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Sibilla Aleramo. Una donna




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Sibilla Aleramo. Una donna


1 Punti di vista e opere


Sibilla Aleramo si è sempre lamentata, durante la sua lunga vita (è morta nel 1960 a 84 anni) di essere conosciuta come femminista, come donna assolutamente libera, come comunista persino, ma molto meno come scrittrice. Nei suoi ultimi anni malinconicamente annotava: "Ho fatto della mia vita, come amante indomita, il capolavoro che non ho avuto modo di creare in poesia". Penso sia vero: è stata ed è tuttora, principalmente un personaggio. Se ne è avuta la riprova proprio in questi giorni: il gruppo di lettura sta analizzando la scrittrice, antesignana delle lotte femministe, specie attraverso il suo testo più importante e conosciuto, "Una donna" ed immediata è scoppiata la polemica; sulla donna, sulle sue scelte, non sulla scrittrice.

Rina Faccio - questo il suo vero nome - nacque ad Alessandria, figlia di un ingegnere che aprì un'industria al sud. Il padre si rese presto conto dell'intelligenza della ragazzina e, pur non facendole continuare studi regolari, la coinvolse nella conduzione dell'azienda. Appena sedicenne, dopo un rapporto sessuale iniziato con curiosità e completato con la violenza, Rina sposa un impiegato. Ha da lui un figlio amatissimo che lascerà al marito quando da questi si dividerà. Tantissime pagine l'autrice dedica a giustificare, forse prima con se stessa, l'abbandono del piccolo. Anni dopo, mentre passava di amore in amore in storie con uomini spesso più giovani, chiederà comprensione, facendo appello al suo perenne bisogno di affetto derivatole "in parte da mia madre e in parte dalla perpetua nostalgia di mio figlio". La madre, che fu sposa succube di un uomo colto ed intelligente - certamente diverso dall'impiegatuccio del sud, conformista meschino e violento che era il marito di Sibilla - morì demente in un manicomio. Frugando fra alcune carte, la figlia scoprirà che anche la sua mamma, dolce, apparentemente amorfa, spenta, era stata sul punto di fuggir via. Il senso del dovere, l'amore per le sue creature l'avevano trattenuta, ma ai figli dette pochissimo e li abbandonò comunque, non per sete di vita, ma perché le si spalancarono dinnanzi le porte del manicomio. "Sarò anch'io costretta ad abbandonarlo - piangeva Sibilla, guardando il bambino - perché sento montare in me la follia che travolse mia madre".

"È stata una brutta avventura, eroica all'inizio, grottesca sul finire, un'avventura da adolescenti, inevitabile ed ormai superata" Così scriveva nel 1911 Sibilla Aleramo del femminismo, quel movimento che con gran chiasso ma con ammirevole fermezza e dignità Emmeline Pankhurst e le sue seguaci portavano avanti, dopo aver fondato nel 1903 la Women's Social and Political Union. Per le donne si chiedeva libertà, la stessa cui anelava "la donna più bella d'Italia" nel suo libro più noto "Una donna". Ma Sibilla non fu mai libera: rimase sempre prigioniera della parte solo apparentemente romantica di sè. E ne fu conscia. Con Dino Campana ebbe un amore violento: "Rose calpestava nel suo delirio/ e il corpo bianco che amava./ Ad ogni lividura più mi prostravo. s'abbatteva il pugno/ e folle lo sputo su la fronte che adorava."

Passionale, sensuale, scrive immagini che persino oggi potremmo definire osè: "Facci posto, o sole. A noi due e ad una rosa. Fra il mio seno e il petto forte che amo sta una rosa, sola. insieme avvinti, che la rosa non cada, guizziamo nudi nella tua zona, avvinghiati. Interi ci percorri, solo la rosa non ti sente, fra il madore del mio seno e il calore dolce del petto che amo".

Con strazio si era separata dal figlio, con dolore si liberò di Dino Campana folle e violento, ponendo termine, dinnanzi alle grate di un manicomio, a quel "viaggio chiamato amore".

A 58 anni, amante di Salvatore Quasimodo trentatreenne, scriveva:"Se mai un giorno ti risveglierai dal tuo sonnambulismo, avrai orrore. Per ora l'orrore è tutto mio". Era sessantenne quando ebbe l'ultimo amante, di 40 anni più giovane e con lui rimase un decennio. Ecco, questo, il femminismo non lo contempla. Non si dice che tantissimi sessantenni "amano" ventenni. È vero, è sempre avvenuto, ma che accada con un'inversione dei sessi non ha assolutamente niente a che fare con il femminismo, che lotta per la parità in campo giuridico, nella scelta di ruoli, carriere, stipendi, opportunità.

Ed è ancora in "Una donna" che si scopre l'origine del pensiero politico di Sibilla Aleramo. Ragazzina e poi giovinetta, lavorava nell'azienda a fianco di suo padre, l'ingegnere, il padrone, il torinese colto e sprezzante. Sentiva, a ragione, profondamente ostile l'ambiente gretto, ipocrita, chiuso al nuovo, sospettoso, di Porto Civitanova Marche e vedeva appena le reali condizioni di vita degli operai. Se ne rese conto pian piano, ma sempre giudicando da un punto di vista superiore. "Superiore", anche se oggi questo aggettivo è spesso ipocritamente sostituito con "diverso". Mai ammetteremmo di sentirci superiori in certe situazioni, e certe aberrazioni preferiamo definirle diversità, lavandocene così elegantemente le mani. Anche Sibilla Aleramo non dichiarava esplicitamente la superiorità della gente del nord su quella del sud, ma è facile intuire il suo pensiero. Lei che non apprezzava nemmeno quelle che sono - o forse erano - le caratteristiche positive delle nostre genti, l'amore per la famiglia, lo spirito di sopportazione e di abnegazione, seppe tuttavia battersi - con le armi che le erano proprie, naturalmente - perché alle categorie più disagiate spettassero più chiari diritti e stipendi maggiori L'interesse della Aleramo per il partito comunista si estrinsecò con l'adesione al manifesto antifascista degli intellettuali promosso da Croce e poi, nel dopoguerra, con l'iscrizione al PCI e la collaborazione all'Unità e a Noi donne. Nel 1956 in "Luci della mia sera" ella esalta con enfasi la sua militanza.

A queste lotte intimamente saldava quelle per la liberazione delle donne. A colei che, malgrado certi ripensamenti come quello sopra citato, diverrà icona del femminismo in Italia, ripugnava la sudditanza ottusa e cieca della moglie verso il marito. A questo proposito scrive alcune righe assolutamente illuminanti: l'uomo cerca un ideale di donna da amare, adorare persino. Ma costei, se poi gli diverrà moglie, scadrà automaticamente al ruolo di domestica e fattrice. L'unica parvenza di ideale in una donna rimarrà legata solo al suo ruolo di madre. Come darle torto?







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