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Shakespeare (William), poeta e drammaturgo inglese (Stratford-on-Avon, Warwickshire, 1564-1616). [Si firmava di solito Shakspere. Del suo nome, che si trova scritto spesso anche Shakspeare e Shakespere, si conservano in tutto ottantatre varianti ortografiche. La forma Shakespeare risulta dall'edizione in folio.] Nonostante la molteplicità delle leggende, i cui aneddoti curiosi suppliscono alla scarsezza della notizie certe, la realtà biografica di Shakespeare è provata da documenti inconfutabili; essi attestano che era il terzo degli otto figli di John, ricco guantaio o proprietario terriero (yeoman) di Stratford che fu bailiff (balivo) della città, e di Mary Arden, appartenente a un'agiata famiglia dei dintorni. I registri della chiesa della Santa Trinità (Holy Trinity) di Stratford documentano che fu battezzato il 26 aprile 1564, tre giorni dopo la nascita, secondo la tradizione. Il 27 novembre 1582 egli sposò Anne Hathaway, di otto anni più anziana di lui. A Stratford, il 26 maggio 1583 fu battezzata la figlia Susanna, e il 2 febbraio 1585 i gemelli Judith e Hamnet, morto nel 1596. La tradizione ha arricchito questi dati di particolari romanzeschi: lo ha detto figlio di un macellaio, costretto ad abbandonare la città natale, dove faceva il maestro di scuola, per avere cacciato di frodo i caprioli nel parco di un signorotto del luogo, sir Thomas Lucy di Charlecote, di cui egli si sarebbe vendicato con una feroce ballata; poi guardiano di cavalli davanti ai teatri di Londra; amante della moglie di un taverniere di Oxford, Mrs. Davenant; morto di indigestione dopo una gozzoviglia col drammaturgo Ben Jonson e il poeta M. Drayton in una taverna di Stratford. Alcuni critici hanno infine contestato la paternità delle sue opere, vedendo in lui solo un prestanome. La prima allusione alla sua carriera teatrale è fatta dallo scrittore Robert Greene, che nel romanzo Un soldo di spirito per un milione di pentimento(pubblicato postumo nel 1592) parla con dispetto d'uno Scuotiscena (Shake-scene), un Johannes fac totum(buono a tutto fare), che si pavoneggia con le penne degli altri; ma dell'espressione malevola si rammarica lo stesso editore di Greene, Henry Chettle, nella prefazione di una sua operetta satirica. Il primo lavoro di Shakespeare pubblicato fu il poemetto mitologico Venere e Adone (1593), a cui seguì il poemetto Lucrezia(1594), dedicati entrambi all'amico Henry Wriothesley, conte di Southampton, in compagnia del quale si è supposto che egli compisse un viaggio in Italia tra il 1592 e il 1594. Probabilmente in quell'epoca aveva già iniziato a comporre i Sonetti, pubblicati nel 1609. Nel 1594, alla riapertura dei teatri, chiusi l'anno precedente a causa della peste, Shakespeare entrò a far parte, come attore, autore e comproprietario, della compagnia protetta dal lord ciambellano, i Lord Chamberlain's Men, che recitava nel teatro di Shoreditch, il primo teatro stabile d'Inghilterra, e della quale egli fu, insieme con R. Burbage, il membro più autorevole. In quello stesso anno comparvero la tragedia Tito Andronico, pubblicata anonima e senza l'autorizzazione della compagnia, proprietaria esclusiva delle opere dei drammaturghi, una Bisbetica domata, probabilmente non shakespeariana e comunque assai diversa da quella che conosciamo, e La prima parte della contesa fra le due celebri famiglie di York e di Lancaster, seguita da La verace tragedia di Riccardo, duca di York(1595), rispettivamente varianti della seconda e della terza parte dell'Enrico VI. Dopo il 1594 si susseguirono edizioni anonime, in formato in quarto, non curate dall'autore, di parte dei suoi drammi, talvolta autorizzate dalla compagnia (good quartos, buoni quarti), talvolta clandestine (bad quartos, cattivi quarti). Francis Meres nell'opera Palladis Tamia, Tesoro dello spirito (1598), oltre ai summenzionati poemetti e ai sonetti elenca, esprimendo sul loro autore un giudizio fortemente elogiativo, dodici opere teatrali sicuramente shakespeariane, fino a quell'anno note al pubblico: I due gentiluomini di Verona, La commedia degli errori, Pene d'amor perdute, Pene di amor vinte (quest'ultima perduta, o, come vuole qualcuno, da identificarsi con La bisbetica domata o Tutto è bene quel che finisce bene), Sogno di una notte di mezza estate, Il mercante di Venezia, Enrico IV, Riccardo II, Riccardo III, Re Giovanni, Tito Andronico, Romeo e Giulietta. Come attore, Shakespeare nel 1598 recitò nel dramma dell'amico Ben Jonson Ciascun uomo con il suo carattere. Il prosperare delle sue condizioni economiche è attestato dall'ottenuta concessione di uno stemma gentilizio per il padre e per lui nel 1596 e dall'acquisto, l'anno successivo, di una delle più grandi case di Stratford, New Place, dove egli si ritirò nell'ultimo periodo della vita. Non confermata da alcun dato esterno, invece, la sua supposta adesione alla congiura del conte d'Essex (1601), nella quale fu coinvolto il suo protettore, Southampton. Nel 1599 intanto, con il materiale recuperato dalla demolizione del teatro, la compagnia aveva eretto a Southwark, sulla sponda meridionale del Tamigi, il Globe.
Alla morte della regina Elisabetta (1603), essa passò sotto la protezione del re Giacomo I e mutò il nome in quello di King's Men. La nuova compagnia mise in scena il Seiano di Ben Jonson (1603), in cui recitò Shakespeare. Le rappresentazioni dei suoi drammi continuarono fino al 1608, anno in cui la peste fece chiudere nuovamente i teatri. Alla loro riapertura nel 1609 la compagnia oltre al Globe possedeva il Blackfriars, un locale coperto, destinato al pubblico aristocratico. Dopo il 1611 il nome di Shakespeare non compare più negli elenchi della compagnia. L'ultima sua fatica teatrale fu l'Enrico VIII. Il 25 marzo 1616 egli dettò a Stratford il testamento e il 23 aprile morì. La sua tomba è nella chiesa della Santa Trinità di Stratford.
La pubblicazione completa delle opere drammatiche e non drammatiche di Shakespeare fu curata dagli attori dei King's Men John Heminges e Henry Condell nell'edizione in folio del 1623. Vi compaiono trentasei drammi divisi in commedie, "storie" (Histories, cioè drammi ispirati alla storia nazionale) e tragedie. Le commedie sono: La tempesta, I due gentiluomini di Verona, Le allegre comari di Windsor, Misura per misura La commedia degli errori, Molto rumore per nulla, Pene d'amor perdute, Sogno d'una notte di mezza estate, Il mercante di Venezia, Come vi piace La bisbetica domata Tutto è bene quel che finisce bene, La dodicesima notte, Il racconto d'inverno. Le "storie" sono: Re Giovanni; Riccardo II; le due parti dell'Enrico IV Enrico V le tre parti dell'Enrico VI Riccardo III Enrico VIII Le tragedie sono Coriolano; Tito Andronico; Romeo e Giulietta; Timone d'Atene; Giulio Cesare Macbeth; Amleto ; Re Lear; Otello; Antonio e Cleopatra; Cimbelino. Tra le "storie" e le tragedie compare Troilo e Cressida. Questi drammi, più il Pericle, non compreso nell'in folio, formano il canone shakespeariano. Ne sono esclusi I due nobili parenti, pubblicato nel 1634 come opera di Shakespeare e J. Fletcher, e Sir Thomas More, edito solo nel 1844, opera di diversi autori, di cui una scena di tre pagine sarebbe stata scritta da Shakespeare. Tra le opere minori sono da ricordare la miscellanea di poesie Il pellegrino appassionato (1599), un breve componimento poetico, La fenice e la tortora (1601), e il poemetto Lamento dell'innamorata, apparso in appendice all'edizione dei Sonetti (1609).
In una così vasta produzione, che denuncia come dato immediatamente rilevabile la straordinaria versatilità dell'autore, capace di provarsi contemporaneamente nei più diversi generi drammatici e poetici, si possono pur distinguere periodi abbastanza differenziati. Negli anni anteriori al 1601 il fervore col quale il poeta entrò in gara coi più fortunati esponenti del teatro contemporaneo, passando dalla plautina Commedia degli errori alla truce tragedia senechiana di Tito Andronico, lo portò a ispirarsi a una concezione che persino in un dramma della passione quale Romeo e Giulietta lascia intravedere un sostanziale riconoscimento dei valori positivi della vita. La presenza nei severi drammi storici, che si collegano all'antico teatro religioso, di personaggi come Falstaff è un indizio significativo di questa disposizione del poeta, il quale del resto rivela la sua originalità soprattutto nel fantastico Sogno di una notte di mezza estate, nel geniale contrappunto sentimentale del Mercante di Venezia, Molto rumore per nulla, Come vi piace, La dodicesima notte, e nella commedia borghese delle Allegre comari di Windsor. Una diversa pessimistica concezione, cui non furono estranee le vicende che allora sconvolsero l'Inghilterra a cominciare dalla congiura del conte di Essex, caratterizza invece il secondo e più prestigioso periodo del teatro shakespeariano, dal 1601 al 1608. Nelle stesse commedie di quegli anni, come Tutto è bene quel che finisce bene e Misura per misura, il riso si fa amaro e spesso sarcastico. Ma quelli furono soprattutto gli anni delle tragedie in cui grandeggiano i personaggi dominati dalle passioni più folli e le vittime della perfidia umana, sia che il poeta s'ispirasse alla storia antica sulla scorta di Plutarco (Antonio e Cleopatra, Coriolano), sia che attingesse dalle leggende o dalla tradizione novellistica (Amleto, Otello, Re Lear, Macbeth). Una serenità che non ha più il carattere fiducioso degli entusiasmi giovanili, ma nasce da una contemplazione distaccata delle contraddizioni della vita ispirò infine i capolavori dell'ultima stagione, compresa fra il 1608 e il 1616: Cimbelino, Il racconto d'inverno, La tempesta.
L'opera teatrale di Shakespeare nacque in perfetto accordo con la sua età, e alcuni dei suoi tratti caratteristici si spiegano innanzi tutto come concessioni al gusto del pubblico. Tra gli spettatori si mescolavano aristocratici, borghesi e artigiani, gli uni appassionati per le battute spiritose, i giochi di parole, i dialoghi frizzanti, le trovate romanzesche e le soluzioni patetiche, gli altri portati ad apprezzare la violenza e l'orrore di alcune scene tragiche e il buffonesco di altre, più vicine alla farsa che alla vera e propria commedia. Né si deve sottovalutare la tecnica degli spettacoli propri dell'età elisabettiana: la scena era una piattaforma che si protendeva come una penisola in mezzo agli spettatori della platea, i quali assistevano in piedi, mentre solo pochi privilegiati potevano assistere seduti nelle gallerie o sulla scena stessa. Rudimentale e simbolico era lo scenario; la convenzione teatrale era accolta senza riserve, e questo consentiva rapidi e frequenti cambiamenti di luogo; l'atmosfera era creata dal testo; i ruoli femminili erano sostenuti da giovinetti; fantasmi, apparizioni portentose non turbavano gli spettatori, i quali partecipavano allo spettacolo manifestando liberamente il loro entusiasmo e la loro delusione. Queste condizioni danno ragione di quelli che vennero a lungo considerati i difetti del teatro shakespeariano: struttura tutt'altro che rigorosa, mescolanza di generi, violenza, grossolanità, inverosimiglianza.
Ma proprio in quelli che potevano sembrare gli errori di Shakespeare consiste la potenza eccezionale della sua poesia, capace di interpretare nella sua ricca e contraddittoria complessità tutta la vita. Nella sua opera, che pur rielabora soggetti per lo più noti, c'è infatti tutto ciò che il teatro può offrire: fantasia aggraziata e lieve, preziosità, comicità raffinata, realistica o farsesca, voli epici, fremiti lirici, grandezza tragica. E se alla lettura questi elementi possono talvolta sembrare non perfettamente fusi tra loro, il movimento e il ritmo impresso alle scene fanno sì che nella rappresentazione l'unità risulti perfettamente raggiunta. Lo stile non ha nulla che lo uguagli in tutta la poesia inglese: vigoroso e immaginifico, sa di volta in volta mettere a profitto le risorse d'una prosa colorita e quelle del verso sciolto (blank verse), al quale, dopo avere spezzato lo schema rigido del pentametro giambico dei primi drammi, il poeta seppe imprimere nelle sue grandi tragedie una straordinaria flessibilità e un'ineguagliabile forza di suggestione; questa raffinatezza di stile è tale da non cedere talvolta nemmeno a quella che l'artista seppe attuare nei Sonetti, capolavoro della lirica inglese. Ma, anche nell'opinione popolare, Shakespeare è soprattutto creatore di personaggi immortali: eroi portati dal loro tormento interiore al limite della disperazione, quali Amleto, Macbeth, Otello, re Lear; affascinanti creature femminili, delicate e fragili come Ofelia e Desdemona, o maliziose e abili come Rosalinda e Viola, infine figure comiche, vittime ridicole ma al tempo stesso commoventi delle loro debolezze, come Malvolio, o piene d'iniziative e vivacissime, come Falstaff.
La fortuna di Shakespeare
Mentre i contemporanei avvertirono la grandezza del drammaturgo, di cui Ben Jonson celebrò alte lodi nella prefazione all'edizione in folio del 1623, il periodo che seguì la riapertura dei teatri inglesi dopo la parentesi puritana (1642-1660) vide appuntarsi contro di lui le censure dei critici, informati al culto classicistico dell'ordine e della chiarezza razionale: quello stesso che indusse Voltaire a correggere drasticamente il giudizio favorevole inizialmente espresso su Shakespeare nelle Lettere filosofiche. Presso il pubblico inglese, tuttavia, la sua popolarità rimase immutata, anche in virtù delle interpretazioni magistrali che ne diede David Garrick e che furono illustrate perfino da pittori, come Reynolds e W. Hogarth. Ma solo col prevalere del gusto romantico l'arte del drammaturgo inglese si rivelò in tutta la sua potenza; in questo senso, la sua fortuna offre spunti di somiglianza con quella di Dante, colui, tra i grandi creatori, col quale, nonostante la diversa collocazione storica, egli ha più forti punti di contatto. Espresse immaginosamente le ragioni dell'ammirazione, sempre più crescente fuori dell'Inghilterra a datare dal Settecento, il Goethe, quando paragonò l'opera del grande drammaturgo al libro della natura. In lui videro l'ideale precursore i poeti dello "Sturm und Drang" che ne diffusero le tragedie in Europa. "Spirito assolutamente romantico" lo proclamò F. Schlegel, il cui fratello A. W. Schlegel curò, in collaborazione con L. Tieck, una magistrale traduzione di tutta la sua produzione (1797-1810), ancor oggi validissima.
In Italia l'arte di Shakespeare costituì uno dei principali termini di polemica tra classicisti e romantici ed ebbe tra i più illustri sostenitori il Manzoni, che ne penetrò la potente verità drammatica e il severo pessimismo. Tra le poche voci di dissenso, nell'Ottocento, quella di Tolstoi, che condannò Shakespeare sulla base di un giudizio moralistico. Memorabili interpretazioni teatrali delle opere drammatiche di Shakespeare diedero in Inghilterra gli attori Edmund Kean e Henry Irving, in Germania l'austriaco J. Kainz. Tra gli interpreti del XX sec. si ricordano gli inglesi J. Gielgud, T. Guthrie, e, prestigioso tra gli altri, L. Olivier, che a Shakespeare dedicò nel 1955 un mirabile ciclo di rappresentazioni al Memorial Theatre di Stratford, e ancora D. Wolfit, M. Redgrave; gli italiani E. Novelli, E. Zacconi, R. Ruggeri, R. Ricci, S. Randone, V. Gassman; tra i registi lo stesso Olivier, Reinhardt, Sharoff, L. Visconti, L. Squarzina. Shakespeare fu portato sullo schermo da G. Cukor (Giulietta e Romeo, 1936), A. Cayatte (Gli amanti di Verona, 1948), Castellani (Giulietta e Romeo, 1954), Zeffirelli (Romeo e Giulietta e La bisbetica domata, 1968; Amleto, 1990). Ma colui che meglio di ogni altro ha saputo tradurre Shakespeare per immagini è stato L. Olivier, il quale ha diretto e interpretato sullo schermo Enrico V(1944), esempio insuperato di perfetta trasposizione cinematografica del teatro shakespeariano, Amleto (1948), Riccardo III(1956). Marlon Brando fu Antonio e James Mason Bruto nell'ottima versione del Giulio Cesare a opera di Mankiewicz (1953); Orson Welles diresse con originalità Macbeth (1948) e Otello(1951), mentre Akira Kurosawa realizzò una singolare versione giapponese del Macbeth con Il castello delle ragnatele o Il trono di sangue (1956). Traduzioni italiane totali o parziali del teatro shakespeariano sono state fatte da G. Baldini, E. Cecchi, E. Montale, S. Quasimodo, C. V. Lodovici.
Al teatro shakespeariano si ispirarono musicisti di ogni epoca: tra questi assunse particolare rilievo la produzione di H. Purcell (di cui va soprattutto ricordata l'opera The Fairy Queen [1692] dal Sogno di una notte di mezza estate) e quella di Verdi, che legò al nome del drammaturgo, di cui fu profondo conoscitore, alcune delle sue più alte realizzazioni: Macbeth (1847), Otello(1887), Falstaff (1893). Nell'ambito del melodramma sono inoltre da citare l'Otello di Rossini (1816), l'Oberon di Weber (1826) [dal Sogno di una notte di mezza estate], I Capuleti e i Montecchi di Bellini (1830), ispirati a Romeo e Giulietta, cui si rifecero più tardi Gounod (1867) e Zandonai (1922) mantenendo il titolo originale. Tra gli autori di composizioni sinfoniche figurano H. Berlioz, con l'ouverture Re Lear (1831) e la sinfonia drammatica Romeo e Giulietta (1839) e Ciaikovski con l'ouverture omonima (1869), mentre alla musica di scena diede il massimo contributo F. Mendelssohn-Bartholdy con il suo Sogno di una notte di mezza estate (1826-1843).
La questione shakespeariana
Nel corso del XIX sec., in concomitanza col rinato culto per il teatro di Shakespeare e con l'intensificarsi delle indagini biografiche ed erudite, si avanzò l'ipotesi che l'autore di così vasta produzione non fosse l'uomo di Stratford, ma un personaggio di grande cultura, che per ignote ragioni si celava dietro il nome del modesto e, si presumeva, incolto attore W. Shakespeare. Per lungo tempo il nome suggerito dagli antistratfordiani fu quello del filosofo F. Bacone, il cui prestigio culturale e la cui posizione politica sembravano accreditare le ragioni di un voluto anonimato in opere teatrali. Accanto al suo furono fatti i nomi di William Stanley, 6s conte di Derby, ottimo conoscitore della lingua e della letteratura francese; di Robert Devereux, 2s conte di Essex, uomo d'armi, di ricca cultura, assai ben introdotto a corte prima del complotto contro la regina Elisabetta che ne segnò la condanna; del famoso esploratore e navigatore sir Walter Raleigh; del drammaturgo Marlowe, che la storia vuole assassinato in una rissa d'osteria nel 1593: secondo i suoi sostenitori, la cui tesi parrebbe avvalorata dalla scarsezza di notizie relative a Shakespeare per il periodo anteriore al 1593, egli avrebbe simulato la morte per sfuggire a un'accusa di ateismo, e, nascostosi presso l'amico Thomas Walsingham, avrebbe continuato a scrivere, firmando le sue opere successive col nome di W. Shakespeare. Ma il candidato sul quale convergono, con più fondate ragioni, le teorie dei critici moderni, è Edward de Vere, 17s conte di Oxford, uomo di vasta cultura e poeta, investito di importanti cariche a corte, il cui stemma presentava un leone shaking a spear (che scuote una lancia) e che per l'abilità nei tornei era denominato Spearshaker (scuotilancia). Un cenno meritano ancora la teoria collettivista che, fondandosi sulla molteplicità delle fonti shakespeariane, avanza l'ipotesi di una redazione collettiva delle opere (in cui Shakespeare oppure ancora il conte di Oxford avrebbe avuto la parte di redattore-coordinatore), e il problema suscitato dalla tentata identificazione del personaggio cui sono dedicati i Sonetti.
Re Lear. era il re di Britannia, aveva tre figlie: Goneril, Regan e la più giovane Cordelia, che vivevano a corte con lui.
Il re consumato dall'età avendo ormai superato gli ottant'anni decise di ritirarsi dalla vita di corte e affidare il comando del suo regno proprio alle sue figlie e ai loro rispettivi mariti, preparandosi così serenamente alla morte.
Così mando a chiamare le sue figlie per capire chi di loro amasse di più dalle loro parole e così lui avrebbe diviso il suo regno equamente tra le sue figlie.
Goneril disse che amava il proprio padre più di quanto le parole potessero dire e molte altre parole dolci che però erano in realtà non corrispondevano alla realtà ma erano solo frasi di circostanza che servivano per convincere il vecchio padre.
Il re credendola sincera passò alla seconda figlia, Regan che essendo della stessa pasta della sorella coprì di lusinghe il padre così che anche lei ebbe una parte del regno, di uguale grandezza di sua sorella.
Toccò infine alla ultimogenita, Cordelia, che era la preferita di Lear, così chiese anche a lei cosa avesse da dire, sicuro che anche questa sua figlia lo avrebbe lodato come le altre, se non meglio essendo Cordelia la sua diletta. Ma Cordelia non era falsa come le sue sorelle e disse solo che amava il re secondo il suo dovere. Lo amava come padre in quanto l' aveva cresciuta e gli obbediva, ma che non avrebbe mai potuto amare solo il padre perché se si fosse innamorata avrebbe amato entrambi. In realtà Cordelia amava il padre tanto quanto le sue sorelle fingevano di amarlo, ma decise che invece di dirglielo a parole, gli avrebbe dimostrato il proprio affetto.
Ma il re prese l'atteggiamento della propria figlia per orgoglio e si infuriò tanto che la diseredò, il povero Re ormai stava perdendo il proprio senno con l'avanzare dell'età,e così non riuscì a distinguere la sincerità delle parole di Cordelia dalla falsità di quella delle sue altre due figlie.
Così Lear offuscato dall'ira non diede a Cordelia la sua parte del regno e la divise equamente tra le due altre figlie.
Così chiamo i mariti delle sue figlie e li investì dei poteri sulle terre a loro donate, tenendo per sé il titolo di Re e dicendo inoltre che avrebbe soggiornato insieme a cento cavalieri a turno per un mese nei palazzi delle figlie.
Tra i consiglieri del Re solo il duca di Kent ebbe il coraggio di prendere le parti di Cordelia, ma il Re gli ordinò di non continuare se avesse cara la vita. Ma Kent non badando alle minacce lo implorò di ragionare e di capire che in realtà Cordelia era l'unica che aveva parlato con cuore sincero.
Il duca pagò a caro prezzo questo consiglio, che fece aumentare la stizza del re, e venne esiliato dal regno.
In seguito Lear convocò il Re di Francia e il duca di Borgogna avvertendoli che avrebbero dovuto prendere in sposa sua figlia senza alcuna dote, il duca si tirò subito indietro ma il Re di Francia mettendo al primo posto i propri sentimenti acconsentì a portare nel suo regnò Cordelia.
La fanciulla fu triste alla sola idea di lasciare il padre in mano alle due sorelle che infatti poco dopo che ella se ne fu andata incominciarono a far conoscere al padre la loro vera natura.
Incominciarono a non ascoltarlo, negargli il rispetto anche dalla servitù,e il re era costretto a sopportare numerose angherie.
Ma Kent che era rimasto fedele al suo re si finse un servo e si fece assumere dal re.
Il re si affezionò subito al servitore che si mostrò subito fedele e amorevole e lo protesse dai servitori che lo insultavano, poiché questi erano gli ordini della figlia, ma Kent non era l'unico amico del Re a palazzo gli era rimasto fedele il buffone di corte che anch'egli dimostrava affetto al re e lo manteneva allegro in quell' atmosfera a lui ogni giorno più ostile.
Finché un giorno sua figlia non gli disse che se sarebbe voluto restare avrebbe dovuto dimezzare il numero dei cavalieri in quanto erano solamente un peso e una spesa. A queste parole il re fu accecato dalla rabbia fece sellare i cavalli poiché si sarebbe trasferito al palazzo dell'altra sua figlia, pensando che lo avrebbe trattato con le dovuto maniere. Durante il viaggio cominciò a pensare al torto che aveva fatto a Cordelia e pianse. Arrivò al palazzo di Regan ma vi trovò Goneril, e vide che le due sorelle si tenevano per mano.
Il re, che sperava in un trattamento regalo da parte dell'altra sua figlia fu sorpreso dal vedere che le due sorelle gareggiavano per essere le più crudeli, e allora il vecchio Lear decise di partire di nuovo, preferendo la furia dell'uragano allo stare nel palazzo di quelle due streghe.
Durante il tragitto il re ed il suo servitore Caio, questo era il nome scelto da Kent per mascherare la propria identità, discutevano sulla malvagità delle sue figlie e alla fine si ripararono in un capanno.
Il giorno dopo, Kent, fece portare il re al castello di Dover, mentre lui andò nella lontana Francia a riferire a Cordelia delle disavventure che il povero re Lear aveva dovuto affrontare e della perfidia e crudeltà delle sorelle. Il racconto di Kent fu talmente convincente che la fanciulla pregò il marito affinché la facesse partire con un esercito per riconquistare le terre del padre, sottraendola alle sorelle.
Il re, suo maritò le concesse tutto ciò e Cordelia partì e sbarcò a Dover con l'esercito assegnatole dal marito.
Lear, intanto aveva perso il senno e la figlia lo mise nella mani dei medici migliori affinché lo guarissero e lei potesse riabbracciarlo. Questo avvenne in poco tempo, e così i due si incontrarono, fu uno scambio di baci, da parte di Cordelia, e di scuse, da parte di Lear. che chiede perdono alla figlia e che avrebbo dovuto perdonare le sorelle poiché lui ormai non era nel pieno delle sue facoltà mentali e che lei aveva tutti i motivi per non amarlo, mentre le sue sorelle non ne avevano nessuno. Ma Cordelia gli rispose di non avere alcun motivo.
Intanto che il re era sotto le cure amorevoli della sua figliola, le altre due figlie si stufarono del rapporto, durato fin troppo, con i loro mariti e si innamorarono entrambe di un uomo: Edmund, un figlio illegittimo del duca di Gloucester che aveva preso il ducato con una serie di inganni.
Poiché il marito di Regan era morto, la vedova dichiarò di volersi risposare con Gloucester suscitando la gelosia della sorella, tanto che ella l'avvelenò, ma venne scoperta dal marito, il duca di Albany, sdegnato dalle sue azioni che le face rinchiudere. Dopo qualche tempo Goneril si tolse la vita.
Ma il destino si accanì contro la povera Cordelia che venne catturata da Gloucester, e in seguito morì in prigione, la seguirono: Lear distrutto dal dolore e Kent tormentato dagli affanni dell'età.
Gloucester invece fu ucciso dal fratello, il legittimo duca e il marito di Goneril salì al trono di Inghilterra dopo la morte di Lear.
Analisi del Libro.
Nel libro Re Lear l'eroe è senza dubbio Kent che cerca a tutti i costi di aprire gli occhi al suo re, ormai logorato dallo scorrere del tempo, gli rimane fedele, e lo aiuta in ogni occasione.Per esempio quando lo stesso re lo ha bandito dal regno accecato dalla rabbia, lui gli è stato vicino sotto le mentite spoglie di un servitore, abbandonando la potenza e la nobiltà del suo ceto.
L'eroina senza ombra di dubbio è la dolce fanciulla Cordelia la quale mette i sentimenti per il padre al primissimo posto, per il quale rinuncia alla sua parte di regno, che lo soccorre e lo cura, che lo ama sinceramente e che glielo dimostra con i fatti o non si nasconde dietro false parole, detto solo allo scopo di avere le ricchezze del padre. La giovine arriva perfino a morire per proteggere i territori che le sue sorelle hanno usurpato al padre con l'inganno. La storia è ambientata in un passato in realtà mai esistito. Il tema di questa storia è l'amore filiale che se è vero e puro vieni prima di tutto, prima del denaro e dei propri interessi, della falsità di alcune persone che adulano con parole, che incantano, eludono e poi come dei ragni ti spingono nella propria ragnatela dalla quale non puoi più uscire e divincolarti è inutile.
I personaggi principali sono: Re Lear ormai avanti con gli anni ha perso il senno e questa storia, il tradimento delle proprie figlie che più gli dimostravano affetto lo finisce ancor di più. Oltre la follia il re è orgoglioso, tiene al suo potere e alla sua superiorità ma purtroppo cade nelle sbaglio di fidarsi troppo della parole illusorie delle sue due figlie.
Le due figlie: Goneril e Regan, che sono in realtà avide ed egoiste esprimono il loro affetto con frasi bella ma false che incanto il loro padre. È proprio il loro odio e la loro cattiveria che le metterà l'una contro l'altra e si uccideranno a vicenda.
I luoghi principali sono il palazzo di Re Lear, quelli delle figlie e all'aperto quando viaggia per la maggior parte sono luoghi chiusi e la vicenda si svolge per lo più a palazzo.
Il linguaggio è teatrale essendo questa una commedia ricco di similitudini e pieno di vocaboli difficili ma che rendono benissimo il comportamento dei personaggi.
Secondo il mio punto di vista Re Lear è una storia che fa riflettere, attualissima, anche nei telegiornali si sente ogni giorno di storie come questa. Certo ora i figli non lottano più per un regno ma per esempio per comprarsi la droga figli arrivano a uccidere i proprio genitori.
Purtroppo a volte la mente umana, spinta da altri fattori spinge a fare cose orribili. È terribile pensare, e solo pensare che esistano persone così trattare male i proprio genitori è la cosa più orribile che si possa fare. Io credo che questo libro debba essere letto perché nella nostra vita troveremo spesso persone che ci inganneranno che prometteranno il mondo, che ci prometteranno successo oppure semplicemente un affetto e poi saranno le prime a farci del male. A questo dobbiamo stare attenti, per il nostro bene, formare una nostra coscienza e non uniformarci a quella dei nostri amici o della società in cui viviamo.
Fingere dei sentimenti, come le due figlie, magari al principio può portare qualcosa di buono ma a lungo andare si ritorce contro. Gli affetti devono essere puri, per queste cose si deve ascoltare il cuore e non bisogna avere secondi fini. Poi a mio avviso il rapporto tra genitori e figli deve essere legato da tutt'altro che un fatto di denaro, poiché loro quando ci hanno messi alla luce non hanno pensato il guadagno che gli avremmo portato o la spesa.
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