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Il romanzo è ambientato in Aci Trezza, in Sicilia, negli anni successivi all'unità d'Italia. Al centro delle vicende narrate è la famiglia Malavoglia: il padre Bastianazzo, la madre Maruzza la Longa, i figli 'Ntoni, Luca, Alessi, Mena, Lia. Su tutti domina il nonno, Padron 'Ntoni, figura di patriarca, dispensatore di saggezza. 'Ntoni, l'unico dei nipoti che può aiutare nel governo della barca 'Provvidenza', parte soldato. Padron 'Ntoni tenta una piccola speculazione su un carico di lupini: ma il mare, in una notte di tempesta, ingoia il carico assieme al figlio Bastianazzo ed a un garzone. I Malavoglia da padroni diventano poveracci: la barca è dissestata, inoltre devono pagare i lupini, presi a credito. 'Ntoni torna dal servizio militare: al suo posto parte Luca. La barca è di nuovo pronta all'uso, ma 'Ntoni non vuol saperne più di lavorare, di spaccarsi le ossa per nulla, e magari anche di fare la fine del padre. Mena ama Alfio Mosca, ma è promessa sposa ad un ricco del paese, Brasi Cipolla. Durante la festa di fidanzamento, arriva la notizia che Luca è morto a Lissa. Per pagare il debito dei lupini, i Malavoglia sono costretti a vendere la propria abitazione natia, la casa del nespolo. Mena, ora che è di nuovo povera, deve rinunciare al matrimonio, e anche 'Ntoni, perché la sua promessa, Barbara Zuppidda, gli volta le spalle. Superate le difficoltà, la famiglia Malavoglia sembra riprendersi: ma 'Ntoni è stanco di quella vita, e non se ne va solo perché la madre lo prega di restare. Quando Maruzza muore di colera, non lo trattiene più niente al paese e parte. Torna dopo non molto, più avvilito e deluso di prima. Don Michele, il brigadiere, corteggia Lia e avverte lei e la sorella che 'Ntoni si sta mettendo nei guai. Il giovane infatti, coinvolto in un traffico di contrabbando, viene colto in fallo, e, tentando una difesa, ferisce Don Michele con una coltellata. al processo Padron 'Ntoni è colto da un malore quando scopre che Lia se la intendeva con Don Michele. 'Ntoni è condannato a cinque anni; Lia se ne va di casa per sempre. I Malavoglia sono rimasti in pochi. Alessi lavora per poter ricomprare la casa. Padron 'Ntoni, che si sta spegnendo a poco a poco, vuole essere portato all'ospedale per non gravare sui nipoti: parte sul carro di Alfio Mosca. Questi vuole sposare Mena, che rifiuta; ormai è vecchia, si occuperà dei figli di Alessi e di sua moglie Nunziata. La casa del nespolo è finalmente riscattata, ma è troppo tardi per Padron 'Ntoni, che muore lontano. Una sera 'Ntoni, uscito di prigione, bussa alla porta per chiedere perdono. ma non può fermarsi, dopo che ha infangato l'onore della famiglia. Se ne va, e nessuno lo trattiene.
È un libro un po' particolare, che narra le disgrazie di una
famiglia quasi come se fosse quella più disgraziata del mondo. È un aspetto
questo che va inserito in un contesto, quello di Trezza, che agevola il
susseguirsi di sventure, con la sua politica chiusa, da cui non si riesce ad
uscire. Si è detto all'inizio che i Malavoglia sono al centro del romanzo, ma
ai lati si trova il popolo, che è comunque da considerare, che fa parte di
Trezza e del suo modo di vivere, della sua mentalità, dei suoi ideali. Come
ideali, ad esempio, troviamo l'attaccamento alla roba, cioè i beni materiali
che la famiglia deve possedere per poter vivere dignitosamente, e che
all'inizio i Malavoglia avevano, quel tanto che basta per vivere. Poi l'hanno
perduta con quel carico di lupini, frutto di una speculazione attuata da Padron
'Ntoni, che, così facendo, ha avviato la disgrazia della famiglia. In questo
frangente il vecchio patriarca è andato contro alle sue idee, di non tentare
mai la fortuna, di sopportare passivamente, e di 'fare solo il mestiere
che sai' (era molto attaccato ai proverbi), e per questo ha pagato caro.
Quando seppe della tragedia sembrava quasi più disperato per i lupini che per
il figlio Bastianazzo morto in mare. Ancora, era sempre un galantuomo, e
quando, dovendo pagare il debito a Zio Crocifisso, ben sapendo che
difficilmente ci sarebbe riuscito, ci prova, e con sé porta tutta la famiglia.
Oltretutto ho notato che in questo romanzo, è nettamente presente il pessimismo
di Verga: la fine del libro 'con quell'incondizionata accettazione di una
tradizione e di un costume secolari che implica una condanna di ogni volontà di
ribellione (Romano Luperini)' è un ritorno all'inizio, magari anche un
po' peggiorato, senza possibilità di progresso.
Questo è anche in parte confermato dal fatto che, sempre secondo me, Verga
voglia portare la famiglia al risanamento economico finale, ma non ci riesca
bene per via della quasi esagerata situazione di Aci Trezza; in pratica prima
ha portato i Malavoglia nella disgrazia più nera, senza possibilità di
risollevarsi, poi, come in TV, come per miracolo quasi tutto si aggiusta,
eccetto Padron 'Ntoni che muore, non beneficiando di questo risanamento, come
alcuni componenti della famiglia, ma degli altri, di quelli
'sopravvissuti' non se ne sa niente. A questo punto credo che sarebbe
stato opportuno scrivere un'opera più omogenea, anche più credibile. A parte
questo, ed il fatto che l'ambientazione è un po' troppo lontana dalla realtà
attuale, il libro mi è piaciuto abbastanza.
Questo racconto è lo studio sincero e spassionato del come probabilmente devono nascere e svilupparsi nelle più umili condizioni le prime irrequietudini pel benessere; e quale perturbazione debba arrecare in una famigliuola, vissuta sino allora relativamente felice, la vaga bramosìa dell'ignoto, l'accorgersi che non si sta bene, o che si potrebbe star meglio.
Il movente dell'attività umana che produce la fiumana del progresso è preso qui alle sue sorgenti, nelle proporzioni più modeste e materiali. Il meccanismo delle passioni che la determinano in quelle basse sfere è meno complicato, e potrà quindi osservarsi con maggior precisione. Basta lasciare al quadro le sue tinte schiette e tranquille, e il suo disegno semplice. Man mano che cotesta ricerca del meglio di cui l'uomo è travagliato cresce e si dilata, tende anche ad elevarsi e segue il suo moto ascendente nelle classi sociali. Nei Malavoglia non è ancora che la lotta pei bisogni materiali. Soddisfatti questi, la ricerca diviene avidità di ricchezze, e si incarnerà in un tipo borghese, Mastro don Gesualdo, incorniciato nel quadro ancora ristretto di una piccola città di provincia, ma del quale i colori cominceranno ad essere più vivaci, e il disegno a farsi più ampio e variato. Poi diventerà vanità aristocratica nella Duchessa de Leyra; e ambizione nell'Onorevole Scipioni, per arrivare all'Uomo di lusso, il quale riunisce tutte coteste bramosìe, tutte coteste vanità, tutte coteste ambizioni, per comprenderle e soffrirne, se le sente nel sangue, e ne è consunto. A misura che la sfera dell'azione umana si allarga, il congegno della passione va complicandosi; i tipi si disegnano cdrtamente meno originali, ma più curiosi, per la sottile influenza che esercita sui caratteri l'educazione, ed anche tutto quello che ci può essere di artificiale nella civiltà. Persino il linguaggio tende ad individualizzarsi, ad arricchirsi di tutte le mezze tinte dei mezzi sentimenti, di tutti gli artifici della parola onde dar rilievo all'idea, in un'epoca che impone come regola di buon gusto un eguale formalismo per mascherare un'uniformità di sentimenti e d'idee. Perché la produzione artistica di cotesti quadri sia esatta, bisogna seguire scrupolosamente le norme di questa analisi; esser sinceri per dimostrare la verità, giacché la forma è così inerente al soggetto, quanto ogni parte del soggetto stesso è necessaria alla spiegazione dell'argomento generale.
Il cammino fatale, incessante, spesso faticoso e febbrile che segue l'umanità per raggiungere la conquista del progresso, è grandioso nel suo risultato, visto nell'insieme, da lontano. Nella luce gloriosa che l'accompagna dileguandosi le irrequietudini, le avidità, l'egoismo, tutte le passioni, tutti i vizi che si trasformano in virtù, tutte le debolezze che aiutano l'immane lavoro, tutte le contraddizioni, dal cui attrito sviluppasi la luce della verità. Il risultato umanitario copre quanto c'è di meschino negli interessi particolari che lo producono; li giustifica quasi come mezzi necessari a stimolare l'attività dell'individuo cooperante inconscio a beneficio di tutti. Ogni movente di cotesto lavorìo universale, dalla ricerca del benessere materiale alle più elevate ambizioni, è legittimato dal solo fatto della sua opportunità a raggiungere lo scopo del movimento incessante; e quando si conosce dove vada quest'immensa corrente dell'attività umana, non si domanda al certo come ci va. Solo l'osservatore, travolto anch'esso dalla fiumana, guardandosi intorno, ha il diritto di interessarsi ai deboli che restano per via, ai fiacchi che si lasciano sorpassare dall'onda per finire più presto, ai vinti che levano le braccia disperate, e piegano il capo sotto il piede brutale dei sovravvegnenti, i vincitori d'oggi, affrettati anch'essi, avidi anch'essi d'arrivare, e che saranno sorpassati domani.
I Malavoglia, Mastro-don Gesualdo, la Duchessa de Leyra, l'Onorevole Scipioni, l'Uomo di lusso sono altrettanti vinti che la corrente ha deposti sulla riva, dopo averli travolti e annegati, ciascuno colle stimate del suo peccato, che avrebbero dovuto essere lo sfolgorare della sua virtù. Ciascuno, dal più umile al più elevato, ha avuta la sua parte nella lotta per l'esistenza, pel benessere, per l'ambizione - dall'umile pescatore al nuovo arricchito - alla intrusa nelle alte classi - all'uomo dall'ingegno e dalle volontà robuste, il quale si sente la forza di dominare gli altri uomini, di prendersi da sé quella parte di considerazione pubblica che il pregiudizio sociale gli nega per la sua nascita illegale; di fare la legge, lui nato fuori della legge - all'artista che crede di seguire il suo ideale seguendo un'altra forma dell'ambizione. Chi osserva questo spettacolo non ha il diritto di giudicarlo; è già molto se riesce a trarsi un'istante fuori del campo della lotta per studiarla senza passione, e rendere la scena nettamente, coi colori adatti, tale da dare la rappresentazione della realtà com'è stata, o come avrebbe dovuto essere.
TIPOLOGIA del romanzo I Malavoglia
Romanzo verista che con " Mastro don Gesualdo" e altri tre progettati ma mai scritti avrebbe dovuto far parte del "Ciclo dei Vinti" nel quale Verga voleva rappresentare i desideri che spingevano molti uomini a mutare stato, a ostinarsi a voler migliorare le proprie condizioni di vita.
DIVERSITA' DA ALTRI ROMANZI
E' presente una prefazione dell'autore nella quale viene esposto il fine ultimo dell'opera e viene presentato il ciclo, mai ultimato, dei "Vinti". Il racconto viene definito "studio sincero e spassionato del come devono nascere e svilupparsi nelle più umili condizioni le prime irrequietudini del benessere". Questo meccanismo, continua Verga, "è preso qui alle sue sorgenti nelle proporzioni più modeste" per essere osservato con maggiore precisione. Nei Malavoglia viene rappresentata solo lotta per i bisogni materiali, ma gli altri romanzi del ciclo avrebbero dovuto assumere via via toni più alti. I personaggi sono sempre " vinti, che la corrente ha deposto sulla riva dopo averli travolti e annegati ".
TRAMA
Il romanzo racconta la storia di una famiglia di pescatori che vive e lavora ad Aci Trezza, un piccolo paese vicino Catania. La famiglia è nota e rispettata da tutti e poteva considerarsi economicamente agiata grazie soprattutto ai proventi ricavati dalla pesca con la barca chiamata la "Provvidenza". La catena delle disgrazie inizia con l'acquisto a credito di un carico di lupini da trasportare in barca. Purtroppo una tempesta fa affondare la nave. Muore così Bastiano figlio del capo famiglia Padron Ntoni, marito di Maruzza e padre di cinque figli:'Ntoni, Mena, Lia, Luca, Alessi. Tutti cominciano ad arrabattarsi per saldare il debito dei lupini affondati con la barca, ma presto durante il servizio militare di leva nella battaglia di Lissa muore Luca. Distrutti dai dispiaceri, i Malavoglia non riescono a saldare il debito e così viene tolta loro la casa di famiglia , detta la "Casa del nespolo". Ormai tutto il paese vede di malocchio i Malavoglia che cercano in tutti i modi lavorare per ottenere i denari per maritare le figlie e per riacquistare la Casa del Nespolo. A moltiplicare le fatiche arriva il colera che si porta via la Longa. Patron Ntoni resta così solo con Alessi e 'Ntoni a sostenere i nipoti orfani del padre e della madre. Ntoni ribellandosi alle condizioni dei vinti prende una cattiva strada che lo porta a cinque anni di prigione, causando prima la pazzia , poi la morte del nonno e la fuga della sorellina Lia. Da ultimo resta così Alessi che, dopo essersi sposato, con l'aiuto della sorella Mena ricompra la Casa del Nespolo e tenta di ricostruire l'onore distrutto dei Malavoglia.
NARRATORE
E' onnisciente, conosce tutti i fatti e spesso li anticipa, come la morte del giovane Luca. Si limita a raccontare le azioni senza esprimere giudizi personali. Sembra un narratore popolare che condivide il modo di comportarsi, i pregiudizi, la mentalità, la cultura del mondo di cui parla, anche perché i luoghi del romanzo sono gli stessi nativi dell'autore. Il punto di vista è esterno.
PROTAGONISTA
Può essere considerata l'intera famiglia dei Malavoglia, presentata direttamente dal narratore all'inizio del romanzo. Come per tutti gli altri personaggi non c'è presentazione fisica, quasi a significare che tutte le persone che vivono in queste pagine possono essere considerati dei tipi. Il narratore non si fa mai portavoce dei pensieri dei personaggi, ma li lascia parlare liberamente .La famiglia viene paragonata alle dita della mano: padron Ntoni era il "patriarca", sapeva molti proverbi simbolo della saggezza popolare, Bastianazzo definito " grande e grosso", La Longa (Maruzza) era la buona massaia e poi seguivano i figli: 'Ntoni che si ribellerà ai destino dei vinti, Luca più giudizioso, Mena che lavorava e tesseva sempre tanto da essere soprannominata "Sant'Agata", Alessi che rappresenta la fiducia nel futuro ed infine la piccola Lia. Questi personaggi sono la personificazione tipologica della famiglia di pescatori sconvolta dalle disgrazie ma che cerca sempre di andare avanti a testa alta; il loro spessore psicologico è dato dalle loro stesse parole attraverso il discorso diretto libero.
Padron 'Ntoni: è il capofamiglia, il più anziano. È un uomo caparbio che non rinuncia mai a fare il suo dovere. Amante del mare e quindi del suo mestiere di pescatore. Inizialmente il narratore non descrive in modo dettagliato il personaggio, dice solo che è un vecchi curvo, ma in seguito, quando si ammala, lo descrive con maggiore attenzione, come se attraverso la descrizione fisica emergesse anche il profilo psicologico e affettivo.
Padron 'Ntoni non si oppone alla società del suo tempo, né la subisce, la rispetta, con tutte le sue credenze e tradizioni.
Il suo animo sereno nel primo capitolo va cambiando attraverso le disgrazie che dovrà affrontare. Negli ultimi capitoli troviamo un uomo stanco della vita, che, ormai giunto ad una età avanzata, non aspetta che la morte.
Bastianazzo: è il figlio di Padron 'Ntoni, è un uomo di buon cuore e lavoratore. Muore ancora giovane in mare durante una tempesta.
Maruzza (la Longa): è la moglie di Bastianazzo. Si dà da fare per contribuire al bilancio familiare.
La sua serenità svanisce con la morte prematura del marito, e poi del figlio Luca. Il dolore per le numerose perdite la invecchia precocemente. La sua vita viene spezzata da una grave malattia: il colera.
'Ntoni: è il figlio maggiore di Bastianazzo e Maruzza. È un ragazzo giudizioso, anche se a volte troppo impulsivo. Col passare degli anni, la sua voglia di lavorare diventa sempre minore, si ribella alla sua condizione di miseria e povertà, in un modo insolito: smette di lavorare e va a cercare guai all'osteria. Questa vita lo porterà a scontare cinque anni di galera. Dopo essere stato rilasciato, lascia il paese d'origine.
Mena: è una figlia giudiziosa e riservata. È soprannominata Sant'Agata per il suo assiduo lavoro al telaio. Dopo la morte della madre sa educare la sorella minore Lia e mandare avanti la casa.
Le disgrazie e i dispiaceri la invecchiano assai precocemente: a soli ventisei anni le sembra già di essere vecchia.
È molto influenzata dalla società del suo tempo, infatti decide di non sposarsi con Alfio Mosca, di cui era innamorata, perché questo avrebbe riportato sulla bocca di tutti la triste sorte della sorella.
Luca: "un vero Malavoglia", giudizioso e di buon cuore, come il padre, muore prematuramente in guerra.
Alessi: è un bravo ragazzo, si dà da fare per tirare su la famiglia dopo la morte del nonno, del padre, della madre e la "fuga" di 'Ntoni . Riesce a riscattare la casa del Nespolo e ricostruisce la famiglia dei Malavoglia. Sposa una brava ragazza, Nunziata.
Lia: La più piccola della famiglia Malavoglia. Finisce sulle bocche di tutti dopo il processo del fratello, e per questo lascia Aci Trezza. Nessuno avrà più sue notizie. Solo Alfio Mosca sa la verità.
ALTRI PERSONAGGI
Il "secondo protagonista" del romanzo è l'intero paese, composto da personaggi uniti da una stessa cultura ma divisi da antiche rivalità, tipi che parlano e si confondono tra loro creando un effetto corale che nei primi capitoli quasi disorienta il lettore. La Santuzza, l'ostessa che simboleggia l'inganno, don Michele, il brigadiere corrotto, don Silvestro, il segretario che gestisce come una marionetta il sindaco, Alfio Mosca, il carrettiere rassegnato al suo destino di lavoratore, Campana di Legno, un ricco e avaro signore sono alcuni tra i più importanti. Al contrario di ciò che si può pensare anche l'asino di Alfio Mosca ha un'importanza nell'economia del romanzo. Questo animale è il simbolo dei vinti, dei poveri che devono soltanto lavorare per guadagnare una miseria: "Carne d'asino - borbottava 'Ntoni - ecco cosa siamo! Carne da lavoro!".
TEMPO
Le vicende durano circa otto o nove anni ( Alfio Mosca nel quindicesimo capitolo dice che erano passati otto anni da quando aveva lasciato Aci Trezza), mentre il tempo del racconto non è omogeneo. Sono frequenti le ellissi e spesso vengono narrate intere giornate. Il ritmo è quindi abbastanza accelerato, frammentario e solo in alcuni punti viene rallentato da piccole riflessioni e descrizioni. L'elemento dominante è la scena e in questi punti tempo del racconto e tempo della storia coincidono. Sono praticamente assenti flashback e anticipazioni. Le indicazioni temporali sono solamente quelle legate alle feste liturgiche e all'alternarsi delle stagioni, elementi tipici che caratterizzano lo scorrere del tempo nella cultura contadina.
LUOGHI
L'intero romanzo è ambientato ad Aci Trezza, piccolo paese vicino Catania. Il paesino è solo il contenitore delle vicende caratterizzato da luoghi tipici: la piazza, luogo dei pettegolezzi, l'osteria dei perdigiorno e luogo di sotterfugi, la casa come nido domestico. Il mare e il cielo coi suoi "Tre re" sono presenze vive e palpabili che osservano distanti e pacifici le vicissitudini dei personaggi.
STILE
Il romanzo crea l'illusione che a parlare sia il mondo raccontato. Verga applica la formula verista, filtra il racconto attraverso i pensieri e i discorsi dei personaggi; questa viene definita la tecnica del "discorso rivissuto" che dà come conseguenza un effetto di vivacità. Dice lo stesso Verga per giustificare il suo oggettivismo: "Chi osserva questo spettacolo non ha diritto di giudicarlo; è già molto se riesce a trarsi un istante fuori del campo della lotta per studiarla senza passione e rendere la scena nettamente coi colori adatti, tale da dare la rappresentazione della realtà come è stato o come avrebbe dovuto essere".
CONTESTO
Il contesto è culturale. Dato che si tratta di un romanzo verista, Verga coglie la realtà del suo tempo, perciò punta sulla cultura e sul modo di pensare dei pescatori.
Tra le righe del romanzo si legge la presenza forte, occulta, ma soprattutto nemica dello Stato, incombente sul piccolo mondo dei pescatori col suo servizio di leva, le sue imposte, la sua iniqua giustizia.
TEMA E SIGNIFICATI
Come abbiamo già sottolineato e come lo stesso Verga ci dice nella prefazione, la tematica affrontata è quella della lotta per i bisogni fondamentali dell'uomo, la tematica del lavoro e della fatica incessante per ottenere risultati distrutti poi dalle disgrazie, la tematica dei vinti. Vari possono essere gli spunti carichi di significati metaforici: l'asino di Alfio Mosca, la Provvidenza che affonda può forse simboleggiare la mancanza di fiducia in Dio, il destino dei vinti è simile a quello dei forzati perché non possono evadere la miseria, il ruolo della donna segregata in casa al telaio, il matrimonio visto cm vero e proprio affare.
I Malavoglia
Il Contenuto del romanzo è anticipato in una novella
autobiografica, Fantasticheria, in cui racconta di un breve soggiorno ad
Aci Trezza, il paese dei pescatori non lontano da Catania in cui il romanziere
ambienterà in seguito I Malavoglia: vi si incontrano situazioni e personaggi
che saranno essi pure, ripresi e assai più ampiamente descritti nel romanzo.
Nei propositi del Verga, I Malavoglia dovevano essere il primo di un ciclo di
cinque romanzi (ciclo dei Vinti), in cui il romanziere si proponeva di
tratteggiare 'la lotta per l'esistenza, pel benessere, per ambizione -
dall'umile pescatore al nuovo arricchito', in una specie di indagine
dei modi differenti e delle differenti condizioni sociali e culturali in cui le
diverse classi sociali cercano di raggiungere lo scopo comune della
sopravvivenza e dell'autoaffermazione. Oltre ai Malavoglia, il Verga si poneva
di scrivere Mastro Don Gesualdo, La duchessa di Leyra, L'Onorevole
Scipioni, L'uomo di lusso; ma si fermò al primo capitolo della La
duchessa di Leyra , e non è un caso, poiché la rappresentazione obiettiva
in lui era possibile solo quando si riferiva ad ambienti estranei alla sua
diretta esperienza autobiografica.
I Malavoglia sono la storia di una famiglia di pescatori di Aci Trezza,
raccolta nella casa del Nespolo. Nel tentativo di trasportare un carico di
lupini da rivendere a più alto prezzo altrove, la 'Provvidenza', cioè
la barca dei Malavoglia naufraga in mare e muore Bastianazzo, il figlio del
vecchio padron 'Ntoni, che resta molo a guidare la famiglia. Ma la famiglia si
sfascia: dei figli di Bastianazzo, uno, Luca, muore in mare, nella battaglia di
Lissa, un altro, 'Ntoni, non ama il lavoro, si fa contrabbandiere, accoltella
il capitano dei finanzieri e finisce in galera; e delle figlie, una, la Lia, si
dà alla vita perduta e l'altra Mena rimasta onesta, a causa del cattivo nome
della sorella non vuole sposare il carrettiere Alfio, che pure l'ama. Solo il
più giovane della famiglia, Alessi, si salva, perché è rimasto fedele alla
morale del lavoro e della famiglia: e sarà lui che riuscirà a riscattare la
casa del Nespolo, che era stata perduta a causa dei debiti contratti per
acquistare il carico di lupini, poi distrutto dalla tempesta. Le novelle
rusticane precedono la pubblicazione del secondo romanzo verista del Verga,
Mastro Don Gesualdo. Il mondo, l'ambiente di queste novelle è lo stesso delle
altre opere veriste, in più, vi troviamo sviluppato e approfondito il motivo
delle ragioni economiche che determinano il destino, il comportamento, gli
stessi sentimenti degli uomini. Si legga, al proposito, la novella La Roba.
Mastro Don Gesualdo (1889) è la storia di un contadino, divenuto ricco a
forza di. lavoro e di astuzia, che per ambizione sociale accetta di sposare una
ragazza della nobile famiglia Trao, Bianca, che gli viene data in mogli. solo
perché aveva compiuto un errore giovanile. Egli abbandona così Diodata, una contadina
umile e fedele dalla quale aveva pure avuto dei figli. Ma divenuto vecchio,
vedrà la sua 'roba' dilapidata dal genero nobile e squattrinato che
sta consumando la dote della 'figlia' Isabella, la quale per conto
suo lo disprezza e lo ignora. Mastro Don Gesualdo morirà, così, solo, di notte,
nella fioca casa cittadina della figlia, assistito da un servo indifferente
alla sua agonia.
Contemporaneamente alla pubblicazione delle novelle e dei romanzi ambientati
nelle campagne, il Verga volge la sua attenzione anche alla vita cittadina con
i racconti Per le vie (1883), con Vagabondaggio (1887) e Don
Candeloro e C (1894) e tenta di nuovo il romanzo psicologico con Il
marito di Elena (1882) e coi Racconti del Capitano d'Arce (1891).
Nel 1884 il Verga tentava la via del teatro con la rappresentazione al teatro
Carignano di Torino, della riduzione di una novella di Vita dei Campi, Cavalleria
rusticana,che ebbe grande successo. Scarsa accoglienza ebbe invece l'opera Dal
tuo al mio rappresentata al teatro Manzoni di Milano nel 1903.
Quello di 'Malavoglia" è solo un soprannome, una 'ngiuria come si direbbe usando il dialetto siciliano, un epiteto che non rende onore alla famiglia Toscano, da tempo immemorabile «tutta buona e brava gente di mare». Proprio della loro storia si narra qui: storia non di "umili", come riecheggia dal Manzoni, ma di "umiliati". Storia di poveri pescatori che sono, oltre che frutto del forte atteggiamento fatalista dell'autore, vittime di un triste scherzo del destino il quale mima, a mo' di sortilegio, e predicendo, una storia che pareva esser già tutta in quel nomignolo, indossato lungo generazioni diverse.
I Malavoglia, scritto nel 1881, doveva essere parte di una più articolata intenzione, un grande progetto cui Verga aveva fatto riferimento in una lettera del 21 aprile 1878 a Salvatore Paolo Verdura: «.Ho in mente un lavoro che mi sembra bello e grande, una specie di fantasmagoria della lotta per la vita, che si estende dal cenciaiuolo al ministro all'artista, e assume tutte le forme, dall'ambizione all'avidità del guadagno, e si presta a mille rappresentazioni del grottesco umano». Si riferiva, ovviamente, al ben noto "ciclo dei vinti" al disegno che, comprendendo Mastro Don Gesualdo e La Duchessa di Leyra, avrebbe potuto essere portato a termine, se proprio quest'ultimo non fosse rimasta incompiuto.
Nella prefazione al romanzo Verga presenta il tema di fondo dello scritto: la rottura di un equilibrio dato dalla tradizione immobile e abitudinaria di una famiglia semplice di Aci Trezza, per l'irrompere di nuove forze, «la fiumana del progresso» scrive Verga, il desiderio di migliorare le condizioni di una vita grama, lasciando risplendere i luccichii di una necessaria modernità nel buio fitto dell'universo arcaico. La prefazione potrebbe leggersi insieme al commento di Luigi Russo, noto recensore dell'opera omnia verghiana: per il critico il testo rappresenta l'esaltazione del mondo primitivo, la «religione della casa» e della famiglia.
La lotta de "i Malavoglia" non è esclusivo battersi contro la natura geografica incarnata dal mare, bestia famelica che inghiotte la piccola barca dei pescatori, la Provvidenza, portando morte e disperazione, ma anche scontro con la natura umana, rivisitata nelle malelingue degli abitanti di Aci Trezza: gente invidiosa, pettegola e cattiva.
Quando il giovane 'Ntoni lascia il focolare domestico perché disgustato dalle condizioni estreme di un'esistenza il cui peso non riesce a sopportare, getta l'intera famiglia nel tormento, lasciando gravare la funerea sensazione che i valori da sempre perseguiti, ormai senz'anima, non abbiano più ragion d'essere. E questi valori sono la casa, in quanto materializzazione della possibilità di sopravvivere, ma anche l'onestà, l'onore. Vessilli in costante estinzione.
Ne I Malavoglia restano ancora in vita i depositari delle leggi e dei codici esistenziali messi in crisi dal progresso: oltre al vecchio 'Ntoni, anche Bastianazzo e altri; ma da vicino i loro valori rivelano la natura di ideali ormai incomprensibili ai più, a quella massa che si è sporta ad ammirare i nuovi dei, il denaro, il successo. Il paese, Aci Trezza, è un coro di abbrutiti, di gente avvelenata dai principi avari del materialismo. Verga non descrive gli ambienti, lo stile impersonale glielo impedisce. E allora getta pennellate veloci e poi scrive: racconta del mare che è, tuttavia, metafora infausta dell'onda del progresso che travolge chi è incapace di cavalcarla.
Il momento storico è la fotografia degli stessi anni in cui Verga narra (1863-1878). E' la quotidianità dell'Italia post-unitaria, la vita dei nostri predecessori nei suoi risvolti umanamente impoveriti quali il brigantaggio, il lavoro minorile, il servizio militare e le tasse. E' uno sfondo che, tuttavia, ha dato modo al romanzo verghiano di farsi voce viva e attuale di una storia realmente vissuta, regionale e universale insieme.
Verga ha un chiaro atteggiamento di premuto pessimismo. D'altronde è ateo e materialista, non si giova dei privilegi donati dallo spirito paraclito della religione, che egli intende come insieme di atteggiamenti di sola pratica abitudinaria senza valore consolatorio alcuno. Non si intromette nella narrazione, affida tutto alla tecnica ben nota dell'impersonalità, del lasciare che sembri, davvero, che l'opera si sia scritta da sé. Nessun filo si percepisce tra il romanzo e il suo autore, nessun collegamento da potersi fare. Tanti sono i proverbi, simbolo della saggezza di una generazione passata, molti i paragoni, mente il flusso gergale è usato solo là dove serve.
E la vita, nel romanzo, assume un po' i caratteri dell'immobilismo: nulla evolve o muta. Verga si lascia trascinare indietro e regredisce, quasi risucchiato dalle pagine del romanzo. Si abbassa al livello dei suoi personaggi in modo da poter dire, fare e vedere così come essi dicono, fanno e vedono. La sintassi e il lessico sono di stampo popolare, di un siciliano carico di anacoluti ed errori, che tuttavia, fatta eccezione per quei pochi vocaboli assolutamente intraducibili, non è dialettale. E il discorso è totalmente libero. Diretto, nonostante venga reso indirettamente.
Dopo il naufragio della Provvidenza, i ripetuti lutti, i debiti dovuti al fallimento del commercio di lupini e l'allontanamento del giovane 'Ntoni, fuggito alla scoperta della vita nella grande città, Alessi, uno dei nipoti del vecchio 'Ntoni, troverà il modo di riscattare la "casa del nespolo" e ricomporre un frammento dell'antico nucleo familiare. Dunque, sembrerebbe di ravvisare un lieto fine tra le ultime righe del romanzo, ma la critica recente non è del tutto concorde.
C'è chi, come Barberi Squarotti, la pensa diversamente: l'uscita di prigione del giovane 'Ntoni, il ritorno a casa dello stesso e, di nuovo, il suo definitivo allontanarsi nella piena coscienza di una spaccatura insanabile con la propria famiglia, è il simbolo di un commiato ancora più disgregante. E' il distacco dal mondo arcaico irrimediabilmente sconfitto per l'avvicinarsi dell'era moderna. E' un passaggio. Il percorso del giovane 'Ntoni, d'altra parte, sarà ripreso e continuato da Gesualdo che, esponente più tipico del mondo evoluto, avrà il dinamismo e l'intraprendenza di un self made man. (Luperini).
La vicenda inizia durante le prime luci dell'alba, quando scoppia un incendio in casa Trao, dove vivono Don Ferdinando, don Diego e la sorella Bianca,un tempo ricchi, ma ora ridotti in miseria, scoppia un incendio, dove accorre tutto il paese. Nel parapiglia generale, i due fratelli cercano Bianca, mentre mastro don Gesualdo tenta di convincere la gente a spegnere il fuoco, preoccupato che si possa estendere fino a casa sua. Bianca viene scoperta dal fratello con un uomo, Don Ninì, figlio della baronessa Rubiera, una loro parente ricca.
Il giorno seguente, Don Diego si reca dalla Baronessa che si dichiara pronta ad aiutarli, anche se senza troppa convinzione, e, quando viene sapere della relazione del figlio con Bianca, si arrabbia molto ma fa intendere che non ha intenzione di farli sposare. Oltretutto, Don Ninì deve sposare Donna Fifì, una ragazza ricca e superba.
Durante un ricevimento, i parenti dei Trao discutono sull'eventualità di far sposare Bianca con Mastro Don Gesualdo.
Pensano che permettere a Don Gesualdo di imparentarsi con loro sia un disonore, ma d'altronde per Bianca non ci sono molte altre possibilità, in quanto senza dote e disonorata, e pensano che sia la soluzione migliore.
Don Gesualdo non sa se sposare Bianca o meno. Si reca a controllare i muratori che aveva lasciato sotto la sorveglianza del fratello Santo e si arrabbia con lui, perché non si impegna affatto nel lavoro. Parla con Diodata, sua serva fedele ed innamorata, le chiede scherzando se ha qualcuno che la corteggia. Infine le dice dell'opportunità di imparentarsi con i Trao e la ragazza si rattrista.
Accade un incidente: il crollo di un ponte e tutti se la prendono con Mastro Don Gesualdo
Don Luca cerca di convincere Bianca a sposarsi con Don Gesualdo. Infine la ragazza accetta solo per salvare l'onore macchiato dalla sua storia con il cugino.
Mastro don Gesualdo e Bianca si sposano, benché non abbiano la benedizione dei fratelli di lei.
Nel paese si mettono all'asta le terre comunali, e Mastro Don Gesualdo le compra. Ciolla vuole scatenare una sommossa contro di lui.
Inizia la rivolta per protestare; nel paese si pensa che non sia giusto che le terre comunali vadano tutte a Don Gesualdo
Don Diego, il fratello di Bianca, si ammala e muore. Bianca, incinta da vari mesi, sviene per il dolore, e viene chiamato un medico.
Mastro Titta, il parrucchiere delle attrici, consegna a donna Fifì una lettera lasciva di Don Ninì indirizzata ad una commediante.
Bianca partorisce una bambina che assomiglia incredibilmente a Ninì Rubiera.
Donna Fifì dice a Don Ninì della lettera e lo lascia. Si crea un gran trambusto a teatro, ma l'attrice dichiara di non conoscere e di non voler conoscere Antonio Rubiera, ma dopo vari regali di Ninì, che si indebita per comprarli, decide di incontrarlo.
La baronessa Rubiera scopre della storia tra Ninì e l'attrice e degli sperperi fatti dal figlio e per la rabbia si ammala e diventa muta.
Capitolo 1
Isabella, la figlia di Bianca e di Mastro Don Gesualdo, ma in realtà concepita da Don Ninì, viene mandata in collegio per volere di Gesualdo, anche se Bianca era contraria. Isabella si rifiuta di farsi chiamare Motta, perché è una Trao e prova una forte ostilità verso il padre.
Scoppia un'epidemia di colera a Palermo e Isabella viene mandata a casa.
Capitolo 2
La famiglia di Mastro don Gesualdo si trasferisce in campagna per scampare al colera. Bianca sta male.
Isabella conosce un giovane poeta, Corrado la Gurna, di cui si innamora.
Si presenta Nanni l'orbo, sposato con Diodata, con i figli della moglie e di Mastro Don Gesualdo, che hanno chiamato Nunzio e Gesualdo, chiedendo delle terre. Di malavoglia, Don Gesualdo gliele concede.
Capitolo 3
Mastro Don Gesualdo torna in paese, perché il padre Nunzio sta male. Nunzio muore, Nanni l'orbo si ripresenta con i figli illegittimi di don Gesualdo e chiede delle altre terre.
Capitolo 4
I fratelli di Gesualdo si spartiscono l'eredità.
Mastro Don Gesualdo fa arrestare Corrado, lo vede come una minaccia per la figlia, che manda momentaneamente in monastero.
Decide di far sposare a Isabella il Duca di Leya; la ragazza non vuole ma infine cede al volere del padre e si trasferisce nel palazzo del Duca a Palermo.
Parte IV
Capitolo 1
Isabella minaccia di suicidarsi perché è infelice con il Duca, uomo spietato non innamorato di lei e che ha sperperato la dote.
Bianca sta per morire e vorrebbe vedere la figlia, anch'essa cagionevole di salute.
Capitolo 2
Mastro don Gesualdo viene abbandonato anche dai servi.
Bianca fa promettere al marito di non risposarsi e muore.
Capitolo 3
Mastro Don Gesualdo rimane solo e sofferente, torturato da atroci dolori di stomaco.
Capitolo 4
Gesualdo si fa ospitare dal marchese Limoli, ma poi si trasferisce da Don Ferdinando.
Il genero, che lo disprezza ma vuole a tutti i costi accaparrarsi l'eredità, lo costringe a trasferirirsi anche lui a Palermo.
Capitolo 5
Mastro don Gesualdo sta per morire. Vorrebbe fare testamento per lasciare una parte dell'eredità ai figli illegittimi, ma dato che legalmente Isabella è l'unica erede, le chiede di fare una donazione. Muore assistito solo da un servitore, che ritiene questo compito indegno persino per lui.
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