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Democrazia è una forma di governo in cui la sovranità risiede nel popolo che, o esercita direttamente i suoi poteri (Democrazia Diretta), o per mezzo delle persone e degli organi che elegge per rappresentarlo, in altre parole un corpo politico rappresentativo come parlamento, assemblea, camera (Democrazia rappresentativa).
Per risalire alle sue origini bisogna partire dall'Atene 'democratica' del VI e V secolo a.C., ma la prima che effettivamente ci sia nota è quella che sorse nel corso del VII secolo a Chio, ed è la prima volta in cui il popolo ebbe il riconoscimento della sovranità. Solone, nella creazione degli ordinamenti ateniesi, ebbe presente il modello della costituzione di Chio.
La democrazia ateniese era caratterizzata dal coinvolgimento dei dêmoi nella gestione del potere politico. Benché dêmos indicasse in origine ogni distretto (urbano o rurale) in cui era suddivisa Atene, in seguito, con la riforma antioligarchica di Clistene, il termine indicò genericamente 'il popolo che agisce congiuntamente'. Così, sebbene dalla democrazia fossero esclusi gli schiavi e gli stranieri, Atene realizzò il primo esempio storico di partecipazione politica estesa ai ceti meno abbienti
La democrazia era perciò una forma di democrazia diretta in cui era possibile, in ogni momento della giornata udire la voce dell'araldo che chiamava i cittadini ai pubblici decreti.
Poiché è principio necessario che tutti abbiano uguale diritto di voto nella democrazia, la maggioranza è sovrana. Alcuni dei principi fondamentali sono: la legge deve essere uguale per tutti, la libertà è condizione necessaria, l'eguaglianza di potere e la libertà di parola sono i mezzi per la realizzazione del governo democratico.
Scomparso in epoca romana, feudale e assolutistica, il termine democrazia rinacque con la Rivoluzione francese e con i giacobini. Il comune di Parigi che, fino alla caduta di Robespierre, rappresentava la democrazia diretta del popolo parigino, costituisce una sorta di riattualizzazione dell'antica pólis ateniese
E' stato A. de Tocqueville, con la sua grand'opera sulla rivoluzione americana (La Democrazia in America, 1835-40), ad iniziare il dibattito moderno sulla democrazia. Egli realizza il paradosso di 'società democratiche ma non libere':
'La frenesia di arricchire a qualunque costo, la passione degli affari e del lucro, la ricerca del benessere e dei godimenti materiali sono le passioni più comuni e diffuse. Esse dilagano facilmente in tutte le classi, () perverrebbero in breve tempo a snervare e degradare l'intera nazione, se nulla intervenisse per raffrenarle. Le società democratiche, ma non libere, possono essere ricche, raffinate, ornate, anche magnifiche, potenti per il peso della loro massa omogenea; vi si possono ritrovare doti individuali, buoni padri di famiglia, onesti commercianti, e proprietari stimabilissimi; vi si troveranno pure dei buoni cristiani []; ma ciò che non si vedrà mai, oso affermarlo, in simili società, sono i grandi cittadini, e soprattutto un gran popolo; né temo di asserire che il comune livello delle menti e degli animi mai non s' arresterà nel suo abbassamento, fino a che l'uguaglianza e il dispotismo andranno assieme congiunti.'
Dopo Tocqueville, il dibattito non ha più
riguardato tanto le caratteristiche filosofico-politiche della democrazia, ma
le forme giuridiche e le condizioni materiali che consentono ai sistemi
politici di salvaguardare i principi costituzionali e democratici e, al tempo
stesso, la necessità di razionalizzare le decisioni, e quindi la produttività
politica dei sistemi.
Il dibattito sulla democrazia include sempre più spesso problemi
pratico-dinamici come il consenso, il ricambio delle élites, le procedure decisionali,
e sempre meno la natura della democrazia diretta.
Infatti, quello che vediamo succedere nell'attuale democrazia italiana è uno sviluppo di tipo individuale mirato al beneficio immediato, senza preoccuparsi dei problemi della collettività; la classe politica fa promesse che spesso non è in grado di mantenere o soddisfa istanze che procurino consenso nell'immediato, come ad esempio un reale o apparente abbassamento delle imposte.
È proprio questa le differenza tra l'attuale democrazia che vige in Italia e l'ideale di società civilizzata di cui tratta Ginsborg. Essa sarebbe in grado di compiere sacrifici per ottenere un futuro migliore e duraturo, perché solo questa è portatrice di valori, non è egoista e vince la passività e indifferenza per i problemi comuni.
Una definizione più ristretta e rigorosa prevede che i sistemi rappresentativi siano elettivi e basati sul suffragio universale, con il solo vincolo d'età minimi per l'elettorato.
Sono, quindi, anche i più giovani ed inesperti ragazzi di una volta divenuti maggiorenni, si trovano ad affrontare scelte di tipo politico quali, ad esempio, quelle relative alle elezioni.
Dunque sono innanzi tutto posti davanti al problema di decidere se votare, e quindi dimostrare un interesse verso le decisioni collettive nonché rispettare un dei loro doveri di cittadino, oppure astenersi da questo compito dimostrando dunque un forte disinteresse e una mancanza di responsabilità nei confronti del Paese.
Le elezioni non sono altro che un piccolo ma fondamentale gesto di partecipazione sociale e politica che comporta apertura a ciò che esula dagli immediati interessi, e acquisizione d'informazioni sulle questioni più rilevanti che riguardano l'intera collettività.
Tramite questo ed altri gesti di partecipazione sociale il popolo, ma più specificatamente i cittadini, dovrebbe rispondere alla necessità di apportare modifiche alla gestione del potere, che risolverebbero gran parte dei problemi. Ciò può avvenire solo tramite un processo a lungo termine, che non può essere semplice ed immediato perché risulterebbe fallimentare, poiché i risultati si possono ottenere con piccoli e semplici interventi che risultano fondamentali per costruire a "piccoli passi" grandi progetti utili al miglioramento della società. Per fare ciò bisogna che la società sia interessata e partecipe alla vita politica.
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