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Pier Paolo Pasolini (1922-1975)




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Pier Paolo Pasolini (1922-1975)


In particolar modo si nota Pier Paolo Pasolini, nato a Bologna nel 1922, trascorre parte della gioventù nel paese della madre Casarsa, in Friuli. Esordì come poeta nel dialetto materno, quello friulano con "Poesie a Casarsa", 1942, e "La meglio gioventù", 1954". Tra il 1943 e il 1949si cimentò anche con la poesia in lingua ("L'usignolo della chiesa cattolica, 1958) e con la prosa per rievocare le lotte dei contadini friulani.  Laureatosi in lettere inizia l'insegnamento, ma nel 1949 è allontanato dalla scuola in seguito ad un processo per corruzione di minore legato alla sua omosessualità. Si trasferisce a Roma, dove lavora nel cinema come sceneggiatore; romani sono i due romanzi che gli danno una popolarità mista di scandalo, compreso un processo per oscenità. Negli anni '60 si da al cinema e continua intanto l'attività poetica e intensifica la sua presenza di saggista irrequieto e combattivo su giornali e riviste. Nel 1975 viene assassinato in una baracca della periferia romana, dopo un incontro con un "ragazzo di vita".

I romanzi "Ragazzi di vita"(1955) e "Una vita violenta"(1959), hanno per sfondo le borgate di baracche cresciute intorno a Roma, popolate da un sottoproletariato pieno di miseria; protagonisti sono i giovani di quest'ambiente, frequentati e amati da Pasolini, con la loro cultura primitiva e violenta, con la loro vitalità istintiva e quasi animalesca. Il desiderio dell'autore di identificarsi con questo mondo si manifesta con l'uso del dialetto e del gergo della malavita, che dai dialoghi trabocca nel discorso dell'autore, con un effetto di violenza espressiva che va oltre i moduli del neorealismo. Ma in mezzo al linguaggio rozzo dei "ragazzi di vita" affiora a tratti quello raffinato del letterato.

Pasolini adotta un punto di vista narrativo rigorosamente esterno, si limita a registrare con evidenza cinematografica azioni, dialoghi, gesti, come proiettandosi in un mondo incapace di consapevolezza interiore; ma non rinuncia a elementi di polemica sociale, specialmente nel secondo romanzo, "Una vita violenta", che finisce con la morte del protagonista, redento dall'adesione del P.C.I., in seguito ad un'eroica azione di salvataggio durante una piena dell'Aniene.

Nella sua attività cinematografica esordì prima come sceneggiatore e poi come regista. Il percorso più diretto verso il mondo delle cose esterne, Pasolini lo compì attraverso il cinema, prima con ciclo mitico-psicoanalitico e poi con la "trilogia della vita" costruita sulle tre raccolte di novelle più importanti (Decameron, 1971, I racconti di Canterbury, 1972; Il fiore delle mille e una notte, 1974). L'ultimo film, Salò e le 120 giornate di Sodomia (1975), è ambientato nella Repubblica sociale di Salò, durante gli ultimi anni del fascismo. Vicini a questo tema sono il suo attacco al comunismo, al permissivismo e alle nuove forme di potere. Sono importanti i suoi saggi (Passione e ideologia, 1960; Scritti corsari, 1975 e Lettere luterane, postume, 1976).  

Nei saggi letterati degli anni '50, Pasolini si rivela critico acuto, dotato di strumenti di analisi stilistica non comuni per quell'epoca. Più clamorosa l'attività di polemista di costume degli ultimi anni, appassionata, capace di uscite imprevedibili e provocatorie che prendevano in contropiede i luoghi comuni della sinistra: memorabili la presa di posizione a favore dei poliziotti accusati di violenza nella repressione delle manifestazioni del '68, o quella contro l'aborto. Al centro è la polemica contro la modernizzazione industriale e consumistica che cambia ogni differenza di culture e distrugge quel mondo popolare primitivo così amato dallo scrittore.

In pieno Sessantotto, quando scoppia la contestazione studentesca,Pasolini scrive il "Pci ai giovani" che scatenò discussioni e polemiche durissime. Il brano, in quegli anni, è stato sottoposto a molte interpretazioni; molti fecero di questa polemica in versi un motivo di dissenso nei confronti di Pasolini, più che altro per motivi di opportunità politica poiché egli, uomo di sinistra e comunista, aveva scelto di pubblicare i suoi versi anche su un settimanale molto conosciuto in un periodo molto "caldo" della contestazione studentesca, permettendo in questo modo una strumentalizzazione delle sue parole da parte della destra.

Nell'ottobre del 1968, Pasolini scrisse nella rubrica "Il Caos", parlando appunto di quell'anno di rivoluzione ed affermando che quello non era stato un anno glorioso per la vita nazionale e internazionale. Che era stato un anno di restaurazione poiché le novità portate dai movimenti studenteschi hanno continuato ad operare degli gli uomini, e lo faranno per il resto dell'esistenza.

Pasolini, nel gennaio del 1973, accetta la proposta di collaborare con il "Corriere della Sera" portando i suoi interventi nella rubrica "Tribuna libera", una lunga serie di scritti che porteranno l'attenzione di Pasolini su temi d'attualità, politici e di costume. Questi articoli saranno poi raccolti in un volume sotto il titolo di "Scritti Corsari". 


RAGAZZI DI VITA


Scritto nel 1955, "Ragazzi di vita" racconta di alcuni adolescenti della periferia di Roma, sottoproletari con alle spalle famiglie sfrattate, ammucchiate insieme ad altre famiglie in stanze e corridoi. Il romanzo racconta le loro giornate trascorse alle ricerca di soldi e passatempi. Sono personaggi emarginati dalla città normale e rispettabile, non integrati in un contesto sociale di lavoro o scuola: la strada è il loro spazio la loro scuola.

I personaggi del romanzo appartengono al sottoproletariato urbano. Solo in alcuni casi vengono presentati con i nomi propri, mentre l'autore preferisce identificarli con il soprannome in codice che hanno nel gruppo di sbandati di cui fanno parte, quasi a sottolineare la separazione del mondo dei "ragazzi di vita" dal corpo sociale. Essi si muovono spinti sempre da esigenze elementari e biologiche (il cibo, il sesso), non hanno una coscienza, sono pura energia vitale. Vivendo alla giornata, di espedienti, incorrono in continue avventure, comiche o tragiche. Neppure quelle tragiche lasciano il segno: spinti da un'esuberante energia, vengono riassorbiti dal ritmo della loro vita vagabonda, disperata e insieme allegra. Molto raramente l'autore fa emergere qualche "sentimento" dal loro lato interiore, che riguarda per lo più la protezione verso i più piccoli o la tenerezza verso gli animali. Nessuno dei "ragazzi di vita" conosce una reale evoluzione, una crescita interiore; quando qualcuno di essi entra a far parte del mondo degli "altri" (gli adulti, la gente che lavora) cessa di interessare l'autore.

Per quanto riguarda le tecniche narrative, c'è uno schema ricorrente: è infatti sempre una ricerca di denaro da parte dei ragazzi ad avviare l'azione; questa ricerca raggiunge il suo obiettivo, ma il risultato è spesso vanificato da un'improvvisa perdita che ripristina le condizioni di partenza.

In "Ragazzi di vita" la rappresentazione del paesaggio ha una notevole rilevanza e adempie diverse funzioni: prima di tutto quella di costruire lo sfondo realistico delle vicende: il narratore insiste sui tratti più squallidi e degradati della periferia di Roma.

Il fiume è il punto di ritrovo dei personaggi, inteso come metafora dello scorrere del tempo: come la vita così il fiume scorre in un'unica direzione in un rinnovarsi del sempre uguale. E' un fiume torbido e inaffidabile, una metafora più che somigliante al tipo di vita che si ritrovano i personaggi di Pasolini. In questo romanzo sono presenti gli istinti più naturali dell'uomo: fame, sonno, sesso.

Pasolini  teorizzava la necessità di attuare un'operazione regressivo-mimetica, cioè lasciare il posto della propria identità socio-culturale e linguistica alla voce del popolo. Da qui la massiccia introduzione in "Ragazzi di vita" del gergo, il gergo delle borgate che regna incontrastato nei dialoghi. Nel narratore l'autore usa una contaminazione dialetto-lingua che ha diversi risultati, da un massimo ad un minimo di vicinanza-regressione alla mentalità-linguaggio dei "ragazzi di vita".


UNA VITA VIOLENTA                         


Ambientato fra il sottoproletariato romano degli anni '50, il romanzo delinea in ambiente così realistico in cui emerge la vicenda di Tommaso, un "ragazzo di vita" che arriva attraverso la sua esperienza ad acquisire consapevolezza umana e politica.

Nato da una famiglia miserabile, tra le baracche dell'estrema periferia, Tommaso vive di espedienti e partecipa anche a spedizioni teppistiche.

L'opera è caratterizzata da più generi letterari: è, innanzitutto, un romanzo verista, fedele a quel filone letterario di cui l'esponente più importante è Verga. Come lui, anche Pasolini mette in scena scorci di vita reale, che anche se non sono stati vissuti veramente da un personaggio reale, non sono per questo meno realistici. La loro carica espressiva deriva quindi dal fatto che gli episodi descritti sono presi dalla vita di tutti i giorni di un gruppo di delinquenti degli anni '50.

E' un romanzo che, sicuramente, ha un qualcosa da insegnare, un qualcosa che tutti, secondo l'autore, dovrebbero sapere.

E' un romanzo di formazione, in quanto ha l'intento di mostrare una precisa crescita interiore del personaggio principale. Tommaso percorre una maturazione non indifferente, che lo porta ad essere, dal piccolo delinquente al ragazzo molto più maturo e responsabile.

E' un romanzo anche autobiografico, perché tratto dalla viva esperienza dell'autore. Pasolini è veramente vissuto con quei gruppi di delinquenti che sono al centro del suo romanzo, ha quindi potuto conoscere le problematiche di quei ragazzi in prima persona, rimanendone fortemente coinvolto.

L'autore lascia che siano i personaggi a parlare, senza intervenire con commenti o giudizi espliciti, ma sempre nascondendosi dietro ai personaggi. Ne risulta quindi una narrazione a focalizzazione interna multipla, in quanto l'azione viene filtrata dagli stessi personaggi.

Il ritmo narrativo è abbastanza lineare: non si hanno lunghe scene descrittive o riflessive che appesantiscono la narrazione. Si ha invece un'abbondanza di dialoghi e, nei casi di sequenze descrittive, la narrazione procede abbastanza veloce.

Nella descrizione degli spazi l'autore non mostra un'attenzione eccessiva: spesso i luoghi sono del tutto impersonali, vuoti e la loro presenza è quasi "assente"; mancano infatti descrizioni dettagliate della cornice in cui avvengono le sequenze narrative.

Attraverso l'analisi del romanzo "Una vita violenta" emergono diverse tematiche: il tema principale è quello della violenza, spesso associata alla delinquenza. Importante è anche il divario tra ricchi e poveri, tra "i figli di papà" e i delinquenti costretti ad usare la violenza per tirare avanti. Una certa superficialità, visibile soprattutto nella leggerezza con cui viene affrontata la vita, vista più come un gioco che come una battaglia da vincere.


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