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Tema d'Italiano sulla Rivoluzione Francese




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Tema d'Italiano sulla Rivoluzione Francese



Svolgimento:


Mentre nel secolo XVIII in altri Stati d'Europa, Prussia, Austria, Russia e nei nuovi d'America le idee degli Illuministi invocanti uguaglianza e libertà per tutti e governi non assoluti, avevano spinto alcuni sovrani, detti appunto principi, Illuminati, a riforme per quel tempo molto audaci, proprio in quella Francia, ch'era la patria della maggior parte di quei pensatori, vigeva ancora il "vecchio regime", un regime cioè di completo assolutismo regio, di rigida divisione di classi, e prettamente feudale anche se i nuovi signori non erano più, come i feudatari medievali, piccoli re nel proprio feudo.

Il re era il capo assoluto dello Stato, esercitava tutti i poteri da quello legislativo all'esecutivo al giudiziario ed era comandante supremo dell'esercito. Egli nominava i ministri, aveva diritto di vita e di morte sui sudditi, viveva splendidamente in palazzi fiabeschi circondato da una turba numerosissima e servile di cortigiani.

Delle tre classi o stati in cui erano divisi i cittadini, due, e cioè la nobiltà e l'alto clero, godevano di tutti i diritti e privilegi; possessori della maggior parte delle terre, unici che potessero salire alle più alte e ben rimunerate cariche dello Stato e nell'esercito, erano esenti da tasse, che gravavano tutte sul terzo stato; tasse che servivano a mantenere lo smoderato lusso della corte e a pagare i lauti stipendi a funzionari e alti ufficiali.

Erano questi privilegiati circa trecentomila persone che vivevano letteralmente del sudore e sulla miseria di altri ventisei milioni di Francesi membri di quel terso stato, la parte più intelligente e preparata del quale, la borghesia, scatenò la rivoluzione.

Facevano parte, infatti, di quella terza categoria di sudditi, i contadini, gli operai e la borghesia.

I contadini erano quelli che più di tutti risentivano delle conseguenze del regime feudale in cui, se i padroni, come s'è detto, non avevano più privilegi quasi regali come nel Medio Evo, godevano tuttavia di quegli altri che pesantemente gravavano sul popolo.

Del vecchio regime sussistevano ancora tutte le gravi tasse, i pedaggi per le strade, le imposte per la caccia, la pesca, la macinazione e il sale, l'obbligo della consegna al padrone della parte maggiore dei prodotti del suolo, e quelle  prestazioni gratuite di lavoro, le corvées, alle quali erano molto frequentemente obbligati i contadini, così costretti a vivere nella più squallida miseria, nella condizione di veri "servi della gleba".

Né molto meglio di loro vivevano gli operai delle città mal pagati e spesso addirittura senza lavoro per quel regime corporativistico che assicurava lavoro e guadagni ai solo membri della corporazione, i quali avevano tutto l'interesse a non aumentare il numero dei soci per serbare a se stessi lavoro sicuro. Comprensibilissimo è quindi il malcontento di questi miseri; malcontento, tuttavia, ch'era ancora più profondo nella borghesia (commercianti, industriali, piccoli proprietari e professionisti è cioè avvocati, ingegneri, medici, ecc.) che del terzo stato rappresentava il gruppo meno numeroso, ma più attivo, intelligente, colto; quello che più di tutti, perciò, ben conoscendo il pensiero degli Illuministi e meglio comprendendone il significato, reclamava riforme che andavano dall'abolizione di tutti i privilegi dei nobili e del clero, delle corporazioni che impedivano la concorrenza e la libertà di lavoro, delle barriere che rallentavano e ostacolavano addirittura il commercio tra un feudo e l'altro, al riconoscimento del diritto di avere propri rappresentanti e in numero proporzionale agli elettori in un libero parlamento che facesse esso le leggi e nominasse il governo: reclamava, insomma, la democrazia contro l'assolutismo.

Al diffuso, profondo e minaccioso malcontento del terzo stato, ecco aggiungersi la crisi economica. La disastrosa situazione finanziaria causata dalla scarsità delle entrate che, per l'esenzione dei nobili e del clero dalle tasse, non permetteva di coprire le spese pazzesche della corte; e infine il rifiuto che frustò ben presto i timidi tentativi di riforma del debole Luigi XVI, tutti questi elementi, e ciascuno gravissimo, spezzarono la pur provata pazienza del popolo che, il 14 di luglio, diede inizio alla più grande rivoluzione dei tempi passati, che insanguinò la Francia, ma che, pur attraverso manifestazioni di eccessiva violenza, scosse definitivamente le basi dell'assolutismo in Europa.

La Rivoluzione Francese ebbe termine praticamente con l'avvento del Direttorio, dopo quel 10 luglio o Termidoro del 1794 che vide cadere la testa di Robespierre, e la conseguente reazione degli autori  del colpo di Stato, dei Termidoriani come furono chiamati, i quali per quasi un anno rinnovarono il terrore verso coloro che di esso erano stati i più fanatici paladini.

Chiuso con la sconfitta dei realisti il periodo delle più gravi e sanguinose lotte interne, si può considerare conclusa anche la rivoluzione, la quale, nonostante gli eccessi veramente impressionanti di violenza e di sangue da cui fu macchiata, nonostante il successivo impero bonapartista che sembrò rinnegare per gran parte i principi, lasciò solco profondo negli animi del popolo francese e dei popoli tutti, ai quali le conquiste napoleoniche portarono sia pur con certa fittizia libertà, l'eco possente delle nuove idee riformatrici e democratiche, germe delle lotte che porteranno non poche nazioni alla libertà e alcune, come l'Italia, all'indipendenza.

Colpo mortale vibrò la rivoluzione francese alle residue manifestazioni del regime feudale, imponendo dentro lo stato un medesimo sistema amministrativo, e unificando, e non solo per la Francia, i sistemi di pesi e di misure con l'adozione di quel sistema metrico decimale che, se non fu accettato da tutti i popoli, lo sarà certo nel futuro.

L'unificazione amministrativa facilitò il commercio, favorì l'agricoltura e per essa i contadini, mentre, d'altra parte, l'abolizione delle corporazioni, favorendo il libero lavoro e con esso la concorrenza permise a un gran numero di cittadini attività congeniali e aumento del reddito, eliminando la miseria se non del tutto in misura tuttavia notevole, e gettando le basi di ampie conquiste sociali per i lavoratori.

Questi benefici di valore tutt'altro che trascurabili non sono tuttavia i più notevoli, che sono di ben altra natura. Ecco infatti abolito il principio della sovranità assoluta del re, sostituito con quello della sovranità popolare e della legge. Il popolo non è più, dunque, un insieme di sudditi che devono subire la volontà arbitraria del sovrano, ma di cittadini, liberi di scegliere con voto segreto i propri rappresentanti nelle assemblee destinate a fare le leggi, liberi di scegliersi i propri governanti; con essa i privilegi che avevano avvelenato la vita della Francia nei secoli precedenti.

I cittadini sono tutti uguali davanti alla legge, tutti hanno i medesimi diritti qualunque sia la loro origine, la loro religione; tutti hanno diritto alla libertà di religione, di parola, di associazione, alla proprietà, alla difesa nei tribunali.

Conquiste davvero grandissime se si pensa alle oppressive e discriminatorie caratteristiche dell'antico regime.

E se la Rivoluzione Francese non poté attuarle tutte, ebbe però il merito di diffonderle in Europa e nel mondo, richiamando ed eccitando popoli e uomini all'amore e al desiderio della libertà e dell'uguaglianza e perciò della giustizia, richiamo che sarà germe nel secolo XIX di quelle lotte generose che porteranno tutti i popoli a nuove conquiste politiche e sociali e la nostra Italia anche all'indipendenza e all'unità.


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