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Canova (1757-1822)




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Canova (1757-1822)


Antonio Canova (Possagno1 novembre  - Venezia13 ottobre  ) è stato uno scultore italiano, ritenuto il massimo esponente del Neoclassicismo. Viene considerato anche come l'ultimo grande artista della scultura italiana..

Fu soprattutto il cantore della bellezza ideale femminile, priva di affettazioni: basti a tale proposito ricordare le opere ispirate alle tre Grazie e a Ebe, del Museo di Forlì, oppure alcuni suoi capolavori come Venere uscente dal bagno, La Venere Italica e la statua dedicata a Paolina Borghese. La sua arte ed il suo genio ebbero una grande e decisiva influenza nella scultura dell'epoca.

Iniziò giovanissimo il proprio apprendistato e lo svolse esclusivamente nella città di Venezia, distante circa 80 km dal suo paese natale, Possagno. Nella città lagunare iniziò a scolpire le sue prime opere. L'ambiente veneziano fu per il giovane Canova quello della sua formazione. Egli subì, specialmente nel primo periodo di produzione artistica, l'influenza ed il fascino dello scultore del Seicento Gian Lorenzo Bernini, indiscusso maestro dello stile barocco.

Ventiduenne, si trasferì a Roma dove ebbe modo di incontrare e conoscere i maggiori protagonisti dell'arte neoclassica, inserendosi anch'egli in quel clima di capitale della cultura che era la città capitolina del Settecento. Dopo la sua scomparsa, per tutto l'arco dell'Ottocento, per quanto riguarda l'arte della scultura, i critici sono concordi nel sostenere come l'Italia non abbia svolto un ruolo di primo piano nel panorama europeo.

Già da ragazzino il Canova dimostrò di possedere una predisposizione per la scultura modellando, con l'argilla di Possagno, piccole, ma già bellissime opere.

Nel 1775, diciottenne e in cerca di nuovi stimoli e nuove esperienze, lasciò lo studio dei Torretti e si mise in proprio, aprendo una sua bottega d'arte da dove incominciò l'ascesa artistica che lo doveva rendere famoso, prima a Venezia, nel Veneto ed in Lombardia, e poi, piano piano, in tutta l'Europa. Le prime opere da lui prodotte furono: Orfeo ed Euridice (1776) e Dedalo e Icaro (1779), eseguito per il procuratore Pietro Vittor Pisani.

Lasciata da parte l'influenza della scultura settecentesca, s'ispirò alla classicità greca, senza però mai cadere nell'imitazione.

Il trasferimento a Roma

Nel 1779, dopo aver esposto il Dedalo e Icaro alla fiera della Sensa in piazza San Marco a Venezia ed averne ottenuto lusinghieri ed ampi riconoscimenti, decide di partire per Roma e lo fa il 9 ottobre dello stesso anno. Lì, studiò la statuaria antica e frequentò la scuola di nudo dell'Accademia di Francia e dei Musei Capitolini, inoltre ebbe modo di incontrare e conoscere i maggiori protagonisti dell'arte neoclassica e far proprie le teorie artistiche, di 'nobile semplicità' e 'quieta grandezza' del Winckelmann. Fu facile per lui potersi inserire in quel clima da capitale della cultura che fu Roma nel Settecento riuscendo anche a crescere come artista, esercitando per lunghissimo tempo la sua attività. Proprio da lì iniziò quel riconoscimento al suo genio ed al suo talento che gli procurò in seguito un successo ed una fama mondiale.

A Roma dimorò a Palazzo Venezia e fu ospite dell'ambasciatore veneto Girolamo Zulian appassionato d'arte e grande mecenate di artisti, particolarmente di quelli veneti, dall'architetto Giannantonio Selva, a Francesco Piranesi, al pittore Pier Antonio Novelli, a Giacomo Quarenghi, agli incisori Raffaello Morghen e Giovanni Volpato.

L'amico Zulian gli fece avere le prime commissioni e, personalmente, gli ordinò le statue di Teseo sul Minotauro (1781) e quella di Psiche (1793), che mostrano come l'artista si impegni a creare forme in cui si incarni l'ideale neoclassico della bellezza, eliminando torsioni, panneggi e tutti quegli elementi eccessivi tipici dell'arte barocca, ottenendo una forma pura, in grado di trasmettere sentimento ed azione, però in 'quieta grandezza'.

A Roma il Canova eseguirà le sue opere più belle: Amore e Psiche, Le tre Grazie e numerose altre.

Influenza dell'arte greca

Canova ebbe il grande merito artistico, più di qualsiasi altro scultore, di far rivivere, nelle sue opere, l'antica bellezza delle statue greche, ma soprattutto la grazia, non più intesa come epidermica sensualità Rococò, ma come una qualità, che solo attraverso il controllo della ragione può trasformare gli aspetti leggiadri, e sottilmente sensuali, in un'idealità che solo l'artista può rappresentare evitando le violente passioni e i gesti esasperati.

Egli, nella sua arte, aveva studiato come ricalcare le tecniche degli antichi scultori greci; dal disegno (schizzo), idea iniziale di un lavoro, passava al bozzetto in terracotta o, cruda o in cera, materializzando subito la forma reale dell'opera.

La seconda fase era quella dedicata alla statua in argilla sopra la quale veniva colato il gesso. Su questo modello venivano fissati i chiodini (rèpere) che, attraverso l'utilizzo di uno speciale compasso (pantografo), servivano a trasferire nel marmo le esatte proporzioni dell'opera in gesso.

Alcune di queste opere in gesso, complete di rèpere, sono oggi pezzi unici al mondo e considerati loro stessi capolavori perché non esistono più gli originali in marmo, andati perduti o distrutti. Tra gli altri il monumento a George Washington, distrutto in un incendio negli Stati Uniti, i busti di Gioacchino Murat e di Carolina Bonaparte, regnanti di Napoli.

Una grande influenza ebbero su di lui i temi e le letture dei classici della mitologia greca, che era solito farsi leggere mentre lavorava; più di tutte, le opere di Omero.

Lo stile inconfondibile

Antonio Canova lavorò per papi, sovrani, imperatori e principi di tutto il mondo. Nelle sue sculture era solito adoperare il marmo bianco che riusciva a rendere armonioso, modellandolo con plasticità e grazia, finezza e leggerezza che le sue figure sembravano quasi avere un proprio movimento, vivere nella loro immobilità.

Un'altra caratteristica particolare del suo talento era la levigatura delle opere, sempre raffinata al massimo, grazie alla quale i suoi lavori avevano uno speciale effetto di lucentezza che ne accentuava la naturale e splendida bellezza; una bellezza radiosa di purezza, secondo i canoni del classicismo più ortodosso, la rappresentazione della bellezza idealizzata, eterna ed universale.

La classificazione delle opere del Canova può essere effettuata ripartendo la sua produzione in due categorie principali; i monumenti funebri e le allegorie mitologiche.

Nella rappresentazione dei monumenti funebri, Canova era solito adoperare lo schema classico, a tre piani in sovrapposizione.

Nei monumenti che ideò per i due Papi, Clemente XIII e Clemente XIV, al primo livello sono situate le statue che rappresentano le immagini allegoriche, che stanno ad indicare il senso della morte. Al secondo livello è situata la centralità del monumento stesso; il sarcofago. Al terzo livello, a dominare l'intera struttura dall'alto, la statua che raffigura il Papa. Era questo uno schema consolidato che aveva particolarmente caratterizzato quasi tutta la produzione relativa ai monumenti funebri del Trecento.

Nel monumento a Maria Cristina d'Austria invece il Canova, uscendo dalla tradizione, apporta una variazione; in esso egli dà una rappresentazione dell'oltretomba, idealizzata nella rappresentazione di una piramide, verso la quale un piccolo corteo funebre si avvicina nell'intento di varcare la soglia che divide la vita dalla morte.

Anche nei monumenti a stele, il Canova si richiama, e ne risulta evidente il riflesso, alle innumerevoli stele funerarie che ci sono state tramandate dall'antica Roma.

La rappresentazione della morte nei monumenti funebri fu un tema specifico e caratteristico di tutto il periodo del neoclassicismo; furono molti gli artisti che lo sentirono particolarmente.

Non è infatti un caso se, nello stesso periodo, anche il poeta Ugo Foscolo riaffermava l'importanza dei sepolcri, come memoria del passato e del ricordo dei grandi personaggi che avevano segnato la storia, meritevoli dunque di esaltazione del valore e del riconoscimento delle proprie virtù.

A differenza del periodo barocco nel quale la morte era intesa come un qualcosa che dava raccapriccio, funesta e macabra, nell'arte neoclassica era idealmente come il momento culminante della vita stessa.

Nella rappresentazione di soggetti mitologici si evidenzia, in tutta la sua immediatezza e più ancora che in altre opere, il riferimento palese alla scultura greca ed ellenistica.

Le forme anatomiche sono di una perfezione unica, il movimento dei gesti sempre contenuto e misurato, le interferenze psicologiche ed emotive sono quasi sempre assenti o trasformate ed elaborate in una pacata silenziosità. Tutto l'insieme delle composizioni risulta pervaso di un magico equilibrio e staticità.

Nella rappresentazione delle opere il Canova sceglie sempre l'attimo scenico essenziale, classico, quello del momento del pathòs; ne è un esempio straordinario il Teseo sul Minotauro.

L'artista, anche su suggerimento di Gavin Hamilton, decise di abbandonare la prima idea di rappresentare le due figure in combattimento. A Canova non interessa rappresentare la dinamica della lotta tra Teseo e quella orrenda figura di essere metà toro e metà uomo che è il Minotauro. Egli sceglie un momento diverso, meno dinamico ma più ricco di fascino, d'interiorità; il momento al termine della faticosissima lotta per sconfiggere il Minotauro; vuoto ormai di ogni energia, Teseo, si appoggia sul corpo di quest'ultimo, in un gesto di estrema serenità e prossimo alla pietà. Ed è proprio in quel momento che il racconto esce dalla storia, splende di luce propria e si avvia a diventare mito eterno ed universale. Non è certamente un caso se, proprio con quest'opera, arrivano per Canova la fama ed il prestigio internazionale.

Nel 1795, l'artista su commissione di don Onorato Gaetani dei conti di Aragoni, realizzò il gruppo con Ercole e Lica, in quest'opera Canova affronta la rappresentazione dell'azione nel suo pieno svolgimento, rappresentando Ercole mentre scaglia lontano Lica, inarcandosi come un lanciatore di Disco antico, la scena così è contenuta in uno schema circolare che chiude l'azione e la rendono priva di ogni drammaticità.

Nel periodo napoleonico il Canova venne scelto e designato dall'imperatore Napoleone Bonaparte quale suo ritrattista ufficiale. Di lui l'artista eseguì molti ritratti, tra i tanti anche uno in bronzo che attualmente si trova all'Accademia di Brera (vedi Napoleone del Canova (Milano)).

A proposito di questa opera è da ricordare l'aneddoto che riferisce di un Napoleone irritato per l'audacia dell'artista, al punto da rifiutare la statua perché si vergognava di essere stato ritratto nudo, nella personificazione di 'Marte il Pacificatore'.

Il periodo napoleonico fu per Canova un periodo molto fecondo artisticamente, anche se non volle mai diventare l'artista della corte dell'imperatore francese. Uno dei ritratti che il Canova produsse per la famiglia imperiale di Napoleone, ed anche uno dei più famosi e belli, è quello che rappresenta Paolina Bonaparte, sorella di Napoleone, seminuda, semisdraiata su un triclinio romano, con una mela in mano, nell'allegoria di 'Venere vincitrice'.

In questa rappresentazione si sente l'influsso di un'iconografia cara a Tiziano, pur se, nell'intenzionalità del Canova, vi era il desiderio di rappresentare la tentazione della bellezza femminile come origine del peccato.

Intanto la sua fama cresceva sempre di più, in Italia e all'estero ed aumentavano considerevolmente le commesse da tutta Europa.


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