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Critica letteraria




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Critica letteraria                   

Il vasto ambito della critica letteraria comprende i discorsi relativi alla natura e ai principi della letteratura, quelli sui generi e sulle loro regole interne, sulla funzione e la destinazione della letteratura; ma soprattutto comprende le analisi, le valutazioni, i giudizi, i percorsi interpretativi relativi alle singole opere letterarie. Inoltre presuppone il lavoro della filologia, cui spesso si accompagna. Tende a essere, da varie angolazioni, un discorso sul linguaggio, cioè un linguaggio sul linguaggio e quindi un metalinguaggio, anche se non si può dimenticare il contesto socio-culturale in cui esso si sviluppa e che talvolta lo condiziona in modo fortemente ideologico.

Cenni storici

Quando in una società la letteratura acquista un suo status forte, vi si affianca un'attività critica. Ciò accadde già nel VI secolo a.C., quando Teagene di Reggio dette un'interpretazione allegorica dell'opera di Omero, e poi nel IV secolo a.C. con Aristotele, la cui Poetica orientò per secoli il gusto occidentale. Ma una scienza della letteratura e, al suo interno, la critica letteraria nacquero in età alessandrina, quando l'epicentro culturale passò da Atene ad Alessandria d'Egitto e quando vi si costituì una scuola filologico-critica che elaborò buona parte del lessico della critica letteraria moderna. Anche il Medioevo sviluppò la critica letteraria: basti citare le razos provenzali (informazioni e commenti che introducevano i canzonieri) e il De vulgari eloquentia di Dante. Tuttavia la consapevolezza dell'autonomia della critica letteraria, tanto nel produttore quanto nel destinatario, è un fatto più recente. Essa si sviluppò nel Rinascimento a partire dal secondo Cinquecento, a margine delle discussioni di poetica, per poi affermarsi con la saggistica dell'Illuminismo e, in seguito, con quella romantica, quando nacque la figura del critico professionale.

I centri principali della critica letteraria sono quelli dell'insegnamento universitario e dell'organizzazione culturale delle case editrici, capaci di orientare le scelte e di imporre i testi all'interno di un mercato culturale in cui i giudizi di valore lasciano sempre di più spazio alla funzionalità sociale delle opere entro una società di massa i cui bisogni di consumo diventano criteri di scelta.

Tipologia della critica letteraria

Le forme della critica letteraria sono molte e la loro classificazione presuppone una scelta di metodo. L'aggettivo che di solito si accompagna al termine 'critica' indica l'area culturale e la metodologia impiegata: critica romantica, positivista, marxista, simbolica, allegorica, stilistica ecc. Ma se, trascurando il metodo impiegato e l'area culturale che connota i principi della critica, di questa si considerano le finalità e, insieme, il modo di porsi di fronte al suo oggetto, è possibile raggruppare le varie forme di critica in tre tipologie fondamentali, tre tendenze tra loro contigue: la critica valutativa, la critica esplicativa e la critica riproduttiva.

La critica valutativa sembra esprimere la funzione più tipica del critico, che è quella del giudizio (il termine 'critica' deriva dal greco krínein, 'giudicare'). È funzione fondamentale, esercitata, seppure sommariamente, anche dal lettore: quella che esprime un giudizio sul bello o sul brutto, sul vero o sul falso, sul buono o sul cattivo, cioè su ciò che è regolare (rispondente a regole letterarie, di gusto, politiche, ideologiche, morali ecc.). È la critica che più di tutte risulta legata alle ideologie e al gusto dominante, quella più direttamente connessa al potere e quella in cui il critico si fa portavoce, più o meno consapevole o deciso, di un'ortodossia o di una qualsivoglia funzione civile, sociale o politica o educativa in senso lato.

Tuttavia il critico è anche un mediatore, che svolge il compito di orientare il pubblico con le sue interpretazioni e con i suoi commenti. In ciò risiede la funzione della critica esplicativa. Essa si svolge nei luoghi della trasmissione del sapere come la scuola, ma è anche buona parte della critica che mira ad apparire scientifica, evitando il terreno instabile del 'giudizio' (critica valutativa). La critica esplicativa ha le sue origini nel commento dei testi sacri per gli ebrei e dei testi omerici per i filologi alessandrini. Nel Medioevo divenne in prevalenza esplicazione dei significati. La Vita nuova di Dante presenta una curiosa combinazione di testo narrativo in versi duplicato in prosa e commenti ai versi, per cui il confine tra narrazione ed esplicazione è labile. Varie sono state in seguito le funzioni svolte dalla critica esplicativa. In età positivista, ad esempio, era critica delle fonti e accertamento dei dati documentari (con la 'scuola storica' di Giosue Carducci). In tempi recenti la critica esplicativa si è orientata verso l'esame di come funziona un testo, mirando a indicarne le strutture e le funzioni; e in questa operazione si è affidata, in particolare, ai contributi della linguistica.

La critica riproduttiva è, da un lato, la più lontana dalle ambizioni scientifiche proprie della critica esplicativa e mostra scarso interesse per la formulazione di giudizi, anche se si tratta spesso di un presupposto taciuto; dall'altro lato, fondandosi sull'idea che il confronto col testo sia un'avventura in cui il lettore si incontra con l'autore, è la più vitale e partecipativa. È una forma di critica tale per cui il lettore si pone non fuori ma dentro il testo, in una sorta di partecipazione mimetica, e che per questa via tende quasi a rifare il testo. Il rischio di questa critica, che ebbe largo corso in età romantica, è quello di abbandonare il rigore storico-linguistico e scadere così a critica impressionistica. Questa non è la critica degli specialisti e dei 'professori', bensì di autori che si confrontano con altri autori; e le loro percezioni hanno acquistato in molti casi maggiore credito delle spiegazioni dei critici di professione. È il caso, come ricorda Franco Fortini, di critici come Goethe, Balzac, Proust, Montale.

Critica storicista, sociologica, marxista

La critica storicista, di origine romantica, deriva il suo metodo dalle scienze storiche e tende a calare l'opera letteraria nel più ampio contesto storico-culturale, rifiutando di considerare la letteratura fuori dal moto della storia. Inoltre, con apparente contraddizione, rivendica il valore autonomo dell'opera d'arte. Rientrano in quest'ambito la 'scuola storica' di Giosue Carducci, l'opera di Francesco De Sanctis e di Benedetto Croce.

La critica sociologica correla strettamente il fatto letterario alla nozione di società, studiando le coincidenze tra una certa società storica e la letteratura che la esprime e l'influenza determinante della prima sulla seconda. In particolare cerca di individuare la dinamica della produzione e del consumo del testo letterario. Posizione interessante e sfumata è quella di Arnold Hauser, che ha riconosciuto l'importanza delle mediazioni inconsce e non considerava l'arte semplice riflesso della base economica.

La critica marxista, contigua a quella sociologica, correla la storia letteraria alla storia della lotta di classe (vedi Marxismo). A Friedrich Engels si devono due concetti poi confluiti nel pensiero di György Lukács (il maggiore critico marxista del Novecento), quello di 'realismo' ('riproduzione fedele dei caratteri tipici in circostanze tipiche') e di 'tipicità' (nella quale si uniscono gli elementi realistici generali di una situazione storica e gli elementi individuali). Nell'opera di Antonio Gramsci si combinano in modo originale elementi del sociologismo marxista e dello storicismo crociano. Negli anni Trenta e Quaranta la Scuola di Francoforte (Benjamin, Adorno, Marcuse, Horkheimer) insistette sulla funzione dialettico-negativa della letteratura (il suo rifiuto della realtà esistente condotto in una prospettiva utopica), valutando positivamente le rotture delle avanguardie del Novecento.

Critica delle strutture formali

Queste metodologie, pur muovendo da angolazioni diverse, affermano tutte il primato del 'testo' e della sua 'forma' e riducono al minimo i contributi extratestuali. La critica stilistica nacque dalla reazione al positivismo e all'idea della lingua come creazione anonima entro un'evoluzione metapersonale. Secondo Leo Spitzer, la figura più rappresentativa e acuta di questa corrente, ogni espressione linguistica particolare, intesa come scarto dal linguaggio usuale, è 'indizio di uno stato psichico inconsueto'. Tale critica richiede un esercizio di lettura strenuo e un occhio attento alle minime e più nascoste indicazioni del testo, oltre a un'attrezzatura culturale capace di rendere eloquente quel piccolo scarto.

Il formalismo russo, movimento fondamentale per l'elaborazione teorica, nacque dal Circolo linguistico di Mosca, fondato nel 1915, e dalla Società per lo studio della teoria della lingua poetica di Pietrogrado (l'attuale San Pietroburgo), fondata nel 1916: le sue origini non si fondano sulla critica letteraria bensì sugli studi linguistici. I maggiori rappresentanti sono Roman Jakobson, Viktor Sklovskij, Jurij Tynjanov, Boris Tomasevskij. L'impossibilità di una pacifica convivenza con la critica marxista in URSS causò una temporanea eclissi della scuola che, dopo aver dato contributi alle Tesi (1929) della scuola linguistica di Praga, dopo più di vent'anni rivitalizzò la critica letteraria occidentale.

Intanto in Gran Bretagna (Ivor Armstrong Richards, Thomas Stearns Eliot, William Empson) e negli Stati Uniti (John Crowe Ransom, Robert Penn Warren, René Wellek), tra gli anni Trenta e Cinquanta si sviluppò il New Criticism, che cercò di ridurre l'ambito della soggettività nella critica. Il suo principio fondamentale è che l'opera letteraria rinvia a se stessa.

I formalisti russi e le Tesi del Circolo di Praga costituiscono le matrici della moda strutturalistica occidentale degli anni Sessanta. La critica strutturalistica emargina il soggetto creatore e sostituisce al rapporto autore-opera quello di opera-destinatario, rapporto regolato da leggi generali e universali, che si modificano nei secoli e non da individuo a individuo. Tale tendenza voleva superare l'atomismo della critica precedente e rifiutava di spiegare la letteratura con la storia. L'analisi critica era volta a cogliere la 'connaturata organizzazione logico-formale' di un testo, sicché la funzione del critico è quella di smontare e rimontare il testo.

Accanto allo strutturalismo si sviluppò, perlopiù in lingua francese, la semiotica o semiologia, attenta in particolare al funzionamento del sistema dei segni. Una delle più importanti applicazioni della semiologia alla letteratura è stata la descrizione dei modelli ipotetici del funzionamento di un testo narrativo (Henri Bremond, Algirdas Greimas) o anche poetico (Teun van Dijk).

Critica psicoanalitica

Questa critica, che valorizza gli apporti della psicoanalisi, è vicina alla critica sociologica per un verso e alla critica strutturalistico-semiologica per un altro. Alle determinazioni storico-sociali o socio-economiche sostituisce quelle prodotte dalle pulsioni profonde, dalle rimozioni e dalle repressioni. D'altra parte l'indagine, specie con Charles Mauron, si va concentrando non sugli autori attraverso i testi (come in Italia hanno fatto Giacomo Debenedetti e Francesco Orlando), bensì sui testi come funzioni di un sistema, in cui si articolano, ma si distinguono, i livelli del conscio, del preconscio e dell'inconscio.


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