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1 Punti di vista e opere
Sibilla Aleramo si è sempre lamentata, durante
la sua lunga vita (è morta nel
Rina Faccio - questo il suo vero nome - nacque ad Alessandria, figlia di un ingegnere che aprì un'industria al sud. Il padre si rese presto conto dell'intelligenza della ragazzina e, pur non facendole continuare studi regolari, la coinvolse nella conduzione dell'azienda. Appena sedicenne, dopo un rapporto sessuale iniziato con curiosità e completato con la violenza, Rina sposa un impiegato. Ha da lui un figlio amatissimo che lascerà al marito quando da questi si dividerà. Tantissime pagine l'autrice dedica a giustificare, forse prima con se stessa, l'abbandono del piccolo. Anni dopo, mentre passava di amore in amore in storie con uomini spesso più giovani, chiederà comprensione, facendo appello al suo perenne bisogno di affetto derivatole "in parte da mia madre e in parte dalla perpetua nostalgia di mio figlio". La madre, che fu sposa succube di un uomo colto ed intelligente - certamente diverso dall'impiegatuccio del sud, conformista meschino e violento che era il marito di Sibilla - morì demente in un manicomio. Frugando fra alcune carte, la figlia scoprirà che anche la sua mamma, dolce, apparentemente amorfa, spenta, era stata sul punto di fuggir via. Il senso del dovere, l'amore per le sue creature l'avevano trattenuta, ma ai figli dette pochissimo e li abbandonò comunque, non per sete di vita, ma perché le si spalancarono dinnanzi le porte del manicomio. "Sarò anch'io costretta ad abbandonarlo - piangeva Sibilla, guardando il bambino - perché sento montare in me la follia che travolse mia madre".
"È stata una brutta avventura, eroica
all'inizio, grottesca sul finire, un'avventura da adolescenti, inevitabile ed
ormai superata" Così scriveva nel 1911 Sibilla Aleramo del femminismo, quel
movimento che con gran chiasso ma con
ammirevole fermezza e dignità Emmeline Pankhurst e le sue seguaci portavano
avanti, dopo aver fondato nel 1903
Passionale, sensuale, scrive immagini che persino oggi potremmo definire osè: "Facci posto, o sole. A noi due e ad una rosa. Fra il mio seno e il petto forte che amo sta una rosa, sola. insieme avvinti, che la rosa non cada, guizziamo nudi nella tua zona, avvinghiati. Interi ci percorri, solo la rosa non ti sente, fra il madore del mio seno e il calore dolce del petto che amo".
Con strazio si era separata dal figlio, con dolore si liberò di Dino Campana folle e violento, ponendo termine, dinnanzi alle grate di un manicomio, a quel "viaggio chiamato amore".
A 58 anni, amante di Salvatore Quasimodo trentatreenne, scriveva:"Se mai un giorno ti risveglierai dal tuo sonnambulismo, avrai orrore. Per ora l'orrore è tutto mio". Era sessantenne quando ebbe l'ultimo amante, di 40 anni più giovane e con lui rimase un decennio. Ecco, questo, il femminismo non lo contempla. Non si dice che tantissimi sessantenni "amano" ventenni. È vero, è sempre avvenuto, ma che accada con un'inversione dei sessi non ha assolutamente niente a che fare con il femminismo, che lotta per la parità in campo giuridico, nella scelta di ruoli, carriere, stipendi, opportunità.
Ed è ancora in "Una donna" che si scopre
l'origine del pensiero politico di Sibilla Aleramo. Ragazzina e poi giovinetta,
lavorava nell'azienda a fianco di suo padre, l'ingegnere, il padrone, il
torinese colto e sprezzante. Sentiva, a ragione, profondamente ostile
l'ambiente gretto, ipocrita, chiuso al nuovo, sospettoso, di Porto Civitanova
Marche e vedeva appena le reali condizioni di vita degli operai. Se ne rese
conto pian piano, ma sempre giudicando da un punto di vista superiore.
"Superiore", anche se oggi questo aggettivo è spesso ipocritamente sostituito
con "diverso". Mai ammetteremmo di sentirci superiori in certe situazioni, e
certe aberrazioni preferiamo definirle diversità, lavandocene così
elegantemente le mani. Anche Sibilla Aleramo non dichiarava esplicitamente la
superiorità della gente del nord su quella del sud, ma è facile intuire il suo
pensiero. Lei che non apprezzava nemmeno quelle che sono - o forse erano - le caratteristiche positive delle nostre
genti, l'amore per la famiglia, lo spirito di sopportazione e di abnegazione,
seppe tuttavia battersi - con le armi che le erano proprie, naturalmente - perché alle categorie più disagiate
spettassero più chiari diritti e stipendi maggiori L'interesse della Aleramo
per il partito comunista si estrinsecò con l'adesione al manifesto antifascista
degli intellettuali promosso da Croce e poi, nel dopoguerra, con l'iscrizione
al PCI e la collaborazione all'Unità e a Noi donne. Nel
A queste lotte intimamente saldava quelle per la liberazione delle donne. A colei che, malgrado certi ripensamenti come quello sopra citato, diverrà icona del femminismo in Italia, ripugnava la sudditanza ottusa e cieca della moglie verso il marito. A questo proposito scrive alcune righe assolutamente illuminanti: l'uomo cerca un ideale di donna da amare, adorare persino. Ma costei, se poi gli diverrà moglie, scadrà automaticamente al ruolo di domestica e fattrice. L'unica parvenza di ideale in una donna rimarrà legata solo al suo ruolo di madre. Come darle torto?
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