Uno dei maggiori
rappresentanti della filosofia scozzese del Settecento è Adam Smith. Nato a
Kirkcaldy, presso Edimburgo, nel 1723, Smith studiò a Glasgowcon Hutcheson e,
qualche anno dopo la morte di quest'ultimo, gli succedette sulla cattedra di
Filosofia morale. Nel 1763 lasciò l'insegnamento per andare in continente in
qualità di precettore privato: durante questo viaggio soggiornò a Parigi, dove
entrò in contatto con l'ambiente della fisiocrazia francese, in particolare con
Quesnay e con Turgot. Ritornato in patria, condusse a lungo vita privata, poi
divenne commissario alle Dogane e infine Rettore dell'università di Glasgow.
Morì nel 1790. La prima opera di Smith, la Teoria dei sentimenti morali (1759),
risente ampiamente della frequentazione di Hutcheson e di Hume. Il principio
fondamentale della vita morale è infatti il sentimento della simpatia: gli
uomini sono naturalmente portati a giudicare positivamente le azioni che
contribuiscono alla socievolezza reciproca e negativamente quelle che la ostacolano.
Questo giudizio riguarda non solo le azioni degli altri, ma anche le nostre
proprie. Ciascuno di noi ha infatti uno 'spettatore imparziale '
dentro di sé , che gli consente di valutare le sue azioni con gli occhi degli
altri, in base quindi dell'utilità che esse presentano per la sua persona, ma
alla loro accettabilità dal punto di vista sociale. La stessa coscienza morale
non è quindi per Smith un principio razionale interiore, ma , scaturendo dal
rapporto simpatetico che l'uomo ha con gli altri uomini, presenta un carattere
prevalentemente sociale e intersoggettivo. Il sentimento della simpatia
permette così di introdurre un principio di armonizzazione nell'apparente
conflitto tra gli impulsi sociali e quelli egoistici. Infatti la felicità di
ognuno è possibile soltanto attraverso la realizzazione del bene degli altri.
Un analogo principio armonicistico guida l'analisi dei processi socio-economici
che Smith compie nel suo capolavoro, l' 'Indagine sulla natura e le cause
della ricchezza delle nazioni ' (1776). Testimone delle trasformazioni che
investono la vita economica dell'Inghilterra, nella quale si stanno affermando,
sia pure in forma embrionale, i meccanismi del moderno capitalismo industriale,
Smith non nega che l'elemento propulsore di ogni attività economica è
l'interesse individuale. Apparentemente, la comparazione di questi interessi
descrive una condizione di aspra conflittualità sociale: gli imprenditori hanno
interesse a pagare il meno possibile il lavoro dei loro operai e questi ultimi,
viceversa, vogliono percepire il salario più alto possibile. Ma quando si
considerino gli interessi individuali e i processi socio-economici cui essi
danno luogo da un punto di vista generale, anziché particolare, si vede che
essi trovano la loro armonizzazione nel tutto e conducono pertanto a un
vantaggio generale da cui traggono profitto anche coloro che sono
apparentemente più svantaggiati. Esiste dunque una mano invisibile che guida i
singoli interessi al di là delle loro specifiche intenzioni, componendoli in
una totalità che sfugge allo sguardo parziale dell'individuo. Smith condivide
pertanto i presupposti ottimistici dell'illuminismo in generale e della
fisiocrazia francese in particolare - da lui frequentata, come si è visto,
durante il viaggio in Europa - in base ai quali i processi socio-economici
rivestirono, come tutte le altre attività umane, un carattere naturale che
garantisce la loro bontà, almeno finché non interviene l'uomo con un improvvido
intervento artificiale. Per questo Smith ritiene - ancora una volta riprendendo
un suggerimento dei fisiocrati parigini - che l'azione dello Stato in fatto di
economia, vuoi regolamentando i processi produttivi, vuoi introducendo
restrizioni nella libertà di commercio, sia del tutto dannosa: essa rischia infatti
di compromettere quel vantaggio generale che che necessariamente si acquisisce
quando si lascia che le cose seguano il loro ordinario corso naturale. In
alternativa alla politica economica del mercantilismo seicentesco, che
prevedeva massicci interventi dello Stato, soprattutto in direzione della
difesa della produzione nazionale con dogane o divieti di importazione di merci
estere, Smith e i fisiocrati francesi caldeggiano l'instaurazione del più
completo liberismo economico. L'unico intervento legittimo da parte dello Stato
è quello di prelevare imposte dai guadagni privati degli individui in modo da
poter garantire quei servizi pubblici che ridondano poi a beneficio di tutti e
di ciascuno .
Smith
non ritiene che i meccanismi socio-economici da lui illustrati o le regole da
lui raccomandate in fatto di economia siano semplici teorie: al contrario egli
pensa che esse rispecchino leggi del tutto assimilabili a quelle che
determinano il carattere, la concatenazione e lo sviluppo dei fenomeni naturali.
Con Smith l'economia politica, cioè l'arte di bene amministrare la vita
economica dello Stato, esce quindi dall'ambito della precettistica empirica per
aspirare allo statuto di una vera e propria scienza . Smith , in un periodo in
cui si discuteva ampiamente se la vera ricchezza fosse nell' agricoltura o
nell' industria , si chiese : ma che cosa é che fa il valore di una cosa ? La
risposta che trovò fu sostanzialmente questa : la cristallizzazione del lavoro
presente nella merce in questione . Di fatto tutte le cose che abitualmente
compriamo o vendiamo sono incommensurabili e sarebbe quindi impossibile
effettuare vendite o acquisti : un fruttivendolo che vada da un calzolaio
quanti kg di patate dovrebbe dargli per avere un paio di scarpe ? E' assurdo !
Teoricamente si potrebbero solo scambiare merci uguali : patate con patate e
scarpe con scarpe . Eppure noi sappiamo che le scarpe e le patate hanno un loro
valore , che é dato dal lavoro presente in esse : un tot di lavoro per fare le
scarpe e un tot per le patate . Tra le varie ' scoperte ' di Smith
c'é anche quella dell' importanza della divisione del lavoro : contò che per
produrre uno spillo occorrevano 19 passaggi e capì che facendo fare un solo
passaggio ad una sola persona si ottenevano due effetti positivi : innanzitutto
costava meno perchè si trattava di manodopera meno qualificata , dovendo fare
solo un passaggio . Poi si accorse che effettuando un solo passaggio l' operaio
finiva per diventare bravissimo . Smith , tuttavia , si accorse anche dei limiti
della suddivisione del lavoro : un fabbricatore di liuti ha un rapporto
soggettivo con ciò che produce , lo fa con amore perchè lo vede nascere e poi
lo vede finito ; un operaio al quale spetti un solo passaggio non può avere
questo rapporto con ciò che produce e , per di più , il compiere sempre e solo
lo stesso passaggio causa in lui un abbrutimento fisico . Riprendiamo ora in
modo più approfondito la questione della mano invisibile : per Smith lo stato
non deve assolutamente intervenire nell' economia ( egli é quindi un liberista
) e le cose vanno lasciate al loro destino senza interventi statali : ciascuno
deve fare i propri interessi ; d' altronde Smith diceva : ' non é dalla
generosità del macellaio , del birraio o del fornaio che noi possiamo sperare
di ottenere il nostro pranzo , ma dalla valutazione che essi fanno dei propri
interessi ' . Ma allora , dirà qualcuno , ci sarà chi si arricchisce e chi
si impoverisce sempre più ! Per Smith non é così : se tutti fanno i propri
interessi é ovvio che aumenterà in qualche misura la ricchezza collettiva e
tutti godranno dei vantaggi , sebbene in maniera diversa : é ovvio che chi
investe guadagnerà di più del povero , ma tuttavia anche quest' ultimo avrà un
incremento positivo di ricchezza : ' cercando per quanto può di impiegare
il suo capitale a sostegno dell' industria interna e di indirizzare questa
industria in modo che il suo prodotto possa avere il massimo valore , ogni
individuo contribuisce necessariamente quanto può a massimizzare il reddito
annuale della società egli mira soltanto al proprio guadagno e in questo ,
come in molti altri casi , egli è condotto da una mano invisibile a promuovere
un fine che non entrava nelle sue intenzioni . Nè per la società è un male che
questo fine non entrasse nelle sue intenzioni . Perseguendo il proprio
interesse , egli spesso promuove quello della società in modo più efficace di
quando intende realmente realmente promuoverlo . ' Quello che può essere
considerato un vizio nel campo privato , ossia il fare i propri interessi ,
diventa una virtù nel campo pubblico .