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Uno sguardo d'insieme: interiorità e individualità




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Uno sguardo d'insieme: interiorità e individualità




Nell'analisi fin qui condotta sono andata alla ricerca dei precedenti non filosofici di ciò che in Platone costituirà il discorso dell'anima fra sé e sé. Punto di partenza, nonché fulcro di questo studio, è la nozione di psyché, in relazione alla quale ho tentato di capire se, e in che modo, Omero, i lirici arcaici e i tre grandi tragici ab- biano rappresentato esperienze di conflittualità interiore.

In base ai testi presi in esame, è emerso che il primario significato attribuito all'a- nima sia stato quello di vita, di principio animatore del corpo, e che quelle funzio- ni che attualmente siamo soliti definire psicologiche, tali non fossero ritenute in e- poca arcaica bensì venissero associate a uno o più organi interni del corpo. Questa disgiunzione originaria della psyché da operazioni quali sensazioni, passioni e processi cognitivi è risultata accompagnata, oltre che da una propensione a trattare delle stesse in un linguaggio prettamente concreto, anche da una tendenza a non porre alcuna netta separazione fra l'interiorità e l'esteriorità, entrambe terre- no d'incontro e scontro di molteplici forze e presenze divine e demoniache, non- ché da un'inclinazione verso forme di esteriorizzazione dei conflitti. Caratterizzazione materiale dell'anima, interazione dentro-fuori, ed esteriorizza- zione, quindi, sono risultate le coordinate in base alle quali venivano rese espe- rienze psichiche di varia natura nei poemi epici, nelle liriche arcaiche e nelle tra- gedie. Ma soprattutto la prima di queste coordinate, come avremo modo di osser- vare chiaramente nel prossimo capitolo, costituisce un presupposto che non verrà trascurato né nella speculazione dei primi filosofi ionici, né nell'analisi dei proces- si biologici proposta dal pensiero medico del V sec. a.C. Così, se Anassimene ricondurrà l'anima umana all'aria, arché di tutte le cose e Eraclito la riterrà affine al fuoco, principio che governa il cosmo i testi riconducibili al corpus ippo- cratico presenteranno una concezione fluida della psyché, sostanzialmente assimi- lata a quei liquidi e a quegli umori che verranno osservati entrare e uscire dal cor- po.

Coerentemente con una visione dell'interiorità assimilabile a un luogo fisico, a un contenitore, a un ricettacolo percorso da sostanze volatili o fluide, suscettibile a varie forze esterne capaci di perturbarlo, corromperlo, aggredirlo e in cui lo stato o il movimento dei diversi organi corporei era sinonimo di gioia, dolore, ira, paz- zia, indecisione, dissidio, i personaggi dell'epica sono risultati individuarsi ed es- sere individuati in quanto tali non in virtù di una qualche loro dimensione interio- re o spirituale, bensì solo in relazione alla singolarità del loro destino, all'eccezio- nalità delle imprese compiute in guerra, all'eroicità di una morte avvenuta nel fio- re degli anni sul campo di battaglia, alla possibilità di ottenere una gloria imperi- tura fatta della continua rievocazione delle loro stesse gesta nel canto poetico.

Ma, accanto agli eroi guerrieri, la cultura greca arcaica ha conosciuto anche un al- tro genere di individui straordinari, la cui eccezionalità non si misurava in valori o azioni direttamente riconducibili al corpo, bensì aveva piuttosto a che fare con la possibilità di valicare i limiti della stessa sfera somatica e di attingere forme alter- native di sapere. Poeti e veggenti potevano, per voler divino, "indagare il buio" e avvicinarsi a un ideale di sapienza costituito dalla conoscenza delle "cose presenti, future e passate" figure come quelle di Epimenide di Creta o di Aristea di Pro- conneso avevano i tratti degli sciamani e si raccontava che avessero compiuto viaggi al di fuori del tempo e dello spazio dai quali avevano tratto un tipo di sa- pienza fuori dell'ordinario nella quale la memoria costituiva un requisito indispen- sabile conservando il ricordo delle peregrinazioni effettuate, infatti, essi pote- vano trasmettere quanto avevano appreso ai "comuni mortali" in forma di messag- gio sapienziale. Sulla scia di costoro, anche Pitagora e Empedocle avranno le sem-

bianze di individui straordinari di uomini divini, in quanto in possesso di una sophía in cui la memoria risulterà strettamente connessa all'itinerario di trasmi- grazione dell'anima. Ma a quel punto si sarà prodotto, in un complesso di creden- ze escatologiche di derivazione orfica, pitagorica e dionisiaca, un approfondimen- to della dimensione spirituale della psyché, ritenuta d'essenza divina e immorta- le

La tradizione poetica fin qui presa in esame, quindi, nel corso del V sec. a.C. verrà ad innestarsi e ad interagire tanto con la nascente speculazione filosofica, quanto con le idee sorte nell'ambito dei movimenti religiosi del VI e V sec., contribuendo ad una progressiva associazione fra la psyché e le sue funzioni e a un graduale passaggio da una concezione tradizionale dell'anima come principio di vita a una definizione della stessa in termini di principio di conoscenza Il singolo indivi- duo, allora, avrà la possibilità di sviluppare o meno la componente divina che si riterrà avere in sé ab origine in relazione al rapporto che la propria anima intrat- terrà col corpo, e su questa strada andrà sviluppandosi una nozione di individuali- tà connessa a quella di psyché.

Ma è da immaginare che in tale complicato processo di interazione siano confluiti, oltre alla concezione materiale dell'anima, all'interazione dentro-fuori e all'este- riorizzazione dei conflitti, anche altri motivi derivanti dalla tradizione poetica co- me, per esempio, la tendenza dei lirici arcaici a parlare in prima persona e a trat- tare del proprio vissuto interiore. Essa ha portato alla luce una dimensione segreta, intima, confidenziale del soggetto, del tutto assente nei poemi omerici, che lo ha identificato in quanto relativa, diversa da uomo a uomo Quegli stessi lirici, poi, hanno spesso presentato il sentimento erotico sia come un aspetto della propria in- teriorità non suscettibile di controllo, sia come un'esperienza destabilizzante, du- plice, contraddittoria, dolceamara, per usare un ossimoro coniato da Saffo, al pun- to da assumere i tratti della follia e della mania Già Solone e Pindaro, inoltre, hanno parlato di pensiero e di intelligenza in termini di profondità (βαθύφρων, βαθυμήτης) connotando la realtà psichica come qualcosa che sfugge a una

spiegazione di carattere puramente concreto e spaziale, anticipando, sotto questo aspetto, una visione dell'anima che avremo modo di ritrovare in alcuni frammenti eraclitei


E' però nell'ambito della tragedia ateniese del V sec. a.C., che portava in scena e- venti riguardanti una realtà di per sé lacerata e conflittuale, che l'interiorità soma- tica è risultata essere sì un luogo concreto d'incontro fra molteplici forze in grado di perturbare e di agitare le interiora come potrebbe farlo una tempesta col mare, ma è risultata essere anche la sede di un tormento, di una battaglia che, progressi- vamente, andava spostandosi da fuori a dentro. In Eschilo, per esempio, nella rap- presentazione di stati di forte ansia e paura, è sorta una realtà dell'intimo che pre- scindeva dall'esterno e che da un lato era sinonimo di follia ma dall'altro era an- che espressione di una capacità profetica delle viscere, assimilate a una forma di sapere alternativo e più profondo rispetto a quello proveniente da una considera- zione immediata, superficiale della realtà (nell Agamennone si parla di "cuore in- dovino", di "animo che intona dentro un canto funebre appreso da solo", di "vi- scere che non parlano a vuoto") In Sofocle, d'altronde, benché i suoi personag- gi fossero pur sempre eroi scevri di incertezze, è emersa una figura interiorizzata in relazione alla quale la vergogna di Aiace si è strutturata come un'istanza inte- riore con la quale era impossibile conciliarsi Con Euripide, infine, è stato lo stesso conflitto interiore ad essere rappresentato, facendo salire sulla scena la psi- cologia del personaggio in cui esso avveniva: quella di Medea. Nell'omonima tra- gedia l'ultimo grande tragico ha dato vita a un dramma al cui centro non stavano tanto le azioni della protagonista, quanto la sua vicenda interiore, i sui dissidi, la piena consapevolezza di essi. Riprendendo modalità espressive e caratteristiche già presenti nelle liriche arcaiche e nelle tragedie dei suoi predecessori, come l'ap- pello al cuore o il frequente ricorso a scontri verbali, Euripide si è spinto oltre. Il richiamo al thymós, d'ascendenza omerica, ha sì espresso la coscienza della scis- sione di Medea, ma ha anche dato voce al suo estremo tentativo di ricomporla. L'emergere di una figura interiorizzata, a differenza dell'Aiace sofocleo, è divenu- ta il fattore scatenante il dissidio dell'eroina e ha cooperato ad acuire la duplicità del suo sentire. La domanda "che fare?" (τί δράσω; 1042) non ha ricevuto risposta proveniente da nessun altro personaggio all'infuori della stessa Medea, divisa, nel corso del suo drammatico monologo, fra un'istanza dettata dal suo amore ma- terno e un'altra imposta dal suo desiderio di vendetta

L'intero svolgimento della vicenda, quindi, è risultato interamente determinato dall'atteggiamento interiore di Medea e ciò ha reso possibile pensare l'eroina co- me la rappresentazione di una nuova forma d'individualità che è consapevole del- la propria scissione, che tenta anche di ricomporla nonostante sappia di esser de- stinata a fallire, poiché che il thymós governa i suoi proponimenti, e che si deter- mina in un'azione libera che inevitabilmente la condurrà alla rovina. Certo, Me- dea non ha ancora le sembianze di qualcuno che agisce in completa autonomia tanto dei condizionamenti di Eros, quanto di Anánke, ma è pur vero che ella av- verte la propria passione non più come una potenza esterna irresistibile, ma come qualcosa che scatena una tensione insolubile, un conflitto avente per protagonista due parti di sé, e che la necessità agisce soltanto dopo che l'eroina stessa ha de- ciso

Medea sa, sa che la passione che sente dentro di sé preme forte per tradursi in azione, sa che ciò che sta per commettere è incompatibile col suo status di madre, sa anche di coinvolgere degli innocenti nel suo proposito di vendetta e che ciò comporterà per lei stessa un dolore incommensurabile. La sua consapevolezza è, quindi, una forma di sophia che, pur sviscerando in un solitario discorso fra sé e sé le componenti della propria interiorità e le possibilità d'agire ad esse associate, scorge fin dall'inizio l'unica alternativa possibile, necessaria, inevitabile. "La for- ma del monologo comunica perfettamente, insieme al senso d'onnipotenza dell'e- roina, il disagio della superiorità intellettuale e il dramma dello sguardo lungimi- rante che, mentre scruta, senza bisogno dell'altro, le più complesse sfumature, ha già deciso."

Medea è la protagonista di una tragedia, non siamo in un contesto filosofico, l'anima qui è ben lungi dall'esser inserita in una teoria che la concepisca come se- de delle funzioni psichiche, le quali invece sono ancora profondamente legate alle componenti somatiche interne. Ciò nondimeno ella ci offre la prima netta testimo- nianza, nella complessità di una dimensione parimenti emotiva e intellettuale, di una dinamica interiore conflittuale che lei stessa riconosce, ovvero della consapevolezza di una strutturazione composita dell'interiorità pensabile in termini di scissione, di scontro, di antinomia con se stessi. E nel far questo Medea non si po- ne come un modello di personalità "meno evoluto" rispetto a quelli filosofici, giacché si caratterizza per un sapere che in sé non ha niente di certo o di rassicu- rante. Ella determina, nella piena coscienza di sé, il suo stesso inevitabile desti- no e la sua individualità si dispiega solo in relazione a se stessa: il conflitto tragico che nelle opere di Eschilo e Sofocle contrapponeva personaggi dai valori inconci- liabili, si è così trasferito dentro Medea, in un thymós che è contemporaneamente sede di amore e di vendetta, nonché oggetto di riflessione, contribuendo a fare di esso non più il mero slancio imperioso d'ascendenza omerica bensì una compo- nente dell'interiorità coinvolta nel dissidio. Componente che nella riflessione platonica assumerà le sembianze di una determinata parte dell'anima.


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