, non scomponibile in proposizioni ancora più semplici. In questa forma elementare, il senso della proposizione risulta slegato dal suo valore di verità: il senso, determinato dalla costruzione stessa dell'enunciato, è altra cosa rispetto al fatto che si possa stabilirne la veridicità. Questo processo di verificazione avviene tramite il raffronto con gli stati di cose; se una proposizione elementare rispecchia un fatto è vera, altrimenti è falsa.
Dagli enunciati elementari si passa alle proposizioni complesse, ossia funzioni di verità delle proposizioni elementari. Attraverso l'uso di costanti logiche - come le congiunzioni e, o e la negazione non etc. - le proposizioni elementari si compongono, acquisendo nuovi valori di verità diversi a seconda delle particelle connettive usate e dalla verifica della veridicità delle singole parti.
I connettivi,che possono essere binari o coinvolgere più proposizioni, non hanno contenuto oggettivo; sono solo operatori che senza raffigurare stati di fatto descrivono valori di verità - e quindi stati di cose - più complessi rispetto ad enunciati atomici. Infatti si può stabilire se sono vere o false, ma non se hanno senso o meno, soltanto se tutte le proposizioni elementari di cui è composta superano il processo di verificazione.
Elenchiamo qui di seguito alcune rappresentazioni in forma schematica dei valori di verità di enunciati atomici e molecolari, dette tabelle di verità.
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p e q |
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Particolarmente interessanti risultano le ultime due tabelle di verità. Esse, indipendentemente dal fatto analizzato, esprimono sempre un valore di verità o falsità. Gli enunciati che si concludono sempre con un valore di verità vengono definiti tautologie, quelli che risultano sempre falsi sono contraddizioni. Provando a sostituire la proposizione p con la proposizione piove, sapendo che esprime la possibilità di un dato di fatto ed è vera se il fatto accade, e la proposizione non p con non piove, sempre tenendo a mente che anch'essa esprime la possibilità di un dato di fatto ed è vera se il fatto accade, ci accorgeremmo che l'enunciato molecolare piove o non piove esprime tutte le possibilità che si riferiscono al tempo; il fatto che in questo momento piova o splenda il sole non è necessario, non toglie nulla al valore di verità di questa frase: è sempre vera.
Discorso analogo ed opposto per il secondo enunciato, appartenente alla classe delle contraddizioni: la frase piove e non piove esprime un'impossibilità, secondo il principio di non contraddizione. Un'impossibilità che è, come nel caso precedente, slegata dal fatto col quale si deve rapportare e non conferma né smentisce la veridicità o falsità dell'enunciato poiché è condizione necessaria di questo tipo di costruzioni logiche.
Tautologia e contraddizione, con le loro caratteristiche di assoluta - o nulla - verità esprimono, se confrontate col mondo, situazioni opposte; la prima permette ogni situazione possibile, la seconda nessuna. Queste proposizioni, nonostante non abbiano il senso della proposizioni elementari - derivante dal raffronto con i rispettivi stati di cose - non possono essere classificate come non-sensi, in quanto indicano particolari proprietà del linguaggio. Gli stati di cose descritti infatti non appartengono a situazioni reali ma all'ambito del simbolismo, poiché esibiscono la struttura della possibilità e dell'impossibilità logica fondamentale nelle discipline ad esso associate.
Quali sono i settori del linguaggio connessi al simbolismo? Per Wittgenstein sono tutti quelli associabili alla logica, come matematica e geometria. Queste discipline, sebbene ad esse non si possa far corrispondere un possibile stato di cose, non sono prive di senso e presentano la caratteristica della sostituibilità. Una tale forma logica permette, a partire da proposizioni matematiche - ovvero le equazioni - di dire qualcosa sulla struttura logica del mondo; le teorie scientifiche, secondo l'autore, possono essere paragonate a reti proiettate sui fatti che descrivono il mondo attraverso le coordinate logiche impostate dalle ipotesi matematiche. Ma il mondo, costituito da fatti, è caratterizzato da una totale contingenza: conseguentemente le leggi materiali non spiegano nella loro totalità un fatto, perché gli enunciati di valore assoluto appartengono solo allo spazio e alla logica escludendo così la realtà che ci circonda.
Concludendo, secondo Wittgenstein le proposizioni si dividono in enunciati significanti - tutte le proposizioni atomiche e molecolari - che hanno un carattere fattuale, dal momento che esprimono fatti possibili; enunciati tautologici - l'insieme delle tautologie e delle contraddizioni - ovvero proposizioni non significanti ma sensate che descrivono l'impalcatura logica del mondo. Accanto a queste due categorie si presenta quella dei non-sensi, enunciati né significanti né tautologici che hanno solo l'apparenza delle proposizioni e sui quali si innerva tutta l'attività filosofica. Tali proposizioni, al contrario di quelle significanti - che non consentono alcuna inferenza, dove l'intensità del sapere è costante mentre può variare solo l'ampiezza di esso - e di quelle tautologiche - che non esprimono stati di cose possibili - cercano di oltrepassare i limiti del linguaggio, giungendo a generalizzazioni che possano creare visioni o intuizioni del mondo.
Ma per il filosofo viennese questa astrazione non è possibile: noi possiamo esprimerci e raffigurare il mondo solo attraverso il linguaggio, il quale non può definire quello che ha in comune col mondo. Ciò sarebbe possibile solo se esistesse uno strumento comunicativo in grado di esternarci dalla gabbia espressiva del linguaggio per consentirci di confrontare dall'esterno linguaggio e mondo e dire ciò che è al di là di esso, quello che appunto non può essere detto. Il codice comunicativo quindi descrive uno stato di cose senza approdare alla conoscenza ontologica dello stesso. Descrive il come del mondo senza spiegarne il perché, raffigura un concetto paragonabile al fenomeno kantiano senza afferrare ciò che di filosofo tedesco definisce noumeno. Di conseguenza, dal momento che i fatti del mondo si manifestano unicamente nel linguaggio,
"i limiti del linguaggio sono i limiti del mondo e i limiti del mio linguaggio sono i limiti del mio mondo, cioè di tutto ciò che posso capire, pensare e esprimere."
(N.Abbagnano G. Fornero; Itinerari di Filosofia , pag 743)
All'interno di questa nuova Weltanschaung la filosofia trova una nuova collocazione epistemologica; da scienza per eccellenza, costituita da un sistema ed un fondamento, viene ridimensionata a critica del linguaggio, ossia attività chiarificatrice di esso. La filosofia ha il compito di delimitare il dicibile dall'ineffabile e questo è il presupposto ontologico del Tractatus e di tutte le sue tesi:
"La filosofia deve chiarire e delimitare nettamente i pensieri
che altrimenti sarebbero torbidi e indistinti" (4.112)
Il mondo descritto da Wittgenstein è quindi una totalità limitante, una realtà che non si lascia afferrare completamente. Questo settore dell'inesprimibile è classificato come un sentire mistico ed attiene ad ambiti come l'etica e le domande esistenziali. Purtroppo, in quanto attraverso il linguaggio non si conosce il perché dello stato di cose raffigurato, i valori non sono mai dei fatti e se lo fossero cesserebbero di esserlo, poiché sono un dover essere, un'ideale regolativo che non appartiene alla sfera linguistica. L'etica quindi diventa inesprimibile, come la morte - dal momento che non la si vive - e più in generale le ansie metafisiche sul mondo e sui fini umani. Non si può parlare di essi e non si possono risolvere gli interrogativi che essi pongono proprio perché di fatto non sono domande.
Tutte le questioni ontologiche sono prive di senso e ad esse, poiché parlano di cose inesprimibili, non si può rispondere col linguaggio ma tacere.
Paradossalmente, il Tractatus di Wittgenstein, tutto incentrato sul linguaggio, risponde alle domande esistenziali attraverso il silenzio, risolvendo l'interrogativo metafisico quando, dimostrata la sua ineffabilità, svanisce il problema stesso.
La teoria dei giochi linguistici
A partire dal 1927-1928 gli incontri con alcuni esponenti del circolo di Vienna e l'incontro con il matematico intuizionista Brouwer ed il logico ed economista Frank P. Ramsey indussero Wittgenstein a rivedere le tesi espresse nel Tractatus. Brouwer infatti vede l'aritmetica non come un sistema monolitico fondato su leggi eterne ed immutabili, ma un elastico complesso di operazioni fondato su convenzioni e su regole variabili, ovvero un gioco; Ramsey invece insiste sul valore pragmatico del linguaggio, dove la significanza effettiva delle frasi deriva dalla combinazione del valore oggettivo e soggettivo che ad esso attribuiamo. Il filosofo viennese grazie a questi contrbuti maturò una concezione più pratica del linguaggio, convinto che l'intrusione della logica nel linguaggio creasse solo l'illusione di un sistema ideale e perfetto. Wittgenstein quindi riscrive il suo pensiero in testi come Osservazioni filosofiche Quaderni blu e Quaderni marroni, notando come il paradigma linguistico teorizzato nel Tractatus, al quale il linguaggio ordinario doveva adeguarsi e sul quale doveva misurare il suo carattere di significanza, sia scorretto: la sua futura speculazione logico-linguistica dovrà analizzare il linguaggio reale che, essendo frutto di una convenzione accettata da tutti ed entrata nell'uso comune da lungo tempo ha già raggiunto un livello di completezza pressoché assoluto. L'ideale del linguaggio deve quindi essere ricercato nella sua forma quotidiana, la quale esprime le richieste, i bisogni, i sentimenti dai quali esso stesso trae il motivo più concreto della sua esistenza.
Inoltre deve essere abbandonata la ricerca della forma generale di una proposizione, dove la corrispondenza tra fatti ed enunciati è univoca e il linguaggio è un simbolismo, per approdare ad una costruzione più flessibile immaginando l'intera struttura del linguaggio come una pluralità di giochi linguistici.
Questa espressione, sviluppata soprattutto nelle Ricerche Filosofiche vuole indicare il sistema comunicativo non come un processo unidirezionale ma come una funzione intersoggettiva nella quale i significati dipendono da regole diverse a seconda delle circostanze, delle intenzioni del soggetto che sta comunicando etc. I vari modi in cui si estrinseca il parlare, ovvero i vari giochi linguistici, non individuano un sistema rigido; non esiste una gerarchia o un'organizzazione fra i vari giochi, che risultano come enti che nel tempo si modificano ed aumentano poiché il variare delle esigenze degli uomini determina il potenziamento o il disuso di alcuni giochi. Particolarmente efficaci sono le similitudini del linguaggio come una vecchia ed estesa città o come l'insieme di tutti i giochi. La metropoli è un dedalo di stradine e piazze, di case vecchie e nuove, che possono essere assemblate con parti aggiunte in tempi diversi; il tutto circondato da una rete di moderni sobborghi, con vie regolari e costruzioni uniformi. Quest'immagine suggestiva mostra la stratificazione storica del linguaggio, dove la cultura scientifica si innesta in modo controllato e razionale alla periferia di un nucleo comunicativo costituito secondo principi diversi e perlopiù non consapevoli che affondano le loro radici nella notte dei tempi.
Pensando alla totalità dei giochi, osserviamo come alcuni sport - per esempio il tennis o il basket - siano un'attività divertente dove si vince o si perde. Nei giochi di carte rimane quest'ultimo obiettivo, ma cambia totalmente la dimensione fisico-agonistica; in giochi come il solitario cade il concetto di vittoria o sconfitta pur rimanendo l'aspetto ludico e l'appartenenza alla classe dei giochi di carte. La totalità dei giochi, come il linguaggio non è quindi definibile: si possono solo descriverne i vari aspetti ed osservare come abbiano tutti qualcosa in comune e parti che non si somigliano affatto, in un susseguirsi di somiglianze e diversità che muta a seconda dei giochi - o dei gruppi di giochi - analizzati. Di conseguenza non è possibile riordinare le proposizioni in un modello che preveda una base di enunciati elementari che si articola in enunciati più complessi, facendo così crollare uno dei pilastri su cui si fondava il precedente testo del filosofo austriaco.
Anche il concetto di significato si relativizza: dalla solida proposizione del Tractatus, che acquisiva significato solo se confrontata con uno stato di cose possibile, si giunge ad un nuovo punto di vista che vede nel linguaggio una pluralità di usi alternativi e complementari, come i diversi strumenti - sega, cacciavite, metro, chiodi, viti, etc. - che si trovano in una cassetta degli utensili. In quest'ottica il significato di una espressione muta in un concetto più elastico, descritto nelle ricerche filosofiche:
"[.] La parola significato si può definire così:
il significato di una parola è il suo uso nel linguaggio."
(Ricerche Filosofiche parte prima, par. 43)
La spiegazione del significato di una parola non è più unica, univoca, costante in tutti i sistemi, ma particolare, contingente, parziale poiché chiarisce l'uso solo all'interno di un predefinito paradigma linguistico. Di conseguenza per comprendere una parola occorre inserirla nel contesto in cui è usata, capire come è usata perché il significato non è una chiave che collega una parola al suo stato di cose, ma un passepartout che ci consente di applicare ad una stessa parola una gamma espressiva più o meno ampia a seconda dell'uso.
Gli uomini apprendono i vari giochi linguistici durante tutto il corso della vita; solo con l'esperienza si può venire a contatto con le diverse sfaccettature del linguaggio. Queste sfaccettature, entità comunicative collegate fra loro, si fondano su regole che secondo Wittgenstein non sono esterne al linguaggio ma interne dal momento che, solo se inserita in un codice, la proposizione riveste un significato ben definito. Tali regole sono una serie di atti abitudinari che noi ci apprestiamo a seguire e a cui siamo stati addestrati fin da piccoli.
L'uso precoce e costante di queste leggi le rende spesso inespresse ed inconsapevoli. Contrariamente al Tractatus, sono definizioni rimodulabili infinite volte che si adattano ai vari tipi di codici e, pur mantenendo la loro dimensione pubblica, lasciano spazio all'adattamento di questo modello al soggetto. Inoltre, le regole che controllano e diversificano un linguaggio e la nozione di significato ad esse collegata da entità interiori al soggetto che si estrinsecano nel codice comunicativo vengono interpretate, in quanto convenzioni riconosciute da una comunità - è inconcepibile l'idea di un linguaggio privato - come entità pubbliche ed intersoggetive: anche per descrivere eventi privati, come emozioni o sentimenti personali, ci serviamo di parole inserite in determinati giochi linguistici precedentemente appresi, che di per sé non hanno un carattere privato.
La comunicazione infatti si basa sull'ipotesi che, avendo appreso gli stessi giochi linguistici, se riuscissimo ad inserire le parole in settori del linguaggio che eliminino l'ambiguità dei termini usati, potremmo trasmettere con la dovuta precisione il nostro messaggio.
Nonostante modifichi profondamente le sue precedenti tesi sulla struttura del linguaggio e sul significato dello stesso, Wittgenstein si mantiene coerente al Tractatus nella definizione del ruolo della filosofia e della sua collocazione all'interno del linguaggio. L'attività filosofica infatti deve consistere in un'analisi del linguaggio ordinario, un'attività che non spiega e non deduce nulla dal momento che tutto è già all'interno del linguaggio e il suo sforzo metafisico risulta quindi privo di significato; tutte le proposizioni ontologiche sono illusioni che nascono dall'erronea interpretazione del linguaggio impiegato in una maniera scorretta e diversa dall'uso quotidiano.
Da queste premesse nasce il concetto della filosofia come autoterapia, ovvero una malattia che si può curare solo con l'utopica cessazione dell'attività filosofica: ricorrendo ad una suggestiva immagine, il filosofo austriaco paragona gli effetti dell'attività filosofica nell'ambito comunicativo a dei bernoccoli all'interno del linguaggio derivanti dal tentativo di oltrepassarne i limiti. I non sensi della filosofia si risolvono quindi tramutando la speculazione ontologica da attività consistente nel superamento di giochi linguistici a disciplina che usa l'ambito linguistico come strumento di analisi per criticare e dimostrare l'inconsistenza delle teorie filosofiche, riportando così le parole dal loro uso metafisico al loro uso giornaliero.
In sintesi la filosofia, risultato degli inganni e delle scorrette sofisticazioni del linguaggio, è l'unico strumento per liberarsi di essa e giungere ad un linguaggio reale e corretto.
Ma alla fine di questa dissertazione filosofica, per Wittgenstein cos'è il linguaggio? Secondo il filosofo viennese l'eterogeneità dei giochi linguistici è così vasta che non si può ridurre in un comune concetto. Le reciproche relazioni tra essi sono paragonate alle somiglianze tra i membri di una stessa famiglia, che pur appartenendo al medesimo gruppo hanno un numero di elementi in comune sempre diverso a seconda dei soggetti considerati.
Il linguaggio quindi è qualcosa di multiforme ed ineffabile, un'essenza che ingloba tutte le parole, le proposizioni, i discorsi ma che paradossalmente non può essere definito a parole.
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