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Un piccolo passo per la donna, un grande passo per l'umanità




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Un piccolo passo per la donna, un grande passo per l'umanità



Uno dei fenomeni più significativi del Novecento è la presa dei propri diritti da parte delle donne, prima nei paesi avanzati come gli Stati Uniti e la Gran Bretagna e poi negli altri paesi occidentali. Dalle rivendicazioni del diritto di voto agli appelli sempre più chiari e vigorosi per l'uguaglianza con gli uomini in tutti i settori della vita economica e civile, il principio delle "pari opportunità" è stato vessillo delle lotte femminili.

Illustra le fasi e i fatti salienti che hanno segnato il processo di emancipazione femminile nel nostro paese, facendo possibilmente riferimento anche a canzoni, film, pubblicazioni e a qualunque altro documento ritenuto significativo.






Tra le più emblematiche personalità, protagoniste dell'endemica misogenia che ha affetto la nostra storia medievale, c'è sicuramente Goffredo di Vendôme, un poco noto clericale dell'XI secolo, che a proposito della donna scrisse: "Questo sesso [quello femminile] ha avvelenato il nostro progenitore, che era anche suo marito e suo padre, ha strangolato Giovanni Battista, portato alla morte il coraggioso Sansone. In un certo qual modo, ha ucciso anche il Salvatore, perché se non fosse stato necessario per il suo peccato, nostro Signore non avrebbe avuto bisogno di morire. Maledetto sia questo sesso in cui non vi è né timore, né bontà, né amicizia e di cui bisogna diffidare più quando è amato di quando è odiato".

Eh sì, perché all'interno dell'esperienza medioevale che qualche passatista vorrebbe culturalmente riesumare e attualizzare, rintracciamo proprio l'apparato ideologico e pseudo-teologico che ha permesso il plurisecolare avvilimento e persecuzione dell'essere femminile. Una sottomissione, espressa più inequivocabilmente nella caccia alle streghe, perpetrata per generazioni attraverso l'indottrinamento collettivo che trasfigura la realtà della donna in un essere corrotto e corruttore. Una cultura che, tuttavia, è andata scemando verso la parità politica, sociale ed economica tra i sessi che oggi il mondo occidentale può finalmente dichiarare di vantare.

Anche se molti potrebbero ritenere i passi compiuti dalla nostra civiltà verso il traguardo attuale tanto notori da essere indegni di ulteriore menzione, spesso ci si scontra con chi, essendo magari nato all'interno dell'immediato presente e naturalizzato quindi alla condizione corrente, non è nemmeno a conoscenza delle premesse storiche che hanno condotto al cambiamento di portata epocale che ha investito l'Occidente contemporaneo. Un sovvertimento la cui importanza fu testimoniata ottimamente da Juliet Mitchell: "L'emancipazione della donna, non sarebbe stata solamente un indice di umanizzazione nel senso civico di vittoria della natura umana sulla brutalità, ma nel senso più fondamentale di progresso dell'uomo nei confronti dell'animale, del fatto culturale su quello naturale".

La matrice della rivoluzione è ascritta generalmente allo schieramento delle forze femminili nell'industria durante la seconda guerra mondiale, quando dalla leva di tutta la popolazione maschile, dispiegata al fronte, ne conseguì che anche l'uso delle donne in fabbrica risultava indispensabile per il sostentamento delle economie nazionali in tutta Europa (come anche negli Stati Uniti). Sebbene già l'inzio del secolo vedeva i primi moti femministi delle suffragette; fu, di fatto, proprio con la loro partecipazione lavorativa che s'avvia l'escalation di autoconsapevolezza femminile del proprio ruolo individuale e sociale (nell'ambito familiare come nel contesto pubblico, e con particolare riferimento al mondo del lavoro). Questa porterà, conseguentemente, alle mobilitazioni delle associazioni femministe dei primi anni '60, inzialmente nei paesi culturalmente precorritori, ovvero Stati Uniti e Regno Unito, ed in un secondo momento anche nel resto del mondo occidentale, tra cui proprio l'Italia.

Se fino a poco prima della seconda guerra mondiale alle donne erano negati il diritto di voto, il diritto d'istruzione, l'accesso alle professioni liberali ed altre fondamentali libertà personali, s'assiste ora all'attivismo che forse più inciso la nostra cultura: il femminismo. "Il femminismo è una filosofia che appartiene a tutte le donne" dichiarava la francese Simòne de Beauvoir proprio durante il fiorire delle mobilitazioni femministe, che con la pubblicazione del suo saggio Il secondo sesso apre alla società dell'epoca la realtà della condizione femminile.

L'ispirazione dei successivi moti femministi si individua in Mistica della femminilità della statunitense Betty Friedan, per quanto riguarda il sessismo legato all'ambito culturale (quindi come figura familiare), e in Sexual politics di Kate Millet, circa invece il ruolo professionale e politico della donna. Entrambi pubblicati proprio negli anni '60.

La militanza femminista in pochissimi anni riscuote distanti successi. Di carattere legislativo, ma specialmente di ordine ideologico: gradatamente ottiene il tanto ambito affrancamento dai tradizionali stereotipi sessisti.

Guardando in particolare all'Italia, il fenomeno si manifesta con una leggera posteriorità, basti pensare che il diritto di voto esteso a tutte le donne, il suffragio universale, fu raggiunto solamente nel 1946. In differita quindi di 15-20 anni rispetto a Germania, Stati Uniti e Regno Unito. Ma se per l'esperienza femminista delle suffragette fu necessario un intervallo di tempo così ampio, in Italia l'attivismo femminista degli anni '60 si manifesta quasi simultaneamente. Le testimonianze più vivide sono sicuramente contenute all'interno dei repertori fotografici dell'epoca che ritraggono i cortei delle associazioni femministe italiane scese in strada per manifestare oppure dai murali lungo le città che celebrano "il ritorno delle streghe".

Tuttavia, come ogni sociologo avrebbe potuto prevedere, al movimento femminista è seguita una deriva degenerativa del fenomeno. E a questo proposito giunge il pesante biasimo di Marguerite Yourcenar, scrittrice francese e prima donna eletta alla Académie française: "C'è un femminismo estremista che non amo. Soprattutto per due suoi aspetti. Il primo: l'ostilità verso l'uomo. Mi sembra che nel mondo ci sia già troppo ostilità bianchi e neri, destra e sinistra, cristiani e non cristiani, cattolici e protestanti che non c'è bisogno di creare un altro ghetto. Il secondo: il fatto che sia un progresso per la donna moderna mettersi nella stessa condizione dell'uomo moderno il manager che fa affari, il finanziere, il politico senza vedere il lato assurdo e anche inutile di queste attività".

Ed io aggiungerei, in conclusione, che nonostante il femminismo sia riuscito in modo eccelso ad incarnare i principi fondamentali ai quali è improntata la nostra Costituzione (ed in particolare l'Articolo 3), i traguardi non sono più definitivi di quanto lo fosse in precedenza, sebbene così possa superficialmente apparire. Perché ora le disparità sociali della donna non sono più da combattere erodendo ulteriormente la cultura maschilista della società, da considerare ormai estinta. Le più grandi ingiustizie pubbliche contro la donna vengono adesso, infatti, dalle aziende che mercificano il corpo femminile avvillendo le sue potenzialità intellettive, emozionali ed espressive. La donna si ritrova ora, dunque, a proteggersi proprio da sé stessa. O meglio, dalle orde di ragazzette semi-svestiste affette dalla collettiva sindrome del velinismo. Ma anche dalle stesse signore, che, con la sdegnosità delle vecchie abitudini pre-femministe, cadono rovinosamente in pretese di cavalleria ai propri compagni galantuomini: tali privilegi e cerimoniosità non sono sempre la perpetrazione di quegli anacronisti e molesti stereotipi che il femminismo ha lottato tanto per estinguere?

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