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Tesina del secondo quadrimestre - IL GIORNO DI GISEPPE PARINI




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Tesina del secondo quadrimestre


IL GIORNO DI GISEPPE PARINI



L'opera più importante di Parini è "Il Giorno". Un poema in endecasillabi sciolti che mirava a rappresentare satiricamente l'aristocrazia del tempo. Il poema ha per argomento la descrizione della giornata di un giovin signore della nobiltà milanese. Nel progetto originale doveva articolarsi in 3 parti, il Mattino, il Mezzogiorno e la Sera. Le prime due parti furono pubblicate rispettivamente nel 1763 e 1765, mentre la Sera fu più tardi sdoppiata in due : il Vespro e la Notte.

Il Giorno rientra nel genere della poesia didascalica che era particolarmente diffuso nell'ambito della cultura illuministica (che aveva fatto dell'insegnamento e della divulgazione un vero e proprio ambito mentale). Il poeta si propone come "precettor d'amabil rito "di un giovane a cui intende mostrare le attività più degne e interessanti da svolgere nel corso della giornata. Tutto il discorso del precettore è impostato in chiave ironica, e si fonda sulla figura dell'antifrasi, secondo la quale viene affermato il contrario di ciò che si vuole far intendere.

In questo modo il precettore si limita a fingere di accettare il punto di vista del  giovin signore e del suo mondo, perciò la via futile e vuota della nobiltà viene celebrata in termini iperbolici, come la vita eccezionale e superiore dei veri e propri "semidei terreni"; in realtà traspare dietro l'ironica enfasi celebrativa e alle spalle del "precettore" la figura del poeta, con il suo atteggiamento di condanna.

L'impianto del poema, quindi, più che narrativo è descrittivo : non viene individuata una particolare vicenda, ma viene descritta una giornata tipo dell'aristocrazia, presentando tutte le varie possibilità che al giovane si offrono per occupare il suo tempo.

Nel Mattino analizzando il brano "Il giovin signore inizia la sua giornata", il poeta si presenta come amabile precettore, che intende insegnare all'aristocratico allievo il modo di riempire i giorni vuoti e noiosi della sua vita. Dopo il proemio l'esposizione vera e propria comincia con la descrizione del risveglio del contadino e dell'artigiano, giocata in contrasto con quella del risveglio del nobile, che seguirà subito dopo : la contrapposizione vuole far risaltare la vita laboriosa e virtuosa dei primi e quella vuota e corrotta del secondo. Il contadino è portatore di una serie di valori positivi(la famiglia, la laboriosità, la sobrietà, la semplicità.). Questa esaltazione del lavoro dei campi come portatore dei valori della famiglia e del lavoro entra in contrasto implicito con la figura del giovane signore ozioso e inutile alla società.

La voce che racconta è quella di un narratore inattendibile, e lo si capisce dall'evidente presenza della realtà effettuale, dall'oggettività stessa dei fatti narrati e descritti , che sono tutto il contrario di come il precettore li presenta. Dietro alla sua figura è come se si profilasse un'altra figura, che i fa segno di non prestargli fede e ci indica la realtà effettuale : è l'autore stesso, che non parla direttamente, ma è come implicito nella costruzione del discorso. Si crea così una complicità tra autore implicito e lettore, alle spalle del narratore e del suo personaggio.(il precettore esalta la vita nobiliare assecondando il suo allievo e la sua maniera di vedere le cose, ma il lettore, grazie all'autore implicito, è in grado di ricostruire la vera realtà dei fatti).

Tuttavia il rapporto con il mondo nobiliare è assolutamente ambiguo; infatti da un lato l'autore condanna il vuoto e la corruzione del mondo nobiliare, dall'altro è profondamente attratto da quel mondo di raffinatezza, splendore, grazia e bellezza.(descrizione minuziosa degli oggetti, delle cose, dei vini, delle stoviglie "preziosa tazza, dorate imposte.."..) Questa ambiguità è sempre stata messa in rilievo come fattore che può compromettere la coesione interna dell'opera ; in realtà l'arricchisce di piani, di sfumature, di risonanze. La poesia dunque è tanto più affascinante quanto meno è univoca in un'unica prospettiva.

Nel Mezzogiorno il giovin signore viene seguito in visita alla dama, con tutte le schermaglie amorose che ne derivano, poi durante il pranzo si intrecciano conversazioni sugli argomenti più vari tra cui anche i temi filosofici alla moda. Infine la coppia, nel tardo pomeriggio, si reca al passeggio delle carrozze, dove si ritrova tutta la nobiltà cittadina.


Nel Mattino e nel Mezzogiorno Parini presenta la sua concezione del ceto nobiliare. Infatti analizza due piani della nobiltà; alla nobiltà oziosa ed effeminata del presente viene contrapposta talora quella rude del passato che si gettava ferocemente nella battaglia (si veda ad esempio il paragone tra il giovin signore avvolto da una nuvola di cipria nella sua toeletta, ed il guerriero immerso tra il fumo dei cannoni e la polvere del campo). Anche qui scatta il meccanismo ironico, in quanto il precettore finge di provare orrore per quella barbarica ferocia e di esaltare le pacifiche operazioni della nobiltà d'oggi, ma è chiaro che l'atteggiamento del poeta è del tutto opposto, ed è inteso a celebrare la nobiltà guerriera che sapeva affrontare la morte in battaglia per difendere i concittadini e salvare la patria.

Si apre tuttavia un altro piano di rappresentazione: quello delle classi popolari. All'ozio vano e corrotto dei nobili(in apertura del Mattino) si contrappone la vita operosa e sana del contadino e dell'artigiano che si dedicano ad attività utili alla collettività umana e si ispirano a valori fondamentali come il culto della famiglia, che la nobiltà ignora o stravolge. La nobiltà chiusa nel suo spazio inviolabile, crede di essere l'unica realtà esistente ed ignora ciò che vi è al di fuori dei confini del suo ambiente ristretto. Il precettore, adottando il punto di vista del giovin signore, sembra corroborare questo convincimento, ma poi, richiamando l'immagine  del popolo lavoratore e quella dei miseri affamati, rompe quella fatua illusione, facendo sentire, al di là del mondo frivolo e insulso dei nobili, l'urgere di un'altra realtà, ben più seria e drammatica, che suscita il suo sdegno civile e la sua partecipazione umanitaria.

L'inserzione di questi due piani (la nobiltà del passato e le classi inferiori) ha l'effetto di rompere la continuità di una rappresentazione che rischia di essere monotona e soffocante. Al medesimo fina tende l'inserimento delle cosiddette "favole", brevi racconti di carattere mitologico, pieni di ironica malizia, che servono ad illustrare le origini di certi costumi sociali. Le due favole più importanti sono "la favola di Amore e Imene", e la Favola del Piacere".

Quest'ultima la troviamo inserita nel Mezzogiorno ed illustra l'origine della disuguaglianza tra gli uomini. Parini immagina un'età remota, in cui gli uomini vivevano allo stato di natura, non esistesse la distinzione tra plebe e nobiltà ; tutti gli uomini erano egualmente soggetti al bisogno(che li spingeva a cibarsi degli stessi frutti, a bare la stessa acqua.). È una sorta di età dell'oro, ma non è descritta secondo i moduli della poesia classica (che vagheggia un'età felice in cui la terra offre spontaneamente i suoi frutti e non esistono la fatica e il dolore), bensì secondo le prospettive culturali del secolo : il poeta non insiste quindi tanto sulla felicità dello stato di natura, quanto sull'eguaglianza che regnava tra gli uomini. Successivamente l'episodio propone la spiegazione mitica delle cause della diseguaglianza. L'uniformità degli uomini spiacque agli dei, che mandarono sulla terra il Piacere: coloro che avevano organi più sensibili furono in grado di provare i suoi stimoli e di gustare le cose belle e piacevoli, dando origine alla nobiltà, quelli che avevano organi più ottusi continuarono ad obbedire solo al bisogno, dando origine ala plebe. La causa della distinzione tra le classi è quindi indicata in un dato biologico, fisiologico, la maggiore o minore sensibilità degli organi, il fatto che per la natura alcuni uomini siano meglio dotati di altri.


Nel Vespro il precettore  ha quasi del tutto smesso di impartire precetti di comportamento mondano al suo pupillo si è trasformato in semplice narratore e descrittore. Accompagna il giovin signore e la sua dama, dopo il corso, in visita ad un amico malato e ad un'amica che ha appena avuto un attacco di nervi, suscitando nel bel mondo infiniti pettegolezzi.

In un passo "Il tramonto del sole" Parini inizia con una amplissima visione del tramonto (ricorda vagamente gli incipit astronomici danteschi) del sole che abbandono l'Italia e l'Europa e volge il suo corso verso l'estremo Occidente.

Ma dopo una breve excursus sull'umanità al lavoro, la focalizzazione si restringe sul soggetto protagonista del poemetto,il giovin signore. La frase conclusiva che lo introduce in scena è celeberrima "Or colui veggia che da tutti servito a nullo serve". È da notare che l'efficacia di questa frase dipende ancora una volta dalla sottile ironia pariniana e dall'ambiguità dell'espressione.

Questa frase può avere infatti un duplice senso: in particolare "a nullo serve " può significare non è servo di nessuno e quindi connotare in positivo, nell'ottica del giovin signore; ma può anche significare "non è utile a nessuno", "è socialmente inutile" e quindi con un significato negativo. Ovviamente la duplice interpretazione si riverbera anche nella prima parte dell'espressione: da una parte "da tutti servito" non fa che riecheggiare l'inferiorità dell'umanità intera, dall'altra parte nasconde una denuncia dell'ingiustizia sociale che fa si che tutte le forza operose siano economicamente e socialmente subordinate ad un inutile nullafacente.


Nella Notte i due amanti si recano poi ad un ricevimento serale in casa di un'anziana dama. Qui essi non sono più al centro dell'attenzione: l'obiettivo del narratore passa minutamente in rassegna i vari personaggi che popolano il salone, indugiando particolarmente su una serie d "imbecilli" e sule loro sciocche manie.

MANCA LA DESCRIZIONE DELLA "NOTTE DEGLI IMBECILLI" O DELLA "NOTTE ANTICA E NOTTE MODERNA"


In queste due ultime parti dl Giorno la polemica antinobiliare si fa più tenue e sfumata. Non vi è un vero e proprio mutamento di indirizzo ideologico, e di conseguenza rimane immutata la condanna di una classe oziosa e improduttiva; permane l'impianto ironico, che mira a far risaltare il vuoto e la fatuità di quell'ambiente attraverso la sua antifrastica celebrazione; tuttavia l'ironia perde le punte più sentite dello sdegno morale. La crudeltà rappresentativa e il dramma sociale lasciano ampiamente luogo alla commedia mondana, alla satira di costume che si appunta sulle attività insulse degli aristocratici oziosi, sulle schermaglie amorose tra il giovin signore e la sua dama o tra i due amanti. Si introducono così note nuove, come la malinconia, il senso del'innarestabile declinare dell'età, dello svanire della bellezza e della forza vitale. Parallelamente all'attenuarsi della polemica civile si rafforza il vagheggiamento affascinato del lusso, della grazia, dell'eleganza, degli ogetti preziosi del mondo aristocratico.

Venendo a mancare una forte spinta politica e civile, sembra anche scomparire, nel Vespro e nella Notte, la volontà pedagogica e correttiva, il proposito di educare e rigenerare una classe in decadenza, riportandola alla sua antica dignità e all'originaria funzione sociale. Traspare in questi versi il senso del fallimento del programma illuministico e riformistico, un clima di sfiducia e di ripiegamento. (infatti quando Parini li scriveva era già intervenuta la Rivoluzione francese a segnare la fine del mondo nobiliare). Quindi anche se soggettivamente l'atteggiamento del poeta è meno polemico e meno aspro, oggettivamente, a causa di questo senso di vuoto e di morte che aleggia nella scena, la rappresentazione della vita nobiliare risulta più desolata che non nelle prime due parti, e quindi, per un certo aspetto, ancora più crudele.

(Scompaiono nel Vespro e nella Notte le aridezze linguistiche, l'uso di immagini che colpiscono fortemente i sensi secondo la poetica sensistica, le note più vivacemente realistiche, e si accentua la ricerca di compostezza, di equilibrio, di levigata armonia).

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